Adozione e conoscenza delle proprie origini
La legge sull’adozione riconosce all’adottato il diritto di conoscere le proprie origini, cioè l’identità dei genitori, mediante un’articolata disciplina. Esso gli è però negato quando la donna, al momento del parto, ha preteso di rimanere anonima. Su tale aspetto della disciplina interviene la Corte costituzionale con la sentenza 22.11.2013, n. 278 ritenendola illegittima in quanto non prevede la possibilità di interpellare la madre per stabilire se intenda successivamente rivedere l’originaria decisione e indirizzando un monito al legislatore affinché provveda ad emanare regole apposite per tale evenienza.
La riforma del 2001 della legge sull’adozione ha introdotto nel nostro ordinamento un’articolata disciplina per regolare sia l’interesse dell’adottato alla conoscenza dei genitori genetici sia quello degli adottanti alla segretezza dell’adozione. Infatti, quando lo stato di abbandono si verifica al momento della nascita o in tenera età, l’identità dei genitori è sconosciuta sia all’adottato sia, per lo più, agli adottanti ma solo a determinate condizioni è possibile la rimozione di tale segreto. Ciò risponde anche all’interesse degli adottanti a non subire interferenze nell’assolvimento dei propri compiti da parte della famiglia di origine1. A questo fine l’art. 27, co. 3, l. 4.5.1983, n. 184 stabilisce che vengono interrotti tutti i rapporti con quest’ultima.
Il figlio ha diritto alla conoscenza dell’avvenuta adozione ed i genitori un dovere da adempiersi, di norma, prima della maggiore età. Nei confronti dei terzi, però, essi hanno diritto alla segretezza della vicenda adottiva ed infatti è previsto un divieto per gli ufficiali di stato civile e di anagrafe, di dare informa;zioni in proposito o di rilasciare documenti dai quali possa desumersi l’avvenuta adozione.
L’adottato ha anche il diritto di conoscere l’identità dei genitori genetici, riconosciuto, però, mediante una disciplina diversamente articolata a seconda dell’età del richiedente: l’art. 28, l. adoz. nega al minore l’accesso diretto a tali informazioni disponendo che esso debba avvenire sempre tramite i genitori adottivi, quali esercenti la responsabilità genitoria; devono però sussistere non meglio specificati «gravi e comprovati motivi», nonché un’adeguata preparazione e assistenza del minore2. A differenza delle altre ipotesi, non si specifica se i gravi motivi debbano riguardare la salute del minore o anche solo il mero interesse di conoscenza. La lettera della norma farebbe optare per la soluzione più ampia3 ma l’argomentazione logico;sistematica lascia alcuni dubbi.
La legittimazione all’azione4 spetta direttamente all’adottato maggiorenne, solo in presenza di gravi e comprovati motivi relativi alla salute psico;fisica. La tutela della salute sembra costituire pertanto l’unica ragione per l’accoglimento della richiesta, da presentarsi al tribunale dei minori del luogo di residenza dell’adottato. Trattandosi di maggiorenne, perplessità ha suscitato tale competenza5 e l’accertamento da parte di quest’ultimo che le notizie non provochino «grave turbamento all’equilibrio psico;fisico del richiedente». Infatti, con soluzione criticabile6, il legislatore nega autonomia di giudizio al maggiorenne riguardo alla tutela dei propri interessi, ivi compresi quelli alla salute.
L’adottato che ha compiuto venticinque anni può comunque accedere alle notizie identificatrici dei genitori7 (salvo l’ipotesi di parto anonimo) ma, anche in questo caso, secondo la lettera della norma, previo controllo del tribunale minorile circa i rischi per la sua salute8 e sempre che non gliene derivi grave turbamento9.
L’accesso alle informazioni identificative della madre è negato nel caso di parto anonimo, sembrerebbe senza eccezione alcuna (art. 28, co. 7, l. adoz.)10; tale segreto può venire rimosso, infatti, solo dopo cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto e della cartella clinica dai quali risulta l’identità della medesima, dati a cui solo allora l’interessato ha libero accesso (secondo il disposto dell’art. 93, co. 2, d.lgs. 30.6.2003, n. 196 sulla privacy). Prima della scadenza di tale termine l’accesso a dati non identificativi della madre è consentito ove l’interesse da tutelare sia pari a quello della madre ovvero costituisca un diritto fondamentale della persona (art. 92, lett. b), d.lgs. n. 196/2003).
La norma riserva, pertanto, decisa prevalenza all’interesse della madre al segreto rispetto a quello dell’adottato all’identità. Resta il dubbio se tale divieto possa applicarsi anche quando è in gioco il diritto alla salute di quest’ultimo.
Proprio sulla questione del parto anonimo si fonda il caso da cui trae origine la decisione della Corte costituzionale.
1.1 Il caso
Una donna aveva appreso della propria adozione in occasione della crisi matrimoniale sfociata nel divorzio. Avendo la madre optato per il parto anonimo, era sorto nell’interessata il desiderio di conoscerne l’identità, destinato a rimanere insoddisfatto per le ragioni innanzi precisate, con ripercussioni sulla sua salute psichica e fisica perché, a causa di tale segreto e della conseguente mancata rilevazione di alcuni dati anamnestici inerenti alla partoriente, era stato precluso alla ricorrente di ottenere diagnosi e cure adeguate riguardo ad una menopausa precoce dovuta ad una neoplasia. Nel corso del giudizio davanti al Tribunale minorile di Catanzaro11 viene sollevata questione di costituzionalità del divieto in questione.
1.2 La decisione della Corte costituzionale
La Corte, con la sentenza 22.11.2013, n. 278, accoglie i rilievi del giudice rimettente, ritenendo che l’art. 27, co. 7, l. adoz. contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost. per la sua eccessiva rigidità dovuta alla mancanza di un sistema di regole che consenta di accertare la permanenza nella donna della volontà di mantenere l’anonimato. Vengono, pertanto, ingiustificatamente sacrificati il diritto del figlio all’identità personale, per impossibilità di ricostruire le proprie origini ma, paradossalmente, anche quello della madre di riallacciare rapporti con lui ove l’originario interesse al segreto fosse venuto meno; sacrificio non indispensabile per salvaguardare gli obiettivi ai quali tende la normativa sul parto anonimo.
L’anonimato del parto è una scelta che consente alla donna di sottrarsi ai doveri derivanti per legge dalla maternità e di renderne complessa l’identificazione (anche in vista di un accertamento giudiziale) dalla quale consegue, per lo più, lo stato di abbandono del bambino e il rapido avvio all’adozione (art. 11, co. 2, l. adoz.). Trattasi di una opzione tutelata dall’ordinamento per scongiurare che la donna decida di superare le difficoltà a cui va incontro ricorrendo all’aborto o all’infanticidio, consentendole di partorire in condizioni favorevoli e sicure sotto il profilo sanitario12 .
Bisogna tuttavia verificare se la tutela di tale interesse possa raggiungersi solo col totale sacrificio del diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini mentre – come accennato – un pregiudizio potrebbe sorgere per la stessa madre che intenda riallacciare rapporti con il figlio. Tuttavia, anche in tal caso, il figlio ha diritto di agire per l’accertamento giudiziale della maternità ove sia in grado di fornirne la prova.
Nell’affrontare la questione relativa all’irreversibilità dell’anonimato, la Corte costituzionale13 rivede la valutazione espressa in una precedente pronunzia nella quale aveva sostenuto la ragionevolezza della soluzione normativa perché anche la sola eventualità di rimettere in discussione l’originaria scelta di segretezza circa l’identità della madre avrebbe potuto incidere sulla sua decisione di non interrompere la gravidanza e di partorire in condizioni di sicurezza.
Sul dictum del Giudice delle leggi influisce indubbiamente la pronunzia della C. eur. dir. uomo (25.9. 2012) nel famoso caso Godelli contro Italia, nella quale veniva censurata, per violazione dell’art. 8 della CEDU la normativa interna (con conseguente condanna dell’Italia al risarcimento del danno nei confronti della ricorrente) in quanto non assicura un ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi alla riservatezza e alla salute della madre, all’identità personale dell’adottato, non consentendo di interpellare la donna circa la volontà di mantenere l’anonimato, a differenza di altri Paesi nei quali è pur consentito il parto anonimo. In particolare in Francia è previsto un procedimento di natura amministrativa che consente un siffatto accertamento14.
La decisione della C. eur. dir. uomo induce il Tribunale di Catanzaro a riproporre la questione di costituzionalità della disciplina per violazione degli artt. 2, 3, 32 e 117 Cost. (per contrarietà all’art. 8 della CEDU sulla tutela della vita privata).
La Corte costituzionale, mediante sentenza additiva di principio, ritiene fondata la questione (ma solo sulla base del diritto interno) per contrarietà agli artt. 2 e 3 Cost., causata dalla irreversibilità del segreto e, potrebbe aggiungersi, dalla finalità del medesimo. Esso è volto infatti a consentire alla madre di non assumere la “genitorialità giuridica”, ciò che non implica, però, anche una rinunzia alla “genitorialità naturale”, cioè a riallacciare, nel tempo, i rapporti con il figlio, anzi tale eventualità potrebbe rafforzare la decisione di non abortire. In mancanza di una specifica disciplina ed al cospetto di una pluralità di opzioni possibili la Corte non emette una pronunzia di inammissibilità della questione sollevata dal giudice remittente15, ma affida al legislatore il compito di introdurre un procedimento che consenta al figlio di verificare la volontà della madre di mantenere ferma la precedente decisione, assicurando il rigoroso rispetto del diritto della donna all’anonimato con l’introduzione di limiti alle modalità di accesso alle notizie riservate anche per i pubblici uffici.
La Corte, pur ridimensionandone la tutela, conferma la precedente valutazione di prevalenza dell’interesse della madre all’anonimato rispetto a quello del figlio alla ricostruzione della propria identità. Infatti il segreto non potrà essere svelato se la donna confermerà la propria decisione. Ciò emerge da un passo della sentenza nel quale si demanda al legislatore il compito di stabilire le forme e le modalità più opportune per realizzare un certo bilanciamento degli interessi, salvaguardando comunque l’interesse all’anonimato della madre, in funzione della tutela del «bene supremo della vita».
Il primo problema che suscita la decisione in esame è stabilire le regole da applicare fino al momento in cui il legislatore, accogliendone il monito, provvederà ad emanare la disciplina richiesta. Un’opzione possibile è ritenere che fino a quel momento il divieto di conoscenza delle origini posto dalla legge permanga nella sua assolutezza. È da precisare però che anche in questa eventualità potrà comunque applicarsi l’interpretazione proposta in dottrina secondo la quale è consentito l’accesso alle notizie identificative della madre ove sia in gioco la tutela della salute del figlio16 .
L’opzione favorevole alla conservazione dello status quo suscita tuttavia perplessità perché mantiene comunque in vita una disciplina dichiarata incostituzionale. Appare quindi preferibile la tesi, espressa in dottrina17, secondo la quale spetta al giudice competente per materia (il tribunale minorile), adito dal figlio, procedere, con le dovute cautele richieste dal Giudice delle leggi, alla ricerca e all’interpello della madre. Ricerca che potrebbe risultare più agevole ove esistessero riscontri al riguardo nel fascicolo relativo al procedimento di adozione o nei documenti sanitari redatti al momento del ricovero e del parto (cartella clinica, certificato di assistenza al parto). A distanza di anni la ricerca potrebbe tuttavia risultare problematica soprattutto ove l’identificazione non fosse desumibile dai documenti menzionati. Inoltre, mancando una specifica normativa, sussiste il rischio di diversificazione dei procedimenti che verranno seguiti dai diversi tribunali.
Secondo il dettato della Corte il procedimento deve avere carattere giudiziario e prevedere l’interpello della madre da parte del figlio nella più assoluta segretezza, evitando che la notizia possa trapelare ponendo a repentaglio la stabilità di vita della donna ma anche il diritto di quest’ultima di rinunciare all’anonimato.
Il legislatore dovrà sciogliere diversi nodi, ad esempio: a quale età l’adottato possa agire; se il diritto del figlio all’identità debba sempre cedere rispetto a quello della madre al segreto o, se in presenza di alcune circostanze, il primo possa comunque ottenere notizie sulle sue origini (ad es.,dopo un certo numero di anni dalla sua nascita o dopo la morte della madre); se sussiste anche un suo diritto alla conoscenza dell’identità dei fratelli. I numerosi d.d.l. già presentati in Parlamento danno risposte diverse alla maggior parte di tali interrogativi18.
L’occasione fornita dalla Corte costituzionale al legislatore di intervenire sul tali punti potrebbe ri;velarsi anche propizia per risolvere numerosi aspetti controversi o critici della normativa già vigente. Non è chiaro, ad esempio, se i genitori possano chiedere la rimozione dell’anonimato solo se è in gioco la salute del minore. Inoltre del tutto inopportuna appare la diversificazione della disciplina sulla base dell’età dell’adottato (18 o 25) e la previsione dell’autorizzazione giudiziale per evitare un pregiudizio al maggiorenne, nonché l’attribuzione della competenza al tribunale minorile anche dopo che l’adottato abbia raggiunto la maggiore età. Da abolire è poi la disciplina dettata per il caso di morte o irreperibilità dei genitori adottivi.
1 Ed infatti la legge limita notevolmente detto accesso al minore.
2 Quale diretto destinatario delle notizie: Restivo, C., L’art. 28 l. ad. tra nuovo modello di adozione e diritto all’identità personale, in Familia, 2002, 705.
3 Dogliotti, M, Adozione e affidamento, in Tratt. Bessone, IV, 4, II, ed., Torino, 2011, 489, individua una ragione nelle gravi difficoltà nella gestione del rapporto col minore; Restivo, C., L’art. 28 l. ad., cit., 703 s., fa l’ipotesi della esigenza di ricreare un legame dell’adottato, con la madre ed i fratelli. Alla medesima soluzione perviene Morozzo della Rocca, P., Il diritto di conoscere le proprie origini, in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da G. Ferrando, III, Bologna, 2007, 636.
4 La regola trova applicazione anche quando si voglia richiedere l’accesso a informazioni non identificative.
5 Facendosi riferimento ad un maggiorenne ritiene giustificata la soluzione normativa Palmerini, E., Commento all’art. 24, in Commentario alla legge 31 dicembre 1998, n. 476, Disciplina dell’Adozione Nazionale ed Internazionale, a cura di C.M. Bianca e L. Rossi Carleo, in Nuove leggi civ., 2002, 1023.
6 Pane, R., Favor veritatis e diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini nella recente riforma dell’adozione, in Diritti della famiglia e minori senza famiglia, a cura di F. Ruscello, Padova, 2005, 105; contra, Restivo, C., op. cit., 714.
7 Esprime perplessità sul fatto che solo a 25 anni l’adottato ha libero accesso alle notizie, Liuzzi A., Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: una vexata quaestio, in Fam. dir., 2002, 92.
8 Questa sola è la ragione in base alla quale il tribunale deve compiere la propria valutazione. Non è pertanto condivisibile la tesi di Morozzo della Rocca P., Il diritto, cit., 639 s., secondo la quale l’autorizzazione si giustifica anche per il venticinquenne onde consentire la tutela della privacy dei genitori o di altri familiari.
9 Criticamente sul controllo v., per tutti, Lenti, L., Adozione e segreti, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 251. Contra per tutti Sciarrino, V., Il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini biologiche nella legge 4 maggio 1983 n. 184, in Rass. dir. civ., 2002, 815. Si pronunziano per la necessità dell’autorizzazione: Trib. min. Sassari, 16.1.2002 e Trib. min. Sassari, 31.7.2002, in Fam. dir., 2002, 69 e 70.
10 L’autorizzazione può essere concessa se le informazioni non consentono di identificare la madre. Diversamente, Lisella, G., Ragioni dei genitori adottivi, esigenze di anonimato dei procreatori e accesso alle informazioni sulle origini biologiche dell’adottato nell’esegesi del nuovo testo dell’art. 28 l. 4 maggio 1983 n. 184, in Rass. dir. civ., 2004, 441 s.
11 Trib. min. Catanzaro, 13.12.2012, in Fam. dir., 2013, 817 ss.
12 Sulle problematiche derivanti da tale scelta v. per tutti, Renda, A., L’accertamento della maternità. Profili sistematici e prospettive evolutive, Torino, 2008. Per un’efficace informazione sulle soluzioni adottate da altri ordinamenti, Long, J., La Corte europea dei diritti dell’uomo, il parto anonimo e l’accesso alle informazioni sulle proprie origini: il caso Odièvre c. Francia, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 283 ss.
13 C. cost., 25.11.2005, n. 425.
14 E per tale ragione la C. eur. dir. uomo, 13.2. 2003, Odièvre c. Francia, si era espressa per la conformità alla CEDU della normativa francese. 15 Come pronosticato da Long, J., Diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini: costituzionalmente legittimi i limiti nel caso di parto anonimo, in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 556 ss.
16 V. ex multis, Lenti, L., Adozione, cit., 244.
17 I commenti alla sentenza della Corte sono numerosi. Mi limito a ricordare: Marcenò, M., Quando da un dispositivo di incostituzionalità possono derivare incertezze e Long, J., Ado;zione e segreti: costituzionalmente illegittima l’irreversibilità dell’anonimato del parto, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 285 ss.; Taccini, S., Verità e segreto nella vicenda dell’adozione: il contributo della Corte Costituzionale, in Nuove leggi civ., 2014, 405 ss.; oltre al nostro Sul diritto dell’adottato di conoscere la propria storia: un’occasione per ripensare alla disciplina della materia, in Corr. giur., 2014, 473 ss.
18 D.d.l. nn. 784, 1343, 1874, 1901, 1983, 1989 presentati al momento alla Camera.