La presente voce si propone di verificare l’evoluzione nel sistema processuale amministrativo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, chiamata oggi a risolvere controversie formulando un principio di diritto tendenzialmente vincolante per le sezioni semplici del Consiglio di Stato al fine di garantire stabilità delle decisioni e certezza del diritto amministrativo, in armonia con il canone costituzionale che colloca il Consiglio di Stato al vertice della tutela della giustizia nei rapporti tra amministrazione pubblica, cittadini e imprese (art. 100, co. 1, Cost.).
Quando venne istituita la IV sezione del Consiglio di Stato, la legge del 1889 prevedeva che nel caso in cui il punto di diritto sottoposto all’esame della IV sezione avesse dato luogo a decisioni tra loro difformi, la discussione del ricorso potesse avere luogo in seduta plenaria con il concorso di nove magistrati invece dei sette prescritti (art. 17, co. 4, l. 21.3.1889, n. 5992). La legge istitutiva della V sezione attribuì la facoltà a ciascuna delle due sezioni giurisdizionali, su richiesta delle parti o d’ufficio, di sottoporre alla neo istituita Adunanza plenaria, costituita annualmente di un presidente e nove magistrati (quattro consiglieri per ciascuna sezione giurisdizionale), la decisione sui conflitti di giurisdizione positivi o negativi fra le sezioni IV e V: dunque, per la risoluzione delle questioni di diritto che avevano dato luogo a difformi decisioni in sede giurisdizionale tra sezioni ormai dichiarate giurisdizionali (artt. 5, 22 e 37, R.d. 17.8.1907, n. 638).
L’art. 4 del t.u. Cons. St. (R.d. 26.6.1924, n. 1054), a sua volta, delineò meglio i caratteri dell’organo. Ogni anno dovevano essere designati con decreto reale «quattro consiglieri per ciascuna sezione giurisdizionale, che dovranno costituire, insieme con il presidente del Consiglio di Stato, l’adunanza plenaria e il segretario incaricato di assistervi». Dunque, nove componenti chiamati ad intervenire nella decisione e votare. Sempre il t.u. del 1924 stabilì che il presidente del Consiglio di Stato, che sino allora presiedeva solo l’Adunanza generale delle tre sezioni consultive, avrebbe presieduto anche l’Adunanza plenaria delle due sezioni giurisdizionali.
In occasione della istituzione della VI sezione venne stabilito che i componenti di quest’ultima sezione avrebbero concorso a costituire l’Adunanza plenaria «secondo le disposizioni del terzo comma dell’art. 45 del testo unico» (art. 1, d.lgs. 5.5.1948, n. 642).
In un primo momento, il rinvio al solo terzo comma (che indicava quali componenti dell’Adunanza il presidente e quattro consiglieri per ciascuna sezione) venne inteso alla lettera e si ritenne di mantenere fermo il numero di nove votanti indicato nel secondo comma dell’art. 45 del citato t.u.: quasi che la nuova disposizione del 1948 avesse innovato solo in ordine alla composizione dell’organo (dodici consiglieri) e non al numero dei votanti (nove). Per effetto di una sentenza creativa della Corte di cassazione (S.U., 11.10.1952, n. 3008), che all’epoca destò un acceso dibattito, la norma in esame venne intesa nel senso che il secondo comma dell’art. 45 del t.u. (relativo ai nove votanti), una volta istituita la VI sezione, fosse stato implicitamente abrogato per incompatibilità con il principio della «partecipazione paritaria delle tre sezioni» all’Adunanza plenaria, ritenuta dalla Corte “essenziale”. Di conseguenza, si stabilì che anche i quattro consiglieri della VI sezione dovessero aggiungersi a quelli delle altre due sezioni ai fini dell’integrazione del quorum occorrente per le deliberazioni delle decisioni. In tal modo, il numero dell’Adunanza plenaria si stabilizzò in tredici componenti: il presidente e dodici consiglieri. Composizione destinata a subire una variazione solo per il caso di deferimento all’Adunanza plenaria della cognizione di ricorsi da parte del Consiglio di giustizia amministrativa per la regione Sicilia per il caso di contrasti giurisprudenziali con le sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato: in tal caso, del collegio giudicante avrebbero fatto parte anche due magistrati del Consiglio di giustizia, portando il numero dei votanti a quindici (cfr. art. 5, co. 4, d.lgs. 6.5.1948, n. 654). Accanto ai membri effettivi, il regolamento di esecuzione del 1907 (R.d. 17.8.1907, n. 642) prevedeva la nomina di tre consiglieri supplenti (art. 70): uno per ciascuna delle sezioni.
Le disposizioni intervenute successivamente avrebbero ribadito l’assetto dell’Adunanza plenaria. In particolare, dopo l’istituzione dei Tribunali amministrativi regionali avvenuta con la l. TAR del 1971, venne costituito dalla l. 27.4.1982, n. 186 l’Ordinamento della giurisdizione amministrativa recante norme di organizzazione di quella che ormai era divenuta la giustizia amministrativa nell’epoca costituzionale. La l. n. 186/1982, dopo aver confermato in tredici il numero dei votanti dell'Adunanza plenaria (e in tre i membri supplenti), ha definitivamente attribuito al presidente del Consiglio di Stato il potere di scelta dei componenti e dei supplenti (artt. 1 e 5): potere, che, tuttavia, sarebbe stato esercitato «sentito il Consiglio di Presidenza» ai sensi dell’art. 13 della stessa l. n. 186/1986. In caso di assenza e di impedimento, sempre il presidente del Consiglio di Stato «è sostituito dal presidente di sezione giurisdizionale più anziano nella qualifica».
Distinta dall’Adunanza plenaria è l’Adunanza generale del Consiglio di Stato, chiamata ad esprimere pareri su questioni di particolare rilevanza (cfr. art. 12, d.P.R. 24.11.1971, n. 1199). L’Adunanza generale è composta da tutti i magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato e il C.g.a. per la Regione Siciliana (art. 3, l. n. 186/1982) ed è presieduta dal Presidente del Consiglio di Stato.
Il nuovo codice del processo amministrativo del 2010 (d.lgs. 2.7.2010, n. 104) non ha modificato il numero dei componenti dell’Adunanza plenaria. L’art. 6, co 3, c.p.a. stabilisce che «salvo quanto previsto dalle norme di attuazione richiamate al comma 6, l’adunanza plenaria è composta dal presidente del Consiglio di Stato che la presiede e da dodici magistrati del Consiglio di Stato, assegnati alle sezioni giurisdizionali».
Il rinvio alle norme di attuazione concerne la già illustrata questione della integrazione dell’Adunanza plenaria dovuta alle disposizioni che regolano il funzionamento del C.g.a. - (su cui cfr. ora l’art. 10, co. 4, d.lgs. 24.12.2003, n. 373). Il deferimento della causa dal C.g.a. all’Adunanza plenaria può aver luogo in qualunque fase del procedimento e genera una traslazione del potere decisorio, del quale l’organo di giustizia siciliano si spoglia in favore dell’Adunanza plenaria.
Se il numero non è mutato, è cambiata la composizione dell’Adunanza plenaria. Istituita la terza sezione giurisdizionale (ai sensi dell’art. 1, co. 5, l. n. 186/1982), si è reso necessario integrare nell’Adunanza anche i magistrati di quest’ultima sezione, proprio in adempimento del menzionato art. 6 del codice del processo amministrativo che stabilisce un nesso tra il numero dei componenti e le sezioni giurisdizionali esistenti o, eventualmente, istituite (come accaduto per la terza sezione, che da consultiva è diventata giurisdizionale). Il risultato, del resto, rispecchia il sempre valido principio della “partecipazione paritaria” delle sezioni.
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato aveva fondamentalmente la funzione di dirimere i contrasti di giurisprudenza insorti tra le sezioni giurisdizionali e tra il C.g.a. e lo stesso Consiglio di Stato. La classica funzione di cd. nomofilachia che l’ordinamento assegna ad ogni giurisdizione apicale al fine di assicurare una tendenziale uniforme osservanza della legge, cui tradizionalmente veniva esclusa una pretesa di vincolatività de jure.
L’art. 45 t.u. Cons. Stato stabiliva che ogni sezione, rilevato che il punto di diritto sottoposto al suo esame potesse dar luogo a contrasti giurisprudenziali, poteva, su richiesta delle parti o di ufficio, rimettere il ricorso all’Adunanza plenaria.
La stessa norma stabiliva anche che il Presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d’ufficio, poteva deferire all’Adunanza plenaria qualunque ricorso che rendesse necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza.
Istituito il Consiglio di giustizia amministrativa presso la Regione Sicilia, il potere di deferimento fu esteso anche a questo Giudice, stabilendosi che si potessero deferire all’Adunanza plenaria non solo le questioni che avevano provocato contrasti in giurisprudenza, ma anche quelle che avrebbero potuto provocare contrasti.
Per tale ragione venne così modificato l’art. 45, t.u. Cons St. dall’ art. 5, l. 21.12.1950, n. 1018, con la previsione dell’autonomo potere del Presidente del Consiglio di Stato di deferire la questione all’Adunanza plenaria.
La funzione dell’Adunanza plenaria è rimasta immutata dopo il varo della l. TAR del 1971 (istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali) e della l. 21.7.2000, n. 205: dirimere contrasti giurisprudenziali su particolari “questioni di diritto”. Funzione che era ricollegata – a sua volta – alla competenza esclusiva del Consiglio di Stato quale giudice di appello.
La dottrina dell’epoca escludeva che le relative pronunce potessero avere carattere vincolante, malgrado l’innegabile autorità da cui le stesse provenissero.
Sulla non vincolatività concordava in linea di principio lo stesso Giudice amministrativo, ma avvertiva il pericolo che una ribellione potesse scolorire, di fatto, la stessa funzione che la legge affidava all’Adunanza plenaria. Ragione per cui la sezione semplice non poteva decidere “in difformità” rispetto al decisum dell’Adunanza plenaria, fatte salve le ragioni di grave dissenso (Cons. St., IV, 29.11.1961, n. 680).
In tale modo di argomentare emerge implicitamente come i giudici amministrativi, per quanto ossequiosi del tradizionale principio che vuole il giudice soggetto alla legge e non creatore di diritto, fossero poco inclini a ritenere non vincolante il precedente. Come dimostra, ancora, l’avvertita necessità di ricorrere all’overruling, cioè alla modifica del precedente errato, per discostarsi dal precedente stesso. Operazione di certo inutile per un precedente ritenuto solo persuasivo o, lato sensu, morale.
Si assisteva così ad un tentativo di teorizzare almeno la semi-vincolatività del precedente laddove, ad esempio, veniva affermato che la pronunzia dell’Adunanza plenaria condiziona “necessariamente” le successive decisioni delle singole sezioni, sul punto di diritto di cui trattasi. Il vincolo non poteva essere solo di carattere “morale” perché ogni giudice, nelle proprie pronunzie, deve osservare tra l’altro il principio costituzionale della uguaglianza dei cittadini davanti alla legge: il che presuppone l’uniforme interpretazione e applicazione della stessa. Argomento dal quale si traeva l’altro secondo cui sul piano giuridico sussiste un generale «dovere per gli altri organi del Consiglio di conformarsi alle decisioni dell’Adunanza plenaria»: in caso contrario, «si violerebbe, sostanzialmente, un principio costituzionale, fondamentale, di ogni Stato libero» (Levi Sandri, L., L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 1312).
L’art. 99 c.p.a. delinea un nuovo ruolo per l’Adunanza plenaria ed il suo presidente.
a) Il primo comma dell’art. 99 affida alla sezione la facoltà di rimettere il ricorso all’esame dell’Adunanza plenaria se il punto di diritto sottoposto al suo esame «ha dato luogo o possa dare luogo a contrasti giurisprudenziali». La rimessione potrà avvenire in tal caso «su richiesta delle parti o d’ufficio» con ordinanza della sezione.
b) Il secondo comma dell’art. 99 affida al Presidente del Consiglio di Stato la facoltà, sempre su richiesta delle parti o d’ufficio, di deferire all’Adunanza plenaria prima della decisione «qualunque ricorso, per risolvere questioni di massima di particolare importanza ovvero per dirimere contrasti giurisprudenziali». L’unica novità rispetto all’impianto previgente è rappresentata dall’individuazione di un maggior potere in capo al Presidente del Consiglio di Stato, che potrà rimettere il caso all’Adunanza plenaria anche «per dirimere contrasti giurisprudenziali» e non solo per risolvere «questioni di massima», come stabiliva il terzo comma dell’art. 45, t.u. Cons. St. Oggi il Presidente del Consiglio di Stato potrà così assumere un ruolo autonomo nella selezione delle questioni da cui poter “ricavare e custodire” i precedenti giudiziari, anche prima che il contrasto sia sfociato nel dissenso tra le sezioni. La disposizione dovrà essere contemperata con l’esigenza di non prevaricare i ruoli dei presidenti delle sezioni semplici. Infine, l’espressa previsione di legge dovrebbe escludere qualsiasi dubbio di incostituzionalità legato alla sottrazione di un ricorso al proprio giudice naturale.
c) Il terzo comma dell’art. 99 introduce la più importante novità. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere «un principio di diritto» enunciato dall’Adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso.
d) Il comma seguente stabilisce che l’Adunanza plenaria, investita dalla sezione semplice, decide l’intera controversia salvo che «ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente».
e) L’ultimo comma, infine, delinea il cd. nudo precedente. Viene affidata all’Adunanza plenaria la facoltà di enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche quando dichiara il ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero l’estinzione del giudizio. Facoltà che può essere esercitata se il Collegio «ritiene che la questione è di particolare importanza».
A prescindere dalle modalità di rimessione (su ordinanza della sezione o su iniziativa del presidente), il segretario provvede ad annotazione nel registro (ora informatico) e, da parte del presidente, segue la fissazione del giorno dell’udienza e la nomina del relatore. Ai fini della decisione, l’Adunanza plenaria ha tutti i poteri che sono assegnati per legge alle sezioni giurisdizionali e non è limitata al punto di diritto sottoposto a suo esame, essendo oggetto della rimessione l’intero ricorso. Se decide la controversia nel merito, l’Adunanza adotta sentenza; diversamente provvede con ordinanza (es.: per disporre istruttoria; oppure in caso di rinvio alla Corte costituzionale o alla Corte di Giustizia dell’Unione europea; per regolare la competenza). Può altresì adottare decreti decisori nei casi previsti dalla legge (es., per il caso di estinzione di un giudizio non riassunto). Infine, può adottare misure cautelari per il caso di rimessione della questione dalla parte della sezione semplice fin dalla sede cautelare del ricorso (per es., Cons. St., ord. 27.4.2016, n. 1).
Si deve anche osservare che il meccanismo stabilito dalle disposizioni appena citate, pur in difetto di un coordinamento con le pertinenti norme che regolano il ricorso straordinario, dovrebbe essere utilizzato anche quando sussiste o possa verificarsi contrasto con una decisione consultiva del Consiglio di Stato (ipotesi già affacciata in passato da Cons. St., IV, ord. 15.4.1979, n. 343). Il codice, in effetti, presuppone per la rimessione i «contrasti giurisprudenziali» o le «questioni di massima», ma non anche che il dissenso sia insorto tra le sole sezioni giurisdizionali. A tale riguardo, da un lato, giova ricordare la ormai piena assimilazione tra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e quello giurisdizionale (si vedano gli artt. 12 e ss. del d.P.R. 24.11.1971, n. 1199) e, dall’altro, la facoltà delle sezioni consultive di rimettere il ricorso all'Adunanza generale se rilevano «che il punto di diritto sottoposto al loro esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali». Ricordato altresì che la materia del contendere oggetto di ricorso giurisdizionale può essere identica a quella del ricorso straordinario, certamente non gioverebbe alla certezza del diritto un sistema che ammettesse la coesistenza di un “punto di diritto” espresso dall’Adunanza generale del Consiglio di Stato (e, a maggior ragione, dalle sezioni consultive) difforme dal “principio di diritto” espresso dall’Adunanza plenaria. Un ruolo importante di raccordo e filtro potrebbe essere espresso dal presidente del Consiglio di Stato, che convoca e presiede per legge entrambe le Adunanze e che, soprattutto, ha una competenza riservata di iniziativa per il caso in cui ravvisi contrasti di giurisprudenza effettivi o soltanto potenziali (per segnalare questi ultimi sarebbe molto utile l’iniziativa delle parti, che si aggiunge a quella doverosa dei presidenti delle sezioni).
La possibilità che il TAR possa deferire è sempre stata esclusa (sin da TAR Lazio, II, 30.3.1977, n. 161) anche se va segnalata la recente disposizione di legge con la quale si è previsto, in via sperimentale, che i giudici di primo grado, in caso di contrasti giurisprudenziali, possono proporre al presidente del Consiglio di Stato di rimettere all’Adunanza plenaria l’esame di ricorsi che vertano sull’interpretazione e l’applicazione delle norme in tema di processo amministrativo telematico (art. 13 bis delle disp. att. del c.p.a., inserito dall’art. 7, d.l. 31.8.2016, n. 168).
Nel corso degli anni le decisioni della Plenaria sono aumentate di pari passo con la devoluzione di nuove materie al giudice amministrativo e con il ruolo sempre più rilevante assunto nella società dal diritto amministrativo, di cui il Consiglio di Stato è custode. Se, ad esempio, tra il 1949 e il 1980 si contano una media di 14 decisioni per anno (che tale resterà grosso modo sino al 2000), tra il 2001 ed il 2010 la media aumenta sino a 25. Nel periodo 2011-2017 (cioè dopo il varo del nuovo codice) il lavoro dell’Adunanza è cresciuto: tra ordinanze che regolano la competenza, quelle che rinviano alla Corte di Giustizia e sentenze che fissano il principio di diritto, la media annuale si attesta attorno a 40 provvedimenti. Inoltre, analizzando la motivazione delle sentenze, emerge che prima del nuovo codice l’Adunanza plenaria si comportava essenzialmente come giudice di appello chiamato a risolvere, in diversa e più ampia composizione, la controversia nel merito. Invece, in ossequio al nuovo volto impresso dall’art. 99, ora le sentenze vengono predisposte previa più precisa individuazione della ratio decidendi al fine di enucleare il principio di diritto.
Il carattere di doverosità della rimessione è in grado di ampliare notevolmente il peso e le funzioni dell’Adunanza plenaria, i cui precedenti (a prescindere dalla definizione degli stessi che si ricava meglio dall’ordinamento di common law) sono destinati, de jure e non più solo de facto come in passato, a diventare stabili e vincolanti per le sezioni semplici con i relativi riflessi sugli orientamenti dei tribunali amministrativi. Possono enuclearsi, in sintesi, i seguenti argomenti favorevoli al precedente vincolante.
a) Argomenti teorici
Il realismo giuridico riconosce, già agli inizi del 1900, che il diritto si manifesta anche per mezzo dell’attività giudiziale. Mettendo in discussione il monopolio della legge, il merito dei realisti è stato quello di innovare il dibattito giuridico specie sul tema delle fonti del diritto.
Non a caso, anche la nostra dottrina ha successivamente mostrato di voler abbandonare lo schema tradizionale della gius-pubblicistica ottocentesca. Il ragionamento vale a maggior ragione per il giudice amministrativo, se si considera la massiccia e consapevole opera creativa posta in essere dal Consiglio di Stato nel corso della sua storia. La giurisdizione amministrativa si è risolta negli anni attraverso l’opera creativa della giurisprudenza, successivamente alla quale è intervenuta copertura legislativa (Cassese, S., Problemi delle ideologie dei giudici, in Studi in memoria di Carlo Esposito, Padova, 1972, 1392; Nigro, M., Giustizia amministrativa, Bologna, 1983). Le stesse tecniche con le quali il giudice amministrativo indaga l’eccesso di potere prescindono, per definizione, dall’applicazione di una norma scritta alla fattispecie concreta e si concentrano su parametri generali (quali la ragionevolezza, la logicità, etc.) che accentuano inevitabilmente il ruolo creativo del giudice amministrativo.
Il giudice amministrativo agisce come creatore di diritto e ciò è tipicamente legato alla sua capacità di assicurare giustizia. La vera novità, semmai, sarebbe la vincolatività del precedente della Plenaria per le sezioni semplici e che discende dal comma terzo dell’art. 99 c.p.a. Tale aspetto, più circoscritto, rappresenterebbe tuttavia una conseguenza logica delle suddette premesse.
b) Argomenti di opportunità.
Il primo argomento tipicamente addotto a favore del precedente vincolante è la certezza giuridica, valore fondamentale che sta alla base di una ordinata convivenza. In particolare, il precedente è uno strumento di tutela delle aspettative dei consociati e in quanto tale garanzia di maggiore libertà. Lo stare decisis, infatti, consente di prevedere in anticipo i comportamenti sanzionati dalla legge e di pianificare le scelte di vita. Sulla importanza della prevedibilità insiste da tempo anche la C. eur. dir. uomo. Ai fini della CEDU. la nozione di “legge” non è legata a criteri formali o procedurali. L’unità, la costanza, la conoscibilità, la prevedibilità della giurisprudenza, nell’ottica della Corte europea, assicurano la legalità delle vicende che si svolgono a livello nazionale. Di conseguenza, agli occhi della Corte, la “legge” non è conoscibile, né prevedibile se la giurisprudenza è contrastata e contraddittoria (sentenze C. eur. dir. uomo, 24.4.1990, Kruslin c. Francia, par. 27-36; 25.3.1998, Kopp c. Svizzera, par. 73; 30.7.1999, Valenzuela Contreras c. Spagna, parr. 52 ss.).
Si aggiunga che la prevedibilità garantisce la libertà dei cittadini anche per altra via. Lo stare decisis consente una diversa e più esatta delimitazione della stessa discrezionalità dei pubblici funzionari, cui potrà essere addebitata la responsabilità di avere adottato provvedimenti in violazione del precedente.
Ci sono poi ragioni di efficienza per lo stare decisis: se le corti sono complessivamente coerenti, le regole sono più chiare e le ragioni di conflitto diminuiscono. La conseguenza è una deflazione delle liti e dei processi, finora perseguita con l’aumento delle spese di giustizia.
L’argomento della prevedibilità si associa a quello della certezza del diritto. Se dunque, da un lato, il precedente sembra compromettere il principio di legalità in quanto implica il riconoscimento del potere normativo del giudice (Corso, G., Principio di legalità e interpretazione della legge, Napoli, 2014), per altro verso, esso assolve proprio ad una delle funzioni che il principio di legalità mira a tutelare: di porre al riparo il cittadino da comportamenti imprevedibili e arbitrari dei pubblici poteri. La regola stare decisis non sarebbe quindi in contrasto con il principio di rule of law, ma ne è addirittura un corollario (Waldron, J., Stare decisis and the Rule of Law: A Layered Approach, in Public Law & Legal theory research paper sciences, NYU School of Law, October 2011).
Il precedente è un Giano bifronte, che da un lato sembra erigere il giudice a produttore di norme, dall’altro lo vincola alle proprie decisioni. Si tratta di un meccanismo che, lungi dal favorire atteggiamenti individualisti, impone forme di cooperazione istituzionale e, dunque, di naturale modestia.
c) Argomenti logico-testuali.
Sul piano strettamente esegetico, la stessa struttura della norma processuale in esame conferma la volontà del legislatore di introdurre nel sistema il precedente vincolante.
i) L’art. 99, co. 3, c.p.a. individua certamente una proposizione prescrittiva non meramente descrittiva. La proposizione «se la sezione ritiene di non condividere un principio di diritto della Adunanza plenaria rimette a quest’ultima la decisione con provvedimento motivato» equivale ad affermare che la sezione che non condivide un principio di diritto non può decidere il caso ma deve rimetterlo alla Adunanza plenaria spiegando le ragioni del dissenso.
ii) Il predicato verbale «rimette» non implica una facoltà, come in passato. La norma non è formulata come se la rimessione fosse una facoltà delle sezioni semplici.
iii) Il carattere prescrittivo della norma in esame si ricava anche in considerazione dell’onere specifico di motivazione che grava sulla sezione semplice per il caso in cui questa ritenga di non condividere un principio di diritto espresso dall’Adunanza plenaria.
iv) La facoltà che ha l’Adunanza plenaria di enunciare anche il «nudo precedente» (art. 99, co. 4) avrebbe poco significato se non fosse legata al precedente vincolante come regola.
v) Non appare pertinente l'obiezione relativa alla mancanza di sanzione per il caso in cui la sezione semplice decida di non rimettere alla Adunanza plenaria e decida in autonomia. Tanto più che per le norme di struttura (quelle cioè che regolano il funzionamento dell'istituzione), la presenza di una sanzione non costituisce elemento essenziale della vincolatività della norma .
vi) Se il precedente è vincolante e viene rispettato il precetto normativo dalla sezione semplice, il sistema della giustizia amministrativa è destinato a chiudersi in modo armonico. Diversamente, non potranno essere esclusi rimedi esterni avverso la sentenza della sezione recalcitrante (cfr. Cass., S.U, 9.2.2015, n. 2361).
La consapevolezza della esistenza di un precedente vincolante dell’Adunanza plenaria si ricava da alcune recenti decisioni. Si richiama l’ord. 17.10.2013 n. 848, con la quale il C.g.a. ha rinviato alla Corte di Giustizia UE la vexata quaestio delle regole processuali da seguire per la disamina del ricorso incidentale. Nella prospettiva dell'ordinanza sopra richiamata, il vincolo del precedente è destinato a cedere soltanto per il caso in cui la relativa applicazione finisce per eludere il diritto comunitario. Principio puntualmente affermato dalla Corte UE (CGUE, Grande Sezione, 5.4.2016, C-689/13, Puliegenica) che conferma l’impianto teorico-argomentativo che sorregge la teoria del precedente vincolante: se il giudice nazionale (di primo o di secondo grado) si rende conto che il principio di diritto espresso dalla Plenaria si pone in contrasto con l'ordinamento europeo, può rinviare alla Corte dell’Unione europea non tanto sul presupposto che il precedente espresso dalla Plenaria non vincola come regola, quanto perché dubita della compatibilità comunitaria del principio di diritto e l'intervento della Corte UE risolve il conflitto secondo la relazione di gerarchia che vede al primo posto la norma europea. Infine, si richiama l’Adunanza plenaria del Cons. St. 23.2.2018, n. 2, ove si afferma che l’obbligo di rimettere alla Plenaria la decisione del ricorso, in caso di mancata condivisione di un principio di diritto dalla stessa enunciato, deriva dal «vincolo legale» posto a carico della Sezione rimettente ai sensi del comma 3 dell’art. 99 del c.p.a..
Sulla scorta del descritto sistema normativo sul precedente, si può ritenere che il legislatore italiano ha introdotto disposizioni di rango primario, costituzionalmente legittime (C. cost., 2.4.1970, n. 50; 22.6.1971, n. 142 sui vincoli di coerenza che incontra il giudice), dalle quali ricaviamo l’esistenza di una norma generale di diritto processuale, quella del precedente dell’Adunanza plenaria, che vincola il giudice amministrativo. Il che è conforme alla tesi secondo cui il giudice, allo stesso tempo, crea ed applica il diritto. Regola che non è solo del processo amministrativo ma anche del processo civile e contabile: una regola di sistema.
Il nuovo ruolo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato delinea così un Giudice chiamato a garantire la certezza del diritto nell’ordinamento, quale espressione del principio di eguaglianza dei cittadini costituzionalmente garantito. Il precedente potrà in definitiva contribuire a determinare meglio la governance della giustizia.
Artt. 100-101 Cost.; art. 99, c.p.a. (d.lgs. 2.7.2010, n. 104); artt. 12-13 d.P.R. 24.11.1971, n. 1199; t.u. Cons. St. (26.6.1924, n. 1054); art. 17, l. 21.3.1889, n. 5992; l. 27.4.1982, n. 186.
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Immagine: I, Lalupa [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html), CC-BY-SA-3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/) or CC BY-SA 2.5-2.0-1.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5-2.0-1.0)], via Wikimedia Commons