Adige (adige)
Il fiume è citato tre volte da D.; sul significato di due delle tre citazioni non sorge alcun dubbio, mentre diverse sono le opinioni intorno alla localizzazione della ruina che nel fianco / di qua da Trento l'Adice percosse (If XII 4) che D. prende a confronto con la difficoltosa discesa che egli e Virgilio devono affrontare per giungere al girone dei violenti contro il prossimo.
Tra gli antichi commentatori, Guido da Pisa, il Buti, il Landino, e tra i moderni il Lombardi e il Tommaseo, identificano il luogo con il monte Barco che tutti, tranne il Tommaseo che lo pone presso Rovereto, malamente situano, dicendo soltanto che sitrova tra Trento e Treviso; a parte la localizzazione molto vaga, a ciò si può facilmente obiettare che l'A. nel suo cammino si discosta di molto dalla linea Trento-Treviso. L'errore si può imputare, come nota anche il Bassermann (Orme 650), a una scarsa conoscenza della regione. Il Tommaseo invece, a parte la maggiore precisione, sostiene che la ruina di monte Barco meglio si adatta alla descrizione dantesca perché presenta alcuna via (v. 9) per discendere, a differenza di altre frane, come quella della Chiusa. Pietro e Benvenuto invece si pronunciano per gli Slavini di Marco, identificazione questa sostenuta da molti autori moderni; Benvenuto aggiunge che di tale ruina parlò, prima di D., Alberto Magno, il quale in realtà nel De Meteoris (III 2) - testo noto a D.: cfr. Cv II XIII 21 - descrive alcune delle probabili cause delle frane, portando come esempio un non meglio identificabile monte posto tra Trento e Verona, la parte franata del quale cadde appunto nell'A.; da Alberto Magno, D. può aver quindi ripreso soltanto le ipotesi sull'origine delle frane, tranne peraltro l'ipotesi del tremuoto da quello non contemplata, ma non l'illustrazione di una particolare frana. Agli Slavini di Marco si possono ben adattare anche l'ipotesi del Vellutello, il quale propone una località " di qua da Roverei da quattro in cinque miglia ", e quella dell'Andreoli, il quale però si limita a indicare un luogo presso Rovereto.
Diverge da tutti gli altri il Cesari il quale, recatosi di persona alla località Castello della Pietra, la contrappone agli Slavini di Marco, parendogli che l'immagine della rotta lacca che finisce in punta (v. 11) meglio si adatti a tale luogo. Curiosa è poi la nota dell'Ottimo, che, oltre a parlare del fiume A. " lo quale per la continova del corso ha roso la montagna di Trento da piede ", riferisce il parere di " alcuni " secondo i quali " là dov'è quella ruina, fu una montagna, su la quale fu una città nome l'Adice, la quale per tremuoto, o per difetto del sito dov'era fondata, una notte, salvi li edificii delle case e della terra e le persone dell'abitanti, ne venne nel piano: ancora pare quella rottura, o vero ruina del monte ". Il Barozzi, riprendendo una nota dello Scolari - il quale in una nota alla prima delle sue Lettere critiche sulla pietosa morte di Giulia Cappelletti e di Romeo Montecchi (Livorno 1831) ricorda che Girolamo Dalla Corte nella sua Storia di Verona descrive una frana avvenuta il 20 giugno 1309 in località " la Chiusa " che coinvolse gran parte del monte Pastello (a tale proposito il Mattalia ci informa che il Torelli legge in un'antica cronaca la data del 1310 per tale frana) - ritiene che D. abbia avuto nozione diretta della frana perché in quel tempo egli si trovava in Verona, ma è in dubbio circa il tremuoto che D. pone tra le possibili cause della frana; mentre il Dalla Corte puntualizza che al momento della frana non vi furono scosse sismiche.
Il Bassermann (Orme 419-428; 648-653) propende per gli " Slavini " o " Lavine " di Marco, tra le località di Marco e di Mori; egli giunge a questa conclusione escludendo la " Chiusa " dell'antica cronaca perché troppo vicina a Verona e perché nella cronaca stessa manca ogni accenno al terremoto. Esclude inoltre la rovina di Castel della Pietra o Cengio Rosso, già sostenuta dal Cesari, e in polemica con il Lorenzi sostiene che tale rovina non si adatta alla descrizione di Alberto Magno. A questi infatti egli sostiene che D. si sia ispirato, oltreché per l'immagine della frana, anche per l'ipotesi del terremoto, benché Alberto Magno non ne parli a proposito della frana che descrive. In effetti il Bassermann molto si basa sull'impressione diretta riportata dalla visita alle varie località, e anche in questa occasione propone l'ipotesi di un eventuale soggiorno di D. al castello di Lizzana dei conti di Castelbarco, posto fra Marco e Rovereto.
Sul fatto che gli Slavini di Marco sono in realtà un deposito morenico in parte mascherato da frane e sullo scarso dislivello di questo enorme ammasso di materiale rispetto alla valle, si basa il Lorenzi per escludere tale luogo; al Cengio Rosso (o Castel della Pietra) che è " una ruina rapida la cui parte superiore è una roccia stagliata che forma un burrato o precipizio " meglio si adattano le due ipotesi del terremoto o del sostegno manco. Inoltre questa ruina è più vicina a Trento che non quella di Marco.
Ma il Cengio Rosso, sostiene lo Zippel, era in movimento franoso ancora nel Settecento, mentre la morena glaciale di Marco, ingigantita dallo scoscendimento della montagna, mostrava già nel Medioevo tutta la sua paurosa grandiosità; D. conosceva il passo di Alberto Magno in cui si parla di una straordinaria frana del monte " inter Tridentum et Veronam civitates ", e anche se consente soltanto in parte con le ipotesi da quegli addotte, ne ha senz'altro tenuto conto.
Più a dimostrare il soggiorno di D. a Lizzana che a identificare il luogo della ruina tendono il Lucchetti, il Gerola e altri autori, i quali in genere propendono per gli Slavini di Marco.
Il Revelli (Italia 131, 132) concorda in tutto col Bassermann, mentre i commenti più recenti riportano in genere le varie ipotesi.
D. cita l'A. anche in Pg XVI 115 per indicare la Lombardia (In sul paese ch'Adice e Po riga), col qual toponimo si designava la gran parte dell'Italia settentrionale, che è bagnata appunto dall'A. e dal Po; e in Pd IX 44 per indicare gli abitanti della Marca Trivigiana (la turba presente / che Tagliamento e Adice richiude) limitata dall'A. a occidente e dal Tagliamento a oriente.
Bibl. - L.N. Pareto, Cenni geologici intorno alla D.C., in D. e il suo secolo, Firenze 1865, 555; N. Barozzi, Accenni alle cose venete nel poema di D., in D. e il suo secolo, cit., 809-810; E. Lorenzi, La ruina di qua da Trento. Note e appunti, Trento 1896; ID., La leggenda di D. nel Trentino, ibid. 1897; F. Pellegrini, recens. a E. Lorenzi, La ruina, cit., in " Bull. " IV (1896) 10-13; G. Gerola, Guglielmo Castelbarco, Trento 1901, passim; P. Lucchetti, D. in Val Camonica, nel giornale " Interessi Cremonesi " 20 sett. e 22 ott. 1915, 5-12; G. Zippel, D. e il Trentino, Firenze 1920, 7-12.