RAVA, Adolfo Marco
RAVÀ, Adolfo Marco. – Nacque a Roma l’11 marzo 1879 da famiglia ebrea; la madre, Eugenia Sorani, era professoressa e il padre, Vittore, capo divisione del ministero dell’Istruzione.
Nel giugno del 1900 si laureò in giurisprudenza a Roma sotto la guida di Icilio Vanni, avendo avuto come maestri anche Vittorio Scialoja, Francesco Filomusi Guelfi e Cesare Vivante.
Nel 1901 fu pubblicata la sua tesi di laurea, I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto: un lavoro assai maturo e dotto per uno studioso neppure ventiduenne, in cui già manifestava quel duplice, pari interesse per la speculazione filosofica e per la scienza del diritto positivo che caratterizzò tutta la sua produzione successiva. Tuttora molto citata è la sua idea che i diritti della personalità siano un magazzino nel quale ammassare istituti che non si sa dove altrimenti collocare.
Nel 1902 conseguì la laurea in filosofia e il diploma di magistero in filosofia nell’Ateneo romano, divenne procuratore legale e vinse un assegno ministeriale di perfezionamento all’estero in filosofia del diritto per il 1902-03; spese tale periodo a Berlino, come uditore di Josef Kohler e Adolf Lasson, e a Heidelberg. A quel periodo risale l’influenza indelebile sulla sua formazione della scuola neokantiana di Wilhelm Windelband e Heinrich Rickert, che dette avvio alla ‘filosofia dei valori’; un’influenza che si manifestò nella sua tesi del primato della ragion pratica su quella teoretica, oltre che nel suo interesse per il problema dello statuto metodologico delle scienze sociali.
A quest’ultimo tema dedicò due opere, La classificazione delle scienze e le discipline sociali (Roma 1904) e Il valore della storia di fronte alle scienze naturali e per la concezione del mondo (Roma 1909), in cui le scienze sociali, ivi inclusa la scienza giuridica, vengono trattate come terzo genere tra quelle della natura e dello spirito, in quanto si occupano dei prodotti oggettivati della soggettività umana.
Nel novembre del 1903 divenne professore incaricato di filosofia del diritto e di istituzioni di diritto civile nella facoltà di giurisprudenza di Camerino. L’anno successivo conseguì presso l’Università di Pisa, con giudizio oltremodo lusinghiero della commissione presieduta da Carlo Francesco Gabba, la libera docenza in filosofia del diritto, che venne su sua richiesta trasferita a Roma e ivi esercitata per un anno. L’8 settembre 1904 sposò a Trieste Martha Winter, nata a Praga il 1° gennaio 1876, dalla quale ebbe tre figli: nel 1905 Marcella, nel 1907 Tusnelda e nel 1910 Tito. Quest’ultimo seguì le orme paterne abbracciando la carriera accademica nel campo del diritto commerciale; Marcella fu prima insegnante di materie letterarie, poi bibliotecaria, ed è ricordata per i suoi lavori intorno a Ernesto Buonaiuti, dei cui scritti compilò anche la bibliografia. Alcune fonti attestano la nascita e morte in fasce di un altro figlio, Lionardo, nel 1906.
Ravà insegnò a Camerino fino al 1911, ma dal 1909 al 1911, collocato in aspettativa nell’Ateneo camerte, tenne corsi di filosofia del diritto e di diritto costituzionale a Cagliari, dove vinse il concorso a cattedra nel 1911, primo di una terna che includeva Alessandro Bonucci e Gioele Solari. Nell’ottobre dello stesso anno venne chiamato come professore straordinario di filosofia del diritto a Messina, dove insegnò fino al 1914; ebbe qui anche un incarico di filosofia morale nella facoltà di lettere e filosofia. Fu promosso a ordinario nel 1915 e da quell’anno, fino al 1917, insegnò a Parma, dove nel 1915-16 fu anche incaricato di procedura civile e ordinamento giudiziario.
Fece parte del gruppo romano di neutralisti militanti Italia nostra animato da Cesare De Lollis, che aveva tra i suoi membri Benedetto Croce, Arturo Carlo Jemolo e Giuseppe Chiovenda. Tuttavia, allo scoppio della Grande Guerra, per spirito patriottico, si arruolò nel corpo degli alpini e partecipò come ufficiale di fanteria a tre campagne, dal 1916 al 1917, riportando una frattura alla clavicola che lo costrinse in ospedale per vari mesi. La sua condotta al fronte gli valse la croce al merito di guerra e altre onorificenze.
La sua carriera accademica proseguì a Palermo, dove insegnò dal 1917 al 1922 subentrando a Vincenzo Miceli e dove ebbe anche l’incarico di istituzioni di diritto civile. Dal 1920 al 1922 fu altresì incaricato di impartire lezioni private di scienze giuridiche e politiche al principe Amedeo di Savoia.
Spese il periodo più duraturo della sua vita accademica (dal 1922 al 1938) nella facoltà di giurisprudenza dell’Ateneo di Padova, in cui ebbe anche incarichi di esercitazioni di diritto civile, diritto comparato, diritto civile, istituzioni di diritto privato, nonché di storia delle dottrine politiche e scienza politica generale nella facoltà di scienze politiche; fu inoltre incaricato di istituzioni di diritto privato nell’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Venezia. A partire dal 1923 diresse l’Istituto di filosofia del diritto e diritto comparato da lui fondato. Per l’Ateneo patavino redasse i pareri sul I libro (1933) e sulla parte relativa alle donazioni del III libro (1936) del progetto di codice civile.
Per effetto delle leggi razziali, il 14 dicembre 1938 fu posto in quiescenza; sulla sua cattedra subentrò Giuseppe Capograssi. Trascorse nella sua città natale quegli anni, che per lui furono dolorosissimi anche a causa della forzata separazione dalla moglie e dal figlio Tito, il quale era riparato in Argentina, e che spese dedicandosi alla professione d’avvocato e alla stesura di massime a pagamento. Anche la figlia Marcella fu licenziata dall’impiego presso la Biblioteca Marciana, e nel 1942 il suo nome fu incluso tra gli autori di opere non gradite al regime. Tale periodo si concluse in maniera viepiù dolorosa con la morte della moglie, nel 1944.
Venne riammesso nei ruoli dei professori universitari il 1° giugno 1944. Il nuovo rapporto con l’Ateneo patavino ebbe però breve durata, perché dal 1945 fino al 1948 continuò a risiedere a Roma, essendo stato incaricato dall’Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato di redigere un progetto di legge uniforme sui contratti conclusi a mezzo di rappresentanti. Ottenne infine il trasferimento a Roma, sulla cattedra di istituzioni di diritto privato della facoltà di economia e commercio, in cui insegnò dal 1948 fino al suo collocamento a riposo (1° novembre 1954). Nel 1955 gli fu conferito il titolo di professore emerito. Fu dal 1946 socio corrispondente e dal 1953 socio nazionale dell’Accademia dei Lincei, classe di scienze morali.
Morì a Roma l’8 marzo 1957.
Nel necrologio sul settimanale Israel (XLII, (1957), 28, p. 4) si rammenta il suo vivissimo interesse per i problemi ebraici e per gli sviluppi del movimento sionista, ma anche la sua avversione a quest’ultimo.
Oltre che filosofo del diritto, Ravà fu anche, a pieno titolo, giurista e storico del pensiero filosofico. La sua produzione scientifica peraltro non fu abbondante, e inoltre molti suoi lavori non ebbero mai un’edizione a stampa.
Come giurista coltivò il diritto privato, che del resto considerava l’unico vero diritto, essendo per lui il diritto pubblico parte della sfera etica, e fu autore di corsi istituzionali e monografici che ebbero varie edizioni litografate o a stampa, in tema di contratti, matrimonio, diritto d’autore, usi civici. Al suo insegnamento si formarono giuristi come Carlo Esposito e Alberto Trabucchi. Si distinse per il rigore e l’inclinazione legalista, coltivando un modello di giurista strettamente vincolato al dettato delle leggi positive. Nelle sue Istituzioni di diritto privato (1a ed. a stampa, Padova 1937) troviamo l’unificazione ante litteram tra il diritto civile e quello commerciale, realizzata dal codice civile del 1942.
Come storico del pensiero filosofico si distinse per acume ed erudizione, attestati in specie dal suo La filosofia europea nel secolo decimonono (Padova 1932). Vanno poi ricordati i suoi studi giovanili su Johann Gottlieb Fichte che, insieme alla filosofia dei valori di Heidelberg, contribuirono a orientarne il pensiero verso un idealismo di tipo etico. Gli studi successivi su Baruch Spinoza lo elevarono a suo massimo esperto italiano e gli valsero notorietà internazionale: per vari anni a partire dal 1932 rappresentò l’Italia come membro del curatorium della Societas Spinozana nata nel 1920. I suoi saggi sui due filosofi furono raccolti dall’allievo padovano Enrico Opocher nel volume postumo Studi su Spinoza e su Fichte (Milano 1958).
Come filosofo del diritto si ritagliò uno spazio originale tra i critici del positivismo ormai al tramonto, prospettando una visione strumentale del diritto e dello Stato, già condensata nelle due opere giovanili Il diritto come norma tecnica (Cagliari 1911) e Lo stato come organismo etico (Roma 1914) e da lui mai abbandonata, come attesta il fatto che nel 1950 ripubblicò le due opere raccogliendole nel volume Diritto e stato nella morale idealistica. Concepì dunque il diritto come norma tecnica che prescrive le condotte necessarie a perseguire il fine della conservazione della società. Come tecnica normativa e coercitiva, il diritto poggia sulla natura, delle cui leggi rappresenta l’inversione a scopo pratico, ed è irriducibile alla morale, perché quest’ultima non conosce né diritti soggettivi né coercizione, ma può colorarsi eticamente in base all’obiettivo a cui tende; il suo valore in quanto mezzo dipende dal valore etico della società che esso mantiene. Dato il carattere sociale dei valori etici, Ravà assegnò all’istituzione sociale più importante, lo Stato, il compito di favorire la perfezione morale della società, esplicando non solo funzioni strettamente giuridiche, ma anche economiche e pedagogiche (Giorgio Del Vecchio, che fu commissario al suo concorso da ordinario, non mancò nel suo giudizio di considerare una ‘menda’ siffatta identificazione tra etica e politica). Un tale Stato etico non venne però da lui concepito come un fine, bensì come un mezzo orientato a fini etici superiori: perciò alieno da pulsioni autoritarie, e votato semmai alla missione storica di promuovere lo sviluppo autonomo e la libertà dei singoli, più che la mera coesistenza garantita dal diritto.
Fonti e Bibl: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Direzione Generale per l’Istruzione superiore, Fascicoli personali professori ordinari (in versamento), b. 394; ibid., Biblioteche e Affari Generali, Libere docenze, serie 3, 1896-1910, b. 331; Bollettino Ufficiale Ministero Istruzione Pubblica, XXXVII (1911), 43, pp. 3340-3345.
Si rinvia a R. Orecchia, Maestri italiani di Filosofia del diritto del secolo XX, Roma 1978, pp. 392-399, per la bibliografia completa delle opere di Ravà e per gli scritti principali su di lui, ai quali devono aggiungersi: N. Tabaroni, La terza via neokantiana della gius-filosofia in Italia, Napoli 1987; M. Fracanzani, A. R.. Fra tecnica del diritto ed etica dello Stato, Napoli 1998; R. Gherardi, Il problema della guerra e della pace (1932) di A. R.: concetti e dottrine della politica moderna, in Scienza & politica, 2002, n. 27, pp. 83-97.