APPIA, Adolphe
Scenografo svizzero, nato a Ginevra nel 1862, morto nel 1928. La sua attività s'inizia col primo opuscolo da lui pubblicato, La mise en scène du drame wagnérien, nel 1895. Trionfava allora generalmente in teatro il criterio della scenografia realistica, il quale era adottato non solo per la messinscena di opere aventi carattere veristico e naturalistico, ma, in genere, per tutte le opere, sia drammatiche, sia musicali. Classici e romantici erano stati sostanzialmente concordi nel domandare all'apparato scenico la riproduzione della verità, anche sotto le specie dell'archeoloġia e della storia; è il criterio archeologico quello a cui essenzialmente s'ispirano i grandi interpreti di Shakespeare sulla scena alla fine dell'800, per es. Irving, e lo stesso Wagner, per le sue opere, stabiliva il principio che "niente di quel che può rappresentarsi con i mezzi di cui si dispone deve essere soltanto suggerito, ma tutto deve esser mostrato".
Antesignano della reazione antiveristica che, attraverso forme le più varie e anche le più opposte, fu poi caratteristica peculiare delle scene europee al principio del Novecento, l'Appia costruì la sua riforma movendo dal contrasto, ai suoi occhi inaccettabile, che si aveva nei teatri tradizionali, fra l'attore, creatura viva e a tre dimensioni, e la scena, oggetto dipinto, e che nonostante gli sforzi della prospettiva, rimane inevitabilmente a due sole dimensioni. Ma d'altra parte, poiché la reazione che s'annunciava contro il verismo già tendeva a dare un'importanza sempre maggiore alle scene, ai colori, alle luci, respingendo in secondo piano il personaggio come un elemento del quadro e non come il suo protagonista, l'Appia si schierò decisamente per la supremazia della figura umana, interprete del dramma, a cui l'apparato scenico deve soltanto servire come sfondo. Immaginò dunque ambienti, via via concepiti in dipendenza dell'opera da interpretare, e delle sue significazioni intime; costruiti in modo da dare, con l'aiuto di luci speciali, il senso plastico delle tre dimensioni; ma con estrema semplicità, in modo da suggerire piuttosto che attuare, offrendo l'impressione di qualcosa di vuoto e d'incompiuto, sicché lo spettatore sia istintivamente portato a invocare la presenza di colui in cui il dramma prende carne, la figura vivente dell'attore. A questo fine, l'Appia si è contentato di pochi e nudi elementi, prediligendo austere linee orizzontali, verticali, diagonali, e i loro collegamenti (fra questi, uso e abuso di gradinate). Le teorie dell'Appia, da lui applicate specie nella messinscena delle opere wagneriane, hanno suscitato dappertutto interesse e anche imitatori, ma non sempre hanno avuto successo e consenso fra il pubblico latino, il quale accusa nella lineare scenografia del ginevrino uno spirito di rinuncia e di gelidità più volte definito, dai nostri critici, quale protestante e calvinista.
Opere: La mise en scène du drame wagnérien, Parigi 1895; Die Mu.'ik und die Inscenierung, Monaco 1899.