adulti
Una fase della vita dai confini molto incerti
Adulto è ogni organismo vivente che abbia raggiunto la piena maturità fisica, un evento che a seconda delle specie può verificarsi a una distanza più o meno lunga dalla nascita. Per gli esseri umani, però, l'età e la maturità fisica non sono sufficienti per definire la condizione di adulto, che è associata a una serie di caratteristiche come l'autonomia, il senso di responsabilità, la capacità di decidere, che variano a seconda delle società, delle culture e delle epoche storiche.
Per gli esseri umani, come per tutti gli organismi viventi, l'età e la maturità fisica sono punti di riferimento di primaria importanza per stabilire il raggiungimento dell'età adulta. È facile però rendersi conto che si tratta di due elementi necessari ma non sufficienti a definire la condizione di adulto. Capita spesso di sentire frasi del tipo: "Quel ragazzo è un piccolo adulto!", "Quanto è adulto quel bambino!" riferite a voi stessi o a un vostro amico; o ancora: "Quell'uomo non è mai diventato adulto!", rivolta a un uomo di quaranta o cinquant'anni. Nel primo caso è chiaro che si tratta di un apprezzamento positivo, cioè dell'attribuzione, a chi non ha ancora l'età e la maturità fisica per essere considerato adulto, di qualità (capacità di decisione, senso di responsabilità, autonomia, serietà, e altro ancora) che si ritengono normalmente proprie dell'adulto. Nel secondo caso, invece, è evidente che si tratta di un giudizio negativo, che sottolinea l'assenza, in chi per età e maturità fisica dovrebbe già essere adulto, di qualità considerate proprie della condizione adulta. Questi esempi stanno a significare che il concetto di adulto è piuttosto complesso e difficile da definire: come stabilire una volta per tutte, per esempio, il grado di capacità di decisione, di responsabilità, di autonomia, di serietà necessario e sufficiente perché una persona possa a buon diritto essere considerata adulta? Altri aspetti che caratterizzano in genere l'adulto sono costituiti dall'esercitare un lavoro, dall'essere genitore, dall'adempiere consapevolmente una serie di doveri sociali.
Esiste un'età (in Italia fissata a diciotto anni) in cui si diventa maggiorenni, a partire dalla quale si assumono una serie di diritti e di doveri che fino allora non si possedevano. Un maggiorenne ha diritto di voto, può autonomamente decidere di sposarsi, di aprire un conto in banca, di costituire una società, può liberamente disporre dei propri beni: è considerato pienamente responsabile di tutti i suoi atti. Nel caso in cui trasgredisca una legge, per esempio, le sanzioni cui è sottoposto sono quelle previste per un adulto, più pesanti di quelle previste per un minorenne, non ritenuto ancora pienamente responsabile. Con il compimento del diciottesimo anno di età, cioè, si diventa a tutti gli effetti un soggetto giuridico ed economico. E questo anche nel caso in cui si seguiti a vivere con i genitori e si dipenda economicamente da loro. Ma si può considerare del tutto adulto un ragazzo in questa situazione?
L'etimologia del termine adulto (dal latino adultus "cresciuto") mette l'accento sull'aspetto biologico, cioè sul completo sviluppo fisico e mentale ‒ e implicitamente sull'aspetto anagrafico, cioè sull'età ‒, che però non è sufficiente, nel caso di un essere umano, a definire la condizione di adulto. La definizione di adulto deve tener conto di un insieme di fattori biologici, psicologici, socioculturali, morali e giuridici che ne rendono molto difficile una delimitazione univoca, rigida e coerente. Non è possibile, cioè, giungere a una definizione conclusiva di adulto, per cui tutti gli aspetti considerati finora, pur nella loro rispettiva importanza, hanno sostanzialmente una funzione orientativa. L'unico tentativo che si può fare in tal senso ‒ ma di cui vedremo tra poco la forte relatività ‒ ci porta a definire adulta una persona matura fisicamente e per età, in grado di condurre una vita autosufficiente e socialmente responsabile.
La difficoltà di dare una definizione generale del termine adulto emerge chiaramente se consideriamo che l'idea di adulto (come peraltro quelle di bambino, adolescente, anziano, vecchio) tende a cambiare in relazione alle diverse epoche storiche, alle differenti società e culture, alle condizioni materiali di vita, agli ambienti sociali di appartenenza. Ciò perché mutano sia i percorsi per diventare adulti sia il peso relativo dei vari aspetti che caratterizzano la condizione di adulto. È difficile stabilire strette analogie fra un adulto della nostra epoca e un adulto dell'antichità o del Medioevo, ma anche della metà del 20° secolo; fra un adulto europeo e uno di una società aborigena dell'Australia; fra un adulto di un paese in pace e di un paese in guerra; fra un adulto di classe media di una città e un adulto di una zona rurale. Si può dire che si diviene e si è adulti in modo diverso a seconda dell'intensità, della precocità e della qualità delle esperienze che la società ci impone, della durata media della vita, del grado di sviluppo della scienza, della tecnica e della relativa complessità dell'organizzazione sociale e così via. È comparabile, per esempio, l'idea di adulto di una società con un'aspettativa media di vita fra i trenta e i cinquant'anni ‒ come era fino a pochi secoli addietro e come è ancora in paesi afflitti dalla fame e dalla guerra ‒ con quella di una società come la nostra, in cui l'aspettativa media di vita si aggira ormai intorno agli ottant'anni? O quella di una società la cui economia si basi su forme elementari di coltivazione e di allevamento, in cui sono relativamente poche le tecniche e le regole da apprendere per la sopravvivenza e la convivenza sociale, con quella di una società industriale, caratterizzata da un'intensa e continua innovazione scientifica e tecnica, in cui il patrimonio culturale minimo da trasmettere richiede un lungo e organizzato periodo di formazione? O, ancora, quella di una società in cui si comincia a lavorare fin da bambini ‒ è il caso, per esempio, delle società arcaiche agropastorali, delle società europee all'epoca della Rivoluzione industriale, ma anche, al giorno d'oggi, di molti paesi poveri ‒, in cui buona parte della popolazione è analfabeta, con quella di paesi in cui il lavoro segue in genere un più o meno lungo periodo di formazione?
Queste diverse situazioni modificano sensibilmente non solo la concezione di adulto e i percorsi verso la condizione adulta, ma l'intera struttura delle fasi della vita: in determinati contesti sociali e culturali l'infanzia è brevissima, l'adolescenza e la fase adulta finiscono per coincidere, l'anzianità e la vecchiaia sono praticamente la stessa cosa; in altri l'infanzia ha una specifica identità e durata, l'adolescenza è alquanto prolungata, l'anzianità può anche superare i settant'anni, la vecchiaia inizia ben oltre. È evidente che qualcosa cambia anche per quanto riguarda l'essere adulto. Come le altre età della vita, anche quella adulta ha confini e caratteristiche che non sono solo biologiche, ma anche sociali e culturali, e che quindi variano nello spazio e nel tempo. Per fare un esempio, non molti decenni fa si diceva 'un uomo di venticinque anni' o 'un vecchio di sessant'anni', mentre oggi si tende a usare espressioni come 'un ragazzo di venticinque anni' e 'un uomo (o al più un anziano) di sessantacinque anni'.