BOMPIANI, Adriano
Nacque a Roma, da Domenico e Serafina Bernardini, il 15 ott. 1824. Ancora studente in legge, nel 1848 partecipò con i volontari romani, sotto il comando del generale Durando, alla campagna contro gli Austriaci nel Veneto. Il suo nome ricompare, dopo la caduta della Repubblica, fra quelli degli aderenti al Comitato nazionale romano, organizzazione clandestina che, nata con l'intento di collegare i vinti del '49 sotto la guida di Mazzini, finì per passare su posizioni unitario-monarchiche e per aderire alla Società nazionale ispirata da Cavour. Di questo Comitato divenne, nella primavera del 1862, quando era avvocato già affermato in campo professionale, uno dei principali dirigenti, in stretto contatto con il governo di Torino.
Era un momento particolarmente delicato per Roma e per il partito liberale e nazionale: in Italia era vivissima l'agitazione per la questione romana e il partito d'azione predicava la soluzione rivoluzionaria. Il B. respinse gli inviti giuntigli da parte dell'emigrazione per un'intesa con Garibaldi ("è Mazzini e nulla più") e quando la situazione precipitò con la marcia del generale dalla Sicilia verso il continente, inviò, alla fine di luglio, al console italiano a Roma una lettera in cui, difendendo il Comitato dalle molteplici accuse di colpevole inerzia, metteva anche Rattazzi di fronte a precise responsabilità: "È il governo pronto a cogliere, o far nascere, e sollecitamente, un'occasione per dichiarare in Parlamento che la condotta dei Romani è approvata da lui? Nel caso di un tentativo di Garibaldi, e questo temiamo sia non lontano, è il governo pronto a darci chiare, rette, precise istruzioni?". Da Torino arrivarono consigli di calma e di ordine, mentre lo sforzo rivoluzionario di Garibaldi naufragava ad Aspromonte.
Anche successivamente il B. si trovò di fronte a gravi compiti: il governo Minghetti, che solo apparentemente aveva accantonato la questione romana dopo la crisi del 1862, cercava una soluzione con una segreta opera su due direttrici: verso Parigi, per un accordo con Napoleone, e verso Roma, per una iniziativa dei patrioti romani che sbloccasse la situazione irrigidita. A taf fine, il B. ebbe precise istruzioni e ampi mezzi per un'attiva opera di propaganda all'interno della città, che condusse soprattutto attraverso due giornali clandestini, La Cronaca dei Romani e il Don Pirlone redivivo; ebbe anche l'incarico di informare il governo italiano su quanto avveniva a Roma e di osteggiare l'opera dei borbonici.
Agli inizi del 1864 il B. dovette affrontare, per preciso ordine di Torino, un compito ancor più grave: l'insurrezione dei Romani. Il governo Minghetti, e nel suo seno soprattutto Peruzzi, ministro degli Interni, aveva appuntato la sua attenzione su una malattia del pontefice, che faceva presagire la sua prossima fine; avendo rifiutato Napoleone III un accordo preventivo franco-italiano per il delicato momento della sede vacante, l'interesse e l'attività si erano spostate sulla scena romana. In definitiva, i sudditi del pontefice avrebbero dovuto, dopo la sua morte, ribellarsi in armi alle autorità in quei centri dello Stato dove non erano truppe francesi; a Roma, evitando la collisione con le forze militari straniere, il Comitato avrebbe dovuto attuare una grande manifestazione popolare, inviare tre proclami - ai cardinali in conclave, alle potenze straniere, al governo italiano - in cui dichiarava i cittadini romani decisi ad esercitare il proprio diritto di scelta, organizzare infine un plebiscito per l'unione all'Italia.
Il B., che si recò anche a Torino per un segreto colloquio con Peruzzi, affrontò l'impresa con animo incerto: a parte le evidenti debolezze del piano governativo (chi assicurava che i Francesi sarebbero stati testimoni passivi?), vedeva più profondamente nella situazione locale, dove scarsa era la propensione rivoluzionaria e dove si tendeva a una visione del problema romano realisticamente incentrata fuori della città, in un accordo fra Parigi e Torino. Egli non ebbe, del resto, possibilità di veder provate le sue riserve: nell'avanzata primavera del 1864 le autorità pontificie lo espulsero; poco dopo lo stesso governo italiano abbandonava l'iniziativa insurrezionale, non solo a causa della migliorata salute del pontefice, ma perché erano state avviate, con maggior concretezza, quelle trattative con l'imperatore che avrebbero portato alla Convenzione di settembre.
Il B. andò esule a Torino e a Firenze, sempre in contatto con ambienti di governo, e svolse una funzione conciliatrice in seno all'emigrazione romana, in preda a gravi contrasti per una lotta di potere e per una definizione di programmi. All'inizio del 1867 fece parte di una commissione che doveva attuare l'intesa fra le parti in vista dell'azione che la partenza delle truppe francesi da Roma sembrava promettere. E fu l'azione che sarebbe sfociata tra opposizioni e riserve di molti Romani, fra cui probabilmente lo stesso B., nella marcia di Garibaldi verso Roma, nella sconfitta di Mentana.
Dopo l'ingresso delle truppe italiane a Roma, nel 1870, il B. ebbe qualche incarico dal governo luogotenenziale; ricoprì poi varie funzioni nell'amministrazione comunale e provinciale, ma finì per ritirarsi ben presto a vita privata. Morì il 14 genn. 1912 e fu sepolto nel cimitero evangelico di Testaccio: il suo matrimonio con la scrittrice americana Sofia Van Matre, avvenuto nel 1875, aveva forse contribuito a far maturare in una conversione protestante quello che era stato il sentimento nettamente anticlericale della sua giovinezza.
Fonti e Bibl.: Molte lettere scritte dal B., che aveva assunto il nome di battaglia di "Flavio", e a lui dirette, sono nel Museo Centrale del Risorgimento di Roma; quella inviata al console, a nome del Comitato, nel 1862, è pubbl. in Doc. diplom. ital., s. 1, II, Roma 1959, pp. 604 s.; vari dispacci del 1864 in I. Bellini, Il Comitato Naz. Romano e il governo ital. nel 1864, in Rass. stor.del Risorg., XIV (1927), pp. 123-187. Si veda anche: necrologio nel Popolo romano, 16 genn. 1912; Dizionario del Risorgimentonazionale, II, p. 326.