Adriano V
. Ottobono Fieschi, figlio di Tedisio e di Simona da Volta, nacque tra il 1210 e il 1215, dalla grande famiglia genovese, che aveva estesi feudi tra Sestri e Chiavari col titolo di conti di Lavagna.
La potenza della famiglia ebbe un notevole incremento, quando fu fatto papa, assumendo il titolo di Innocenzo IV, Sinibaldo Fieschi. Cominciò allora un'attenta politica di parentele - una Isabella fu moglie di Pietro de' Rossi, a Parma, e contribuì al distacco di questa città dall'alleanza con Federico II - e di favore ai suoi nipoti, che entrarono nella vita ecclesiastica, ricevendo cospicui benefici; due raggiunsero la dignità cardinalizia, appunto Ottobono e suo cugino Guglielmo.
Ottobono aveva certo già compiuti i suoi studi di diritto canonico, come tutto fa supporre, a Bologna, quando nella seconda promozione di cardinali fatta da papa Innocenzo IV nel dicembre 1251, venne nominato cardinale diacono di Sant'Adriano: dovette allora raggiungere subito la curia, ove è presente già dall'inizio di febbraio dell'anno successivo.
Durante il suo cardinalato al servizio della politica dello zio e degli altri successivi pontefici, Ottobono è di una vivacissima attività, addossandosi non pochi e grossi incarichi diplomatici. Fu spesso, dopo la morte dello zio, il portavoce degl'interessi di Genova in seno alla curia, influendo a sua volta sulla politica della città, specialmente al tempo della spedizione di Carlo d'Angiò contro Manfredi. Prima della venuta dell'Angioino s'era battuto perché il regno di Sicilia fosse dato a un principe inglese - si trattò prima di Edmondo, figlio di Enrico III d'Inghilterra e poi di Riccardo di Cornovaglia, secondogenito del re Giovanni Senzaterra. Voleva così evitare l'espansione del conte di Provenza al di là delle Alpi, prevedendone giustamente gli sviluppi, pericolosi per Genova, per tutta l'Italia settentrionale e per la piena autonomia dello stato della Chiesa. Si comprende facilmente, quindi, come egli sia stato inviato in Inghilterra per una complessa legazione, con la quale il papa mirava a ristabilire l'accordo tra il re d'Inghilterra, Enrico III, e i suoi vassalli; in questa missione diplomatica Ottobono Fieschi mostrò alte doti di negoziatore, vivace e attenta capacità, energia pronta e decisa. Eletto papa l'11 luglio 1276 dopo un conclave relativamente rapido grazie alle dure disposizioni stabilite da Gregorio X, che A. s'affrettò ad abrogare, si trasferì subito a Viterbo anche per evitare i miasmi malarici di Roma d'estate, ma, non più giovane e ormai malandato in salute, senza neppur esser consacrato pontefice, anzi non era ancora ordinato sacerdote, morì il 18 agosto dello stesso anno.
A. appare a D. steso sul pavimento del quinto girone del Purgatorio (XIX 79-145), fra gli avari e i prodighi. Virgilio aveva chiesto alle anime giacenti in terra da quale parte egli e D. dovessero procedere, e un'anima indica la via a destra. D. ottiene da Virgilio il permesso di parlare con l'anima, e questa si dà a conoscere adoperando una solenne espressione latina: scias quod ego fui successor Petri, ricordando la sua appartenenza ai conti di Lavagna, il suo breve pontificato, il disinganno nel constatare quanto fosse gravoso il gran manto e come non appagasse il cuore. Riuscì così a distaccarsi da ogni realtà mondana e specialmente dalla cupidigia di quei beni terreni, di cui era stato fino allora così avido. E distaccato si mostra anche dalla sua stessa famiglia, tutta malvagia, ormai, ove se ne eccettui Alagia Fieschi, moglie di quel Moroello Malaspina, marchese di Giovagallo in Lunigiana; questa sola - conclude A. con amarezza e nostalgia - di là m'è rimasa.
La figura di A. si presenta in D., dunque, pur nella brevità dell'episodio, con una ricchezza intensa e complessa di motivi, tenuti insieme dal tono fondamentale di un distacco che s'intride di profonda malinconia. Nasce questa dal rimpianto del tempo e delle occasioni di bene perdute durante la vita bugiarda, quando l'attività bruciante del diplomatico, in cui non s'acquetava il core, s'univa all'avarizia.
Quest'avarizia - che ha più volte inquietato i commentatori di D., i quali non trovano nei contemporanei riscontri puntuali alla grave accusa del poeta - non sembra riferirsi (D. gli fa dire: Fino a quel punto - cioè fino alla conversione - misera e partita / da Dio anima fui, del tutto avara) a fatti specifici e caratteristici, ma piuttosto alla condizione spirituale di coloro che vivendo in seno alla curia romana pensano solo alle decime e ai benefici, a impinguarsi nel corpo e nella borsa, senza prendersi pensiero per i poveri i quali solo son proprietari di tutto ciò di cui la Chiesa dispone.
Ciò ci sembra confermato da una circostanza finora sfuggita agli studiosi, e cioè che Ottobono Fieschi apparteneva al gruppo di quei prelati che davano l'impressione d'interessarsi solo alle Decretali, e in genere al diritto canonico, contro cui si leva, dura, l'invettiva di D. in Pd IX 132-138 e nell'Epistola XI ai cardinali italiani, tanto più che lo Speculum, che viene ricordato nell'Epistola, è lo Speculum iudiciale di Guglielmo Durand, dedicato dall'autore appunto al cardinale Fieschi nel 1271.
Un caso di corruzione operata con danaro su Ottobono Fieschi è però documentato a Siena. Questa città, per liberarsi dell'interdetto da cui era stata colpita per aver appoggiata l'impresa di Corradino nel 1268, mandò, nell'aprile del 1272, un notaio nella curia romana con l'incarico di accaparrarsi l'appoggio del cardinale col pagamento di 300 fiorini d'oro, pagamento che dovette esser gradito se pochi mesi dopo ne seguì un secondo di 600 libbre (cfr. Davidsohn, Forschungen IV 222 e Storia II II 173-174, ove si riporta anche un episodio perugino su Ottobono).
In A. la condanna dantesca della bramosia di potenza mondana e di ricchezza terrena s'approfondisce e diventa esemplare col porre in evidenza - sul piano dell'esperienza psicologica e individuale, proprio in chi con la dignità pontificale aveva raggiunto il culmine di ogni aspirazione umana - la nullità di ogni bene terreno.
Uno di questi beni è divenuto ormai anche quella potenza familiare per cui tutti i Fieschi - e non meno degli altri certo A. - avevano tenacemente operato. Nella nuova scala di valori, che nasce dalla dimensione di giudizio ultraterrena, tutta la grande famiglia è ormai malvagia; una sola persona è buona, quell'Alagia, che al poeta medesimo aveva mostrato non l'altezza del lignaggio, ma la bontà e la carità cristiana.
Quanto al fatto preciso della conversione un interessante contributo viene dall'approfondimento che di un passo del commento di Benvenuto ha realizzato U. Bosco. D. avrebbe ripresa, attribuendola ad A., una notizia del Policraticus di Giovanni di Salisbury, relativa al papa Adriano IV, in cui si riferisce dell'amarezza e delusione di quest'ultimo dopo l'elezione al trono pontificio.
Non ci sembra tuttavia che si possa escludere anche la possibilità di una tradizione familiare, di cui possa esser stato tramite a D. la stessa Alagia; a lei D. si richiamerebbe, per bocca dello stesso A., come a testimonianza e conferma, al di là di ogni intento encomiastico.
Bibl. - Su A. come figura storica si veda soprattutto N. Schöpp, Papst Hadrian V (Kardinal Ottobuono Fieschi), Heidelberg 1916; sulla sua legazione in Inghilterra del 1265 è fondamentale F.M. Powicke, King Henry III and the lord Edward. The Community of the Realm in the thirteenth Century, II, Oxford 1946, 526 ss. Quanto all'episodio dantesco gli spunti di maggior rilievo offerti dalle varie Lecturae Dantis e dai vari commenti antichi e moderni sono ripresi e acutamente discussi da U. Bosco, Adriano IV e Adriano V, in Dante vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 378-391. In proposito si vedano specialmente nell'op. cit., le pp. 87-88, 141-151. Buone osservazioni fa anche G. Paparelli, Adriano V e gli avari del Purgatorio, in Questioni dantesche, Napoli s.a. [ma 1967] 215-245. Per la dedica dello Speculum iudiciale di Guglielmo Durand ad A., si veda N. SCHöPP, op. Cit. 315-316 e n. 1.