Adimari
. Consorteria magnatizia fiorentina, alla quale alcuni genealogisti meridionali del sec. XVII (Filadelfo Mugnos, Biagio Aldimari), parlando del ramo che si era trasferito nel regno angioino ai primi del sec. XIV, attribuirono, con scoperta tendenza encomiastica, lontane origini transalpine - dalla Normandia, dalla Guascogna, o, più genericamente, dalla Francia - facendone risalire le fortune all'investitura del comitato di Genova concessa da Carlo Magno a un Adimaro (811). Tuttavia, nei secoli XIII e XIV, era diffusa opinione in Firenze che gli A. fossero di recente nobiltà, anche se politicamente e socialmente erano considerati più importanti di altre consorterie di antichissima origine. Anche D. (Pd XVI 115-120) si fa eco di questa convinzione quando fa ricordare da Cacciaguida l'oltracotanza degli A., contrapponendola polemicamente alla modestia delle loro origini. Tanto recenti, queste, da indurre Ubertino Donati a opporsi a che Bellincione Berti, suo suocero, desse un'altra figlia in sposa a uno di essi; il Donati, al tempo dell'avo di D., aveva ritenuto inopportuno perfino l'apparentamento indiretto con uno di quella consorteria. I due elementi del giudizio dantesco si ritrovano nella Cronica di Giovanni Villani (IV 11), che ricorda gli A. fra le famiglie dimoranti entro il primo cerchio delle mura, nel sestiere di Porta San Piero, al tempo dell'imperatore Corrado, e, pur non ritenendoli " de' più antichi ", li considera " il maggiore legnaggio di quello sesto e di Firenze ". Altri cronisti (Malispini LII) e molti fra i più antichi chiosatori della Commedia riprendono questi temi, sottolineando, specialmente questi ultimi, sulle orme di D., le caratteristiche moralmente negative di violenza, di superbia, di spregio verso gli umili, che sembra distinguessero in modo particolare gli A. fra le altre grandi casate della Firenze più antica. Eco anche questa, forse, di una diffusa avversione popolare contro un gruppo di dinasti feudali entrati a far parte del comune, ma incapaci di acconciarsi alla nuova condizione politica. Sulla questione delle origini torna ancora una volta, nel sec. XV, il poeta erudito Ugolino Vieri (il Verino) nel De Illustratione urbis Florentiae, l. III (Parigi 1583), che le circoscrive alla Toscana, dicendo gli A. venuti " vicini Fesulano e vertice montis ", con un " sanguineis notus bellator in armis / Adimar, unde genus clari duxere nepotes ". Un secolo dopo, proprio uno degli A., Alessandro di Tommaso (1579-1649), si propose di vagliare criticamente le notizie storiche circa la consorteria in generale e la biografia dei principali personaggi in particolare, e gli sembrò accettabile la tesi dell'origine transalpina - ripetuta anche nelle Storie del Malevolti - mentre rifiutava ciò che nella Commedia e nei commentatori si era detto a proposito di Filippo Argenti. La critica storica ha fatto il punto su queste diverse ipotesi con le ricerche che hanno portato il Davidsohn (Storia I 535-538) ad attribuire agli A. un'ascendenza feudale, da un Adimaro figlio del marchese Bonifazio, duca di Spoleto e di Camerino; da un fratello di Adimaro, Teobaldo, avrebbe avuto origine l'altra grande consorteria degli Alberti.
La potenza degli A., sostenuta da stretti legami con i Ravegnani, i Guidi, gli Ubaldini, era fondata sul possesso del castello di Monte Gualandi, presso Signa, e di case poste sull'Arno; posizioni favorevolissime per l'intercettazione del commercio fiorentino verso Pisa. La reazione del comune li obbligò, dopo una dura lotta, a smantellare (1108) il luogo fortificato e a interrompere le loro angherie. Verso la fine del sec. XI, essi erano già ‛ inurbati ' e avevano cominciato a prender parte alla vita politica cittadina. Alcuni di essi (Adimaro, 1196; Bernardo, 1201; Gianlieti, 1203; Aldobrando, 1210) sono citati fra i consoli del comune, tra la fine del XII e i primi del XIII secolo, mentre i cronisti (Malispini, Villani) segnalano l'importanza goduta dalla consorteria nella città ai primi del sec. XII, e ne ricordano le case, le torri e le logge possedute nel sestiere di Porta San Piero; l'elenco di questi beni è documentato con precisione, attraverso l'inventario forse del 1269, dei beni dei guelfi - gli A. aderirono a quella parte politica - danneggiati o confiscati dai ghibellini. Nell'ambito della consorteria, emergevano già nel sec. XIII gli Argenti, gli Aldobrandi, i Cavicciuoli: i rami a cui appartennero i personaggi ricordati nella Commedia. Attraverso i cronisti (Stefani, Compagni) si possono seguire le fasi drammatiche dell'accanito parteggiare di questi guelfi, in fiero contrasto con gli Elisei, i Tedaldini, gli Abati, e altre consorterie della parte avversa. In esilio, gli A. si mescolarono nelle lotte politiche delle città in cui avevano trovato rifugio (Lucca, Bologna, Modena, Reggio), o vi sostennero cariche pubbliche, come Tegghiaio di Aldobrando di Bellincione, podestà di Arezzo (1256), il solo che D., a differenza degli altri A., ricordi onorevolmente nel poema. Sconfitti i ghibellini, essi tornarono in patria e nella seconda metà del Duecento parteciparono alle scissioni determinatesi fra i magnati guelfi. Si contrapposero in un primo tempo ai Donati e ai Pazzi e quindi (nonostante l'adesione alla pace detta del Cardinale Latino) ai Tosinghi (1292). Trovarono, invece, un comune terreno d'intesa con le altre grandi famiglie magnatizie nella lotta (1295) contro gli Ordinamenti di Giustizia. Forese A., nei tumulti di quell'anno, era a capo di una grossa schiera di vassalli chiamati in città dal contado. La scissione fra i Bianchi e i Neri vide gli A. in gran parte schierati accanto ai Cerchi; uno di essi, Baldinaccio, fu compreso fra gli esiliati a Sarzana dopo i fatti del 1300. Alla Parte nera, invece, aderirono gli A. del ramo detto dei Cavicciuoli, cui appartenevano Boccaccino e Filippo Argenti. Quest'ultimo, con Tegghiaio di Aldobrando, è il personaggio della consorteria del quale D. parla più diffusamente nella Commedia, mentre a un altro, Antonio di Baldinaccio, sembra accenni D. quando (If XIX 16-20) ricorda l'episodio che lo vide in San Giovanni spezzare un pozzetto battesimale nel quale un giovanetto stava per affogare. Né quello era stato il solo fatto personale fra D. e un A., perché un altro Cavicciuoli, Boccaccino, aveva litigato aspramente col poeta e, ritenendosi offeso, si era vendicato nel 1302 chiedendo e ottenendo dal comune la cessione dei beni confiscati all'esule, e in seguito - riferisce ancora Benvenuto - " semper fuit sibi [a D.] infestus et totis viribus semper obstitit cum consortibus et amicis ne auctor reverteretur ad patriam ". Che, però, l'odio di D. non si estendesse a tutti gli A. è dimostrato dal ben diverso giudizio espresso a proposito di Tegghiaio di Aldobrando (v.).
Gli A. bianchi andarono in esilio con D. e parteciparono al tentativo della Lastra (1304), fallito il quale Talano fu preso dai ‛ famigli ' del comune e liberato a forza dai consorti, e Gigliolo, ferito gravemente, si rifugiò a Lucca, ove morì. Il perdono concesso agli esuli nel 1328 li riammise in patria ma li escluse dalle magistrature, e questo fece degli A. - insieme ai Bardi, ai Frescobaldi, ai Rossi, ai Cavalcanti, ecc. - i più fieri avversari degli ordinamenti comunali, fino ad appoggiare, nel 1342, la signoria del Duca di Atene.
Già agli inizi del sec. XIV un altro ramo si era staccato dalla consorteria per effetto delle discordie politiche cittadine. Cantino di Filippo, bandito nel 1312 perché fautore di Enrico VII, era fuggito da Firenze con i figli; la sua discendenza avrebbe fatto poi fortuna nel regno meridionale, sotto la protezione dei re angioini; nei registri dell'archivio di quei sovrani si trovano numerosi A. elencati fra i Giustizieri nel sec. XIV. Quanto agli A. di Firenze, nei quattro secoli che vanno dalla loro inclusione fra le famiglie di popolo alla loro estinzione (1736), la vicenda genealogica della casata non ebbe più nella storia della città lo stesso interesse che nel passato. Al regime repubblicano essi diedero nove priori; altri numerosi furono eletti a far parte dei XII Buonuomini e dei XVI Gonfalonieri, ebbero cariche nel governo del Dominio, furono ambasciatori della repubblica, burocrati, magistrati.
Lo stemma della consorteria era partito, di oro alla banda superiore e di azzurro a quella inferiore; colori che sono ripetuti con diversa disposizione negli stemmi delle famiglie derivate dalla casata originaria.
Bibl. - Le fonti araldico-genealogiche principali in Archivio di Stato di Firenze, Carte Pucci I 4; Carte Dei IV 9; Spogli del Senatore dell'Ancisa CC 197,247; EE 535; GG 13,18,21,195,207; KK 13,183,187; LL 515; MM 460,668; NN 472,480; Priorista Fiorentino Mariani I cc.155v-157 (per l'elenco dei priori, che si ripete in molti altri ‛ prioristi ' pubblici e privati, conservati nell'Archivio e nelle altre biblioteche fiorentine); Biblioteca Manoscritti 422, Historia delle famiglie della città di Firenze, di G. Monaldi, I sub voce. Un indice generale di manoscritti e delle opere a stampa pubblicate fino a tutto il sec. XVII, in cui si parla o si accenna agli A., è contenuto nel manoscritto dell'Archivio di Stato fiorentino segnato Biblioteca Manoscritti 322, " Indice generale delle famiglie fiorentine di cui ragionano o fanno menzione autori diversi, e stampati e manuscritti ", cc. 7-9. Lo studio di queste e di altre fonti archivistiche e bibliografiche (cittadinari, registri di ‛ tratte ' agli uffici, sepultuari ecc., conservati nell'Archivio di Stato di Firenze e nelle biblioteche fiorentine) è stato fatto nel sec. XIX da L. Passerini, le cui schede e i cui alberi genealogici sono conservati nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carte Passerini 8, e nel sec. XX da C. Sebregondi, la cui raccolta di notizie sulle famiglie fiorentine, ricca di nuove ricerche, è conservata pure nell'Archivio di Stato di Firenze, Raccolta Sebregondi. Oltre le storie generali di Firenze (vedi FIRENZE), cfr. A. Adimari, Memorie appartenenti alla famiglia degli A., in Delizie degli Eruditi toscani, IX, Firenze 1778; L. Passerini, in A. Ademollo, Marietta de' Ricci, III, ibid. 1845, 901-905; L. Tettoni e F. Saladini, Teatro araldico ovvero raccolta generale delle armi ed insegne gentilizie, I-II, Lodi 1841-43.