COPPEDÈ, Adolfo
Terzogenito dell'intagliatore Mariano e di Antonietta Bizzarri, nacque a Firenze il 29 apr. 1871. Terminate le scuole tecniche, dal 1888 frequentò la Scuola professionale di arti decorative industriali, ove, al termine del primo anno, ottenne un primo premio per la scultura in legno. Come i fratelli Gino e Carlo, alla a frequenza di questo istituto giustappose l'attività nel laboratorio paterno. Tuttavia, almeno in un primo momento, i suoi veri interessi si rivolsero alla pittura; nel 1891, a vent'anni, espose una grande tela (La scommessa che Buffalo Bill lancia al milanese Berni) al Club dei velocipedisti delle Cascine. Dopo la parentesi del "volontariato" militare (venne congedato nell'ottobre del '92), si iscrisse all'Accademia di belle arti che frequentò solo saltuariamente preferendo la pratica attività nella "Casa artistica" del padre.
L'occasione per superare, l'incertezza della vocazione gli fu offerta nel '98 dal concorso per il Pensionato artistico di Roma al quale, inaspettatamente e contro il parere dei familiari, decise di partecipare per la sezione di architettura. Nelle trentadue tavole di progetto di una "grande chiesa cattedrale in stile ogivale italiano" (in parte pubbl. in Ricordi di architettura e di decorazione, XIX [1900], 2), che eseguì per il concorso di primo grado, mostrò un'abilità e una padronanza del disegno singolari: la stessa tecnica grafica, un segno esejuito direttamente a china su fogli di carta assorbente, meravigliò giudici e concorrenti. Non vinse il concorso ma, per intercessione del Sacconi, ottenne metà del premio. Solo più tardi, nel 1902, conseguì il diploma di professore di disegno architettonico.
Nell'occasione dell'esposizione a Roma delle prove del concorso per il Pensionato artistico, conobbe l'onorevole P. Del Buono. L'importante personaggio, che era fra i promotori dell'industria estrattiva dell'Elba e nella medesima isola cospicuo proprietario terriero, affidò al C., che per sua stessa ammissione "non aveva ancora messo un mattone sull'altro", una serie di progetti nell'isola; in seguito, conducendolo con sé in alcuni viaggi all'estero (Parigi, Londra, Vienna ecc.), patrocinò la definitiva formazione del giovane architetto.
Le opere dell'Elba documentano dunque la prima attività professionale del C.; nei primi anni del Novecento eseguì direttamente per il Del Buono la fattoria di S. Martino (nella pianura, presso l'ex residenza napoleonica) e un'edicola funeraria nel cimitero di Portoferraio. Sempre per i buoni uffici dell'industriale, costruì due palazzi per la Soc. Elba (Portoferraio, oggi demoliti) e un monumento funebre, una sorta di mausoleo, alla memoria di G. Tonietti - altro importante promotore dell'industria elbana - a Cavo, nella parte orientale dell'isola. Da queste opere, certo discontinue per qualità e riferimenti (fra i quali non è secondaria l'influenza dei lavori già eseguiti dal fratello Gino), emerge da parte del C. l'intento di dar vita a una architettura monumentale, rappresentativa; essa è impostata su di un eclettismo di fondo che adatta tipologie e linguaggio alle varie occasioni. Tuttavia in questo quadro appare notevole il monumento funebre per la famiglia Tonietti che, in una composizione fluida riferibile per certe soluzioni al D'Aronco, palesa ed esemplifica anche il passaggio del C. dalla scultura in legno all'architettura.
Nel 1903 sposò Anita Burchi, figlia dello scultore Augusto Burchi, professore all'Accademia di belle arti. In questi stessi anni, sempre sulle orme di Gino, insegnò al regio orfanotrofio "Puccini" di Pistoia. A Firenze, oltre che nell'attività della Casa artistica, fu impegnato nella costruzione (1903-1906) del castello Pagani-Nefetti ai piedi della collina di Bellosguardo. Quest'ultima opera gli valse nel 1908 il premio Martelli, che veniva conferito ogni cinque anni dall'Accademia delle arti del disegno di Firenze in memoria dell'architetto G. Martelli. Negli anni successivi il C. vincerà questo premio altre due volte: nel 1912, per la ristrutturazione del palazzo Dudley o Navone in via Tornabuoni e nel '17, per il villino SequiBopp, sempre a Firenze.
Dopo il 1905, grazie anche all'amicizia con G. Chini, nel lavoro del C. si fece sensibile l'influsso liberty:con questo linguaggio, accolto senza cesure o traumi nell'ambito di quel repertorio neomanierista che anche per il C. rappresentò il riferimento stilistico sostanziale, sono ricollegabili numerosi disegni e progetti e qualcuno dei lavori eseguiti per la CAsa artistica. Nell'ambito delle realizzazioni architettoniche "l'arte nuova" trova un'applicazione tutta coppedeiana, nella fiorentina casa Antonini (via Orcagna 53) che venne costruita intorno all'anno 1907. Anche nei progetti iniziali (igog-io) del C. per la decorazione dei saloni della nuova Borsa di Genova appare sensibile la matrice liberty che tuttavia nella realizzazione (1912) Si Mescola poi a motivi neorinascimentali, neomanieristi, neobarocchi in un "pastiche" altamente esemplificativo, se non altro, della capacità del C. di far coesistere i linguaggi più eterogenei. Questopera segnò la sua più importante affermazione:. alla solenne cerimonia dell'inaugurazione l'onorevole Macaggi coniò per il C. la definizione di "Ariosto dell'architettura", ripresa da molta della stampa nazionale che elogiò questa realizzazione ed il suo autore.
Ai saloni della Borsa genovese, per i quali il C. fu nominato commendatore, fecero seguito altri lavori come Pallestimento interno della fiorentina Banca dei Credito agricolo (1915) o la ristrutturazione del palazzo Pazzi-Quaratesi (1913-14), nuova sede della Banca di Firenze. Né l'attività del C. (che nelle intenzioni incarnava l'ideale giovannoniano dell'architetto integrale, abile dalla decorazione al piano urbanistico) fu limitata a questi episodi: nel 1908, assieme a Dario Carbone, aveva presentato un progetto per la sistemazione di piazza Colonna a Roma; ancora a Firenze (1910-15) propose vari progetti per il "risanamento" di zone centrali come via Vacchereccia, via Por S. Maria, via del Corso. Contemporaneamente a Milano fu impegnato nella ristrutturazione del castello Cova (via Carducci) ed eseguì per le Assicurazioni generali il palazzo di via Broletto, all'angolo con via Cusani (1913).
Il successo professionale del C. trovò ampi riconoscimenti ufficiali: nel '15 venne nominato grand'ufficiale della Corona d'Italia, fu membro di numerose accademie e del Consiglio superiore delle antichità e belle arti. Alla fine della guerra venne chiamato a partecipare alla commissione incaricata di studiare i provvedimenti per il passaggio dallo stato di guerra a quello dì pace; nel 1922 venne eletto nel Consiglio comunale fiorentino nella lista della Alleanza di difesa cittadina.Dopo la parentesi bellica, ripresa la professione, costruì a Settignano, presso Firenze, un castello per F. M. Contri; per il medesimo committente (industriale chimico) eseguì nel 1919 il restauro del palazzo al "Canto delle Rondini" con il rifacimento in stile neogotico dell'antica "spezieria" di Matteo Palmieri (L'Illustraz. ital.., 21 sett. 1919, p. 296). L'anno successivo, sempre a Firenze, intervenne, con un eclatante padiglione "moresco", nei giardini del cinema-teatro Alhambra.
Ma l'eclettica esuberanza progettuale del C. trovò spazio, dai primi anni Venti, soprattutto nell'arredo navale. In collaborazione con il padre e con il fratello Gino progettò, fin dal 1914, i molti saloni di prima classe del "Conte Rosso", che vennero costruiti più tardi nel laboratorio della Casa artistica (L'Illustraz. ital., 30 apr. 1922, p. 516); e ancora, sempre per il Lloyd Sabaudo, progettò arredi per il "Conte Verde" (1923), per il "Conte Umberto Biancamano", 1924-25), per il "Conte Grande" (1926-27: L'Illustraz. ital., 29 apr. 1928, p. 334); per il "Satumia" (1926) della Società Cosulich di Trieste. Anche dopo la morte di Gino, il C. proseguì da solo questa attività con il "Vulcania" (Soc. Cosulich, 1928), e anni dopo, nel 1932, con la riproposta quasi "archeologica" dei salone "Colonna" nel piroscafo "Conte di Savoia" (Società Italia).
Nel '26 il C., forse nel tentativo di un personale rilancio nell'ambito di grandi lavori urbani, propose il progetto di una galleria quale "nuovo centro commerciale di Firenze", da realizzarsi mediante lo sventramento dell'ìntero isolato a nord di piazza S. Giovanni, prospiciente il duomo e il battistero.
L'idea appoggiata dal quotidiano La Nazione fu, in linea di massima, approvata anche da Mussolini. Ne nacque un'accesa polemica che si allargò a livello nazionale: su invito dell'Ojetti, intervenne D'Annunzio (cfr. La Nazione, 26 marzo 1926) che, pur non avendo capito esattamente i termini della proposta e prendendo probabilmente spunto per un'invettiva contro lo "stile Coppedè", ovvero anche contro l'attività di Gino, indirizzò al C. epiteti quali, fra gli altri, "arcifanfano", "arcirimbombantissimo", "arcimaiuscolo", "arcigocciolone".
La sfortuna critica di questo progetto, unita ad un oggettivo cambiamento del gusto, determinò certamente una flessione nell'attività professionale del Coppedè. D'ora in poi lo troviamo prevalentemente impegnato nella provincia toscana: per esempio, con alcune case del fascio fra cui quella, davvero "arcimaiuscola", di Lastra a Signa presso Firenze del 1928 (L'Illustraz. ital.., 7 ott. 1928, p. 268), con la chiesa parrocchiale di Radda in Chianti, con il monumento ai caduti nella vicina Castellina.
Nel 1932, anno nel quale si iscrisse al Partito nazionale fascista, partecipò al concorso per il piano regolatore di Tirrenia, ottenendo il secondo premio. L'anno successivo, in un articolo polemico sul Telegrafo (28 febbr. 1933) attaccò il razionalismo ("lo stile liscio che va di moda" come altrove, più privatamente, lo definiva) sostenendo il superiore magistero dell'arte rinascimentale. Tuttavia nel 1934, partecipando al concorso per il pal. del Littorio, mostrò di essersi in qualche modo adeguato alla "stifistica razionalista" (Relazione dell'arch. Adolfo Coppedè ... progetto presentato al Concorso per il Palazzo del Littorio e della Mostra della Rivoluzione, Roma anno XII: in Architettura, XIII [1934], pp. 122 s.); repentina conversione questa, della quale la critica non prese giustamente atto, preferendo confinare il C. nell'usuale cliché del "passatismo" e delle formule tardofioreali.
Fra gli ultimi progetti si deve ricordare, nel 1936, la proposta di uno "sventramento" a Firenze con l'apertura, nel vivo tessuto del quartiere popolare d'Oltramo, di una strada monumentale; e ancora, nello stesso anno, lo sconcertante progetto per il palazzo reale dell'Iraq, a Bagdad, misto di stilemi moreschi e repertori fallici.
Passò gli ultimi anni in ritiro, nella sua tenuta di Parugiano (Montemurlo, Firenze), esercitando la sua ancora felicissima vena grafica in una cospicua serie di disegni e schizzi di edifici assolutamente modemi. Fra le ultime sue volontà ci fu l'istituzione di un premio da assegnare all'autore di un monumento ad Anna Maria Ludovica de' Medici. la munifica donatrice di molte delle opere d'arte raccolte agli Uffizi. Il C. morì a Parugiano il 15 ag. 1951; è sepolto nella cappella della villa.
Fonti e Bibl.: Firenze e Montemurlo (Firenze), Arch. di famiglia; Ricordi di architettura e di decorazione, XIX (1900), n. 2, tav. 19a s.; Edificio per uso di abitazioni signorili, in L'edilizia moderna, XIV (1905), 3, pp. 13 s. e tav. IV, XI; L. Celentano, La nuova Borsa di Genova e l'arte di A. C., in Rass. Univ., I (1912), pp. 2 ss.; Vamba [G. Bertelli], Le decoraz. architett. nel pal. della nuova Borsa di Genova dell'arch. A. C., in L'Illustrazione italiana, 4 ag. 1912, pp. 118-120; Il nuovo grandioso edificio della Borsa di Genova, in La Nazione, 21 luglio 1912; I restauri del Palazzo Pazzi, in Arte e storia, XXXII (1913), p. 375; Palazzi trecenteschi, in Arte e storia, XXXIV (1915), pp. 216 s.; I nuovi grandi locali dell'Alitambra di Firenze, in L'Architettura italiana, XVI (1921), p. 66; R. Martinelli, Un artista vulcanico: A. C., in La Nazione, 10 giugno 1925; A Firenze. Quest. di viabilità, in Auto araldo, II (1936), p. 3; La morte di A. C., in La Nazione, 19 ag. 1951; G. K. Koenig, Archit. in Toscana, Firenze 1968, pp. 38, 58, 76, 193; C. Cresti, Liberty a Firenze, in Antich. viva, IX (1970), 5, pp. 28-31; L. Ginori Lisci, I palazzi di Firenze nella storia e nell'arte, Firenze 1972, I, pp. 95, 2-9; II, p. 550; M. Cozzi, I progetti per una "galleria" a Firenze: dalle ipotesi per il riordinamento del centro cittadino alla Proposta di A. C., in Architettura in Toscana dal periodo napoleonico allo Stato unitario, Firenze 1978, pp. 92, 94-100; C. Cresti, Firenze 1896-1915: la stagione del Liberty, Firenze 1978, pp. 136-139, 207 s., e passim;M. Nicoletti, L'architettura liberty inItalia, Bari 1978, pp. 218, 293, 298; C. Cresti, L'assemblaggio dei simboli, in Pompei e il recupero del classico (catal.), Ancona 1980, pp. 144-146; R. Bossaglia-M. Cozzi, I Coppedè, Genova 1982; Encicl. Ital., XI, p. 327; A. M. Bessone-Aureli, Diz. degli scultori e archit. ital., Città di Castello 1947, p. 166; E. Bénézit, Dict. des Peintres..., Paris 1976, III, p. 157.