LEMMI, Adriano
Figlio di Fortunato e di Teresa Merlini, nacque a Livorno il 30 apr. 1822. Seguendo le tracce del padre, facoltoso commerciante, si dedicò anch'egli fin da giovanissimo ai traffici e alle attività commerciali, dapprima a Livorno, quindi a Napoli. Riuscito ad accantonare un modesto capitale e nel frattempo avvicinatosi agli ideali democratici attraverso la lettura dei libri di C. Bini e di F.D. Guerrazzi, all'età di poco più di vent'anni decise di emigrare in Francia, a Marsiglia, da dove si spostò poco dopo a Malta, poi in Egitto e infine a Costantinopoli.
La data in cui ciò avvenne è incerta e si lega a una lunga scia di accuse e di polemiche, di cui il L. fu oggetto a partire almeno dal 1880, quando esse furono innescate da alcuni giornali quali l'Ezio II e Il Carro di Checco di F. Coccapiellier. Questi fogli pubblicarono una sentenza del tribunale di prima istanza di Marsiglia, del 22 marzo 1844, in cui risultava che un certo Adriano Lemmi, ex negoziante, era stato condannato al carcere per furto. Il L. si difese dichiarando che il documento riguardava un suo omonimo nato a Firenze e che egli invece fin dal 1843 si era stabilito a Costantinopoli, da cui non si era allontanato fino al 1847, quando si era recato a Londra per motivi di lavoro. Nella capitale dell'Impero ottomano, stando alle sue dichiarazioni, già dall'inizio del 1844 aveva diretto una "Casa di commercio in affari di marina". Nonostante queste recise smentite, la vicenda però non si chiarì mai del tutto e fornì il pretesto alla stampa clericale e conservatrice, ma anche ai suoi oppositori della Sinistra repubblicana e massonica, per muovere ripetuti attacchi alla sua persona e alle sue scelte politiche. In effetti, la presenza del L. a Costantinopoli è documentata con certezza dal 1845, così come è confermato che egli impiantò lì una florida attività economica, assumendo la rappresentanza di molte ditte commerciali straniere e provvedendo al noleggio e al carico e scarico dei bastimenti che transitavano in quel porto.
Nel 1847 fece un viaggio in Francia e in Inghilterra, e a Londra conobbe G. Mazzini, cui da allora fu legato da un rapporto di devota amicizia. Mazzini pensò di avvalersi del L. per costituire a Costantinopoli un nucleo di patrioti a lui fedeli e per ottenere finanziamenti in favore della lotta per l'indipendenza nazionale, e il L. non tradì la sua fiducia. Già nell'aprile 1849 raccolse il suo invito a recarsi a Livorno per imbarcarvi la legione Manara, che accorreva a Roma in difesa della Repubblica. Nel 1851, sempre per incarico di Mazzini, prese contatto con L. Kossuth, relegato nella fortezza di Kütahja, e lo aiutò a evadere, accompagnandolo successivamente in un lungo viaggio a Londra e negli Stati Uniti. Tornato a Costantinopoli, nel 1853 fu di nuovo pronto a rispondere all'appello di Mazzini, impegnato nella preparazione del moto del 6 febbraio. Arrestato a Genova, ma subito rilasciato per intervento del console degli Stati Uniti in quanto ritenuto cittadino statunitense, nel marzo 1853 riparò in Svizzera e di qui riprese la via di Costantinopoli, dove rimase per vari anni dedicandosi principalmente ai propri affari e accumulando una notevole fortuna.
Proprio le ricchezze accantonate gli consentirono nel 1857 di finanziare la spedizione di C. Pisacane e di contribuire poi con denaro allo sviluppo del movimento patriottico di ispirazione democratica, guadagnandosi l'appellativo, datogli da G. Guerzoni, di "banchiere della rivoluzione italiana".
Nel 1860 il L. rientrò definitivamente in Italia, dove ebbe parte nell'organizzazione della spedizione dei Mille e investì una parte dei propri capitali nell'attività ferroviaria. Insieme con il finanziere livornese e suo parente P.A. Adami, nel marzo 1860 ottenne infatti dal governo sardo l'incarico di costruire le linee ferroviarie da Arezzo al confine con lo Stato pontificio e da Firenze a Ravenna. Il 25 sett. 1860 G. Garibaldi affidò poi alla società Adami-Lemmi la costruzione di tutta la rete del Mezzogiorno continentale e della Sicilia, suscitando la preoccupata reazione dei moderati piemontesi, che con una nuova convenzione dell'aprile 1861 limitarono la sfera d'azione dell'impresa, denominata ora Società italica meridionale, e chiamarono a parteciparvi altri gruppi finanziari settentrionali. Da questo momento i rapporti del L. con Garibaldi e con gli altri esponenti del movimento democratico divennero strettissimi. Anzi egli rappresentò una sorta di trait d'union fra l'ala repubblicana intransigente, sia mazziniana sia cattaneana, e la componente di più diretta matrice garibaldina, pronta a sacrificare la pregiudiziale istituzionale per completare l'unificazione del paese e realizzare un programma di riforme sociali e politiche. Così nel dicembre 1863 egli fu, con Garibaldi, B. Cairoli, G. Nicotera e altri, tra i firmatari dell'atto costitutivo del Comitato centrale unitario, l'organismo creato dai democratici per promuovere una sollevazione popolare contro l'Austria, che avrebbe dovuto concludersi con la liberazione di Venezia. Nel 1864 condivise il tentativo di F. Crispi e A. Mordini di creare uno schieramento intermedio fra la Sinistra parlamentare e l'estrema repubblicana, che più avanti avrebbe preso consistenza nel progetto del cosiddetto Terzo partito. Nel 1867, quindi, aiutò Garibaldi nella preparazione della spedizione di Mentana e in questi anni restò comunque sempre vicino a Mazzini, che vegliò anche al momento della morte, il 10 marzo 1872.
Nel 1879 finanziò la nascita del giornale La Lega della Democrazia, che avrebbe dovuto trasformarsi, secondo l'indicazione di Garibaldi, nello strumento di raccordo delle sparse forze della Sinistra democratica italiana. Di questo movimento egli era ormai uno degli esponenti più autorevoli e lo confermò nel maggio 1881 la sua firma in calce al manifesto alla democrazia francese, redatto da A. Saffi sotto forma di lettera a V. Hugo, per protestare contro l'occupazione di Tunisi. Fallita l'esperienza della Lega, nell'agosto 1883 fu tra i promotori del Fascio della democrazia, ulteriore tentativo di coniugare le aspirazioni di radicali e repubblicani e di riunirli in un'unica struttura organizzativa.
L'ultima parte della vita del L. fu tuttavia caratterizzata dalla sua adesione alla massoneria, all'interno della quale arrivò in breve tempo a ricoprire le massime cariche direttive. Iniziato nel marzo 1877 nella loggia "Propaganda massonica", una loggia speciale del Grande Oriente d'Italia che raccoglieva i membri dell'establishment politico, economico e culturale del paese, fu subito chiamato a far parte della commissione finanziaria dell'obbedienza e appena due anni dopo, nel maggio 1879, fu eletto gran tesoriere del Grande Oriente.
Guadagnatosi il favore di numerose logge, cui consentì di sopravvivere estinguendo con i propri soldi il debito che esse avevano nei confronti del Grande Oriente, si segnalò nel luglio 1880 per l'imposizione ai nuovi affiliati di una tassa una tantum di 100 lire, che li avrebbe definitivamente affrancati dal pagamento delle quote associative annuali. Si trattò di un provvedimento, inizialmente su base volontaria e reso obbligatorio nel 1887, che mirava da un lato a selezionare l'accesso alla massoneria, limitandolo alle classi medio-alte e precludendolo a quelle popolari, dall'altro a dotarla delle risorse economiche indispensabili per svolgere un ruolo più incisivo nella vita pubblica del paese. Egli concepì infatti la massoneria come uno strumento per orientare l'opinione pubblica, condizionare il ceto politico e mobilitare la società civile al fine di rafforzare lo Stato nato dal Risorgimento, emarginare la Chiesa e le organizzazioni cattoliche, realizzare una serie di riforme sociali e politiche di schietta matrice laica e progressista. Egli tentò di raggiungere questi obiettivi soprattutto a partire dal gennaio 1885, quando venne eletto gran maestro del Grande Oriente d'Italia, carica che conservò fino al dicembre 1895. Dal 1887 egli la cumulò a quella di sovrano gran commendatore del rito scozzese, che riuscì a riunire anche in Italia in una sola organizzazione.
La sua permanenza ai vertici della massoneria coincise con la guida del governo italiano di F. Crispi, cui lo legarono una stretta amicizia e la condivisione delle principali scelte politiche (il riformismo laico del primo periodo di governo, l'ostilità verso la Francia, il colonialismo, le misure repressive contro i Fasci siciliani e le organizzazioni anarchiche e socialiste). Proprio il legame instaurato con lo statista siciliano gli attirò l'accusa di aver trasformato la massoneria in una organizzazione fiancheggiatrice e subalterna del governo, le cui scelte impopolari finirono per ritorcersi contro la stessa istituzione liberomuratoria e alimentarono una vivace fronda interna.
Il L. fu accusato anche di ricavare benefici personali dall'amicizia con Crispi, come accadde per esempio nel 1889, quando una ditta americana, di cui il gran maestro era il rappresentante in Italia, ottenne mediante trattativa privata di fornire al Monopolio il tabacco occorrente per un anno. Nel 1894, quando il suo nome comparve fra quelli dei personaggi coinvolti nello scandalo della Banca romana, per il L. iniziò un rapido declino, che coincise nei tempi con quello dell'amico Crispi e che fu scandito da violente campagne di stampa contro di lui e contro l'organizzazione liberomuratoria.
All'interno della massoneria, dopo il 1896, gli restò unicamente la carica di sovrano gran commendatore del rito scozzese, che conservò fino alla morte, avvenuta a Firenze il 23 maggio 1906.
Opere. Fra le opere del L., perlopiù discorsi pronunciati in veste di alto dirigente della massoneria italiana, si vedano: Discorso pronunziato all'agape del 27 genn. 1888 per iniziativa delle logge di Roma, Roma 1888; Alle officine ed ai fratelli di Napoli firmatari della lettera da essi diretta, il 19 ott. 1890, al gran maestro, al delegato sovrano gran commendatore, ibid. 1890; Discorsi pronunziati nei ricevimenti massonici di Livorno, Genova, Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Reggio Calabria, Palermo, Napoli e Roma, ibid. 1893; La massoneria e la questione sociale. Discorso pronunziato in Roma la sera del 28 genn. 1894, Milano 1894; Discorso pronunziato il 30 sett. 1894 in Milano per l'inaugurazione della conferenza massonica, Firenze 1894.
Dal matrimonio del L. con Anna Parini nacque a Ginevra, il 1° nov. 1857, Silvano. Questi, trasferitosi giovanissimo a Firenze, si occupò delle attività imprenditoriali e finanziarie del padre, in specie nell'ambito della manifattura dei tabacchi. A lui si deve, dopo un viaggio in Oriente, la prima fabbricazione a Firenze della sigaretta "Macedonia".
Impegnato nella diffusione delle società del tiro a segno, nelle quali la Sinistra democratica intravedeva un mezzo per affermare l'idea della nazione armata, presiedette il primo congresso nazionale di tali associazioni, che si svolse a Firenze nel maggio 1887 e scrisse in merito un volumetto a scopo propagandistico: Il tiro a segno nazionale e il suo avvenire (Firenze 1892). Esponente delle correnti radicali fiorentine, aderì al Fascio della democrazia e si batté per una politica riformistica e legalitaria.
In un articolo del 1885 indicò fra le priorità dell'impegno politico radicale il suffragio universale, la tassazione progressiva con limitazioni al diritto di successione e la consegna delle terre ai contadini sotto la sorveglianza delle amministrazioni comunali.
Nel 1887 fu il primo radicale a essere eletto nel Consiglio comunale di Firenze, dove, riconfermato nel 1888, rappresentò l'avanguardia di quell'opposizione democratica che nell'ottobre 1889, insieme con i liberali progressisti, conquistò il Municipio strappandolo ai moderati e ai conservatori. Silvano entrò così a far parte della prima giunta democratico-liberale della Firenze postunitaria, guidata dal sindaco F. Guicciardini. Allontanatosi poi dalle posizioni dei democratici, nel novembre 1890 contribuì alla crisi della giunta e da allora si avvicinò all'Unione liberale, che lo candidò alle successive elezioni.
Affiliato alla massoneria, fece parte del Consiglio direttivo del Grande Oriente d'Italia e nel giugno 1896 entrò nella giunta guidata da E. Nathan con la carica di tesoriere (dal novembre 1899 ricoprì invece l'incarico di primo sorvegliante).
Nelle elezioni suppletive del dicembre 1899 nel collegio di Pistoia II egli fu presentato dall'Unione liberale, ma risultò sconfitto. In questa occasione, peraltro, gettò le basi per un futuro successo: nel giugno 1900 fu eletto deputato nel collegio di Pistoia II con 1839 voti, ma non poté completare neppure il primo anno di mandato, poiché morì a Roma il 23 maggio 1901.
Fonti e Bibl.: L'archivio del L. è conservato a Roma presso l'Istituto italiano per la storia del Risorgimento: per una sua descrizione v. E. Morelli, L'archivio di A. L., in Rass. stor. del Risorgimento, XVI (1938), pp. 1729 s. Fra le lettere pubblicate, la serie più interessante è costituita da quelle indirizzategli da Mazzini, ben centoquarantasette fra il 1847 e il 1872, in Edizione nazionale degli scritti di G. Mazzini, Indici, I, Epistolario, pp. 208-211; importanti nuclei di lettere in L. Pescetti, A. L. e N. Tommaseo (lettere inedite), in Boll. stor. livornese, IV (1940), pp. 131-135; L. Kossuth nel suo carteggio con A. L., 1851-52, a cura di L. Pasztor, Roma 1947; Epistolario di C. Cattaneo, a cura di R. Caddeo, III, Firenze 1954, ad ind.; S. Gallo, La Lega della democrazia (1879-1883) e le lettere inedite di A. Mario ad A. L. e a G. Carducci, in Boll. della Domus Mazziniana, XXVI (1980), 2, pp. 207-238; Un'amicizia massonica. Carteggio Lemmi - Carducci, con documenti inediti, Foggia 1991.
Sul L. cfr. G. Guerzoni, Garibaldi, Firenze 1882, passim; La colpa più grave e più comune che l'autore G.G. Seraffini dedica all'esimio cittadino A. L. meritissimo capo supremo della massoneria italiana, Roma 1888; D. Margiotta, Souvenirs d'un trente-troisième. A. L. chef suprême des franc-maçons, Paris 1894; P.A. Giorgi, Il trionfo del Grande Oriente in Italia, A. L., Roma 1895; Rivista massonica, XXXVII (1906), 3-4, pp. 98-114; U. Bacci, Il libro del massone italiano, II, Roma 1911, pp. 370 ss. e passim; A. Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano, II, Bologna 1925, pp. 125-192 e passim; G. De' Neri, G. Carducci e l'apostolato massonico di A. L., Roma 1946; E. De Leone, L'Impero ottomano nel primo periodo delle riforme (tanzîmât) secondo fonti italiane, Milano 1967, pp. 180 ss.; A. Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, Napoli 1969, pp. 84, 140, 254, 258, 264, 292, 485, 487, 519-521; R.F. Esposito, La massoneria e l'Italia dal 1800 ai nostri giorni, Roma 1969, ad ind.; E. Costa, L'espulsione di A. L. dal Regno di Sardegna nel marzo del 1853, in Mazzini e i repubblicani italiani, Torino 1976, pp. 239-259; Z. Ciuffoletti, Affarismo e lotta politica nell'impresa dei Mille: Garibaldi e le ferrovie meridionali, in Garibaldi e il socialismo, a cura di G. Cingari, Roma-Bari 1984, pp. 55-68; A.A. Mola, A. L. gran maestro della nuova Italia (1885-1896), Roma 1985; F. Cordova, Massoneria e politica in Italia, 1892-1908, Roma-Bari 1985, ad ind.; F. Conti, Laicismo e democrazia. La massoneria in Toscana dopo l'Unità (1860-1900), Firenze 1990, ad ind.; E. Cantarella, Le strade ferrate meridionali fra iniziativa privata e capitale pubblico, in C. Cattaneo e il Politecnico: scienza, cultura, modernità, a cura di A. Colombo - C. Montaleone, Milano 1993, pp. 169-198; A. Iacovella, Il triangolo e la mezzaluna. I Giovani Turchi e la massoneria italiana, Istanbul 1997, pp. 27 s.; Il percorso liberaldemocratico di E. Ferrari. Un percorso tra politica e arte, a cura di A.M. Isastia, Milano 1997, pp. 25, 32, 44, 73, 78, 96, 225; F. Rasi, L. A., in Encyclopédie de la franc-maçonnerie, diretta da E. Saunier, Paris 2000, pp. 488 s.; F. Conti, L'Italia dei democratici. Sinistra risorgimentale, massoneria e associazionismo fra Otto e Novecento, Milano 2000, ad ind.; Id., A. L. e la massoneria livornese fra Otto e Novecento, in Hiram, 2001, n. 4, pp. 67-71; Id., Storia della massoneria italiana. Dal Risorgimento al fascismo, Bologna 2003, ad indicem.
Su Silvano, cfr. Riv. della massoneria italiana, XXXII (1901), 9-11, pp. 131-137; N. Capitini Maccabruni, La Camera del lavoro nella vita politica e amministrativa fiorentina (dalle origini al 1900), Firenze 1965, pp. 42 s., 50-56, 58, 61 s., 76, 93, 99, 185; F. Cordova, Massoneria e politica, cit., pp. 51, 54, 56, 78, 81, 155, 166, 174; G. Spini - A. Casali, Firenze, Roma-Bari 1986, pp. 77 s.; L. Capello. Un militare nella storia d'Italia, a cura di A.A. Mola, Cuneo 1987, p. 150; R. Melchionda, Firenze industriale nei suoi incerti albori. Le origini dell'associazionismo imprenditoriale cento anni fa, Firenze 1990, pp. 318-328 e passim; G. Pécout, Les sociétés de tir dans l'Italie unifiée de la seconde moitié du XIXe siècle, in Mélanges de l'École française de Rome. Italie et Méditerranée, CII (1990), 2, p. 622; F. Conti, I notabili e la macchina della politica. Politicizzazione e trasformismo fra Toscana e Romagna nell'Età liberale, Manduria-Bari-Roma 1994, pp. 50, 61, 65, 85, 87, 167, 173 s., 191, 193, 200, 225, 237, 247; Massoneria e società civile. Pistoia e la Val di Nievole dall'Unità al secondo dopoguerra, a cura di F. Conti, Milano 2003, pp. 75, 81 s., 84 s.