Adrasto
. Eroe greco della stirpe dei Biantidi: regnò ad Argo dopo essersi riconciliato con il rivale Anfiarao, che s'era impossessato del trono, e insieme con lui prese parte alla spedizione dei Sette, per ricollocare Polinice sul trono di Tebe. D. lo nomina in Cv IV XXV 6, 8, 10; e quanto ne dice è suggerito dal primo libro della Tebaide di Stazio, in una lettura particolarmente attenta alle peripezie romanzesche e ai riflessi psicologici del racconto.
Nell'atmosfera fosca e violenta che caratterizza l'inizio della Tebaide, il regno di A. si presenta come un'oasi di pace (" Rex ibi tranquille, medio de limite vitae / in senium vergens, populos Adrastus habebat ", Theb. I 390-391). Ma nel segreto del suo cuore il re è angustiato da un responso dell'oracolo, che ha predetto come sposi alle sue due figlie, Argia e Deipile (o Deifile: cfr. Pg XXII 110 Deifile e Argia) un leone e un cinghiale. Polinice, esule dalla patria, allo scadere dell'anno in cui il regno spetta al fratello Eteocle, è spinto da un'aspra tempesta a rifugiarsi nel cortile del palazzo di A.; ivi sopraggiunge, nella medesima notte tempestosa, Tideo, fuggito da Calidone per essersi macchiato di un omicidio. Nessuno dei due vuol dividere con l'altro il suo posto, sicché vengono alle mani, e stanno per estrarre le spade, quando A. interviene, li convince a deporre l'ira e con gesto cortese li fa entrare, come ospiti, nel palazzo. Solo allora A. si accorge che Polinice è coperto di una pelle di leone e Tideo di una pelle di cinghiale: sta per compiersi, e felicemente, il pauroso oracolo.
Al racconto di Stazio ricorre D. nel Convivio per illustrare con esempi le tre diverse passioni della vergogna: cioè stupore, pudore e verecondia. Lo stupore è definito come uno stordimento d'animo per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire... E però dice Stazio, lo dolce poeta, nel primo de la Tebana Istoria, che quando Adrasto, rege de li Argi, vide Polinice coverto d'un cuoio di leone, e vide Tideo coverto d'un cuoio di porco selvatico, e ricordossi del risponso che Apollo dato avea per le sue figlie, che esso divenne stupido; e però più reverente e più disideroso di sapere (Cv IV XXV 5-6). Lo stupore di A. è descritto espressamente da Stazio (Theb. I 490-492 " stupet omine tanto / defixus senior, divina oracula Phoebi / agnoscens... "); la reverenza e il desiderio di sapere, che D. considera necessarie conseguenze e complementi dello stupore, si ricavano dal successivo comportamento di A., che dopo un breve silenzio alza le palme al cielo e volge una preghiera alla Notte che lo ha rischiarato, sciogliendolo dall'angosciosa perplessità (I 497 ss.) e più tardi volge domande ai suoi ospiti, specialmente a Polinice (I 671-672).
La figura di A. ricorre anche, pur non direttamente, a proposito delle altre due passioni. Il pudore infatti è illustrato dal comportamento delle figlie, Argia e Deifile, che la nutrice Aceste per ordine di lui ha condotto dinanzi da li occhi del santo padre ne la presenza de li due peregrini: esse si fanno pallide e rosse, e i loro occhi, sfuggendo ogni altro sguardo, si affisano solo ne la paterna faccia, quasi come sicuri (Cv IV XXV 8: cfr. Theb. I 537-539 " pallorque ruborque / purpureas hausere genas, oculique verentes / ad sanctum rediere patrem "). Esempio di verecondia è dato da Polinice che, domandato da Adrasto rege del suo essere (Cv IV XXV 10), esita a rispondere e poi nella risposta tace il nome del padre, Edipo, per vergogna dei fatti che il suo nome ricorda (v. ARGIA; DEIFILE; POLINICE).