COLOCCI (Colocci Vespucci), Adriano
Nacque a Iesi il 7 sett. 1855 dal marchese Antonio e da Enrichetta Vespucci, discendente dalla famiglia fiorentina del navigatore Amerigo.
I Colocci, originati dal ceppo dei signori Colocci di Staffolo, sono presenti sin dal sec. XIV a Iesi, ove risultano tra i membri influenti dell'oligarchia cittadina. Aggregati al patriziato romano nel 1505, ottennero nel 1685 la contea di Rotorscio e, nel 1752, il marchesato del Sacro Romano Impero.
Antonio, nato a Iesi il 25 sett. 1821, partecipò alle vicende risorgimentali sin da quelle della Repubblica romana (fu deputato all'Assemblea costituente), che lo porteranno poi alla fuga a San Marino e all'emigrazione in Toscana, ove risiederà per qualche tempo. Qui sposò Enrichetta Vespucci (1853). Tornato a Iesi con l'impegno a non svolgere attività politica, venne coinvolto nel fallito tentativo, insurrezionale del 1859 e dovette di nuovo riparare a Firenze, ove poi lo raggiunsero la moglie e i figli Adriano e Maria Cristina. Deputato al Parlamento nell'VIII e IX legislatura, senatore dal 1879, nel 1889 fu scelto da Crispi quale delegato per l'amministrazione dei beneficì vacanti nella provincia di Roma, ufficio che tenne sino alla morte, avvenuta il 4 marzo 1908 a Iesi.
A Firenze iniziò la fanciullezza del C., il quale, più tardi, descriverà l'ambiente degli emigrati, spesso riuniti in casa di Virginia Menotti, parente dei Colocci, in un quaderno di Ricordi di vita vissuta: all'alba della mia vita (1855-1870) (ms. nell'Archivio Colocci). Tornato a Iesi, frequentò le scuole pubbliche e poi le facoltà giuridiche di Napoli, Roma e Pisa. Alternò l'impegno politico e la polemica giornalistica sui fogli locali sin dal 1874, quando appena diciannovenne, cominciò a scontrarsi coi mazziniani e a difendere le prospettive democratiche della "monarchia dei plebisciti" (Diario, febbraio 1877).
Molto attivo, si muoveva frequentemente tra Iesi, Roma e Pisa, fondò i Comitati progressisti marchigiani per le elezioni del 1876, sviluppò relazioni con immigrati francesi e polacchi, fu tra i fondatori dell'Accademia "Adam Mickiewicz", chiaramente polonofila, si batté in favore degli ebrei di Romania, strinse amicizia con Władysław Mickiewicz, figlio di Adam, e con il comunardo Armand Levy, del quale rilevava l'"idealismo" contro l'"opportunismo ... inventato per legittimare tutte le capitolazioni di coscienza". Partecipò anche all'iniziativa per il monumento a Giordano Bruno e agli incontri "irredentistici" per Trento e Trieste. Nel 1878, a Pisa, organizzò le cerimonie per il centenario di Voltaire. Poco dopo si laureò in giurisprudenza. Tornato a Roma, conseguì l'abilitazione alla carriera diplomatico-consolare (1879) ed entrò in intimità con Berti, Mamiani, Macchi, Costa, Mario.
Tra il 1878 e il '79 pubblicò, a Roma, a Iesi, a Pisa, lavori di vario genere, indicativi dello sforzo di trovare una linea coerente. Contemporaneamente agiva nelle Marche, ove fondò giornali e associazioni e diresse per breve tempo il quotidiano Corriere delle Marche (1880). Fece vari discorsi politici contro il trasformismo e i gruppi locali che ad esso aderivano.
Una condotta vivace quale quella quotidianamente manifestata dal C. non poteva non provocare frizioni e risentimenti. Tra le espressioni di ciò pare si possa individuare un'inchiesta contro il padre Antonio, amministratore della S. Casa di Loreto, che coinvolse moralmente anche il C., già incaricato di legislazione ed etica nell'istituto tecnico di Camerino, allora professore di economia politica e statistica in quella università (1881-1883).
Svanita la possibilità di ottenere una cattedra a Macerata, contendendola a Maffeo Pantaleoni, e permanendo l'ostilità degli ambienti locali, il C. prese "la decisione di uscire dal marasma della vita snervante della provincia per gettar[si] a capofitto nella prima avventura simpatica che [gli] capita davanti" (Diario, dicembre 1885). In queste sue parole si coglie la conferma del peso di una componente non trascurabile dell'uomo: quella estetizzante, precorritrice di prossimi "bei gesti".
Nel 1885 era nei Balcani (forse con il consenso del ministero degli Esteri: in questa e in altre occasioni), ove stava per riproporsi una nuova crisi della questione d'Oriente che culminò nella guerra tra Serbia e Bulgaria. Il C. seguì le vicende militari e politiche della parte bulgara, come aiutante di Alessandro di Battemberg, fornendo poi una dettagliata cronaca delle operazioni, durante le quali entrò per la prima volta in contatto con gruppi di zingari, dei quali più tardi traccerà una storia, forse stimolato anche dal ricordo di un primo "matrimonio di sangue" contratto con una giovinetta appartenente a una tribù balcanica. Da questa si staccherà nel 1886, partendo per Istanbul, ove svolse alcune missioni per il conte L. Corti, diplomatico in quella capitale, responsabile italiano per l'area turco-balcanica, operando anche in Grecia al fine di evitare che la legazione ad Atene apparisse favorevole alle agitazioni panelleniche fra i Greci sudditi dell'Impero ottomano.
Questo incarico andò a buon fine: il C. stabilì subito buone relazioni con gli uomini più in vista della vita politica e culturale del momento, i quali lo fecero entrare nell'Accademia, ateniese, "Il Sillogo Parnaso", e lo presentarono alla "Fratellanza degli Epiroti". Contemporaneamente inviava alla Tribuna corrispondenze dai luoghi visitati, poi raccolte in volume. Incontrò anche il presidente del Consiglio greco, Delaiannis, che gli espose quanto il suo governo si aspettava dagli Italiani a favore degli Epiroti. Il C. si entusiasmò e si pose al lavoro per organizzare una "legione filoellenica". Sembra questo un nuovo episodio della politica estera del doppio comportamento, già sperimentata dall'Italia: uno ufficiale, rispettoso degli equilibri raggiunti, uno sotterraneo, con consenso a iniziative che potessero scuotere garbatamente le acque, creare reti di amicizie e consenso alternativi, specialmente verso gruppi in qualche modo controllabili, in Italia, e moderati nei paesi di intervento. Il C., volendo far uscire la questione dalla semiclandestinità, stampò un opuscolo di propaganda dal titolo La Greciae la diplomazia, tradotto anche in greco, ma la questione greca stentò a maturare, anche per la fermezza turca. E così cadde il progetto della legione italiana, alla quale, per la verità, non molti avevano creduto.
Rientrato a Roma, il C. riuscì a far parte del seguito del principe di Napoli (il futuro Vittorio Emanuele III), con il compito di "istoriografo" del viaggio che questi stava per fare nel Vicino Oriente. Durante una sosta al Cairo, giunse notizia dell'arresto di un gruppo di italiani - spedizione Salimbeni - nelle terre di ras Alula in Abissinia. Il C. si lasciò prender dall'eccitazione, abbandonò il seguito reale e mise in moto amicizie per giungere al rilascio degli italiani. Ottenne buone parole e cauti incoraggiamenti, ma nulla di più, perché in quel momento l'Italia sperava in una guerra tra capi etiopici, dalla quale sarebbe potuta nascere una facile occasione di intervento di tipo coloniale.
La sconfitta dell'iniziativa pacifica nel Corno d'Africa non gli impedì di partecipare alle successive operazioni militari con il grado di capitano, anche (autorizzato) al servizio delle truppe coloniali britanniche, impegnate contro i Dervisci, ma contribuì ad orientarne l'attenzione verso altri orizzonti. Dopo un viaggio giornalistico per la Tribuna nel Magreb (1888), partì per l'America e si recò in Brasile, Uruguay, Paraguay, Argentina, sia nella veste di rappresentante delle Camere di commercio marchigiane alla ricerca di nuovi canali e mercati di esportazione, sia in quella di esploratore e inviato di giornali, sia, infine, quale osservatore dell'ambiente degli emigrati italiani. In Sudamerica stabilì buone relazioni e ivi diresse per qualche tempo il giornale L'Operaio italiano di Montevideo (1890). Anche da queste esperienze usciranno studi, saggi, memorie in cui, come sempre, all'acutezza dell'analisi si sovrappone il rumoroso tumultuare di sentimenti, ispirazioni, invettive, abbandoni, che non poche volte toccano la peggiore retorica.
Al di là dei luoghi comuni, le parole "Mare", "Avvenire", "Infinito", "Ignoto" (tutte annotate nel suo diario con l'iniziale maiuscola) appaiono come spie di un fondo psicologicamente pletorico e verboso che presto avrà peso nefasto nella storia italiana. Il momento eroico si mescola però a quello della curiosità intellettuale e dell'osservazione sociale, e così deve chiedersi le ragioni della presenza di tanti italiani in Argentina e dell'"incessante fuga dell'italianità lavoratrice". La risposta la trova nel malgoverno e nelle pessime condizioni di vita dei "proletari": di qui la richiesta di qualche riforma, che avrebbe dovuto bloccare l'esodo.Il C., pur nella veste di retore, vate e sociologo, era convintissimo, in ogni occasione, di possedere la soluzione giusta per il problema sul tappeto, e in relazione a essa operava con decisione, non considerando, anche quando era in missione esplorativa per conto di diplomatici di professione, la complessa trama nella quale avrebbe dovuto inserire il lavoro che compiva. E questo può forse spiegare il suo frequente spostamento da un'area all'altra, sempre che sia corretta la supposizione di un suo impiego saltuario è informale da parte del ministero degli Esteri.
Rientrato in Italia nel 1892, alla fine della XVII legislatura il C. fu eletto deputato al Parlamento per il collegio di Ancona, quale candidato dei democratici, e in particolare dei progressisti uniti ai legalitari. Sedette all'estrema sinistra, nel gruppo di F. Cavallotti.
Nei pochi mesi del suo mandato prese la parola sulla politica estera, ma anche su questioni interne. Diresse il giornale romano La Capitale, fece parte di parecchie associazioni popolari, fu presidente del Comitato delle democrazie, composto da Canzio, Cavallotti, Colajanni, Ferrari, Imbriani. Ma non riuscì a stabilire con essi relazioni serene, data l'irriducibilità del carattere e un certo suo fare autoritario che infastidiva. D'altra parte il "socialismo monarchico" da lui proposto non poteva non suscitare perplessità; in un periodo nel quale emergeva, specialmente a sinistra, il bisogno di una maggiore chiarezza ideologica.
Esemplari della sua vaga collocazione sono alcuni concetti espressi in una lettera del 1895 al direttore del Progresso di Piacenza, nella quale il pensiero del monarchico democratico si mescola a influenze saintsimoniane, (anche quando polemizza con Saint-Simon e i socialisti aristocratici) e mazziniane: "Fra il socialismo proletario a base di prepotenza e il socialismo aristocratico a base di beneficenza ci dev'essere il vero - metodo. E il vero è che esclude tanto la spoliazione quanto lo sfruttamento... Escluso che si possa rigorosamente sostenere la teoria della lotta di classe, quasiché in una classe si reclutino tutti i carnefici, e in un'altra tutte le vittime ... La vera lotta deve indirsi contro il parassitismo, e questa è muffa umana, non peculiare ad un ceto, non appannaggio esclusivo di una casta" (ibid., 30 luglio 1895).
All'epoca degli scandali bancari il C. fu colpito da insinuazioni e attacchi che gli fecero temere l'arresto. Lasciò l'Italia nel 1896 e soggiornò in Belgio e in Olanda, donde rientrò quando la magistratura lo assolse da ogni sospetto. Ma il periodo all'estero non trascorse senza risultati, anche pratici: egli stabilì infatti buone amicizie e conoscenze che lo portarono in Sicilia quale rappresentante di un sindacato, di banchieri olandesi con interessi nell'isola, dove diventò presidente della Società siciliana dei lavori pubblici e direttore generale delle Ferrovie circumetnee (1901-18).
È in relazione a quest'ultimo incarico che istituì una Cassa soccorso e previdenza per i ferrovieri. Durante il periodo siciliano contribuì a dar vita alla Deputazione di storia patria per la Sicilia orientale, scrisse su parecchi giornali locali, redasse memorie, studiò le questioni di Malta (rivendicandone, l'"italianità") e degli Slavi in Adriatico ("potenzialmente pericolosi"). Questi di Sicilia sono anni di intenso lavoro, anche letterario, intervallato da viaggi di studio e di affari, di messe a punto, di riflessioni. Collaborò all'intermediare e alla Revue diplomatique, scrisse l'Origine des Bohémiens, che lo lanciò quale esperto di tziganologia e gli procurò una posizione di primo piano tra gli antropologi. I congressi di antropologia del 1903 (Parigi), di geografia del 1904 (Ginevra), di etnologia del 1911 (Roma) attestano la sua conoscenza specialistica del problema degli zingari, del resto suffragata dall'ampia AGypsy Bibliography (New York 1909), nella quale l'autore (George Black) dà atto della derivazione dal C. di molte informazioni, e dalla presidenza (1910) della Gypsy Lore Society, fino ad allora tenuta da inglesi.
Mentre conseguiva questi successi sembrò trovare stabilità domestica nel matrimonio con la fiorentina Clotilde Morozzi. Ma nel 1913 la moglie morì di tisi e il C. riprese ad agitare temi politici e a correre qua e là per il mondo. Intorno al 1910 ripropose, con il tema maltese. una vecchia idea accarezzata al tempo della guerra balcanica, alla quale aveva partecipato: quello della "grecità e romanità" del Mediterraneo, da difendere dalle pretese "dei tedeschi, dei sarmati e degli anglosassoni". L'italianità di Malta è rivendicata anche attraverso articoli, contatti, carteggi con italianofili maltesi e iniziative culturali (fondazione della "Dante Alighieri" nell'isola), non molto ben viste dagli ambienti ufficiali romani e dallo stesso Pasquale Villari, dirigente della "Dante", perché era ormai in avanzata fase di preparazione la conquista della Libia, per la quale occorreva l'assenso di Francia e Inghilterra. Le osservazioni del C. su Malta saranno pubblicate nella fase fascista di rivendicazione di essa, con il titolo Le origini della passione di Malta (Iesi 1939).
Il monarchico-democratico del post-risorgimento, il filosocialista della transizione al Novecento, fattosi antigiolittiano, guadagnò di fatto l'area del nazionalismo, pur tra gli alti e bassi caratteristici della sua personalità. E se da un lato era attratto (e gli dedicò uno studio) dal rivoluzionario Paul De Flotte, vivace protagonista degli eventi francesi tra 1830 e 1860 e partecipe alla spedizione garibaldina in Sicilia, nella quale morì, dall'altro si collocava sempre più chiaramente nella direzione opposta, parteggiando per lo Stato forte, che era stato debole verso le agitazioni anarchiche e dei Fasci siciliani. Nel 1914, per i fatti della settimana rossa invocava "un nuovo 18 brumaio".
Alla vigilia del primo conflitto mondiale il C. era incerto sull'atteggiamento da assumere, perché, se attratto dall'efficienza germanica, avversava l'Austria come "tradizionale nemica", vedeva nell'Inghilterra soltanto "egoismo" e considerava gli Slavi come barbari che insidiavano l'Adriatico e il confine orientale. Non era dunque triplicista, e neppure per l'Intesa, mentre avvertiva la difficoltà, per l'Italia, di restare neutrale, dovendo essa soddisfare a "indispensabili rivendicazioni" (Primal'Adriatico, Firenze 1915, pp. 19 ss.) concernenti Trieste e l'Istria, incluso il distretto di Fiume, le coste dalmate, Trento e lo spartiacque alpino fino all'Alto Adige ed al Carso inclusi.
Nella Carta base del raggruppamento politico delle nazionalità dell'Austria-Ungheria e Stati limitrofi (Novara-Roma, 1915), dopo aver meglio precisato le modificazioni territoriali da realizzarsi con la guerra, il C. disegna personalmente l'assetto che la Balcania dovrà avere, inclusi gli interessi italiani. Quando nel 1915, per la gravità delle perdite subite, la Francia è in difficoltà egli ha accenti di fuoco, tra il savonaroliano e il dannunziano. Prima vede negli insuccessi francesi "l'indice del decreto di Dio", che così punisce "il trionfo smodato della sensualità..., degli appetiti materiali..., dell'orgia...", con la Francia e Parigi "teatro massimo dell'odierna dissoluzione", poi esalta "il lavacro di sangue che purga codesta putredine", dal quale "sorgerà l'alba dell'altruismo spiritualizzato ..., mentre l'alvo delle femmine superstiti concepirà sanamente la nuova prole" (Diario, 29 ag. 1915). Ma così come aveva avuto connotazioni saintsimoniane pur avversando Saint-Simon, il C., del cui dannunzianesimo almeno formale è difficile dubitare, esprime duri giudizi su D'Annunzio.
Nel febbraio 1915 chiese di essere mobilitato, preparandosi psicologicamente alla guerra "rinnovatrice" che avrebbe scosso "i molti codardi, i moltissimi egoisti", come scriveva con entusiasmo. Il 27 luglio ricevette la lettera di chiamata e partì per Udine con il grado di colonnello degli alpini. Dopo un periodo di retrovia, ma a ridosso del fronte, il comando supremo lo inviò in Grecia, con il compito di individuare le possibili zone da salvaguardare all'influenza italiana intorno a Valona nell'ipotesi di un'avanzata greca nell'Epiro e in Albania. Ma anche questa volta le cose non andarono a buon fine, perché il suo punto di vista non coincise con quello del ministro Bosdari, che rappresentava l'Italia ad Atene. Venne richiamato in patria e destinato a Pordenone, ove lo raggiunse l'accusa di aver detto qualcosa, apparso "antipatriottico".
In un caffè di Iesi, infatti, aveva criticato l'assenza della marina italiana in Adriatico e l'assurda insistenza dell'attacco frontale a Gorizia. Nel dicembre del 1915 fu ricollocato in congedo e sottoposto a inchiesta per "disfattismo". Ne sarà prosciolto con formula piena nel marzo 1918.
Naturalmente continua a commentare la guerra, ed i diari del 1916-1918sono di indubbio interesse per capire lo stato d'animo d'un aristocratico intelligente che è in continua contraddizione con se stesso, che respinge la violenza stupida ("le truppe furono portate al fuoco, coi carabinieri fiancheggianti col revolver in pugno e le mitragliatrici pronte a fulminare i recalcitranti": Diario, 7 genn. 1916), ma anche la diserzione, l'autolesionismo dei soldati, la renitenza, il rifiuto, la fuga, tanto che approva le fucilazioni militari, allora frequenti. Insignificanti, nel diario, le osservazioni sulle vicende di Russia, sia quelle del marzo, sia quelle dell'ottobre, anche se esse non mancano di stimolare osservazioni su ciò che potrebbe accadere in Italia, e che pare avverarsi con Caporetto.Il 4 nov. 1918, mentre a Iesi si festeggiava la vittoria, il C. ottenne la nomina a membro del Commissariato di lingua e cultura italiana per l'Alto Adige. Il 14 era a Trento e di lì iniziò, nell'organismo presieduto da Ettore Tolomei, una difficile opera di "italianizzazione", che trovava resistenza non solo in Alto Adige, ma nella stessa Trento.
Gli anni del dopoguerra lo trovarono alle prese, oltre che con la preoccupazione per la "probabile" rivoluzione socialista, con due fatti privati importanti: essi, sommati al persistente malanimo degli Iesini nei suoi confronti, lo preoccuparono non poco. Si tratta. della nascita di un bambino, prima, e di due gemelli, poi, avuti dal nuovo matrimonio (con Silvia Grilli, sposata il 25 giugno 1919), e un dissesto finanziario causato da errate speculazioni. Ma la passione politica restava forte, e così il C. trovò modo di continuare ad occuparsi dettagliatamente degli eventi quotidiani che segnavano la fine dello Stato liberale in Italia e quella degli antichi assetti in Europa, nei quali l'ascesa delle masse, iniziata con la guerra, travolse i residui miti dei primo Novecento.
I tentativi e le imprese dannunziane in Adriatico lo attrassero molto e gli suggerirono di chiedere di partecipare. Restò a casa, ma il Diario registra gli avvenimenti con rinnovato calore e con l'esaltazione del "poeta-soldato" dei quale ora ammira l'opera "eletta", schiacciata poi da Giolitti, "auspicanti i rinunzisti e i socialisti" (Diario, 14 ottobre, 14-20 dicembre, 30 dicembre 1920).
Superate le prime incertezze per il "pittoresco" fascismo, del quale non poteva condividere la volgarità, il C. fini per accettarlo perché si opponeva a governi deboli e teneva a bada i socialisti.
Quando si attuò il regime, il C. mantenne nei confronti del fascismo un atteggiamento duplice: mentre ne approvava l'interesse per le organizzazioni giovanili, l'infanzia, la maternità, la politica demografica, continuò a respingerne la violenza che, come scriveva a Federzoni, "denatura... la bellezza dei fenomeno" (ibid., 6 nov. 1927). Questa infatti, dal delitto Matteotti alle inutili durezze della riconquista della Libia, alla restaurazione della pena di morte, gli apparve del tutto inutile e sciocca. Nel 1929 si adirò per la creazione della "nobiltà fascista" e per la Conciliazione, che secondo lui siglava "in modo inatteso il carnevale" (ibid., 12-13 febbr. 1929), nel quale "Stato e Chiesa son pappa e bumba" (ibid., 17 ott. 1930).
Ebbe una leggera ripresa di simpatia per il fascismo nel corso della campagna di Etiopia, ma nel 1939, quando Hitler stava per invadere la Polonia, scriveva: "malgrado l'attuale politica germanofila dell'Italia, faccio voti per la Polonia" (ibid., 3 ag. 1939).
Trascorse gli ultimi anni in serena lucidità, riordinando memorie e pubblicazioni, ricopiando e aggiustando i diari, continuando a occuparsi di araldica (membro della Consulta araldica dal 1921 al 1930, era dal 1929 presidente, a vita del Collegio araldico di Roma). Socio onorario della Deputazione di storia patria per le Marche, partecipò alle riunioni e scrisse risultati di una ricerca sugli Attoni (gens longobarda, dalla quale deriverebbero i Colocci). Si batté perché le Marche conservassero questo nome e non assumessero quello di Piceno, come si proponeva; ottenne fosse affissa a Cancelli di Fabriano una lapide a ricordo di un "placito" che vi sarebbe stato tenuto nell'801 da Pipino re d'Italia. Trasferitosi a Roma, vi morì il 30 marzo 1941.
Opere: Le opere inedite del C. sono conservate nella Biblioteca Colocci di Iesi. Nell'ordine: Diario, 1871-1941: cinquantuno quaderni, con inizio dal 1871, più un album nel quale sono annotate le vicende personali del periodo 1855-1870, scritto in epoca imprecisata; i primi cinque quaderni (1871-1889) sembrano essere stati rifatti, data la maggiore esattezza, anche grafica, con la quale si presentano rispetto ai diari veri e propri: oppure anche essi, come l'album relativo ai primi quindici anni di vita, sono stati redatti dopo che era cominciata la annotazione di fatti nei quaderni numerati dal n. 1 (1890) al n. 45 (1941). Manca il quaderno 23b (1912-1913), che parrebbe conservato a Roma dalla seconda moglie. Le pagine dei diari non sono numerate, se non in pochissimi quaderni; Supplemento al mio diario. Ricordi di vita vissuta (1936, relativo al periodo 1890-1915); Morte di Clotilde Colocci Vespucci (1°genn. 1913-20 luglio 1913, diario); Zibaldone (1903-1938, con appunti fino al 4 luglio 1940); Pensieri (1909: contiene centonovantotto "pensieri"); Appunti e curiosità di erudizione storica presi qua e là (1910-1912); Date, appunti, memorie (diario politico del 1874 e copialettere 1874-1880); Appunti jesini e di altri luoghi, (s. d.: sono centottantaquattro "appunti" senza data, ma il n. 183 è certamente del 1938); Rubrica con appunti su fatti e personaggi (s.d.); Facezie, piccole cose, ecc. (s.d.); Poesie (1881-1883: quarantasette composizioni); Poesie (1884-1925: venti composizioni); Michel-Ange de Caravaggio - Le Saint François (in fogli sparsi, con trad. ital., inserito in Appunti jesini). Nella Biblioteca sono altresì conservati un Blasonario jesino, ms. del 1916 e vari album con ritagli di giornali concernenti il C. e suoi articoli, con inizio dal 1875; la raccolta del periodico L'Esio (Iesi 1874-1875: ventotto numeri), di cui il C. fu caporedattore, e quella del Popolomarchigiano (Ancona 1882: ventidue numeri) da lui diretto. C'è anche il testo fittamente corretto e pronto per una nuova edizione de Gli zingari, con varie pagine inedite.
Le opere edite ma mancano molti opuscoli) sono raccolte in nove volumi (dieci tomi), in testa ai quali sono stampate notizie sugli incarichi del C., vita militare, vita accademica, decorazioni, ecc., e una bibliografia incompleta: G. Bruno. Cenni biografici con documenti, Roma 1876; Voltaire. Parole pronunciate il 30 maggio 1878 nella solenne adunanza della R.L. "Luce e progresso" in Pisa, Pisa 1878; Trento e Trieste, Iesi 1878; Della soluzione dei conflitti internazionali, Pisa 1878; Monologo, Iesi 1878; L'argonautica di Gaio Valerio Catullo volgarizzata, ibid. 1879; Due leggende lituane, Roma 1879; Gite alpine, ibid. 1879; Poveri morti, Ancona 1880; Sulle decime sacramentali, Iesi 1880; Sommario del corso di economia politica, Camerino 1882; L'odierna Italia e il conflitto castale, ibid. 1883; Dei tribunali d'onore, Ancona 1884; Gli assassini dell'usura, ibid. 1885; Una parola sulla risposta del Guardasigilli all'on. Bonacci nella seduta del 30genn. 1886, Iesi 1886; Intimità, ibid. 1886; La Grecia e la diplomazia, Ancona 1886 (traduz. greca, Atene 1886); In Oriente, Roma 1887; L'Italia in Oriente, Iesi 1887; Lettere elleniche, Milano 1888; Gli zingari. Storia di un popolo errante, Torino 1889 (poi tradotto in tedesco e svedese); The Gypsies in the Marches of Ancona during the 16th and 18th Centuries, in Journal of the Gypsy Lore Society (London), I (1888-1889), pp. 213-220; Passeggiata spagnola, Milano 1890; Atellane (tre commedie satiriche con pseudomini di P. Coscia-P. Neutro-E. Piceno), Iesi 1890; La crisi argentina e l'emigrazione italiana nel Sud-America, Milano 1892; In Bulgaria, Roma 1893; Storia di un applauso. Processo della Banca di Como, Milano 1898; L'ora presente e il ministero Pelloux, ibid. 1899; Banche e magistratura, ibid. 1900; Ferrovia e sciopero, Catania 1901; I frammenti attribuiti a Tito Petronio Arbitro. Traduzione libera italiana con proemio e annotazioni, ibid. 1902; Per il Venezuela, Palermo 1903; La storia del pane, in G. De Felice, Pane municipalizzato a Catania, Catania 1903; La pseudo-critica di un ex-collega, Palermo 1903; Le nozze diPeleo e Teti di G. V. Catullo (traduz.), nozze Serauw-Trewhella, Catania 1904; Prefazione ad A. Cini, Origine e progresso della lingua italiana in Malta, ossia la lingua nazionale deiMaltesi, ibid, 1904; Le truppe di montagna: icoefficienti psichici della difesa alpina, ibid. 1905; L'origine des Bohémiens. Essai critique, Città di Castello 1905; Dal fiume Vermiglioalla montagna Azzurra. Paesaggi americani, Catania 1908; La Trinacria o Trichetria, ibid. 1908; Griscelli e le sue memorie, Roma 1909; Paolo De Flotte, Torino 1912; Sullo studio della tsiganologia in Italia, Perugia 1912; Note bibliografiche sul Risorgimento italiano, in Riv. d'Italia, XV (1912), pp. 681-87; Per nozze Tosi-Salvati: Degli uomini illustri jesini di G. C. Tosi, Roma 1912; Pensieri e soliloqui, Città di Castello 1913; L'Austria (estratto da Riv. d'Italia, XVII[1914]), Roma 1914; Conseguenze fatali del diboscamento alla spicciolata. Un esempio tipico (laconca di Brosso nel Canavese), Milano s. d.; Oggi e domani. Studj politici, Milano 1914; Dopo la pace di Bucarest, in Riv. d'Italia, XVII (1914), pp. 3-17; Prima l'Adriatico!, Firenze 1915; Antonio Colocci nel lavoropreparatorio della liberazione delle Marche (1859-60). Ricordi e documenti raccolti daAdriano Colocci, Iesi 1915; Carta-base pelraggruppamento politico delle nazionalità nell'Austria-Ungheria e Stati limitrofi, Roma 1915; Essenza e conseguenze dell'attuale periodo storico, secondo la legge del periodo politico, Iesi 1916; La futura Balcania secondo le pretese degli Imperi Centrali (con note esplicative): carta geo-politica. Roma 1916; Iporti marittimi, di libero transito, Milano 1917; Il pathos contemporaneo, in Nuovo Convito, II (1917), 5, pp. 159-62; Al Signor Maggioreed ai Signori Ufficiali del 2°Battaglione diMilizia Territoriale (Iesi), s.l. né d. (ediz. in sette esemplari); A. C. e Hans Goritz, Fabriano 1922; Relazione sulla domanda nobiliaredi Alfredo Ghislieri, Iesi 1923; L'Ordine dellaMercede, Roma 1930; France et Italie (Octobre 1930), Falconara 1930; Re Teodoro (diCorsica) e l'Ordine Equestre della Liberazione, in Rivista araldica (Roma), XXIX (1931), pp. 244-48, 289-93, 346-51, 392-96, 433-38; Gli Attoni o Azzoni, Atti, Azzi, ecc. (Gens Actonia), Roma 1932; Marche... sìPiceno... no, Iesi 1932; S. Giorgio e i suoiordini equestri, Roma 1934; Delucidazionistoriche sull'Ordine Lazzarista, (con lo pseudonimo di Conte di Rovegliano), Roma 1934; Diario del Commissariato "Lingua e cultura" (1918-1919), ibid. 1935; Notizie storiche sulSacro Ordine cavalleresco di S. Lazzaro diGerusalemme, Pescia 1935; Ordine CelesteReale e Militare della Mercede. I Mercedarjnelle Marche, Roma 1935; "Sub judice" (Lettera aperta ai Cavalieri della Mercede), (con lo pseudonimo di Conte di Rovegliano), ibid. 1935; Nel mondo degli Ordini equestri: Il "Santo Sepolcro di Gerusalemme", ibid. 1937; L'Ordine di S. Lazzaro nel secolo XIX, (con lo pseudonimo di Conte di Rovegliano), ibid. 1937; La Magistratura italiana e gli Ordini equestri, (con lo pseudonimo di Prof. A. De Rubeis), ibid. 1937; Piccole cose, Iesi 1937; Pompeo Litta nel Governo provvisorio del1848, in Rivista araldica (Roma), XXXVI (1938), pp. 477-483, 504-508; Le origini della passione di Malta, Iesi 1939. Traduzione, in collab. con G. Derutti, di N. Parisis, L'Abissinia, Milano 1888, dal greco. Non vengono qui indicati tra le opere del C. gli articoli apparsi su giornali, settimanali, numeri unici e gli scritti inseriti in opere collettanee celebrative costituiti da messaggi, relazioni, ecc.
Fonti e Bibl.: Notizie sul C., oltre a quelle citate, sono nell'Arch. della famiglia Coloccia Iesi: 279 buste inventariate nel 1971 (il docum. più antico è una pergamena del 1311). Si vedano inoltre: E. Garulli, A. C. Vespucci, in Atti e mem. della Deputaz. di storia Patria per le Marche, s. 6, I (1943), pp. 217-23; B. Rossi, Cenni biogr. di A. C. Vespucci, s. l. né d. [ma del 1913 circa]; V. Cottafavi, Uno storico moderno. A. C. ed i suoi scritti primizzati, in Patria e colonie, III (1914), pp. 359-362; Onoranze al marchese A. C., Catania 1902; A. Tamborra, La crisi balcanica del 1885-1886 e l'Italia, in Rass. stor. del Risorg., LV (1968), pp. 387-396; F. Gualdoni, A. C. ideò un osservat. sottomarino, in Iesi e la sua valle, VII (1968), 1, pp. 26-28; A. Drago, Dalla storia alla leggenda. Sposò una zingara sotto le stelle, in Tempo illustrato, 31 ag. 1963; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 1007, Notizie sulla famigliaColocci in Storia d'illustri fam. ital., Firenze s. d., II, s. v.a cura di F. Galvani.