ADORAZIONE PERPETUA
. Prescindendo dalla iniziativa degli acemeti (v.) in Oriente e di loro imitatori in Occidente (specialmente nella zona della Lorena che fu poi culla dell'adorazione veramente perpetua del SS. Sacramento) di introdurre nei monasteri la salmodia perpetua, intendiamo qui parlare delle forme graduali di adorazione perpetua dell'Eucarestia.
Teologicamente, il dogma della presenza reale e la prassi della conservazione dell'ostia consacrata recano di conseguenza che nelle chiese cattoliche incessantemente, giorno e notte, sia presente Gesù sacramentato, oggetto precipuo dell'adorazione. Perpetua la presenza, dovrebbe esser perpetua anehe l'adorazione: a questa logica conseguenza ha mirato lentamente ma costantemente la pietà cattolica, cercando di vincere le naturali difficoltà che vi frappone la necessità di attendere ad altri bisogni e doveri, segnatamente la necessità del riposo notturno.
La prima espressione di questa tendenza è data appunto dalla storia delle Quarantore. Esse ebbero certamente origine dalla prassi liturgica di conservare in una specie di sepolcro, nel triduo della settimana santa, le specie eucaristiche, richiamando i fedeli ad adorarle, come avrebbero fatto le anime pie che avessero potuto vegliare il sepolcro di Cristo nelle quaranta ore intercorse tra il mezzodì del venerdì santo e l'aurora della risurrezione. Proprio a questa prassi si dava già, nel sec. XIII, il nome di Quadraginta horarum oratio. L'idea di ripeterla fuori della settimana santa con intento di speciale propiziazione ed espiazione, ebbe la prima attuazione, a quanto sembra, in Milano nel 1527 a opera della Compagnia del Santo Sepolcro in occasione delle solennità di Pentecoste, dell'Assunzione e di Natale, secondo i suggerimenti del sacerdote Antonio Bellotto (morto nel 1528). La predicazione del p. Tommaso di Nieto nel 1529 vi diede speciale impulso, di guisa che la si praticò simultaneamente in altre chiese oltre la detta scuola. Solo però nel maggio 1537 si ebbe l'adorazione incessante, subentrando a turno le varie chiese di Milano nella pratica delle quarantore: il suggerimento di ciò sembra vada attribuito a S. Antonio Zaccaria (v.) fondatore dei barnabiti, mentre un suo discepolo, l'eremita Buono da Cremona (morto nel 1542), ne fu valido esecutore e il cappuccino Giuseppe Plantanida da Ferno di Gallarate (morto nel 1556), la propagò con la sua predicazione fuori di Milano e le diede, anche in iscritto, il primo metodo. Il papa Paolo III con breve dell'8 agosto 1537 la arricchì delle prime indulgenze; S. Carlo Borromeo non solo la favorì, ma, a meglio organizzarla, dettò col nome di Avvertenza in data 27 giugno 1577 una precisa istruzione, che servì certo di modello a quelle dettate poi dai sommi pontefici (Acta Ecclesiae mediolanensis, ed. Ratti, II, p 1927). Da Milano la pia pratica si propagò rapidamente, ad opera specialmente dei cappuccini (Borgo S. Sepolcro, Arezzo, Udine) e dei gesuiti (Messina, Mendola, Amelia, Siena, Amatrice, Manfredonia, Macerata ove per la prima volta fu contrapposta alle follie carnevalesche nella nota forma di carnevale santificato). Si ebbero anche speciali Compagnie che ne sostennero l'attuazione (Verona, Zara, Venezia 1584: Scuola degli Emeronitti: dal gr. ἡμέρα "giorno" e νύξ "notte": "che vegliano giorno e notte").
In Roma la pratica fu introdotta da S. Filippo Neri che la volle attuata dai suoi congregati della Trinità dei Pellegrini (1548) e, forse a suo suggerimento, dalla Compagnia della Morte che si prefisse la pratica delle Quarantore in S. Lorenzo in Damaso ogni terza domenica del mese (1551). Il papa Clemente VIII l'approvò e prescrisse formalmente come esercizio di espiazione e propiziazione con la costituzione Graves et diuturnae del 25 novembre 1592, cui fece seguito la lista delle chiese (87) che entravano nei turni fino al 30 maggio e una Istruzione sul modo di tenerla, ricalcata su quella di S. Carlo per Milano. Quella però che nella liturgia fa testo col nome di Istruzione clementina, fu emanata da Clemente XI il 29 gennaio 1705. Con tutto ciò una vera adorazione perpetua, diurna e notturna, non si poté sostenere fino ai nostri giorni che in Roma; tanto a Milano, ove certo vigeva ai giorni di S. Carlo, quanto a Parigi, ove fu introdotta nel 1574, si trasformò ben presto in mera adorazione diurna, interrompendosi nelle ore di notte (terza o quinta dopo le ventiquattro a seconda delle stagioni) e riprendendosi all'alba dei giorni seguenti, in guisa però da compire sempre il numero di 40 ore: la necessità di chiuder la chiesa di notte e quindi di escludere le donne e il pericolo di profanazioni valsero a mitigare la severità dei papi i quali prima avevan dichiarato non potersi lucrare le indulgenze se non con l'adorazione anche notturna. Il 28 ottobre 1724 la Sacra Congregazione delle indulgenze rimise, in casi di pericolo, la concessione all'arbitrio dei vescovi e il 16 aprile 1746 direttamente estese le indulgenze anche all'adorazione così interrotta, eccetto però in Roma. Quivi la pratica dell'adorazione anche notturna rimase sempre in fiore; anzi Giulio Natalini (morto nel 1678) canonico di S. Lorenzo in Damaso, dettò la serie delle preghiere e pii esercizî per occupare tutta la nottata (B. Piazza, Eusebologio, Roma 1698, p. 157). A meglio provvedere alla frequenza di adoratori, Giacomo Sinibaldi, canonico di S. Maria in via Lata cercò nel 1809 di organizzare un gruppo di persone pie e zelanti che ne prendessero l'obbligo, e ne raccolse molte, specie fra la nobiltà. Si adunarono dapprima nel palazzo del principe Giustiniani e dopo il ritorno del papa Pio VII in Roma (1816) furon costituiti in arciconfraternita, tuttora fiorente, con filiazioni in Italia (Torino), in Francia (Parigi: Montmartre), Spagna, Belgio, ecc. Anche ora, ogni notte, d'inverno dopo le 22 e d'estate dopo le 23, gli adoratori ascritti vengono condotti in vettura nelle chiese della Quarantore ove in due turni, il primo fino alle 1,30 o alle 2, il secondo fino alle 5, sostengono la veglia assistiti da un sacerdote.
Negli ordini religiosi. - Questa forma di adorazione perpetua però non dura in realtà che 40 ore nelle singole chiese: ad un'adorazione veramente perenne nella stessa chiesa non possono evidentemente provvedere che speciali istituti religiosi. Il primo che si ricordi fu quello delle benedettine della adorazione perpetua del SS. Sacramemo, istituito da Caterina de Bar, in religione Matilde di S. Dié (in Lorena), presso la chiesa della SS. Concezione a Rambevilliers; ivi l'adorazione perpetua cominciò il 25 marzo 1564; nel 1676 l'istituto ebbe l'approvazione apostolica, si diffuse in Alsazia, in Francia, in Olanda, in Polonia e da Clemente XI nel 1705 fu anche trapiantato in Roma.
Menzioniamo ancora le monache di S. Norberto (Coira, 1767); le suore dell'adorazione, ordine fondato da Margherita Le Maître a Quimper, con lo scopo anche d'istruire le fanciulle abbandonate, approvato dal vescovo locale nel 1845, e con un decreto di lode di Roma nel 1874 (contava allora tre case con 128 religiose e 430 orfani); le suore dell'adorazione perpetua di Lione; le terziarie francescane dell'adorazione perpetua di Paderborn, e quelle di La Crosse; le suore dell'adorazione perpetua addette alle opere delle chiese povere (Malines); le suore dell'adorazione del Preziosissimo Sangue di O' Fallon (S. Luigi). Italiane sono le monachette del Corpus Domini, istituite in Macerata nel 1683, con lo scopo della perpetua adorazione, da Giacinta Bossi; ricordiamo infine le adoratrici perpetue del SS. Sacramento, che il popolo chiama sacramentine, istituite nel 1807 da Maddalena dell'Incarnazione, terziaria francescana, in Roma presso la chiesa di S. Gioacchino in Selci, con diramazioni in Napoli, Torino, Vigevano.
Anche altri istituti, senza farne loro scopo esclusivo o precipuo, adottarono la prassi della perpetua adorazione, come la Congregazione dei SS. Cuori (di Picpus), i padri del SS. Sacramento istituiti dal b. Eymard (in Roma hanno la chiesa di S. Claudio) le ancelle del S. Cuore di Madrid, le dames reparatrices di Liegi, ecc.
Bibl.: A. Ratti, Contribuzione alla storia eucaristica di Milano, Milano 1895; P. Piacenza, Su la esposizione del SS. Sacramento, Roma 1896; P. Tacchi Venturi, La vita religiosa in Italia durante la prima età della Compagnia di Gesù, Roma 1910; A. De Santi, L'orazione delle XL ore e i tempi di calamità e di guerre, Roma 1919; cfr. inoltre Hélyot, Les Ordres Rel., IV, p. 421, VI, p. 370.