ADORAZIONE (franc. adoration; spagn. adoración; ted. Adoration, Anbetung, Vergötterung; ingl. adoration)
Dicesi adorazione l'atto di riverenza verso la divinità, col quale si riconosce la superiorità sua e la propria dipendenza da essa.
Atto esteriore. - In tutte le antiche religioni del mondo classico e del mondo orientale la cerimonia esteriore di adorazione era sostanzialmente la stessa, e derivava dal gesto naturale con cui l'uomo esprime il proprio rispetto per qualcuno. Suoi atti principali erano la prostrazione e il bacio.
La prostrazione, il più delle volte, specialmente in Oriente, si faceva con tutta la persona, toccando con le ginocchia e la faccia la terra, come praticano tuttora i musulmani; altrimenti era sostituita dalla genuflessione (con ambedue i ginocchi o con uno solo), ovvero con l'inchino profondo del capo e della parte superiore del corpo. Se l'adorazione si combinava colla preghiera, dopo la prostrazione al suolo l'orante si alzava a metà, rimanendo colle ginocchia in terra (così è raffigurato il re Sethos I in varî monumenti egizî, così è descritto nella Bibbia Saltimone in occasione della consacrazione del tempio da lui edificato: III [I] Re, VIII, 54); ovvero si ergeva con tutta la persona tenendo le palme delle mani aperte verso il cielo o verso la figura del nume, salvo a chiudere infine la preghiera con una nuova prostrazione. I Romani usavano, nell'adorazione, tenere la testa coperta, tranne nei casi in cui il culto si svolgeva graeco ritu. I piedi si tenevano per lo più ignudi, specialmente nell'uso dei Semiti (cfr. Giosuè, V, 15 seg.; Esodo, III, 5), che è tuttora seguito dai musulmani.
L'adorazione poteva farsi anche senza la presenza di alcuna immagine divina o altare o santuario, nel qual caso l'adorante ordinariamente si volgeva verso il cielo; come era naturale non solo per gli adoratori degli astri (cfr. Ezechiele, VIII, 16), ma anche per coloro che ponevano nel cielo la sede propria della divinità (cfr. Giobbe, XXXI, 27). I Giudei, i quali consideravano come residenza di Jahvè sulla terra il solo tempio di Gerusalemme, allorché ne erano lontani, volgevano nell'adorare la faccia in direzione di esso, come appare dal II libro delle Cronache (VI, 34) e dal libro di Daniele (VI, 10), che ci attesta anche l'uso invalso nei tempi posteriori di adorare Dio tre volte al giorno. L'uno e l'altro uso (orientazione della persona nella preghiera e ripetizione di essa più volte al giorno) è stato ereditato dai musulmani, rispetto alla Mecca. Questo primo atto, cioè la prostrazione, era così importante per l'adorazione, che ha servito a dare ad essa il nome tanto presso i Greci (προσκύνησις) quanto presso gli Ebrei (hièṭaḥawāh).
Assai frequente, sebbene non indispensabile, era anche l'uso del bacio. Nella prostrazione stessa si poteva baciare il piede della statua divina, ovvero, sollevandosi un poco, il suo ginocchio, e, più in alto ancora, la sua faccia; Cicerone attesta (in Verrem, II, 4, 94) che la bocca e il mento della statua di Ercole in Agrigento si erano consumati per i baci dei devoti. Se la statua mancava, ovvero non era alla portata dell'adorante, questi, levatosi in piedi, portava la destra alla bocca con le tre prime dita strette insieme, la baciava e poi la stendeva verso il punto dove l'essere adorato si vedeva in figura o si credeva presente (cfr. Giobbe, XXXI, 27). A questa speciale cerimonia si riferisce l'etimo di orare e ad-orare, dopo la quale usavano di girare su sé medesimi (circumagere corpus) verso destra, avanzo forse dell'uso più antico di girare intorno all'altare e alla statua del dio adorato.
Sentimento interno. - Tutte queste cerimonie esteriori non erano esclusivamente proprie del culto divino, essendo in Oriente anche adoperate come segno di riverenza verso i superiori e in ispecie verso i sovrani (cfr. II Re [Samuele], IX, 8, 33; XVIII, 21, 28; III [I], Re, I, 53; III, 19, ecc.), ed anche di semplice rispetto tra uguali (cfr. Genesi, XXIII, 7; XXXIII, 3, ecc.). Il carattere religioso era ad esse conferito dall'intenzione con la quale venivano compiute, di esprimere cioè il proprio sentimento di riverente e sacro timore verso la divinità; che è sentimento fondamentale per talune religioni, tanto che gli Ebrei, i quali non avevano per la religione un termine proprio, la chiamavano "timore di Dio". Da qui è venuto per converso che il termine adorazione spesso è adoperato per significare, indipendentemente dalla sua forma esteriore, l'intimo sentimento di timore e soggezione assoluta verso Dio. Nei tempi più antichi anche gli Ebrei, dietro l'esempio dei popoli loro vicini, hanno associato agli onori divini, come manifestazioni della potenza di Dio, sia gli spiriti celesti (cfr. Gen., XVIII, 1 seg.; XIX, 1, ecc.; v. angeli) e sia anche personaggi terreni, il re in ispecie, considerato come l'unto di Dio, l'angelo di Dio (II Re [Samuele] XIV, 17, 20), il figlio di Dio (Salmi, LXXXVIII, 17 seg.; II, 7). Ma in seguito, per l'incentivo che ne veniva all'idolatria, gli Ebrei, dietro la predicazione dei profeti, sono divenuti rigoristi, e dall'adorazione hanno escluso non solo qualsiasi essere creato, ma anche qualsiasi figura o simbolo del creatore. Inoltre, per interesse polemico anche contro i proprî connazionali, più che all'atto esterno di adorazione hanno dato valore alla professione di fede - dalla quale esso era accompagnato - nell'infinita superiorità del creatore sulle creature; si veda p. es. la liturgia di adorazione del salmo XCIV. La dottrina e la pratica a cui è giunto questo processo, è ben definita nella sentenza del Deuteronomio (VI, 13), riportata anche dal Vangelo (Matteo, IV, 10): "adora il Signore, Dio tuo, e servi Lui solo". Questa è anche la dottrina fondamentale del cristianesimo, la quale però ha subìto un processo di allargamento, inverso di quello restrittivo che si è prodotto nell'ebraismo, estendendosi la venerazione esteriore non solo a Gesù Cristo, ma anche agli angeli e ai santi.
Questo processo è stato poi spiegato dai teologi colla dottrina che distingue il culto di latria, dovuto a Dio solo, da quello di semplice dulia, proprio delle creature più vicine a Dio (v. iconoclastia).
L'uso orientale di prostrarsi innanzi al sovrano, come ad un dio che appariva degradante ai Greci, e che Alessandro Magno tentò d'introdurre nella sua corte, si perpetuò nei regni ellenistici, e sporadicamente, non senza critiche ed opposizioni, nei primi tempi dell'Impero. Diocleziano, con la sua riforma dell'Impero che imitava le monarchie orientali e rafforzava il carattere sacro degli Augusti e dei Cesari, introdusse definitivamente nel cerimoniale l'uso di prosternarsi dinnanzi all'imperatore, mentre gli alti dignitarî ed i favoriti erano ammessi a baciare un lembo del mantello di porpora; onde la frase adorare purpuram. (Cfr. Plutarco, Them., 27, Alessandro, 54; Senofonte, Cyrop., VIII, 3, 14; Polibio, XXX, 19, 5; Svetonio, Vit., 2; Dio Cass., LIX, 27, 1 e 5; Hist. Aug.: Alex. 18, 3, Triginta Tyr., 30, 13; Eutropio, IX, 26; Amm. Marc., XV, 5, 18: cfr. 27 e XXI, 9, 8; Cod. Theod., VI, 8; VI, 23, 1 e 24, 3-4; e altri testi presso O. Seeck, art. Adoratio, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, I, col. 400 seg.; o in Daremberg e Saglio, v. sotto). Di adoratio si parla nel cattolicesimo anche a proposito del Sommo Pontefice. È l'omaggio o ubbidienza prestata dai cardinali al papa neo-eletto, non appena il cardinale, che ha ottenuto i due terzi dei voti, ha dichiarato di accettare la nomina, e fatto conoscere il suo nome pontificale (v. conclave). Nella forma, ricorda in qualche modo l'adorazione imperiale anche il bacio del piede, con cui i fedeli manifestano la loro reverenza verso il Vicario di Cristo.
Bibl.: Vouillième, Quomodo veteres adoraverint, Kiel 1887; E. Saglio, art. Adoratio, in Daremberg e Saglio, Dictionnaire des antiquités, Parigi 1877, I, p. 80 seg.; articolo Adoration, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics; Haas, Bilderatlas zur Religionsgeschichte: Aegyptische Religion, Lipsia 1924, figg. 21, 82, 86, 87.