BRUNICARDI, Adolfo
Nacque a Bagni di Lucca il 4 ott. 1851 da Pellegrino e Marianna Tomeoni. Laureatosi in ingegneria, compì la sua formazione politica nell'ambiente radicale fiorentino degli anni '70; frequentatore della casa di Atto Vannucci, comparve sul Dovere di Genova, del 17 apr. 1871, tra i firmatari, per la Società democratica internazionale, dell'Indirizzoai cittadini della Comune di Parigi. Tre anni dopo, con Federico Campanella e altri dirigenti repubblicani, in seguito ai fatti di villa Ruffi, assunse una posizione di condanna verso gli internazionalisti che tuttavia non impedì il decreto prefettizio del 9 ag. 1874 di scioglimento della Associazione repubblicana toscana; nel settembre venne fatto un tentativo di ricostruirla come Federazione democratica sulla base di uno schema di statuto, redatto dal B. e dall'avv. Salvatore Battaglia. Nel 1878 il B. diveniva socio del Comitato per l'Italia irredenta, presieduto dal Campanella, e, nel '79, del Comitato per la lega della democrazia, dal quale, l'anno dopo, si staccavano i mazziniani, restii, per la pregiudiziale repubblicana, ad assumere impegni elettorali.
Giurato nella sezione della meccanica alla Esposizione di belle arti in Milano del 1881, "dominato dalla febbre dell'attività", il B. venne alla ribalta come un esponente di quello spregiudicato ceto borghese, che negli anni '80, con l'avvento della Sinistra, si gettò alla conquista del mercato nazionale con le più arrischiate speculazioni finanziarie. Gli investimenti ferroviari divennero l'asse di queste operazioni e lo stimolo, tuttaltro che marginale, a una evoluzione ideologica del B. dal settarismo mazziniano verso un possibilismo democratico-costituzionale; il B. fu così membro della Commissione bilancio delle ferrovie romane, poi segretario della società medesima.
Nel 1882 il B. veniva eletto consigliere comunale di Firenze. Alla morte del Serristori, si presentava candidato, per la XV legislatura, nel collegio di Firenze II. Benché ostacolato dagli ex amici, che gli rimproveravano l'allontanamento dagli ideali repubblicani, risultava in un primo tempo eletto, ma il 22 genn. 1883, per una delibera della Camera, veniva annullata la sua proclamazione a deputato e al suo posto subentrava Filippo Torrigiani. Ripresentatosi ancora a Rocca San Casciano, la sua elezione veniva nuovamente annullata dalla Camera (1º dic. 1884), e gli subentrava l'avversario gen. Giorgio Pozzolini. Finalmente nel corso della XVI legislatura, liberatosi il collegio di Firenze II per la morte di Cirillo Monzani, il B. riusciva ad entrare in Parlamento (fu poi riconfermato nelle successive legislature, fino alla XXI, prima per Firenze II, poi per San Casciano, dove il 6 nov. 1904 verrà sconfitto per opera del repubblicano Campi, sostenuto dai partiti popolari).
Le elezioni amministrative del 1888, con l'allargamento della base elettorale, videro in Firenze la vittoria dei progressisti, guidati da Francesco Guicciardini, e con essi anche il B. venne eletto. Con Guicciardini, Niccolò Nobili e Cesare Merci, egli aveva fatto parte di una commissione d'inchiesta che era stata incaricata di investigare su alcune irregolarità nell'amministrazione delle Cascine, i cui risultati, per quanto non resi pubblici, avevano giocato a favore di tale successo. L'anno dopo, alle politiche, non giovò, elettoralmente, ai radicali essersi interessati, quasi esclusivamente, di politica estera: il B. tuttavia fu rieletto per Firenze II.
In quegli anni di confusi ondeggiamenti verso un riassetto dell'equilibrio politico, nel '92 in particolare, il B. si era schierato contro la nascente personalità politica di Giolitti. Amico di lunga data di Cavallotti, al quale era stato, e continuava ad essere, largo di minuti favori (da informazioni sull'affare Lobbia, al quale Cavallotti era interessato giudiziariamente, ad altre di meno rilevante interesse), il B. si spostava verso Zanardelli come lui acceso protezionista; Cavallotti lo chiamava "il più insinuante" tra gli amici di Zanardelli (in una lettera del dicembre 1894) e, come zanardelliano di sinistra, egli fu uno degli intermediari nei contatti tra i due. Si inserì, anzi, nel tentativo dei cavallottiani di "affermarsi partito di governo" (Giampietro), come proprietario del Don Chisciotte, del quale tentò di fare, nel '94, un organo di opposizione, in vista della formazione di un ministero liberale: proprio questo carattere di opposizione non soddisfaceva Zanardelli, che pur sottoscrisse, nel novembre di quell'anno 12.000 lire.
Di qualche interesse sono, in questo periodo, i suoi interventi sul tema della riforma sociale; in un articolo sulla Nuova Rassegna, apparso anche in opuscolo (1893), avanzava, addirittura, proposte di partecipazione agli utili e di premi d'incentivazione per le grandi imprese a partecipazione statale. Non uscì mai fuori da questi atteggiamenti episodici di paternalismo democratico: era stato proposto qualche anno prima, dalla Fratellanza artigiana "G. Garibaldi" di Modigliana, come candidato contro Depretis, ma era stato scavalcato dalla candidatura di Amilcare Cipriani; fu presidente onorario della Società di mutuo soccorso degli operai dei tabacchi di Firenze, e in questa veste, negli anni 1896-97, seguì e sostenne presso il governo l'agitazione delle sigaraie fiorentine, costituitesi in sezione aderente alla Camera del Lavoro.
Direttore dal 1876 del Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate, ilB. s'interessò particolarmente alle questioni ferroviarie, in ordine alle quali, benché avversario politico del Genala, fu sostenitore delle convenzioni dell'85 e dell'esercizio privato, del quale fu uno dei più spregiudicati protagonisti.
La sua doppia veste di uomo politico influente e di uomo di affari non poco ebbe a giovargli su questo lucroso terreno: ne è un esempio rilevante l'episodio dell'appalto di 3 milioni per la costruzione della linea Roma-Spezia, a favore di una società del cui collegio probivirale il B. faceva parte, concessione che fece esclamare al Pareto: "viva la gente che nulla guadagna col governo". L'anno dopo, per la costruzione del palazzo di Giustizia in Roma, nonostante la sua condizione di deputato, il B. era consulente dell'impresa Borrelli ed estensore di un contratto-capestro nei riguardi del governo, competenze queste che si fece pagare lautamente, in forma tale (25% degli utili suppletivi) da meritare la "censura" della commissione d'inchiesta, istituita quattordici anni dopo (1912).
Nella turbolenta fase di fine secolo dopo esser stato inizialmente fautore dell'alleanza fra Zanardelli e Rudinì, il B. fu tra coloro che cercarono di riaccostare quest'ultimo a Giolitti. Cambiava nel contempo il suo atteggiamento sulla questione ferroviaria: nel 1901 la casa editrice di Luigi Roux gli pubblicava un estratto dalla Riforma sociale su Il problema ferroviario ed il nuovo ministero, in cui il B. si volgeva, con un'abile conversione verso gli orientamenti in materia di Giolitti, per la scadenza del 1905, invitando il nuovo ministero ad "organizzare, pensatamente, ed in tempo, l'esercizio di stato".
Tornato al giornalismo, nel quale, come direttore del Giornale dei lavori pubblici, aveva militato per vent'anni, il B. si associava nel 1903-05 alla direzione della Rassegna politica,finanziaria,industriale,artistica,letteraria, quale esperto di problemi economici.
Da quel foglio esponeva il carattere e i limiti della sua recente conversione in materia ferroviaria: "pur conservando le mie preferenze..., debbo riconoscere non solo che ben poche speranze si possono sentire che l'esercizio di stato ci possa essere risparmiato, ma che forse noi dovremo, stretti alla gola, adoperarci per farlo trionfare come il minore dei mali ... ma anche, e più ancora, come l'unico mezzo atto a farci superare difficoltà, che l'esercizio privato non farebbe che accrescere". Una ragione di questo giudizio stava per lui nel fatto che le tre maggiori società ferroviarie, richieste dal ministro di avanzare proposte sul futuro ordinamento, si erano presentate divise, "senza alcun preventivo accordo, non solo, ma con proposte che mirano a sconvolgere e ad annullare quel poco di buono che è indubbiamente rimasto del naufragio delle convenzioni" (1903, pp. 38 s.). Il dibattito alla Camera sulla mozione Pantano, in cui il B. intervenne durante la tornata del 26 maggio 1903, mostra che egli era tuttavia per la continuazione delle trattative con le società; intanto, senza "nessuna furia", in subordine, si doveva allestire una legge per il riscatto che prevedesse, secondo la proposta del suo amico Guicciardini, l'istituzione di una azienda autonoma. Una conversione largamente opportunistica, dunque, nella quale erano preventivati ritorni indietro, come apparve nel caso delle Meridionali, contro il cui riscatto, nel corso del 1904, dalle pagine della Rassegna, ilB. si batté argomentando che esso non era conveniente.
Nel maggio 1908 il B. riprendeva l'attività di pubblicista con la Rassegna dei lavori pubblici e delle strade ferrate, in una congiuntura felice per il rilancio del suo giro di affari. All'inizio del 1909 confluiva nella Rassegna, che portava la sede a Roma, la Rivista generale delle Ferrovie. La Rassegna chiudeva i battenti a conflitto mondiale inoltrato, con uno strano congedo di "solidarietà con la guerra italiana", tardivo tentativo del B. in effetti di tirarsi fuori dalla ultima operazione, che doveva chiudere ingloriosamente la sua carriera e farlo scomparire dalla scena politica e civile. Allo scoppio del conflitto mondiale si era inserito in un giro di speculatori che sfruttavano la posizione neutrale dell'Italia, svolgendo una indiscriminata attività di informatore politico. In particolare, utilizzava i buoni rapporti con Ferdinando Martini, del quale si presentava come confidente: sul finire del 1914 gli prometteva informazioni su colloqui che avrebbero avuto luogo in ambienti industriali di Berlino e Parigi; gli procurava poi le premesse dei colloqui von Bulow-Sonnino. Giunse perfino a mercanteggiare i propri trascorsi giolittiani, nel giugno 1915, facendosi portavoce di una manovra per sottrarre la Tribuna agli amici di Giolitti.
Nel dicembre del 1916 il B. aveva caldeggiato e ottenuto, presso Martini, un abboccamento con il Caillaux, in visita privata a Roma. I contatti con l'uomo politico francese erano favoriti dai rapporti d'affari con Filippo Cavallini, con il quale il B. partecipava, tra Parigi e la Svizzera, ad una attività - iniziata nell'agosto 194 con il tentativo di aprire un istituto bancario - che verrà definita "spionistico-finanziaria", facente capo all'avventuriero Bolo Pascià. Il B. avrebbe in particolare usato delle proprie amicizie governative per dare credito alle fantasiose iniziative di Bolo Pascià di trattare una grossa partita di carbone prima, un affare di 300.000 capi bovini poi. Sembra che il timore di essere tagliato fuori da quest'ultima faccenda portasse il B. a denunciare tutta l'operazione e ad essere causa dell'avvio di un procedimento indiziario che doveva coinvolgere anche lui.
Il 7 dic. 1917 il B. veniva arrestato per "essere entrato, nell'intenzione di tradire, in intelligenza col nemico, in epoca imprecisata degli anni 1915, 1916, 1917". Nel maggio 1918 si chiudeva la fase istruttoria, nel corso della quale vennero alla luce dati collaterali, come quello secondo cui Carlo Bazzi sarebbe stato intermediario di sovvenzioni (per 50.000 lire) date da Bolo Pascià al Popolo d'Italia;ma soprattutto si delineò una manovra antigiolittiana, di cui si fece tramite il giudice istruttore stesso, il quale chiedeva che gli accusati coinvolgessero personalmente lo statista di Dronero, promettendo a nome del governo compensi ed immunità. Agli inizi di dicembre, dinanzi alla I sezione del Tribunale militare territoriale di Roma, si apriva il processo, che si protrasse, sempre più stancamente e sempre più in sordina, fin oltre la fine del conflitto. Nell'aprile 1919 il B. lasciava praticamente le carceri per essere ricoverato all'istituto kinesiterapico, "perché pericolosamente malato di arteriosclerosi". Nel luglio i procedimenti pendenti presso i tribunali militari venivano trasferiti presso quelli civili; ai primi di settembre, con l'amnistia generale, cadeva un velo definitivo sul processo e sull'estrema vicenda del Brunicardi.
Morì a Roma il 30 dic. 1924.
Del B. sono stati stampati, in opuscolo, i seguenti discorsi ed articoli: Ai miei 16 elettori del collegio di Rocca San Casciano, Firenze 1880; Discorso dell'ing. A. B., pronunciato a Dicomano il 15 ott. 1882, Firenze 1882; Discorso pronunziato dall'on. B. contro la legge del catenaccio, Firenze 1891; Lo Stato e la mercede dell'operaio, Castrocaro 1893; Discorso del deputato A. B. pronunciato a Rocca San Casciano il 20 genn. 1895, Castrocaro 1895; Il problema ferroviario ed il nuovo ministero, Torino 1901.
Fonti e Bibl.: Archivio Centrale dello Stato, Min. Interno, Dir. Gen. Pubbl. Sic., Ufficiocentr. investigaz., fasc. 1535, b. 61; Milano, Ist. G. G. Feltrinelli, Fondo F. Cavallotti,Lettere di A. B.; Camera del Lavoro di Firenze, Relazione statutico-morale dal1ºdicembre 1895 al 31 ottobre 1897, Firenze 1897; E. Giampietro, Ricordi e riforme, Casalbordino 1903, pp. 65, 123 5.; F. Papafava, Dieci anni di vita italiana (1899-1909), Bari 1913, p. 363; L'Italia radicale. Carteggi di F. Cavallotti (1867-1898), a cura di L. Delle Nogare e S. Merli, Milano 1959, ad Indicem; V.Pareto, Lettere a M. Pantaleoni (1890-1923), Roma 1960, II-III, ad Indices; Carteggi paretiani (1892-1923), a cura di G. De Rosa, Roma 1962, ad Indicem; Dalle carte di G. Giolitti,Quarant'anni di politica italiana, I, a cura di P. D'Angiolini; II, a cura di G. Carocci, Milano 1962, ad Indices; F.Martini, Diario 1914-1918, Milano 1966, ad Indicem; Atti parlam., Camera,Discuss., legisl. [XV] XVI-XXI, ad Indices; E.Conti, Le orig. del social. a Firenze (1860-1880), Roma 1956, pp. 100, 187, 189; Storia del Parl. ital., XVIII, Inchieste. Politiche, a cura di D. Novacco, Palermo 1964, pp. 367, 375; N. Capitini Maccabruni, La Camera del Lav. nella vita polit. e amministr. fiorentina (dalle origini al 1900), Firenze 1965, ad Indicem; G. Stopiti, Galleria biogr. d'Italia, Roma s.d., ad vocem; T.Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 180.