ADIGE (A. T., 24-25-26)
Fiume della Venezia, tributario del mare Adriatico, il più lungo fiume d'Italia dopo il Po. Comunemente si fa principiare l'Adige dai tre laghetti che, a breve distanza l'uno dall'altro e fra m. 1475 e 1449 s. m., si allineano a sud del passo di Resia e che nell'Atlante del Magini del 1620 (carta 31ª, territorio di Trento) e nelle carte del sec. XVIII sono chiamati laghi di Coron, benché questo nome debba più particolarmente attribuirsi a quello di mezzo, poco lungi dalle cui rive sorge appunto il villaggio omonimo (in tedesco Graun). Tuttavia, per essere più precisi, dobbiamo considerare come origine del fiume, il rio che ha la sorgente ai piedi del Plamort (monte alto 2082 m., che la nostra carta topografica chiama Pian dei Morti), a 1586 m. s. m., subito a N. del villaggio di Resia. Tale rio mette nel laghetto superiore e collega a questo gli altri due laghetti, dei quali pure è affluente ed emissario. Subito a valle del laghetto di Resia, che è il più settentrionale, e prima di entrare nel lago di mezzo, l'Adige riceve a sinistra il rio Carlino, torrente glaciale, proveniente dalla Vallelunga che fornisce la maggior copia d'acqua. Uscito dal lago inferiore o lago della Muta (Laidersee) mantiene la direzione generale da N. a S. sino alla confluenza del rio Rom (circa 915 m.) che raggiunge presso Glorenza con la forte pendenza di 1:15; quivi volge a levante ed entra nella Val Venosta, che percorre con difficoltà, perché gli enormi conoidi costruiti dai torrenti laterali formano impaludamenti, obbligando la corrente a deviare da una sponda all'altra, e dividono il fondo della valle in cinque gradini che il fiume deve superare rapido e tumultuoso. A Merano l'Adige riceve il rio Passirio ed è già a soli 293 m. s. m.; di qui si dirige verso mezzodì ad arricchirsi delle acque dell'Isarco, il quale si unisce all'Adige subito a valle di Bolzano. L'Isarco (Eisack dei Tedeschi) ha le sue origini subito ad occidente del Brennero, nel Monte del Sasso (Steinioch) a 2000 m. di altezza; il suo maggior affluente è la Rienza che nasce presso Landro, si accresce specialmente per il tributo del Gader o Grand Ega e dell'Aurino, e sbocca nell'Isarco a monte di Bressanone. L'area emunta dall'Isarco è sin qui di 435 kmq.; dalla Rienza riceve l'alimento di altri 2077 kmq. Cionondimeno la Rienza perde il suo nome e la grossa corrente così formatasi si chiama Isarco, perché la direzione generale è ancora da N. a S. L'Isarco a sua volta, unendosi all'Adige, a cui in totale apporta il tributo di 4141 kmq., perde il suo nome, nonostante che la quantità d'acqua sia doppia di quella dell'Adige sotto Merano: di fatto l'unione avviene in modo che l'Isarco apparisce come affluente. Il fiume entra così nel suo corso medio, la Val d'Adige: la corrente non può scavare l'alveo e, come nella valle superiore, benché con minore veemenza, è obbligata a descrivere meandri da una riva all'altra, venendo respinta dai conoidi di deiezione accumulati dagli affluenti, tra i quali sono particolarmente notevoli il Noce o Nosio, che porta le acque di un bacino di 1396 kmq., e l'Avisio che emunge 956 kmq. Soltanto nei punti in cui è gettata contro le pareti della valle, la corrente erode la roccia in posto, e solo là dove lascia le Alpi si è aperta un varco geologicamente recente con la stretta che è ben nota sotto il nome di Chiusa di Verona, essa pure essendo dovuta al fatto che la valle pliocenica terminale in epoca postglaciale era sbarrata dai materiali morenici di Rivoli. A valle dei maggiori affluenti trentini poco fa nominati, il sistema idrografico del fiume si restringe fortemente: la Brenta e la Sarca appartengono a due bacini idrografici distinti e solo brevi torrenti sboccano nell'Adige. Sotto Calliano e sino alla Chiusa, la valle prende il nome di Lagarina. Alla confluenza col Tasso, il fiume entra nella pianura veronese: tra lo sbocco dell'Isarco e quello del Tasso intercedono 130 km. e appena 148 metri di dislivello, cioè la pendenza di m. 1,14 per chilometro, tale da non consentire un ulteriore scavamento della valle. Nella pianura, non più costretta a scorrere in un profondo solco, la corrente ha potuto scegliere la sua via, però non senza seguire la generale inclinazione del piano e compiervi diversioni e soprattutto non senza lotta con gli altri fiumi della pianura veneta occidentale. Benché diretto a mezzodì, non raggiunge tuttavia il Po, e da Badia Polesine piega a levante, mettendo nell'Adriatico a porto Fossone. Così il fiume contribuisce a dare alla parte orientale della grande pianura padana quella disposizione parallela dei corsi fluviali che si volle confrontare con quella simile di altre pianure. Quanta parte però di tale disposizione sia dovuta alla natura, quanta all'uomo, è difficile affiermare. Per l'Adige, può darne una buona ragione il sovraelevamento sempre crescente dell'alveo, dal basso Veronese in giù, per il quale i materiali deposti finiscono per ostruire la bocca degli affluenti e farli deviare secondo direzioni parallele alla corrente principale. Vero è però che la posizione di un fiume pensile è sempre precaria e, senza l'azione vigile ed efficace dell'uomo, prima o poi esso prende un'altra via; e perciò è sempre possibile un'unione con un fiume laterale. Certo che se l'Adige non raggiunge il Po, si è perchè l'uomo glielo impedisce. Il corso del fiume in pianura a tale riguardo è distinto in una parte infossata e in una parte pensile. È infossato nell'alta pianura che attraversa, lasciate le Alpi; ma l'altezza dei terrazzi va scemando da monte a valle, sinché (alle Bocche di Sorio presso S. Giovanni Lupatoto) il fiume si trova a livello della campagna e poi, più sotto, da Villa Bartolomea presso Albaredo, la sovrasta, scorrendo pensile sul rialzamento delle proprie alluvioni, rialzamento che raggiunge il massimo tra Legnago Badia e Boara e sfuma nel. piano generale a circa 30 km. dalla foce. Là dove la pianura raggiunge il livello del fiume, incomincia il poderoso arginamento longitudinale, che accompagna la corrente sin quasi alla foce e contribuisce al rialzarsi dell'alveo e con ciò a rendere sempre più difficile lo scarico degli affluenti nel fiume principale, come dei subaffluenti nell'affluente, onde Sarega, Masera e Drizzagno, che mettevano nell'Alpone, dovettero essere portati a sboccare direttamente nell'Adige e poi nel Fratta-Gorzone. Così l'area tributaria dell'Adige di pianura si va sempre riducendo, per la duplice azione della natura e dell'uomo: ora essa si può calcolare di 3810 kmq. misurando il corso di pianura 176 km., e perciò la larghezza media è di appena 21,6 km. La pendenza del tratto di pianura è di 0,5. L'intero corso del fiume misura 404 km., la distanza rettilinea tra la sorgente e la foce è di 235 km. onde il rapporto, detto sviluppo del corso, è pari a 1,72 e la pendenza media è di m. 3,9 al km. E poiché il corso di pianura è di 176 km., solo il 57% dell'intera lunghezza si svolge nel territorio alpino. Ma se consideriamo che l'intero bacino idrografico misura 14.700 kmq. e solo 3810 appartengono alla pianura, risulta che il bacino stesso per quasi 3/4 appartiene alle Alpi; e l'Adige è un vero fiume alpino, ciò che appare anche dal suo regime idrografico e termico. L'epoca dello sgelo delle nevi è la stagione delle piene del fiume, anche per il fatto che a queste acque si aggiungono le piogge, di solito abbondanti sulle parti periferiche delle Alpi Orientali e nella pianura durante la primavera inoltrata. L'inverno è invece in generale, a causa del cadere delle precipitazioni sotto forma di nevi, un periodo di magra (portata di massima magra 100 mc.) durante il quale anche, specialmente in gennaio, si verifica la formazione dei ghiacci fluitanti che sono ammassi di lamelle, detti beazze nel Polesine.
Le nevi invernali si sciolgono col sopravvenire della primavera, in ragione dell'altitudine e dell'esposizione; oltre a ciò, le parti più alte del bacino atesino sono ammantate di ghiacciai, nei quali l'ablazione non avviene prima di luglio e di agosto: questi ghiacciai, secondo il computo fatto dal prof. E. Richter, sono almeno 185 e misurano un'area di 277,5 kmq. Di questi, 155 con un'area di 223,6 kmq. appartengono all'Alto Adige, cioè alla regione formante l'alto bacino idrografico del fiume (di cui 4141 kmq. appartengono all'Isarco, 2726 all'Adige superiore). L'epoca dello sgelo è anche quella delle escrescenze, ma per la ragione anzidetta il fenomeno non è contemporaneo in tutto il bacino del fiume. Al margine delle Alpi esso comincia a ricevere l'acqua di sgelo nivale in marzo, nell'Alto Adige i ghiacciai dànno la massima quantità d'acqua agli affluenti nel mese di luglio. Questa provenienza delle acque del fiume ne spiega le basse temperature, sempre inferiori a quelle dell'aria, in media di 7°,2, riscontrate a Trento durante l'estate; d'inverno invece, mancando lo sgelo, la temperatura dell'acqua supera in media di 1°,7 quella dell'aria e nella media annua la temperatura dell'acqua rimane di circa 2°,3 inferiore a quella dell'aria. L'Adige è un fiume frigido, come lo qualifica la popolazione rivierasca del Polesine.
Nella valle, dalla confluenza con l'Isarco al margine delle Alpi, il mese di giugno è quello delle maggiori altezze idrometriche e quelle di maggio pareggiano all'incirca quelle di luglio, benché siano un po' più elevate. A Verona, ove il fiume incomincia di solito a crescere in marzo, il periodo di maggiori altezze cade fra maggio e giugno, mentre a Bolzano esse si hanno fra giugno e luglio. Risalendo da valle a monte, si nota dunque il ritardo di circa un mese nell'apparire delle escrescenze. Ma le piene primaverili dipendono anche dalle piogge e si verificano specialmente in maggio: lo scirocco che precede queste ultime, scioglie le nevi montane ed accresce l'effetto delle piogge sull'escrescenza del fiume. Pure in relazione con le piogge abbondanti, dovute, come le prime, alle minime barometriche che si spostano dal Mediterraneo, per l'Adriatico, verso la parte S. del bassopiano del medio Danubio, stanno le piene autunnali che avvengono di solito fra ottobre e novembre e dipendono da pioggie generali per tutto il bacino dell'Adige. La piovosità, mediocre nella pianura, aumenta sulle Alpi Veneto-Trentine, che prime si oppongono alle correnti nubilose, ed è maggiore sulle parti alte che sui fondi delle valli; verso l'interno delle Alpi, da valle a monte, lungo l'Adige diminuisce la quantità delle piogge, ma sui monti interni che fiancheggiano la valle si dànno precipitazioni paragonabili a quelle prealpine. Tra le massime altezze idrometriche e pluviometriche vi è un perfetto parallelismo. Negli anni poco piovosi anche la portata del fiume è scarsa, inversamente le annate molto piovose dànno anche maggiori piene. Allora il fiume raggiunge la portata enorme di 3500-4000 mc. e costituisce uno degli spettacoli naturali che destano insieme raccapriccio e ammirazione. Le piogge di ottobre sono di solito le più abbondanti, tanto è vero che delle 146 inondazioni prodotte dal fiume negli ultimi secoli, 40 avvennero in ottobre. Notevole pure che alcune tra le più recenti grandi piene autunnali paiono essere in relazione col fatto che una minima barometrica riuscì da N. a superare le Alpi. Nel settembre del 1882, tristemente famoso, due minime superarono le Alpi, richiamando anche l'aria umida dell'Adriatico: ne sarebbe nata la spaventevole piena che squarciò l'argine a Legnago. Se questa terribile rotta non fosse stata ripresa, il fiume avrebbe cambiato corso. Ciò ha fatto più volte in passato, come è provato da molte tracce di alvei derelitti attraverso la pianura veneta occidentale, il cui tragitto si può ricostruire dalla natura delle sabbie, dai particolari caratteri litologici, che molte volte sono state dal vento accumulate in dune (dossi) e sino a tempi recentissimi formarono larghe strisce di terreni incolti. Nell'epoca romana, come provano le tracce di un grande alveo abbandonato chiamato le Lupie, l'Adige scorreva per Montagnana ed Este, dove si trovarono i resti di argini romani e di un grande ponte. Deviò alla Cucca di Legnago, probabilmente nel 589, prendendo il corso più meridionale che all'incirca corrisponde all'attuale. Alquanto dubbia è però la relazìone tra l'attuale corso principale da Badia a Boara, detto nelle vecchie carte la Chirola, e il diversivo chiamato Adigetto che passa per Rovigo: prodotto, secondo gli storici polesani, da una rotta dell'Adige avvenuta in principio del secolo X, mentre il Lombardini lo ritiene come un corso d'Adige più antico di quello della Chirola. A una rotta ancora meno antica (1438) si dovette la formazione del diversivo di Castagnaro che andava ad unirsi al Tartaro, cui venne perciò il nome di Canal Bianco. Dopo una lunga controversia tra gli idraulici veneti, se i diversivi fossero di danno o di vantaggio per la sistemazione del fiume, prevalse, di fronte all'eloquenza dei fatti, l'opinione di coloro che ne dimostravano i grandi pericoli e il Castagnaro fu chiuso (1838), mentre l'Adigetto continua a funzionare con erogazione regolata da un manufatto (bova), il quale viene chiuso del tutto quando il fiume è in piena.
L'importanza antropogeografica del fiume presenta varî aspetti. La situazione delle sedi umane che non è vincolata soltanto alla presenza della corrente e all'opportunità delle comunicazioni e delle coltivazioni, nella valle principale e nelle affluenti dipende da condizioni topografiche diverse (restringimenti, confluenze, com'è il caso di Trento, conoidi laterali, lati concavi dei meandri e terrazzi), nell'alta pianura dipende anche dall'importanza delle vie trasversali (com'è il caso di Verona), nella bassa pianura molti abitati sorsero pure ai lati concavi dei meandri, ciò che però non ha grande importanza dacché gli argini sono robusti: questi anzi, poiché funzionano ad un tempo da vie carrozzabili, attraggono gli abitati al loro orlo esterno, anche per la ragione che per la loro altezza offrono sicuro mezzo di scampo in caso di inondazioni provenienti da rotture in punti più a monte. Per mezzo di grandi ruote elevatrici, caratteristiche dell'alta pianura veronese e con i moderni sifoni a cavallo dell'argine e, in grande, per mezzo di canali derivati, l'acqua del fiume s'impiega per irrigare, ed è fonte di energia meccanica (con i molini natanti su grosse barche dette sandoni) ed elettrica. Come via navigabile, ha scarso valore, causa le grandi variazioni di portata e la natura del letto ingombro di renai che si spostano a ogni piena; né va dimenticato il fatto che nel corso inferiore si forma in molti inverni uno strato di ghiaccio. Scarsissimo è poi il valore economico del fiume per riguardo alla caccia e alla pesca.
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