Abstract
La voce analizza le trame portanti del procedimento di adozione e dei procedimenti che ne costituiscono lo speciale presupposto legittimante. Viene così esaminata dapprima la disciplina del procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore in situazione di abbandono; quindi quella del procedimento volto a disporre l’affidamento preadottivo; e infine illustrato il procedimento di adozione, ad esito del quale viene data vita al nuovo status di filiazione.
Cenni conclusivi sono dedicati alle ipotesi di adozione in casi particolari (art. 44 l. adozione) e al procedimento previsto per l’adozione delle persone maggiori di età (artt. 291 ss. c.c.).
Il procedimento di adozione risulta disciplinato nelle sue linee portanti dalla l. 4.5.1983, n. 184 (di seguito, ove non altrimenti specificato, i riferimenti sono da intendersi alla l. n. 184/1983, indicata anche con “l. adozione”), come modificata per effetto della l. 28.3.2001, n. 149. La disciplina sostanziale, profondamente incisa dalla riforma del 2001, permea in larga misura anche il giudizio, introducendo una serie di presupposti specifici in deroga alle categorie generali del processo.
Così ad esempio, per quanto attiene alla legittimazione, occorre tenere conto del limite massimo di età per procedere all’adozione: l’art. 6, co. 3, l. n. 149/2001 (modificando quanto in origine disposto dall’art. 6, co. 2, l. n. 184/1983) ha elevato a 45 anni (in luogo degli originari 40, pur tenendo conto che già in passato, in virtù dei ripetuti interventi della Consulta, detto limite era già passibile di superamenti e deroghe in nome dell’interesse del minore: cfr. C. cost., 24.7.1996, n. 303 e C. cost., 1.4.1992, n. 148), il divario di età che può intercorrere tra adottanti e adottato, stabilendo che detto limite possa essere derogato ove il giudice minorile accerti che la mancata adozione rappresenti motivo di grave e non altrimenti evitabile pregiudizio per il minore (art. 6, co. 5). L’adozione non risulta inoltre preclusa qualora il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a 10 anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato (art. 6, co. 6).
Sotto altro profilo, benché permanga la necessità che gli adottanti al momento dell’adozione siano tra loro uniti in matrimonio, è stato previsto che il requisito della durata del rapporto di coniugio (art. 6, co. 1) possa considerarsi realizzato anche qualora i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo, prima del matrimonio, per almeno 3 anni (art. 6, co. 4).
Quanto alla “legittimazione passiva”, l’art. 7, co. 1, l. adozione dispone che l’adozione sia di regola consentita unicamente a favore di minori previamente dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni del distretto nel quale si trovano. Si tratta cioè di minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio (art. 8, co. 1).
Come giustamente rilevato da parte della giurisprudenza, la situazione di abbandono del minore sussiste peraltro non soltanto nel caso in cui sia stata accertata la precisa volontà dei genitori (o dei parenti tenuti a provvedervi) di privare il fanciullo di qualunque forma di assistenza, ma quand’anche il conforto di questi ultimi si riveli gravemente insufficiente o comunque del tutto inidoneo a fronteggiare le concrete esigenze del minore (così, Cass., 28.3.2002, n. 4503; Cass., 4.5.2000, n. 5580; Cass., 29.9.1999, n. 10809; Cass., 10.9.1999, n. 9643; Cass., 7.11.1998, n. 11241; Cass., 4.11.1996, n. 9576; Cass., 24.10.1995, n. 11054; Cass., 5.2.1988, n. 1265; Cass., 28.3.1987, n. 3038).
È opportuno rilevare altresì che, secondo quanto disposto dall’art. 1, co. 2, la condizione di indigenza dei genitori, impossibilitati a prestare sotto il profilo materiale adeguate cure al minore, non può per sé sola giustificare l’allontanamento del medesimo dalla propria famiglia di origine, a favore della quale dovranno invece essere disposti interventi di sostegno e aiuto.
Vale poi la pena di accennare anche al disposto dell’art. 7, co. 2, secondo il quale il minore che abbia compiuto gli anni 14 non può essere adottato se non presta personalmente il proprio consenso, che deve essere manifestato anche quando quest’ultimo compia l’età predetta nel corso del procedimento e può in ogni caso essere revocato sino alla pronuncia definitiva dell’adozione.
Sebbene il giudizio di adozione stricto sensu inteso sia esclusivamente quello volto alla pronuncia costitutiva del nuovo status, equiparabile quanto agli effetti alla filiazione legittima, lo stesso viene normalmente preceduto da una preliminare sequenza di procedimenti che ne costituiscono un ulteriore particolare presupposto sotto il profilo dell’iter processuale legittimante. Ci si riferisce al procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, al quale segue poi il procedimento volto a disporre l’affidamento preadottivo.
Per quanto attiene al primo, le ultime riforme hanno attenuato il carattere inquisitorio della relativa iniziativa. La l. n. 149/2001 ha invero abrogato il previgente inciso contenuto nell’art. 8, co. 1, l. n. 184/1983 (che espressamente consentiva al tribunale per i minorenni di dichiarare, anche d’ufficio, in stato di adottabilità i minori che versassero in situazione di abbandono), così come il disposto del correlato art. 9, co. 3, l. n. 184/1983 (a norma del quale anche la situazione di abbandono poteva essere accertata d’ufficio dal giudice).
Secondo quanto disposto dall’art. 9, co. 1, l. adozione chiunque ha facoltà di segnalare all’autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono tenuti a riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio. Parimenti, ai sensi del co. 2 della disposizione in esame, gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, del luogo ove hanno sede, l’elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso.
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, può chiedere al tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adottabilità dei minori – segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria – che versano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi.
Secondo quanto disposto dall’art. 10, co. 1, il presidente del tribunale per i minorenni (o un giudice da lui delegato), ricevuto il sopra citato ricorso, provvede all’immediata apertura del procedimento relativo allo stato di abbandono del minore.
L’impulso officioso resta peraltro fermo nel potere previsto per il giudice dall’art. 10, co. 3, di disporre in ogni momento (e fino all’affidamento preadottivo) ogni opportuno provvedimento provvisorio nell’interesse del minore, ivi compreso il collocamento temporaneo di quest’ultimo presso una famiglia o una comunità di tipo familiare, la sospensione della potestà dei genitori sul minore, la sospensione dell’esercizio delle funzioni del tutore e la nomina di un tutore provvisorio. In caso di urgente necessità, i sopra citati provvedimenti possono essere assunti dal presidente del tribunale per i minorenni o da un giudice da lui delegato (art. 10, co. 4). In tal caso, tuttavia, il tribunale per i minorenni, nel termine di trenta giorni, deve confermare, modificare o revocare i provvedimenti di cui si discute (art. 10, co. 5). Il rito previsto è quello camerale caratterizzato dall’intervento del p.m., dall’assunzione di ogni necessaria informazione e dalla audizione di tutte le parti interessate (ivi compreso il minore che abbia compiuto gli anni 12 o anche di età inferiore laddove capace di discernimento).
Dal punto di vista processuale, occorre verificare se l’essere «oggetto del procedimento» (utilizzando naturalmente la locuzione in senso atecnico), comporti quale automatico riflesso che il minore ne divenga anche a pieno titolo «soggetto» e acquisti la qualità di parte a tutti gli effetti. Considerata la sostanziale unicità del rapporto dedotto in giudizio e la diretta e immediata propagazione nei confronti del minore degli effetti costitutivi del provvedimento assunto dal giudice, la risposta al quesito non può che essere affermativa. Il minore deve essere considerato parte necessaria del processo, circostanza questa che fa emergere in tutta la sua imponenza il problema del diritto alla difesa di tale soggetto.
A questo proposito, innovando rispetto al passato, l’art. 8, co. 4, l. adozione dispone che il procedimento di cui si discute debba svolgersi fin dall’inizio con l’assistenza legale del minore e dei genitori o degli altri parenti (di cui all’art. 10, co. 2). Secondo quanto disposto dall’art. 10, co. 2, i genitori o, in mancanza, i parenti entro il quarto grado che abbiano rapporti significativi con il minore, debbono venire invitati dal presidente del tribunale per i minorenni (beninteso, dopo essere stati avvertiti dell’apertura del procedimento) a nominare un difensore. Il presidente del tribunale per i minorenni ha altresì l’obbligo di informare questi ultimi della nomina di un difensore di ufficio per il caso in cui essi non vi abbiano provveduto. Quest’ultima disposizione riveste importanza fondamentale nella materia di cui si discute: essa sancisce l’irrinunciabilità, anche nel procedimento camerale, di una corretta esplicazione del contraddittorio e induce a considerare in esso pienamente vigente il principio dell’obbligatorietà della difesa. In particolare, è consentito ai sopra citati soggetti, assistiti dal difensore, di partecipare a tutti gli accertamenti disposti dal tribunale per i minorenni, presentare istanze anche istruttorie e prendere visione e estrarre copia degli atti contenuti nel fascicolo «previa autorizzazione del giudice». Quest’ultimo inciso appare peraltro di dubbia legittimità costituzionale.
Il tribunale minorile può disporre, con ordinanza motivata (e non più, invece, con decreto motivato), prima della dichiarazione di adottabilità, la sospensione del procedimento, per un periodo non superiore ad un anno (eventualmente prorogabile), quando da particolari circostanze emerse dalle indagini effettuate risulti che una parentesi possa riuscire utile nell’interesse del minore (art. 14, co. 1, l. adozione). La sospensione è comunicata ai servizi sociali locali competenti perché adottino le iniziative opportune (art. 14, co. 2).
Ai sensi dell’art. 15, co. 1, l. adozione lo stato di adottabilità del minore che versi in una situazione di abbandono è dichiarato dal giudice minorile in tre distinte ipotesi. Anzitutto, quando i genitori e i parenti di quest’ultimo, pur ritualmente convocati, non si siano presentati senza giustificato motivo. In secondo luogo, il tribunale per i minorenni provvede nel senso appena indicato nel caso in cui l’audizione dei sopra citati soggetti abbia dimostrato il persistere della mancanza di assistenza morale e materiale e la non disponibilità a ovviarvi. Infine, il provvedimento viene emesso quando le prescrizioni impartite ai sopra citati soggetti, ai sensi dell’art. 12, co. 4, siano rimaste inadempiute per colpa dei medesimi.
Secondo quanto previsto dall’art. 15, co. 2, il tribunale per i minorenni deve provvedere a sentire le parti, il p.m., il rappresentante dell’istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona alla quale egli è affidato, il tutore, ove esista, e il minore che abbia compiuto gli anni 12 (o anche di età inferiore, ove dotato di capacità di discernimento). All’esito di tali audizioni, la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore è disposta in camera di consiglio con sentenza.
La sentenza che dichiara lo stato di adottabilità del minore deve poi essere notificata per esteso al p.m., ai genitori, ai parenti indicati nel co. 1 dell’art. 12 nonché al tutore e al curatore speciale (ove esistano), con contestuale avviso agli stessi del loro diritto di proporre impugnazione (art. 15, co. 3). Essa deve inoltre essere trascritta, a cura del cancelliere del tribunale per i minorenni, su apposito registro conservato presso la cancelleria del tribunale stesso entro il decimo giorno successivo a quello della comunicazione che la sentenza di adottabilità è divenuta definitiva (art. 18).
Qualora invece non sussistano i presupposti per la pronuncia dello stato di adottabilità, il tribunale per i minorenni dichiara «che non vi è luogo a provvedere» (art. 16, co. 1). La medesima norma precisa che, notificata la citata sentenza, il tribunale minorile può adottare i provvedimenti che ritenga opportuni nell’interesse del minore. È del resto evidente che anche l’eventuale mancato riscontro dei presupposti per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore non escluda la necessità di intervenire a sostegno della particolare situazione nella quale quest’ultimo versi.
Avverso la sentenza che dichiara lo stato di adottabilità del minore le parti e il p.m. possono proporre impugnazione avanti la corte d’appello, sezione per i minorenni, entro 30 giorni dalla notificazione (art. 17, co. 1, l. adozione). L’udienza di discussione dell’appello deve essere fissata entro 60 giorni dal deposito degli atti introduttivi (art. 17, co. 3). La corte d’appello, sentite le parti e il p.m. ed effettuato ogni altro opportuno accertamento, pronuncia sentenza in camera di consiglio e provvede al deposito della stessa in cancelleria, entro 15 giorni dalla pronuncia. La sentenza è notificata d’ufficio al p.m. e alle altre parti.
Con riferimento al ricorso per cassazione, la nuova normativa ha esteso il sindacato esercitabile dalla Suprema Corte sulla sentenza di seconde cure. L’originaria formulazione dell’art. 17, co. 2, l. adozione ammetteva infatti il ricorso per cassazione unicamente per violazione di legge. Attualmente, la citata disposizione prevede invece che avverso la sentenza della corte d’appello è ammesso ricorso per cassazione per i motivi di cui all’art. 360, co. 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. Anche il procedimento che si svolge innanzi alla Corte di cassazione è stato improntato a canoni di celerità e concentrazione: in questo senso può leggersi il contenuto termine entro il quale deve essere fissata l’udienza di discussione (art. 17, co. 3). Sempre in risposta a esigenze di accelerazione dei ritmi processuali la novella ha infine espressamente sancito l’applicabilità, al caso di specie, dell’istituto del ricorso diretto alla Corte omisso medio di cui all’art. 360, co. 2, c.p.c., anche se è verosimile aspettarsi che nella prassi detto istituto non troverà spazio in questo tipo di giudizi.
Lo stato di adottabilità cessa, in linea di principio, in virtù del provvedimento di adozione ovvero per il raggiungimento della maggiore età da parte dell’adottando (art. 20 l. adozione). Esso viene peraltro altresì a cessare nelle ipotesi di successiva sua revoca nell’interesse del minore, quando, successivamente alla sentenza che lo ha dichiarato, ne siano venute meno le condizioni e i presupposti (art. 18, co. 1).
Secondo quanto disposto dall’art. 18, co. 4, lo stato di adottabilità non può essere revocato nel caso in cui sia già in atto l’affidamento preadottivo, in quanto in quest’ultimo caso il minore è già stato inserito in una situazione familiare che è preferibile lasciare immutata.
Il procedimento è estremamente semplificato. La revoca dello stato di adottabilità viene pronunciata dal tribunale per i minorenni d’ufficio, ovvero su istanza del p.m., dei genitori o del tutore (art. 18, co. 2). Ai sensi del co. 3 della citata disposizione, il tribunale minorile provvede in camera di consiglio, sentito il p.m.
Ai sensi dell’art. 22, co. 1, l. adozione coloro che intendono adottare uno o più minori devono presentare apposita domanda al tribunale minorile. È ammissibile la presentazione di più domande anche successive a più tribunali per i minorenni, purché in ogni caso se ne dia comunicazione a tutti i tribunali precedentemente aditi. Dispongono i successivi co. 3 e 4 della citata disposizione che la domanda decade dopo 3 anni dalla presentazione anche se può comunque essere rinnovata. Il tribunale minorile, accertata la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 6, dispone l’esecuzione delle adeguate indagini, le quali, «tempestivamente avviate», devono concludersi entro 120 giorni (termine prorogabile, con provvedimento motivato, una sola volta e per non più di 120 giorni). Il tribunale minorile, in base alle indagini effettuate, sceglie, tra le coppie che hanno presentato domanda, quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore (art. 22, co. 5).
Secondo quanto disposto dall’art. 22, co. 6, il tribunale per i minorenni, in camera di consiglio, sentito il p.m., gli ascendenti dei richiedenti (ove esistano), il minore che abbia compiuto gli anni 12 e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, «omessa ogni altra formalità di procedura», dispone, «senza indugio», l’affidamento preadottivo, determinandone le modalità con ordinanza. Il provvedimento di affidamento preadottivo è immediatamente, e comunque non oltre 10 giorni, annotato a cura del cancelliere a margine della trascrizione di cui all’art. 18 (art. 22, co. 7).
Il tribunale per i minorenni vigila sul buon andamento dell’affidamento preadottivo avvalendosi anche del giudice tutelare e dei servizi sociali e consultori locali. In caso di accertate difficoltà, convoca, anche separatamente, gli affidatari e il minore, alla presenza, se del caso, di uno psicologo, al fine di valutare le cause all’origine delle citate difficoltà. Ove necessario, dispone interventi di sostegno psicologico e sociale (art. 22, co. 8). Qualora vengano riscontrate difficoltà di convivenza «non superabili», l’affidamento preadottivo è revocato dal tribunale per i minorenni con decreto motivato assunto in camera di consiglio (art. 23, co. 1).
Il tribunale per i minorenni, decorso un anno dalla pronuncia del provvedimento di affidamento preadottivo (termine, quest’ultimo, che per l’art. 25, co. 3, l. adozione, può nell’interesse del minore e con ordinanza motivata essere prorogato di un ulteriore anno, d’ufficio o su domanda dei coniugi affidatari), sentiti i coniugi adottanti, il minore che abbia compiuto gli anni 12 e il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, il p.m., il tutore e coloro che abbiano svolto attività di vigilanza o di sostegno, verifica che ricorrano tutte le condizioni «previste dal presente capo» e, «senza altra formalità di procedura», provvede sull’adozione con sentenza in camera di consiglio, decidendo di dare (in tal modo definitivamente consolidando la situazione venutasi a creare) o di non dare luogo all’adozione (art. 25, co. 1).
Nel caso in cui la domanda di adozione venga proposta da coniugi che abbiano discendenti legittimi o legittimati, questi ultimi, se maggiori degli anni 14, debbono essere sentiti (art. 25, co. 2).
Quanto al contenuto del provvedimento, se esso è di segno positivo, costituisce il nuovo status derivante dall’adozione, se, invece, è negativo, fa venir meno l’affidamento preadottivo e può determinare l’assunzione di provvedimenti temporanei che si rendano opportuni in favore del minore (art. 25, co. 7). La sentenza che decide sull’adozione è comunicata al p.m., ai coniugi adottanti e al tutore (art. 25, co. 6).
Se uno dei coniugi muore o diviene incapace durante l’affidamento preadottivo, o se nello stesso periodo tra gli stessi interviene la separazione, l’adozione può comunque essere disposta nell’interesse del minore, nel primo caso, su istanza del coniuge superstite nei confronti di entrambi i coniugi (e con effetto per il coniuge deceduto dalla data della morte) e, nel secondo caso, nei confronti di uno o di entrambi i coniugi, qualora il coniuge o i coniugi ne facciano richiesta (art. 25, co. 4 e 5). D’altra parte, in tali casi il nucleo familiare si è in realtà già stabilito anteriormente all’evento incidente sul coniugio, cosicché può comunque risultare opportuno non alterare l’equilibrio ormai raggiunto dal minore.
La sentenza che ha disposto l’adozione, così come la sentenza di rigetto della relativa domanda, è passibile di impugnazione avanti alla sezione per i minorenni della corte d’appello (art. 26, co. 1, l. adozione). La novella ha apportato significative innovazioni sul punto, sostituendo all’originario reclamo, un giudizio di appello vero e proprio, e prevedendo che il termine di trenta giorni per la sua proposizione decorra non più dalla comunicazione del (previgente) decreto, bensì dalla notificazione della sentenza.
La legittimazione a impugnare compete al p.m., agli adottanti e al tutore del minore. Lo svolgimento del procedimento innanzi alla corte d’appello è improntato alla massima celerità e immediatezza: la corte d’appello, «sentite le parti ed esperito ogni accertamento ritenuto opportuno», pronuncia sentenza, da notificarsi d’ufficio alle parti per esteso. Il citato procedimento è destinato a svolgersi, sostanzialmente, in un’unica udienza di discussione, la quale deve essere fissata entro sessanta giorni dal deposito degli atti introduttivi (art. 26, co. 3).
Avverso la sentenza della corte d’appello è ammesso ricorso per cassazione, che deve essere proposto entro trenta giorni dalla notifica della stessa (art. 26, co. 2). Secondo una previsione normativa quanto meno discutibile, il ricorso per cassazione può peraltro essere proposto unicamente ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.
Anche avanti alla Corte di cassazione il procedimento si svolge in un’unica udienza di discussione, che deve venire fissata entro sessanta giorni dal deposito degli atti introduttivi (art. 26, co. 3). La sentenza, una volta divenuta definitiva, è «immediatamente trascritta» nel registro di cui all’art. 18 e comunicata all’ufficiale dello stato civile che la annota a margine dell’atto di nascita dell’adottato (art. 26, co. 4). Secondo quanto disposto dall’art. 26, co. 5, gli effetti dell’adozione si producono dal momento della definitività della sentenza.
Il novellato art. 28 l. adozione sancisce la necessità di salvaguardare il diritto alla riservatezza di tutti i soggetti che sono stati in qualche misura coinvolti nel procedimento di adozione. Non facilmente trascurabile è peraltro anche l’opposta esigenza, sovente avvertita dall’adottato, di conoscere la sua situazione e le proprie origini. Si prevede così che sia vero e proprio diritto per l’adottato prendere coscienza dell’avvenuta adozione, e a tal fine si stabilisce che lo stesso sia informato di tale sua condizione dai genitori adottivi, chiamati a provvedervi nei modi e termini che essi ritengono più opportuni (art. 28, co. 1).
Secondo quanto disposto dall’art. 28, co. 4, le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi su autorizzazione del tribunale minorile soltanto nel caso in cui sussistano gravi e comprovati motivi. In ogni caso, l’adottato, raggiunta l’età di 25 anni (ovvero la maggiore età, purché sussistano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica), può accedere alle informazioni di cui si discute (art. 28, co. 5). L’autorizzazione non è richiesta per l’adottato maggiore di età quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili (art. 28, co. 8). L’accesso alle citate informazioni non è consentito se l’adottato non è stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e se anche uno soltanto dei genitori biologici ha dichiarato di non voler essere nominato, o ha manifestato il consenso all’adozione a condizione di rimanere anonimo (art. 28, co. 7).
L’accesso ai dati in esame è in concreto attuato attraverso un procedimento deformalizzato, la cui istruttoria si incentra sull’audizione delle persone di cui il tribunale minorile ritenga opportuno l’ascolto e sull’assunzione di tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico ritenute opportune (art. 28, co. 6).
L’«adozione in casi particolari» costituisce un’eccezione rispetto alle altre forme di adozione dei minori. I minori adottati con tale tipo di adozione non devono interrompere i rapporti con la famiglia di origine e continuano ad avere, in relazione alla stessa, diritti e doveri. In tali casi non è richiesta la sussistenza di uno stato di abbandono, anche se occorre che il minore si trovi in una condizione che renda l’adozione medesima quanto meno opportuna.
La prima ipotesi di adozione particolare disciplinata dalla legge riguarda il minore orfano di padre e di madre, il quale può essere adottato da persone a lui unite da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo (art. 44, co. 1, lett. a, l. adozione). Vi è poi l’ipotesi (lett. b) in cui il minore abbia un solo genitore, e il coniuge di questi desideri adottarlo. Un terzo caso (lett. c) sussiste allorquando il minore, orfano di padre e di madre, sia nelle condizioni indicate dall’art. 3, co. 1, l. n. 104/1993. Altro caso è infine costituito dalla constata impossibilità di procedere all’affidamento preadottivo (lett. d).
Il co. 2 dell’art. 44 dispone che in tali casi l’adozione è consentita anche in presenza di figli legittimi. L’adozione in casi particolari è inoltre consentita anche a chi non è coniugato (art. 44, co. 3).
L’ultimo co. dell’art. 44 detta, con riguardo alle ipotesi sub lett. a) e d), in materia di differenza di età tra adottanti e adottato, una regola che si discosta dal principio generale di cui all’art. 6, co. 3. Non viene infatti indicato alcun limite massimo d’età. Permane, invece, il solo limite relativo alla differenza minima.
In tutti questi casi, occorre il consenso dell’adottante e dell’adottando ultraquattordicenne (art. 45, co. 1).
L’adozione produce i suoi effetti dalla data della sentenza che la pronuncia (art. 47, co. 1). Tali effetti retroagiscono soltanto nel caso in cui l’adozione sia stata chiesta da una coppia di coniugi ed uno di essi sia deceduto prima della sentenza definitiva (art. 47, co. 2 e 3).
L’adozione in casi particolari è revocabile nelle ipotesi previste dagli artt. 51 e 53. In tal caso, gli effetti dell’adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca (art. 54, co. 1).
L’istituto dell’adozione di persone maggiori di età risulta tuttora disciplinato negli artt. 291-314 c.c.
L’art. 291, co. 1, c.c. nella sua originaria formulazione prevedeva espressamente quale condizione per l’adozione di persone maggiori di età che l’adottante non avesse discendenti legittimi o legittimati. Tale divieto è stato tuttavia dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della C. cost., 19.5.1988, n. 557. Oggi è pertanto ammessa l’adozione di persone maggiori di età solamente a favore di chi non ha figli minorenni o di chi ha figli maggiorenni che vi consentano.
La citata disposizione prevede oltretutto che l’adottante deve aver compiuto i 35 anni e superare di almeno 18 anni l’età di colui che intende adottare.
Per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando (art. 296 c.c.). Occorre altresì l’assenso dei genitori dell’adottando e quello del coniuge dell’adottante e dell’adottando, se coniugati e non legalmente separati (art. 297, co. 1, c.c.).
Secondo quanto disposto dall’art. 313, co. 1, c.c. (così come modificato dall’art. 30 l. n. 149/2001), al termine della fase istruttoria, nella quale il giudice accerta se l’adozione convenga o meno all’adottato, il tribunale provvede con sentenza.
Il provvedimento produce effetti immediati ma ex nunc, salvo il caso in cui l’adottante sia morto dopo la prestazione del consenso e prima dell’emanazione della sentenza, nel qual caso gli effetti dell’adozione retroagiscono al momento della morte dell’adottante (art. 298, co. 1, 3 e 5, c.c.).
L’adottante, il p.m. e l’adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la corte d’appello, che decide in camera di consiglio, sentito il p.m. (art. 313, co. 2, c.c.).
L’adozione può venire revocata nei casi preveduti dagli artt. 306 e 307 c.c. In tal caso, gli effetti dell’adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca (art. 309, co. 1, c.c.).
Dispone il novellato art. 314, co. 1, c.c. che «la sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre 5 giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato». Analogamente occorre procedere alla trascrizione ed alla annotazione della sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato (art. 314, co. 2, c.c.).
Artt. 291-314 c.c.; l. 4.5.1983, n. 184.
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