ADONE (῎Αδων e ῎Αδωνις; Adon e Adonis, lat. arcaico Adoneus)
Il mito di Tammuz, il dio amante della babilonese Ishtar, chiamato in Fenicia col nome generico di A., il Signore, è giunto fino a noi, non solo attraverso la letteratura orientale, ma anche attraverso quella ellenica, che ne ha fissato diverse versioni e molti particolari. La penetrazione in Grecia avvenne in epoca antica, in fatti. Esiodo già ne fa menzione. Ma è ancora ignoto se l'arte figurativa greca, impadronendosi del mito, determinasse anche la tipologia del giovane dio, o se attingesse a rappresentazioni anteriori. Un acaico rilievo su roccia a Ghineh, nei dintorni di Biblo, narrava forse la "storia" di A.; rappresenta un enorme cinghiale che assale un cacciatore e, in, un riquadro vicino, una figura femminile in atto di dolore seduta su diphros, probabilmente Afrodite. Non ci è pervenuta alcuna delle immagini plastiche del dio morto, che ogni anno venivano deposte sui catafalchi fra manifestazioni di lutto e sepolte, nelle feste immensamente popolari delle Adonie, a Biblo, ad Antiochia, ad Alessandria, a Cipro, in Grecia, in Italia, in Gallia; forse sono andate distrutte per il loro materiale deperibile (legno e terracotta) e, con loro, anche la tipologia originaria del dio-morto, avvolto nelle bende secondo l'uso siro-fenicio, è scomparsa. Una pallida reminiscenza se ne può cogliere in qualche tessera bronzea di Palmira con la rappresentazione del morto Tammuz.
Nell'arte etrusca del IV-III sec. a. C., A. è rappresentato in un atmosfera di idillio erotico. Negli specchi di questo periodo si trova ripetuto il motivo di Turan (Afrodite) e Atunis teneramente abbracciati; il giovinetto è più piccolo della dea, ha aspetto delicato, è seminudo, ma calza calzari etruschi e porta una collana con bulla. I toreuti hanno spesso riempito la scena con qualche figura supplementare, di solito Lase della cerchia di Turan. Nel più antico di questi specchi (al Museo dell'Ermitage) è avvertibile la discendenza compositiva da ceramiche a figure rosse del V sec. a. C.; nei più recenti predomina l'elemento etrusco-ellenistico nella vivace scioltezza degli atteggiamenti. Tardi influssi della ceramica greca si possono individuare anche in scene come quella di Atunis che suona la lyra seduto davanti a Turan, o nello specchio prenestino, in cui egli appare barbato nello schema del Posidone del Laterano. Il mito greco è orinai dimenticato nello specchio berlinese di A. fra Evan e Mean e in altri tardi specchi anche la composizione si dissolve in allineamento generico delle figure di A. fra Muse e Lase. In uno specchio al Louvre, proveniente da Orbetello, rimane il ricordo di una composizione pittorica o vascolare: Iupiter come dice l'iscrizione latina, siede fra le due contendenti, Venere e Proserpina, davanti al cofanetto che rinchiude Adone. L'arte etrusca tarda ha prodotto un raro monumento plastico, l'urna in terracotta di Toscanella (ora nel Museo Etrusco Gregoriano del Vaticano), che è stata spesso citata come riproducente l'esposizione del dio morto su un ricco letto funebre durante le Adonie. Senonché tale riferimento non è consono alla nudità della salma e al suo atteggiamento scomposto. La raffigurazione, che per il rendimento del nudo si dimostra opera provinciale etrusca, è stata probabilmente ispirata a una riproduzione (pittorica?) della morte di A., del genere di quella che ha ispirato il pittore di un'anfora àpula della collezione Sant'Angelo, ove su un adorno letto giace il giovinetto assistito da Afrodite e da Persefone, con l'inesorabile Ecate al capezzale. Nello stesso vaso compare anche la scena della disputa delle dee per il fanciullo alla presenza di Giove; in altri vasi italioti sono rappresentate la partenza per la caccia alla presenza di Afrodite (skyphos al museo di Cracovia, dalla Lucania), e la scena di A. ferito deposto sulle ginocchia della dea (vasi da Vulci e dall'Apulia al British Museum). Nei vasi greci di stile midiaco si introduce il motivo della preparazione delle Adonie e dei "giardini di A.", che sarà più volte ripresò nella ceramica di Kerč; ma non è certo che nella figura di fanciullo alato si debba riconoscere A. e non Eros. E più probabile che abbiano voluto rappresentare il giovane pastore i pittori di vasi apuli o lucani nelle scene di gineceo che hanno per protagonista Afrodite con accanto un efebo.
Il mito di A. è più volte riprodotto, nei suoi diversi momenti, dalle pitture parietali. Nella Casa, pompeiana, dei Dioscuri è dipinta la scena della nascita dell'infante dal tronco dell'albero di Myrrha, accolto da una ninfa; lo stesso soggetto decorava un ambiente della Domus Aurea, in un'altra parete del quale era rappresentata la partenza di A. per la caccia davanti alla riluttante Afrodite. Un episodio grazioso degli amori della dea e del giovinetto è ripetuto anch'esso a Pompei (Casa del Poeta Tragico, Casa Reg. VII-12-26 al museo di Napoli): gli amanti osservano un nido di amorini fra l'ammirazione delle ninfe e di un genio del luogo. Infine A. ferito alla coscia, sorretto dalla dea e circondato dagli Amori, è ripetutamente rappresentato (Casa di A., Casa di Meleagro); una variante del soggetto mostra il bel pastore morente seduto in grembo a Venere (Casa del Chirurgo). Queste pitture per la composizione e la spazialità si inquadrano nell'arte ellenistica, ma per il loro contenuto idillico sono state riferite particolarmente all'arte alessandrina. Il ripetersi di alcune scene indica che vi era un ben conosciuto archetipo, forse un ciclo di pitture che ornava le pareti di qualche celebre Adònion. Da questo ciclo pittorico discendevano probabilmente i cartoni che servirono più tardi agli scalpellini romani per i loro sarcofagi. Particolarmente nel II sec. d. C. una ripresa del mito di A. è segnata infatti nella produzione dei sarcofagi, in cui appaiono ripetutamente alcuni momenti del mito: A. stante davanti a Venere prima della partenza per la caccia, la scena del cinghiale, la dea accorrente presso il giovane ferito, A. semisdraiato con Venere e gli amorini che lo attorniano. Con significato simbolico riferentesi a credenze concernenti l'Oltretomba su ogni sarcofago sono presenti tre delle scene succitate, che, con varianti nei particolari, evidentemente attingono alla medesima fonte (sarcofagi a Roma, Museo Chiaramonti, Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani, Museo del Laterano, Palazzo Rospigliosi, Villa Pamphilj, Villa Borghese, Villa Medici, Villa Wolkonski; a Mantova, in Palazzo Ducale; a Parigi, al Louvre).
Scarse sono le sculture ispirate al mito di A.; le, opere che in vari musei vanno sotto il nome di A. sono quasi sempre di altro o di incerto soggetto. Un passo di Stefano da Bisanzio (s. v. Alexàndreia) informa che nell'Adònion di Alessandria del Latmos v'era un gruppo scultoreo di Venere e A., opera di Prassitele; l'attribuzione è certo erronea; l'opera, tuttavia, poteva essere di età ellenistica. Un'eco di tale scultura si deve forse scorgere nelle terrecotte che rappresentano il gruppo, diversamente atteggiato, dei divini amanti. Nei santuari di Siria vi erano forse anche sculture che rappresentavano il dio, a sé stante, come giovane cacciatore. In Siria, infatti, si sono ritrovati bronzetti, fra cui preminente uno da Sidone, al Louvre, che raffigurano A., dai lunghi capelli cadenti in boccoli, drappeggiato in un mantello frangiato; è possibile che risalgano a un originale ellenistico. D'arte eclettica d'età romana invece è la statuetta bronzea rinvenuta nelle rovine del santuario di Afrodite a Paphos di Cipro; A. stringe fra le dita un grano di mirra tolto da una pisside; egli è qui il figlio dell'infelice Myrrha, secondo il mito greco.
Nell'Oriente ellenizzato, in età romana continuava a fiorire e ad evolversi il culto di A.; e alla tendenza sincretistica, che orientava i credenti verso la divinità unica e suprema, di cui il Sole era la più splendida emanazione, si devono alcune nuove rappresentazioni dell'antico nume della vegetazione divenuto dio solare: tale A. figura, col nimbo radiato, nelle monete di Cipro. In Siria, per via di assimilazione, A. viene accostato al terzo dio della triade suprema di Hierapolis ed Heliopolis, e come tale ne ritroviamo l'immagine nelle pitture del suo tempio, accanto a quello di Atargatis, nella lontana Dura Europos. È questa opera di un pittore greco-iranico della seconda metà del II sec. d. C., nella quale l'antica tipologia ellenistica si adatta all'ambiente artistico specifico della città; l'A. di Dura, rappresentato in rigida frontalità e avvolto nelle lunghe vesti, come gli altri dèi locali, tradisce pur sempre il tipo del giovane imberbe dio dai lunghi capelli inanellati. E in lunga veste ricamata lo raffigura anche una scultura di Damasco; essa testimonia il culto del dio che muore e risorge, ancora fiorente in età severiana.
Bibl: G. P. Bellori, Picturae antiquae, Roma 1790, tavv. III-VI; E. Gerhard, Etruskische Spiegel, Berlino 1840-97, tavv. CXI, CXV, CCCXII, CCCXXI-2, CCCXXII-CCCXXV; V, 23-25, 28; C. Robert, Sarkophagrel., III, i, p. 7 ss., t. II-V; E. Saglio, in Dict. Ant., I, p. 72 ss.; C. Vellay, Le culte et les fêtes d'Adônis-Thammouz, Parigi 1904, p. 193 ss.; S. Reinach, Rép. Vases, I, 119, 124, 127, 128, 155, 197, 271, 325, 499; J. Babelon, Choix de bronzes, Parigi 1929, tav. XIV; F. Cumont, Les réligions orientales dans l'Empire romain, Parigi 1929, t. XI-i; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Milano 1929, p. 62 ss.; Rostovzev-Brown, Excavations at Dura-Europos, Preliminary Report, Yale University, VII, 1933-35; (la bibliografia sulla questione dei giardini d'A., in G. Richter, Red-figured Athenian Vases, New Haven 1936, n. 173); H. Seyrig, Un ex-voto damascain, in Syria, XXVII, 1950, p. 229 ss.; id., Recueil des tessères de Palmyre, Parigi 1953, nn. 128, 218, 342.