ADIMARI
. Famiglia magnatizia fiorentina, venuta da un castello del contado in città nel sec. XI. Nel canto XVI del Paradiso, vv. 115-120, Dante dice di loro: "l'oltracotata schiatta che s'indraca dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente over la borsa, com'agnel si placa", rievocando l'oltraggio subito all'indomani dell'esilio, allorché parte dei suoi beni confiscati furono assegnati appunto a un ramo della famiglia Adimari, e richiamando l'iracondia per cui condannò all'Inferno (VIII, v. 31 segg.) lo "spirito bizzarro" di messer Filippo di messer Boccaccio, il ricco presuntuoso che faceva ferrare d'argento i cavalli: d'onde l'appellativo di Filippo Argenti. Gli A. si stabilirono nel centro della città, non lontano da S. Maria del Fiore, e al casato loro si intitolò, e s'intitola tuttora, una piazza detta già anche di S. Cristoforo, dalla chiesa che vi costruirono. Nella divisione tra guelfi e ghibellini si schierarono tra gli avversarî di parte imperiale, e dopo la rotta di Montaperti messer Forese di Bonaccorso ebbe il comando delle milizie fiorentine che a Benevento batterono Manfredi di Svevia. Avvenuta poi la scissione in seno alla parte guelfa, mentre il grosso della casata appartenne alla fazione dei Bianchi, il ramo di Filippo Argenti si pose con quella dei Neri, e per differenziarsi si denominò dei Cavicciuli. Con la venuta di Carlo di Valois la fortuna arrise a questi ultimi, e gli altri furono messi al bando, donde tornarono soltanto nel 1328, senza ottenere però i pieni diritti politici. Nel 1343 conseguirono il favore popolare, provocando, con altri magnati, la cacciata del duca d'Atene; ma subito dopo il loro tentativo di far revocare gli Ordinamenti di giustizia, che vietavano ai Grandi di sedere nelle magistrature cittadine, fu rintuzzato dal popolo in armi che distrusse molte delle loro case. I superstiti o presero definitivamente la via dell'esilio o passarono alla parte vincitrice, mutando cognome e stemma: e da allora, dal vecchio ceppo degli Adimari, si ebbero le famiglie dei Trotti, degli Alamanneschi, dei Cardinaleschi, dei Della Trita, dei Boccaccini. Tra le persone degne di ricordo, oltre il detto Argenti di cui è parola anche nel Decamerone (gior. IX, nov. 8) e oltre a messer Forese, il condottiero di Benevento, si hanno il dantesco Tegghiaio Aldobrandi, bollato nel girone di Brunetto Latini (Inf., XVI, 41); il cardinale Alamanno di messer Filippo, arcivescovo di Pisa morto nel 1422; e, nel sec. XVI, Francesco e Giovanni di Donato, difensori di Firenze durante l'assedio, caduto in campo il primo e sbandito il secondo dai Medici, e Gherardo di Corso, decapitato dopo esser stato fatto prigioniero nell'assedio di Siena. La storia delle lettere fa menzione anche del marchese Ludovico, verseggiatore del secolo XVII. La consorteria Adimari si spense in Firenze con la morte di Adimaro di Curzio, avvenuta il 7 ottobre 1736: i beni passarono per fidecommesso nei Morelli.
Bibl.: Carte genealogiche nel R. Archivio di stato di Firenze.