LUALDI, Adriano
Nacque il 22 marzo 1885 a Larino, nel Molise, da Riccardo e da Italia Vianello Moro. Studiò con Stanislao Falchi al liceo musicale di S. Cecilia di Roma, dove portò a termine il corso di contrappunto e fuga nel 1906, e per un solo anno con Ermanno Wolf-Ferrari al liceo musicale Benedetto Marcello di Venezia, dove conseguì il diploma di composizione nel 1907, segnalandosi con la cantata Attollite gentes.
Nutrì un profondo senso di riconoscenza nei confronti dell'insegnamento di Wolf-Ferrari, al quale ascrisse il merito di averlo orientato verso le musiche e gli autori più significativi del passato: "Alle scapigliature e ai "modernismi" e agli estremismi di allora, eran contrapposti i nostri classici del Sei e Settecento, e i grandi polifonisti del Cinquecento. Molte e molte abluzioni, dunque, nelle acque del Golfo Adriatico. Non è da meravigliare se, anche in virtù di quelle, un po' di sale mi sia rimasto, oltre che nella zucca, anche sulla lingua e sulla punta della penna" (Il rinnovamento musicale italiano, Milano 1932, p. 79).
Tra il 1907 e il 1909 il L. fu maestro sostituto di Tullio Serafin e, soprattutto, di Pietro Mascagni, incarichi sui quali pose le basi della successiva carriera di direttore d'orchestra. Contemporaneamente esordì come compositore con due poemi sinfonici, L'albatro (1908) e La leggenda del vecchio marinaro (1910), e con un titolo per il teatro, le scene liriche in un atto Le nozze di Haura (1908), su libretto di Luigi Orsini (rivista nel 1913, l'opera andrà in scena per la prima volta al teatro dell'Opera di Roma nell'aprile del 1943).
Fin dai primi lavori il L. si dimostrò compositore strenuamente arroccato nei canoni della tradizione. Non si allontanò dall'armonia tonale e dal primato della melodia, nei quali individuava i tratti precipui dell'ideale nazionalistico da contrapporre con fervore polemico alle innovazioni linguistiche dei modernisti. Scarsamente dotato di capacità autocritica, raramente conseguì livelli accettabili sul piano dell'unità e del controllo stilistico. Fu invece provvisto di un apprezzabile senso del timbro strumentale, di cui faceva sfoggio soprattutto in contesti stilistici di fattura eclettica, inclinanti verso il pittoresco.
Spronato da Mascagni, a partire dalla metà degli anni Dieci si dedicò soprattutto all'opera, perseguendo un progetto di emancipazione dai soggetti veristici e di consolidamento della tipologia del teatro da camera. Scrisse la maggior parte dei libretti dei propri lavori, dando corso alla vocazione letteraria coltivata in gioventù, con evidenti calchi dannunziani in La figlia del re (Torino, teatro Regio, 1922). Sono però degni di considerazione soprattutto i titoli del genere comico e satirico, che rispecchiano gli insegnamenti e i modelli del maestro Wolf-Ferrari, talvolta coniugati con le sollecitazioni di soggetti arcaicizzanti, come nel Guerin Meschino, "leggenda medioevale per marionette" in un atto su libretto di Giovanni Cavicchioli (Roma, teatro dei Piccoli di Podrecca, 1920).
Tra i lavori di questo genere ebbero un buon successo gli atti unici Le furie di Arlecchino ("intermezzo giocoso per marionette viventi", su libretto proprio e di L. Orsini, Milano, teatro Carcano, 1915) e Il diavolo nel campanile ("grottesco", Milano, teatro alla Scala, 1925). Nel primo sono raggiunti effetti di vivacità e di dinamicità ritmica di tipo meccanico, da autentico teatro di marionette (nel 1916 il lavoro fu allestito anche a Roma dal teatro dei Piccoli). Nel secondo, un libretto bizzarro basato su situazioni stereotipe da opera buffa, liberamente ricavato da E.A. Poe, è preso a pretesto per un gioco di parodie, che sfocia nel finale in caotiche sovrapposizioni tonali.
Nel 1917 fu protagonista di un dibattito sul nazionalismo musicale, che si sviluppò sulle pagine della Rivista musicale italiana e di Musica, avendo come interlocutori Giacomo Orefice e Giovanni Tebaldini: il L. sostenne il più intransigente antimodernismo e assunse una posizione di chiusura netta verso le tendenze internazionali dei musicisti della generazione dell'80. Nel 1921 si associò alla Camerata italiana allora fondata a Milano da Renzo Bossi, Alceo Toni e Giulio Cesare Paribeni, allo scopo di promuovere esecuzioni di opere da camera di autori italiani contemporanei di orientamento stilistico moderato, affiancandole a riesumazioni di musiche antiche.
Negli anni Venti il L. intraprese un'intensa attività di critico musicale per vari quotidiani: nel 1922 per l'Ambrosiano e dall'anno successivo per il Secolo, che lasciò nel 1927 per La Sera. Alla critica militante affiancò le ricorrenti collaborazioni a periodici musicali e una serie di scritti di maggior respiro sulla musica italiana ed europea (in particolare il Viaggio musicale in Italia, Milano 1927, e il Viaggio musicale in Europa, ibid. 1928), che rimangono tra le espressioni paradigmatiche del lato più provinciale della cultura musicale fascista.
In essi il L. prese le distanze dai protagonisti del rinnovamento italiano: criticò implicitamente G.F. Malipiero, stigmatizzando il "culto dell'amorfo" e il "travestimento di venerande anticaglie", e A. Casella, disapprovando "l'applicazione puramente scientifica, fredda, crudele, senz'anima [(] delle nuove teorie della dodecafonia, della atonalità, della politonalità" (Viaggio musicale in Italia, p. 49). Inoltre, giudicò A. Schönberg un "tragico scocciatore" e la sua musica "arte brutale e cinicamente perversa" (Viaggio musicale in Europa, p. 22); si dichiarò avverso alla moda "cerebrale" della musica jazz, considerandola un malinteso calco occidentale dell'autentico primitivismo della musica africana; ciò non impedì, tuttavia, che in un'opera successiva, La luna dei Caraibi (Roma, teatro dell'Opera, 1953), egli utilizzasse ricorrenti inserti di "Negro spirituals" fuori scena, trattandoli alla stregua di materiali puramente esotici. In generale, invocò per la musica italiana il "dittatore" che sappia riformarne le strutture organizzative e risollevarne le sorti.
Ben inserito nell'Italia fascista fin dalla prima ora, promosse insieme con F. Alfano, Bossi e I. Pizzetti la Mostra del Novecento musicale italiano che si tenne a Bologna nel 1927, sotto il patronato di B. Mussolini. Ideata con il proposito di mettere in evidenza gli autentici valori musicali italiani, la manifestazione si svolse in una sola edizione, da più parti criticata per l'eterogeneo assemblaggio dei brani musicali eseguiti.
Negli anni Trenta le varie attività di compositore, direttore d'orchestra, critico musicale e organizzatore culturale svolte dal L. giunsero all'apice, grazie anche al ruolo, nel frattempo consolidato, di esponente "di partito" della politica musicale ufficiale del regime fascista. Nel 1929 fu eletto deputato nel Parlamento italiano in rappresentanza del Sindacato fascista dei musicisti e successivamente ricoprì l'incarico di consigliere nazionale alla Camera dei fasci e delle corporazioni, quale componente del Consiglio della corporazione dello spettacolo, in rappresentanza dei professionisti e degli artisti (XXX legislatura).
In quella veste, la politica culturale del L. si attestò su posizioni intermedie tra le aperture moderniste di Casella e gli inasprimenti reazionari e populisti di A. Toni: egli si dichiarò favorevole alla promozione di esperienze tra gli estremi di un'"arte barbara nichilista e snobista" e del "pacchianesimo nostrano e plebeo" (lettera a N. De Pirro del 14 genn. 1940, cit. in Nicolodi, 1984, p. 19). Dedicò quindi una serie di scritti alla propaganda culturale fascista: Arte e regime (Roma-Milano 1929), Per la musica contemporanea italiana (Roma 1935), Per il primato spirituale di Roma (ibid. 1942).
Come compositore, il L. concorse al clima dell'epoca con un lavoro teatrale sul testo del figlio Maner, la "leggenda mimata e danzata" Lumawig e la saetta, ispirata alla retorica coloniale fascista (Roma, teatro dell'Opera, 1937), e con brani sinfonici improntati ora al mito mediterraneo dell'italianità (Suite adriatica, 1932), ora al clima da festa di strapaese (Samnium, 1938). Come organizzatore, fu tra i fondatori nel 1930 del Festival internazionale di musica di Venezia, creato con lo scopo di affiancare le esposizioni di arti figurative della Biennale: fu una delle iniziative più prestigiose della politica culturale del regime fascista in campo musicale, e per i giovani musicisti italiani rappresentò un'occasione di confronto con le esperienze straniere.
Il L., avvalendosi della collaborazione di personalità distanti da lui, come Casella e M. Labroca, presiedette il Festival fino al 1936, curando i programmi delle prime tre edizioni (1930, 1932, 1934). Pur nell'eclettismo di fondo che ispirò le scelte del L., finalizzate all'assemblaggio di concerti sinfonici e da camera, rappresentazioni operistiche e concerti di musica antica, la direzione del L. favorì apertamente la produzione di nuove opere da camera di autori italiani e stranieri: nell'edizione del 1932, per esempio, il L. mise in scena la prima rappresentazione italiana di El retablo de maese Pedro di M. de Falla, diretta dall'autore, insieme con La favola d'Orfeo di Casella, la prima assoluta di Pantèa di Malipiero e la propria opera in un atto La granceola. Sempre nel 1932 al Festival si affiancò un concorso di "musica radiogenica", realizzato in collaborazione con la Società anonima fabbriche apparecchi radiofonici e l'EIAR; fu la prima esperienza italiana volta a favorire la produzione di opere espressamente destinate alla diffusione attraverso il mezzo radiofonico (tra i premiati i giovani L. Dallapiccola e N. Rota). Va inoltre riconosciuto alla direzione del L. il merito di aver ospitato nei programmi del Festival veneziano novità assolute o prime esecuzioni italiane di composizioni di autori altrimenti di raro ascolto nella programmazione musicale nazionale, come B. Bartók, P. Hindemith, D. Milhaud, Z. Kodály, A. Skrjabin (1930), I. Stravinskij (1932), A. Berg (1934).
Nel frattempo la carriera di direttore d'orchestra del L. giunse al culmine con una serie di tournées concertistiche all'estero. Si esibì nel 1932 in America del Sud, nel 1933 in Unione sovietica, nel 1935 in Germania, nel 1939 in Francia; trasse spunto dall'esperienza professionale per produrre un manuale di direzione orchestrale (L'arte di dirigere l'orchestra, Milano 1940) e dai soggiorni all'estero per resoconti sulle diverse situazioni musicali:Viaggio musicale nel Sud-America, ibid. 1934; Viaggio musicale nell'URSS, ibid. 1941, ma già apparso a puntate in La Gazzetta del popolo nel 1933 e subito presentato in omaggio a Mussolini con la precisazione di averlo scritto "dopo aver veduto da vicino cosa sia "comunismo" - come l'ex voto offerto da un italiano al Duce "per lo scampato pericolo"" (lettera a Mussolini dell'11 dic. 1933, in Nicolodi, 1984, p. 343).
Nel 1934 si fece promotore presso Mussolini di un progetto, che non ebbe esito, per l'edificazione di un palazzo della musica a Milano. Fu critico musicale ufficiale del Giornale d'Italia dal 1936 al 1942, anno in cui fu nominato direttore del conservatorio di S. Pietro a Majella di Napoli (carica che ricoprì fino al 1944). Nell'istituto napoletano fondò l'orchestra da camera del conservatorio, con la quale tenne numerosi concerti in Italia, effettuò registrazioni discografiche e compì varie tournées in Germania tra il 1939 e il 1945, proponendo spesso musiche, da lui stesso trascritte, di autori del Settecento napoletano come F. Durante, G. Paisiello, G.B. Pergolesi, N. Porpora.
Nel 1941 fece parte della Commissione per l'autarchia degli studi musicali, istituita dal ministro dell'Educazione G. Bottai e presieduta da Pizzetti, allo scopo di normalizzare il lessico musicale e di ristrutturare dalle radici la didattica musicale, sostituendo con testi e opere di autori italiani i testi e le opere di autori stranieri ancora in uso negli istituti musicali e nei conservatori. Nel secondo dopoguerra, con la progressiva apertura della musica italiana verso le più avanzate tendenze internazionali, la figura del L. - ampiamente compromessa con il regime fascista e risolutamente attestata su posizioni reazionarie e conservatrici - fu relegata sempre più ai margini. Il L. non perse tuttavia la carica polemica e iconoclasta nei confronti della musica moderna, tanto che nella versione de Il diavolo nel campanile, approntata per la rappresentazione al Maggio musicale fiorentino del 1954, sostituì il finale originale con una Passacaglia del mondo alla rovescia, caricatura esplicita della dodecafonia.
Nel 1947 assunse la direzione del conservatorio di Firenze e la tenne fino al 1956. Tra le ultime composizioni del L. figura l'opera in quattro atti Il testamento di Euridice, trasmessa eseguita dalla RAI nel 1962, nella quale l'uso dell'antico Epitaffio di Sicilo introduce tratti suggestivi di arcaismo. Nei suoi ultimi anni il L. raccolse e pubblicò in volume i libretti delle proprie opere teatrali, sotto il titolo La bilancia di Euripide: 10 libretti d'opera (Milano 1969; con catalogo delle opere a cura di M. Morini).
Il L. morì a Milano l'8 genn. 1971.
Fonti e Bibl.: A. Della Corte, La figlia del re (tragedia musicale di A. L.), in Arte e vita, III (1922), pp. 210-217; F.B. Pratella, "La figlia del re" di A. L., in Pensiero musicale, II (1922), pp. 108 s., 220-227; C. de Mohr, "Il diavolo nel campanile" di A. L. alla Scala, in Musica e scena, II (1925), pp. 3-7; A. Veretti, A. L., in Riv. musicale italiana, XXXV (1928), pp. 105-123; F. Abbiati, Musicisti contemporanei: A. L., in Emporium, LXX (1929), pp. 231-238; G. Confalonieri, L'opera di A. L., Milano 1932; G. Cogni, Le opere teatrali di A. L., in Retroscena, XX (1953), pp. 22 s., 30-32; G. Confalonieri, Il diavolo nel campanile, in Maggio musicale fiorentino, 1954, pp. 7-9; R. Smith Brindle, Current Cronicle: Italy, in Musical Quarterly, LX (1954), pp. 385-387 (su Il diavolo nel campanile); F. Nicolodi, Su alcuni aspetti dei Festivals tra le due guerre, in Musica italiana del primo Novecento. "La generazione dell'80". Atti del Convegno,( 1980, a cura di F. Nicolodi, Firenze 1982, pp. 141-203; F. Nicolodi, Musica e musicisti nel Ventennio fascista, Fiesole 1984, ad ind. (alle pp. 342-348 il carteggio con Mussolini); R. Zanetti, La musica italiana del Novecento, Busto Arsizio 1985, pp. 381-383, 537-539, 550-552, 588, 614-619, 839, 850; Chr. Flamm, "Chi non è con, è contro". A. L.s "Viaggio musicale nell'URSS" als Spiegel totalitärer Kulturpolitik in den 1930er Jahren, in "Vanitatis fuga, aeternitatis amor". W. Witzenmann zum 65. Geburtstag, a cura di S. Ehrmann-Herfort - M. Engelhardt, Laaber 2005, pp. 583-633 (Analecta musicologica, 36); Enc. dello spettacolo, VI, coll. 1685 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, IV, pp. 507 s.; The New Grove Dict. of music and musicians (ed. 2001), XV, pp. 260 s.