SALANI, Adriano
SALANI, Adriano. – Nacque a Firenze il 17 ottobre 1834, come attestano i registri battesimali del Battistero di Firenze e la lapide nel fiorentino cimitero di Soffiano, e non il 18 ottobre, come finora unanimemente riportato dalla bibliografia.
Figlio di Maria Luisa Giannoni e di Giuseppe, un fruttivendolo, frequentò la prima elementare e aiutò il padre in bottega, ma si sentì sempre attratto dalla lettura e dalla carta stampata. Così nel 1848 iniziò la sua carriera nel mondo del libro, prima come garzone di Luigi Niccolai, poi come tipografo compositore da Giuseppe Mariani e da Felice Le Monnier e, infine, nel 1859 come proto nella stamperia di Francesco Spiombi. Vero uomo del popolo, capì che anche i ceti meno abbienti avevano bisogno e diritto alle proprie letture. Fu proprio dall’esperienza fatta presso la tipografia Spiombi che iniziò a prendere forma in lui il progetto di far circolare letteratura popolare (libretti e canzonette) di qualità, ovvero stampata bene e su buona carta, così come fu qui che imparò la differenza tra tipografo ed editore, cioè tra un lavoro finanziato su commissione – di fatto senza rischio d’impresa – e una dimensione propriamente imprenditoriale, cui era necessaria per il successo l’individuazione di un pubblico e quindi di un mercato. Successivamente assunse la direzione della stamperia Marchini, «che diede a Salani [...] una visione di assieme dell’impresa, e quindi un’esperienza quanto mai appropriata per chi ambiva a farsi imprenditore in prima persona» (Gigli Marchetti, 2011, p. 14). Il progetto si concretizzò il 2 novembre 1862, quando dopo anni di economie riuscì ad aprire la sua tipografia in una delle strade della vecchia Firenze, via San Niccolò.
Si trattava di una specie di stalla con un solo torchio di legno e una cassetta di caratteri, in cui lui da solo era proto, compositore e torcoliere: da qui iniziarono a uscire poco più che fogli volanti, opuscoli a 5-10 centesimi e libretti a 15 centesimi, riportanti fatti di cronaca nera, canti patriottici, inni sacri e profani, aneddoti su miracoli, storie in sesta e ottava rima, racconti di amori infelici, imprese di briganti e vite di popolari personaggi della storia risorgimentale (che gli garantivano una «contropartita di incassi proporzionali a quella popolarità», Faccioli, 1983, p. 373). Questa letteratura, pensata e fatta per il popolo, in epoche in cui non esistevano le edizioni straordinarie dei quotidiani, rientrava a pieno nella categoria della cosiddetta «letteratura muricciolaia», secondo l’icastica definizione di Francesco Novati, ossia in parte legata all’effimero e alla divulgazione per opera di strilloni che la affiggevano sui muri e la reclamizzavano nelle piazze, nelle fiere e nei mercati: letteratura di colportage, venduta a pochi centesimi, e dunque facilmente accessibile a chi non poteva permettersi pubblicazioni costose.
Salani editore-imprenditore fu dotato di uno straordinario intuito commerciale che gli consentì di individuare il suo pubblico in una classe che, grazie alle leggi prima Casati (1859) e poi Coppino (1877) sull’obbligatorietà dell’istruzione elementare e alla riforma elettorale del 1882 (ampliamento del suffragio a chi avesse frequentato almeno la seconda elementare), si stava alfabetizzando, e dunque necessitava di testi alla sua portata: «egli interpretava il gusto di tutta una classe, e si preparava una clientela affollata di semianalfabeti, di abbachinisti, risvegliantisi al rombo dell’era nuova, i quali volevano leggere, sapere, avanzare, arrivare» (Adriano Salani..., 1910, pp. 22 s.). In una Firenze in cui già Le Monnier e Barbera stampavano per un’élite culturale con pubblico selezionato e basse tirature, Salani si dedicò agli strati più umili della popolazione, fornendo loro «libri buoni e a buon prezzo», pur senza alcuna pretesa di riformare, educare o convertire: una produzione talvolta ridanciana e scollacciata, ma mai immorale. Egli fu editore popolare «in quanto produceva forme di cultura che [fossero] vicine alla comprensione di un pubblico medio-basso con lo scopo di allargare la cerchia della sua clientela» (Faccioli, 1983, p. 379). Angelo Fortunato Formíggini, nel suo Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani (1928), parlava in modo iperbolico di piroscafi che salpavano per le Americhe con le stive piene di libri dell’editore fiorentino destinati agli emigrati: forse troppo, considerato l’alto tasso di analfabetismo esistente tra gli italiani in cerca di fortuna nel Nuovo Mondo, ma certo era vero che Salani contribuì a stimolare all’istruzione il proletariato urbano. Dai fogli volanti si passò così a volumi veri e propri nelle due collane di punta, la Biblioteca economica Salani e la Biblioteca Salani illustrata, vendute a un massimo di 2 lire per volume, e per longevità un notevole successo lo ottennero anche le collane teatrali, la Collezione di farse italiane e straniere e la Collana di farse, monologhi, commedie e vaudevilles, ulteriore prova della sensibilità dell’editore nei riguardi della domanda popolare.
Dopo aver stampato alcuni opuscoli ostili al governo unitario e nostalgici del Granducato (1864), che gli costarono diversi capi d’imputazione – offesa alla persona del re, adesione a una diversa forma di governo, minaccia all’ordine monarchico costituzionale – da cui venne poi assolto, si allineò a posizioni politicamente ortodosse. Grazie alla collaborazione con Cesare Causa, autore di vari Segretari galanti, accentuò infatti in senso educativo la sua produzione, offrendo una precettistica d’uso domestico molto rassicurante, anche socialmente; analogamente, la scelta di presentare il romanzo storico in edizione economica (Alessandro Manzoni, Massimo D’Azeglio, Francesco Domenico Guerrazzi, Cesare Cantù, Tommaso Grossi) era in linea con coeve esperienze di definizione di una memoria collettiva nazionale.
Una volta varcati i confini di Firenze e della Toscana con le sue pubblicazioni, agevolato dal potenziamento del sistema postale e dall’abbattimento delle barriere doganali del neonato Stato unitario, per tenere testa alla concorrenza di altre fiorenti case editrici come le milanesi Sonzogno e Treves, allargò il suo bacino d’utenza rivolgendosi a un pubblico piccolo-borghese e femminile. Si aprì così alla letteratura francese d’appendice, Octave Feuillet, Pierre Alexis Ponson du Terrail, Eugène Sue (I misteri di Parigi), Paul de Koch, ma anche Victor Hugo, Guy de Maupassant, Émile Zola, Gustave Flaubert, e altri classici contemporanei come Lev Tolstoj e Fëdor Dostoevskij, né sarebbero potuti mancare i feuilletonisti nostrani come Francesco Mastriani (Pasquale Passaguai). L’editore aveva intuito le potenzialità del feuilleton come declinazione del romanzo popolare, un romanzo, cioè, che strizzando l’occhio alla letteratura socialista, si faceva portavoce di problemi sociali e più genericamente contemporanei.
Ma nell’ambito del romanzo popolare la vera autrice di spicco del catalogo fu la piemontese Carolina Invernizio, con cui Salani strinse un connubio professionale talmente felice da trovarle casa nel capoluogo toscano proprio davanti al suo stabilimento tipografico in viale Militare. Delle opere della scrittrice furono tirate circa 350.000 copie tra il 1891 e il 1900, comprese le più famose Rina o l’angelo delle Alpi (1884), La sepolta viva (1896), Il bacio d’una morta (1886). Il loro successo era dovuto a trame in cui uno scabroso fatto di cronaca si mescolava a una casta storia d’amore, ma anche alla presenza di accattivanti illustrazioni: Salani si era infatti procurato la collaborazione di illustratori come Carlo Chiostri, Ezio Anichini e Giovanni Costetti, che creavano per le copertine di Invernizio, ma non solo, disegni coinvolgenti che molto dovevano al taglio fotografico delle immagini di cronaca dei giornali, utili anche per una sicura individuazione del genere letterario da parte degli acquirenti. È stato detto che Invernizio fu «l’autrice fatta su misura per il Salani e per il suo pubblico» (Faccioli, 1983, p. 378): in effetti, come il suo editore, anche la scrittrice, incarnando la quintessenza del romanzo popolare in quanto prodotto mai problematico e paternalistico nei confronti degli ultimi della società, ambì a non svincolare mai le sue opere da un generico concetto di moralità.
Salani, garantendosi la collaborazione di esponenti della cultura fiorentina come Ildebrando Bencivenni, Mario Foresi, Giuseppe Baccini, Cesare Causa e Pietro Gori, tentò anche il salto di qualità in direzione di un pubblico borghese mediamente colto con l’edizione della Divina Commedia voltata in prosa da Foresi nel 1886, che rappresentò in questo senso un punto di svolta positivamente riconosciuto dalla comunità dei dotti: restavano i prezzi economici e la veste editoriale curata, ma si tentò di rendere più fruibili e quindi divulgabili testi di non immediata comprensione attraverso la parafrasi. Una netta preferenza andò ai classici della letteratura cavalleresca, agli scrittori burleschi e ai favolisti, ossia a generi letterari di più diretta comunicazione (e non a caso il primo ‘classico’ stampato fu il Canto settimo della Gerusalemme liberata nel 1867). Nel 1888 compì un salto di qualità anche a livello imprenditoriale, spostando la sua attività dalla centrale via San Niccolò al più periferico viale Militare (oggi viale dei Mille), e con il nome Stabilimento tipografico Salani le conferì un’organizzazione industriale, con un corpo redazionale, un ufficio tecnico e un ufficio commerciale.
Morì a Firenze il 29 novembre 1904, e lasciò la sua fiorente impresa al figlio Ettore, nato nel 1869 dal matrimonio con Annunziata Falciola avvenuto nel 1866 (gli altri figli furono Maria Amelia Cesira nel 1867, Zaira Maria Giuseppa nel 1871, Ezio nel 1869 e Oreste nel 1873, entrambi morti prematuramente).
La casa editrice passò così di generazione in generazione: Ettore nel 1937 la consegnò al figlio Mario, a cui spettò l’iniziativa del potenziamento del settore religioso – a scapito di letteratura ritenuta immorale come quella di Invernizio, che venne eliminata dal catalogo – e di quello della letteratura per ragazzi con la celebre collana della Biblioteca dei miei ragazzi. Alla morte di Mario, avvenuta nel 1964, l’attività passò in altre mani – per un certo periodo anche in quelle dell’attrice Gina Lollobrigida e del marito Milko Škofič – fino a che nel 1986 le sorti della discendenza Salani si sono separate definitivamente da quelle dell’azienda, che, con il prezioso patrimonio del suo archivio storico, fu rilevata dal milanese gruppo Longanesi di cui attualmente fa parte.
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio di Santa Maria del Fiore, Registri battesimali di San Giovanni, anni 1834, 1867, 1869, 1871, 1873.
S. Landi, Le nostre officine, A. S., in L’arte della stampa, giugno 1888, p. 523; A. S. tipografo editore fiorentino, Firenze 1910; E. Pistelli, Il Salani e Dante, in Il Marzocco, 3 luglio 1921; A.F. Formìggini, Dizionarietto rompitascabile degli editori italiani, compilato da uno dei suddetti, Roma 1928, pp. 8 s.; La casa editrice A. S. 1862-1962, Firenze 1962; E. Faccioli, Un editore popolare di orientamento moderato: A. S., in Editori a Firenze nel secondo Ottocento, a cura di I. Porciani, Firenze 1983, pp. 367-380; G. Tortorelli, La letteratura popolare, ibid., pp. 493-501; G. Solari, Produzione e circolazione del libro evangelico nell’Italia del secondo Ottocento, Manziana 1997, pp. 21-48; G. Bacci, Il progetto di digitalizzazione informatica dell’archivio disegni della casa editrice A. S., in La fabbrica del libro. Bollettino di storia dell’editoria in Italia, XV (2009), 2, pp. 44-47; Id., Le illustrazioni in Italia tra Otto e Novecento. Libri a figure, dinamiche culturali e visive, Firenze 2009, pp. 29-59 e passim; A. Gigli Marchetti, Libri buoni e a buon prezzo. Le edizioni Salani (1862-1986), Milano 2011; Da Pinocchio a Harry Potter. 150 anni di illustrazione italiana dall’archivio Salani 1862-2012, a cura di G. Bacci, Milano 2012; A. Levi, Si pecca ad ogni pagina. Le due vite di Carolina Invernizio, Pontedera 2013.