AERODINAMICA
. Alla fine del secolo scorso la letteratura scientifica su questo argomento era ridottissima: si potrebbe affermare che tale importantissimo ramo della scienza non esisteva ancora quando nel dicembre del 1903 il primo aeroplano si levava a volo nell'aria. Si avevano solo vaghe idee e qualche dato sperimentale nei riguardi della resistenza incontrata da alcuni corpi in moto nell'aria e specialmente quella del piano obliquo: solo il Lilienthal aveva fatto qualche esperienza sulle lamine curve: si sapeva che la resistenza dell'aria cresceva press'a poco in proporzione del quadrato della velocità.
Col subitaneo impressionante progresso dell'aviazione nacque il bisogno delle ricerche sistematiche tecniche e pratiche nel campo dell'aerodinamica. I laboratori sperimentali si moltiplicarono, i matematici crearono una nuova scienza, l'aerodinamica, derivando metodi e teorie dall'idrodinamica già costituita in scienza per opera di Newton, Bernoulli, Eulero, Lagrange ed Helmholtz.
Aerodinamica sperimentale. - Nel trattare l'argomento rifaremo brevemente la strada percorsa cominciando dalle esperienze che hanno, se non preceduto, accompagnato lo svolgersi della teoria. Prima però dovremo accennare a due principî necessarî per giustificare, almeno in una prima approssimazione, i metodi sperimentali adoperati.
Cenno sulla similitudine meccanica. - Negli studî sperimentali di aerodinamica si ricorre spesso a modelli, per facilità di costruzione e per semplicità di esperienza: il modello, utile in molti congegni meccanici, è prezioso nelle esperienze di aerodinamica perché si presta a mettere in evidenza l'influenza reciproca dei varî organi, quella che comunemente si chiama ombra od induzione aerodinamica di ciascuno degli elementi costituenti la macchina, sugli altri. Per l'interpretazione delle esperienze eseguite su modelli è necessario dunque fare appello al principio di similitudine meccanica. Il teorema relativo, dovuto a Newton, si può oggi esprimere così:
"Due insiemi materiali sono meccanicamente simili se esistono due sistemi di unità della stessa natura, tali che un elemento qualunque del primo insieme, misurato col primo sistema di misura, e l'elemento corrispondente del secondo insieme, misurato col secondo sistema, possano essere espressi con lo stesso numero".
Scelte, come fa il Jouguet, come fondamentali la lunghezza L, la densità D e la velocità V, tutte le altre grandezze che entrano nelle equazioni del moto dei fluidi avranno dimensioni in rapporto alle grandezze scelte. Così, essendo l'accelerazione di dimensioni
e T di dimensioni
le dimensioni dell'accelerazione saranno
quelle della forza saranno L2 D V2 (dovendosi moltiplicare le dimensioni dell'accelerazione per quelle della massa che sono D L3); conseguentemente le dimensioni della pressione unitaria saranno D V2. Siccome le equazioni del moto sono omogenee, se esse sono inizialmente verificate, lo saranno anche se si moltiplicheranno tutte le lunghezze per un certo numero α, le densità per un certo numero δ, le velocità per un certo numero ϕ, le accelerazioni per il numero,
le forze per α2 δ ϕ2, le pressioni unitarie per δ ϕ2.
Consideriamo il caso di fluidi incompressibili non pesanti e non viscosi.
Se si considera in un certo fluido 1 un solido1, in un secondo fluido 2, avente densità nel rapporto δ rispetto a quella di 1, un solido 2, geometricamente simile a 1 nel rapporto lineare a; e se si suppone che 2 si sposti nel fluido 2 con velocità ϕ volte maggiore di quella con cui si sposta 1 nel fluido 1, si può passare dal primo problema al secondo, moltiplicando le lunghezze per α, le densità per δ, le velocità per ϕ, le accelerazioni per
le pressioni per δ ϕ2, le forze per α2 δ ϕ2.
Se le resistenze totali opposte rispettivamente dai fluidi 1 e 2 ai moti dei solidi S1 ed S2 sono R1 ed R2 si può dire che se, come richiede l'omogeneità, R1 = K D1 S1 V12, sarà:
ove K è un coefficiente numerico dipendente dalla forma geometrica del corpo e dal suo orientamento.
Prescindendo dunque dalle cause perturbatrici, delle quali più oltre parleremo, i tre rapporti α, δ, ϕ sono arbitrarî, di modo che per studiare il moto di un corpo in un certo fluido ad una certa velocità, si potrebbe studiare quello di un altro corpo, geometricamente simile e similmente orientato, ma di dimensioni qualsiasi, che si movesse in un fluido qualunque ad una velocità qualunque. Da tale studio, si ricaverebbe K da sostituire nella formula precedente.
In pratica, però, la scelta di α, δ, ϕ non è arbitraria perché questi tre rapporti non sono indipendenti l'uno dall'altro a causa delle accennate perturbazioni nell'applicazione generica del principio. Consideriamo infatti queste cause perturbatrici:
1. Gravità. - Le equazioni del moto contengono l'accelerazione della gravità, quindi, allorché si passa dal solido 1 che si muove nel fluido 1 al solido 2 (simile ad1) che si muove nel fluido 2, affinché la similitudine sia conservata bisogna che il rapporto delle accelerazioni
sia uguale ad 1, perché l'accelerazione della a gravità resta la stessa nei due movimenti. Allora se
sarà ϕ = √α: ciò significa che, volendo realizzare in piccolo una esperienza, e tener conto che entrambi i moti si verificano nel campo dell'accelerazione della gravità, bisogna ridurre la velocità d'esperienza nel rapporto delle radici quadrate delle dimensioni lineari. Vale a dire che la formula soprascritta si può applicare allo studio delle resistenze di solidi simili, purché la velocità sia alterata nel rapporto della radice quadrata delle lunghezze.
Se il corpo solido è totalmente immerso nel fluido si dimostra che si può tener conto dell'influenza della gravità anche senza obbligare la velocità a mantenersi nel rapporto anzidetto.
2. Viscosità. - Se supponiamo che una massa fluida sia idealmente scomposta in tanti strati paralleli e che la velocità in ogni punto della massa abbia direzione costante e intensità proporzionale alla distanza del punto da un piano fisso parallelo agli strati considerati, si ha il cosiddetto moto laminare che si presta a dare un significato fisico al coefficiente di viscosità. In questo moto ogni strato esercita su quello attiguo una resistenza tangenziale che si oppone allo scorrimento di uno strato sull'altro e che conseguentemente, per le ipotesi fatte, risulta proporzionale all'area della superficie e alla variazione della velocità nei punti situati sulla normale agli strati e riferita alla unità di lunghezza. Questa resistenza si chiama viscosità. Il coefficiente di viscosità μ è la forza riferita a una superficie unitaria e all'unità di variazione della velocità nei punti di detta normale. Le dimensioni del coefficiente di viscosità sono quelle di una forza divisa per una superficie e cioè, riferendosi alle grandezze fondamentali, lunghezza, massa, tempo, cioè ML-1 T-2, divisa per il rapporto di una velocità a una lunghezza; perciò le dimensioni di μ saranno
ossia ML-1 T-1 i e facendo comparire la densità e la velocità sarà
Quindi, per mantenere la similitudine, il coefficiente di viscosità deve essere moltiplicato per α, δ, ϕ. Se i fluidi 1 e 2 hanno la stessa viscosità e la stessa densità, sarà
che è la cosiddetta regola di Reynolds e cioè: per tener conto della viscosità le esperienze sul modello debbono essere fatte ad una velocità tante volte maggiore quante volte il modello è più piccolo del vero.
3. Compressibilità. - Per tenerne conto si suppone che il fluido sia un gas perfetto e si comincia col trascurare la gravità e la viscosità. Ora D non è più costante giacché il gas è compressibile: se i movimenti sono isotermici si avrà
se adiabatici
essendo
il rapporto dei calori specifici a pressione costante e a volume costante; ambedue questì casi rientrano nella formula generale
Le dimensioni del coefficiente h sono
Se i movimenti sono adiabatici si adopereranno fluidi nei quali il rapporto dei calori specifici sia lo stesso in modo che m non cambî. In queste condizioni quando si passa dall'esperienza 1, nella quale il solido i si sposta nel fluido 1, all'esperienza 2 nella quale il solido 2, a volte più grande di 1, si sposta con una velocità ϕ volte maggiore nel fluido 2, δ volte più denso del fluido 1 e in cui il coefficiente h è γ volte quello di 1, perché la similitudine sia conservata dovrà essere, chiamando con ω il rapporto tra le pressioni p2 e p nei due fluidi 2 e 1:
Si possono prendere arbitrariamente δ, γ, ϕ ossia si può scegliere il fluido per l'esperienza del modello e la scala: il rapporto delle velocità alle quali bisogna sperimentare è in conseguenza determinato ed eguale a
perciò, se le esperienze del modello si fanno nello stesso fluido del vero alla stessa densità e temperatura (e quindi alla stessa pressione), sarà γ = δ = 1 e quindi ϕ = 1. Per tener dunque conto della perturbazione dovuta alla compressibilità, le esperienze sul modello vanno fatte alla stessa velocità delle esperienze al vero.
Le esperienze sulle eliche la cui velocità alla periferia è molto elevata e quindi di ordine di grandezza tale che la perturbazione dovuta alla compressibilità comincia ad avere importanza rilevante vanno provate, per tener conto di detta perturbazione, a eguali velocità lineari degli elementi corrispondenti.
Concludendo: si può, nelle esperienze, cercare di tener conto di più di una causa di perturbazioni: le esperienze però divengono in tali casi generalmente complesse e costose.
In sostanza la similitudine completa si presenta impossibile a realizzare in pratica perché non si può tenere contemporaneamente conto delle cause perturbatrici suaccennate e cioè della gravità, viscosità, compressibilità, ecc.: ché, se se ne volesse tener conto, si giungerebbe alla conclusione che il modello dovrebbe essere alla stessa scala del vero, costruito con lo stesso materiale e allo stesso modo, sperimentato nello stesso fluido alla stessa velocità, ecc.
Ne viene quindi che volendo sperimentare su modelli di scala diversa, si dovrà tener conto, caso per caso, di quella causa perturbatrice che si reputa abbia maggiore importanza.
Esperienze di parziale verifica di questi principi sono state recentemente condotte in America in un tunnel a corrente d'aria di densità varia: i risultati, per quanto interessanti, non chiariscono ancora bene la questione.
Principio del moto relativo. - Supponiamo che un corpo C immerso in una massa fluida M indefinita sia in moto rettilineo ed uniforme a velocità V: nella massa fluida avviene un certo movimento in conseguenza del quale il corpo risente una resistenza Rm.. Se noi immaginiamo impressa al corpo in moto e a tutte le molecole del sistema (massa fluida e corpo) una velocità di traslazione costante −V (eguale e di senso contrario alla primitiva velocità del corpo), il corpo in esame risulterà fermo ed il fluido risulterà in moto con la velocità −V.
Essendo però il moto relativo del corpo rispetto al fluido restato lo stesso, non potrà essere intervenuto alcun cambiamento nelle forze in giuoco nel fenomeno, onde si dovrà teoricamente avere la stessa resistenza. Di qui deriva che, invece di sperimentare col corpo in moto alla velocità V nell'aria ferma, è possibile raggiungere l'intento tenendo fermo il corpo e facendogli muovere contro il fluido con velocità −V. Ciò però è in pratica realizzabile solo limitatamente, perché:
a) è impossibile agire su tutte le molecole del fluido indefinito per modo che tutte acquistino la stessa velocità −V in un tempo finito;
b) la corrente che è possibile creare ha dimensioni limitate;
c) il moto del fluido è solo macroscopicamente irrotazionale mentre si ha effettivamente una periodica formazione di vortici. A rigore dunque il regime di deflusso intorno al corpo sarà diverso, quando il corpo è in moto nel fluido fermo, da quando il corpo è fermo ed invece è in moto il fluido.
In una prima approssimazione, però, come molteplici esperienze hanno provato, è possibile adoperare questa seconda via sperimentale che presenta rilevantissimi vantaggi di economia e di comodità di lavoro. È così che sono nati i tunnel aerodinamici dei quali parleremo in seguito.
Accenneremo qui appresso, dopo aver trattato degli strumenti ordinariamente usati per la misura della velocità, ai metodi sperimentali seguiti per determinare la resistenza dei corpi in moto nell'aria e alle prime esperienze fatte; descriveremo poi sommariamente le bilance adoperate nei grandi laboratori aerodinamici, per passare poi ad un rapido esame dei risultati conseguiti.
Misura della velocità. - Uno dei primi problemi che si presentarono allo sperimentatore è quello della misura della velocità d'un fluido. Misurare la velocità del corpo, a fluido fermo, è abbastanza facile: basta tener conto su diagramma degli spazî percorsi in funzione del tempo; la misura invece della velocita della corrente d'aria che investe il corpo fermo, presenta non lievi difficoltà, anche prescindendo dal fatto che la corrente non ha velocità assolutamente uniforme, per quante precauzioni siansi prese per renderla tale. Gli strumenti usati, detti pneumometri, sono derivati dal tubo di Pitot (fig. 1), assai più precisi degli anemografi e anemometri di uso comune in meteorologia.
Il tubo di Pitot, adoperato anche in idraulica, consiste in un tubo ripiegato ad L immerso con la parte ripiegata contro la corrente; l'altra parte comunica con un ordinario manometro ad acqua o ad alcool contenuto in un tubo a U (fig.1), e misura, col dislivello delle colonne liquide, il valore della pressione locale dovuta al moto del fluido.
Per tener conto della pressione statica dell'ambiente in cui si misura la velocità, poiché il manometro è tenuto fuori di questo, si sono escogitati molti dispositivi: uno di questi (fig. 2) consiste nell'avvolgere la parte ripiegata del tubo di Pitot con un cilindro (raccordato all'orifizio del tubo) sulle cui generatrici sono praticate, in opportuna posizione, dei forellini in comunicazione con l'altra estremità del manometro ad U. Viene così automaticamente eliminata la pressione statica che regna nella vena ed il dislivello tra le due colonne segna effettivamente il valore della pressione corrispondente alla velocità.
L'allora tenente Arturo Crocco inventò (1903) un istrumento destinato a misurare non solo la intensità, ma anche la direzione della velocità utilizzando il pneumometro Krell (fig. 3), costituito da un cilindretto cavo separato in due camere, ciascuna delle quali era in comunicazione per un forellino praticato nel centro con l'aria della corrente e con i rispettivi tubi partenti dalle due camere e terminanti alle due estremità del manometro.
Il Crocco osservò che quando le facce del disco giacevano nel letto della corrente, le pressioni ai due fori si equivalevano e il manometro non accusava dislivello, mentre questo diveniva sensibilissimo per una variazione di angolo piccolissima: e costruì così un pneugoniometro, adatto sia a dare la misura della direzione della velocità come intersezione di due giaciture, sia quella della intensità con una rotazione di 90 gradi rispetto alla detta direzione (fig. 4). Con questo strumento fu possibile determinare in grandezza e direzione la velocità del vento proiettato da un'elica e costruire i cosiddetti spettri aerodinamici dell'elica.
Altro mezzo adoperato per la misura della velocità è il tubo costruito già dal fisico italiano Venturi (fig. 5). Esso è costituito da due coni tronchi riuniti per la loro base minore: nel restringimento formato nella riunione delle basi l'aria acquista velocità maggiore per la diminuzione di sezione: la conseguente forte depressione è condotta ad una delle estremità del solito manometro ad U, la cui seconda estremità è collegata ad un piccolo tubo di Pitot collocato verso l'apertura maggiore del cono esposto alla corrente. Questo strumento ha bisogno di essere oppornmamente tarato per poterne utilizzare le segnalazioni.
Manometri e depressiometri. - Oltre al tubo ad U più volte citato si adoperano strumenti varî derivati dallo stesso principio ma adattati alle speciali esigenze (fig. 6). Per esempio, si suole dare ad uno dei rami del tubo una capacità molto grande e all'altro una forma di mezza parabola col vertice tangente all'orizzonte per avere una escursione della colonna liquida abbastanza sensibile alle basse velocità alle quali corrisponde una pressione molto piccola. Si sono escogitati dei tipi registratori, tra i quali merita speciale menzione quello del Crocco.
Talvolta il manometro registratore è del tipo a capsule dello stesso genere di quelle adoperate nei barometri.
Per l'esplorazione in immediata vicinanza dei modelli si prestano molto bene gli anemometri a filo caldo, dovuti al Bordoni, fondati sul principio della variazione della resistenza ohmica di un conduttore percorso da una corrente sotto voltaggio costante, al variare della velocità del vento che lo investe.
La sensibilità di tal mezzo di misura è grandissima. Esso è stato anche utilizzato con successo per determinare la direzione della velocità, adoperando tre brevi tronchi di filo invece di uno solo, disposti secondo gli spigoli di una piramide isoscele, riscaldati elettricamente ed esposti alla corrente. Se la direzione del vento forma angoli uguali coi tre fili, essi sono ugualmente raffreddati e quindi risultano uguali le resistenze ohmiche. Messe dunque tali resistenze a due a due in opposizione usando un galvanometro si deduce la direzione della velocità ricercando la posizione dell'esploratore per la quale la deviazione del galvanometro è ridotta a zero.
Metodi per la misura della resistenza dell'aria. - I sistemi escogitati furono svariatissimi: ora si prefiggevano la misura sintetica con la deteminazione della forza capace di equilibrare la resistenza, ora analizzavano in ogni punto del corpo il valore della pressione per risalire ad una specie di distribuzione topografica di essa e quindi, con la integrazione delle pressioni elementari, al valore totale della resistenza.
Consideriamo prima i sistemi adoperati nelle esperienze col corpo in moto nell'aria ferma, poi quelli col corpo fermo nell'aria in moto.
Il primo gruppo di esperienze è stato realizzato per vie diverse e cioè:
1. Moto rettilineo ottenuto con ferrovie, autonobili, carrelli e filovie, oppure lasciando cadere da notevole altezza il corpo in esame.
2. Moto circolare ottenuto col metodo del maneggio o mulinello.
Il secondo gruppo di esperienze (corpo fermo e fluido in moto) usufruisce del principio di relatività dianzi accennato, nei cosiddetti tunnel aerodinamici nei quali, per mezzo di un ventilatore centrifugo o ad elica, viene prodotta una corrente d'aria regolarizzata con opportuni accorgimenti (reti metalliche, nido d'ape rettificatore, ecc.) e la cui velocità viene misurata con gli pneumometri dianzi accennati.
Apparecchi di caduta. - Tralasciando gli esperimenti più antichi, ricordiamo quelli eseguiti nel 1835 dai capitani Piobert, Morin e Dedion con lamine piane di forma diversa sospese ad un cordone di seta scorrente nella gola di una puleggia: un sistema di registrazione permetteva di determinare la legge del moto di discesa e gli elementi necessari al calcolo.
L'abate Le Dantec eseguì nel 1878 misure con un apparecchio basato sullo stesso principio, prima su una caduta brevissima di circa un metro, poi, nel 1898, più grande, nella cappella del Conservatorio di arti e mestieri di Parigi.
Nel 1892 Cailletet e Colardeau eseguirono esperienze dal secondo piano della torre Eiffel nel laboratorio da essi ivi organizzato. Il corpo di cui si voleva studiare la resistenza, zavorrato opportunamente di piombo per ottenere nella caduta una prefissata velocità uniforme, corrispondente al peso dell'insieme così formato, uguale al valore della resistenza, veniva sospeso ad un filo che si svolgeva da tronchi di cono C (fig. 7), ogni tratto di 20 m. di filo apriva un circuito elettrico N appena cominciava a svolgersi.
L'ing. Gustavo Eiffel riprese le esperienze dei Cailletet e Colardeau nel 1903 nella sua torre e condusse una serie sistematica di prove su corpi dalle forme più varie, servendosi di un apparecchio più grande e più perfezionato di quello adoperato dai suoi predecessori. L'apparecchio di misura che seguiva il corpo nella caduta, era guidato da un cavo verticale e registrava la resistenza mediante opportune molle antagoniste, ed i tempi mediante un diapason (fig. 8). Le esperienze fornirono un ricco complesso di dati veramente preziosi, che formò per lungo tempo l'unica fonte a cui potevano attingere lo studioso ed il tecnico.
Esperienze con locomotive e carrelli automobili. - Le prime furono eseguite dal Duchemin verso il 1840 in acqua, nel canale di S. Maur alla profondità di m. 6 mediante una fune tesa cui erano assicurate le lamine da sperimentare e gli strumenti di misura, e lungo la quale fune si faceva muovere il complesso così formato.
Il Ricour (1885) volle studiare l'effetto della resistenza dell'aria sul rendimento delle locomotive variandone la superficie esterna e iniziò le sue esperienze su lamine perpendicolari alla direzione del moto, poste lateralmente alla locomotiva e tenute da parallelogrammi snodati, adatti alla misura delle forze: il Desdouits riprese queste esperienze con tavolette collocate lateralmente al treno, lanciato a velocità note e crescenti.
La società Siemens e Halske nel 1901 fece pure esperienze allo stesso scopo e cominciò col determinare la distribuzione delle pressioni su una vettura elettrica, lanciata a 160 km-ora sulla linea ferroviaria tra Zossen e Berlino, mediante tubi sboccanti alla superficie esterna della vettura e facenti capo a manometri.
L'ing. Canovetti, italiano, eseguì una notevole serie di esperienze dal 1898 al 1901 su filo portante, a Brescia e poi nel 1905 a Brunate, quindi nel 1911 in Valsassina: le superfici erano portate da un carrello munito di registratori automatici della velocità e della resistenza.
Edge eseguì nel 1907 esperienze con automobile sulla pista di Brooklands fino a velocità di 127 km-ora.
Esnault Pelterie nel 1905 eseguì aVierzon misure su grandi superfici servendosi di un automobile, per velocità fino a 100 km-ora.
Il milionario francese Henry Deutsch de la Meurthe, elargì la somma di fr. 500.000 con fr. 15.000 annui di assegno, con cui fu fondato, a Saint Cyr presso Parigi, l'Istituto aerotecnico diretto da Maurain e Toussaint (1910), che comprendeva un maneggio del quale è fatto cenno altrove, un tunnel a ventilatore, varie officine e una pista rettilinea a rotaie lunga originariamente m. 1400 sulla quale scorreva un carrello elettrico capace di raggiungere la velocità di 90 km-ora e destinato alle prove al vero di ali, eliche, e di altri corpi: si riconobbe subito che gli oggetti in esperimento dovevano essere portati molto avanti al carrello per diminuire l'influenza, inquinatrice dei risultati, dovuta alla deviazione del flusso dell'aria prodotta dal carrello in moto. Con questo carrello (fig. 9) furono sperimentate eliche ed ali e fu determinata col metodo manometrico la distribuzione topografica delle pressioni su queste: in linea di massima queste esperienze dettero risultati abbastanza concordanti con quelli delle esperienze eseguite in scala più piccola al tunnel Eiffel.
In Francia il duca Grammont de Guiche eseguì (1911) varie serie di esperienze su superficie alari trasportate da una automobile in uno dei viali della sua villa (fig. 10), determinando la distribuzione delle pressioni col metodo manometrico: un plurimanometro ad acqua veniva trasportato con le superficie sull'automobile e fotografato per modo che riusciva nota l'altezza delle colonne liquide corrispondenti ai rispettivi fori praticati sul dorso e sul ventre dell'ala, a velocità determinata.
Tutte queste misure sono viziate, talune in minor grado altre in modo rilevante, da errori inerenti al metodo. Le superficie in sostanza venivano fissate sul supporto e la loro resistenza era fortemente influenzata dalla presenza di quello: se era possibile eliminare con taratura la resistenza addizionale dovuta ai supporti di collegamento al mezzo di locomozione, non poteva essere eliminata quella dovuta alla ombra aerodinamica di quest'ultimo.
In Italia il Crocco ed il Costanzi eseguirono nel 1910-1913 esperienze della distribuzione della pressione su carene di dirigibili immerse in acqua e trainate dal carrello dalla vasca Froude della brigata specialisti del Genio militare: un plurimanometro a liquido e a registrazione fotografica analogo a quello del De Guiche dava il quadro delle distribuzioni delle pressioni.
Il comandante Dorand, dell'aviazione francese, eseguì nel 1912-14 esperienze con un suo laboratorio volante costituito da un aeroplano: in esse egli determinò contemporaneamente la spinta dell'elica, la sua velocità di rotazione, la velocità dell'aeroplano ed il suo angolo di attacco.
Il Costanzi nel 1919 sul campo sperimentale di Montecelio, predispose un aeroplano alle prove manometriche praticando piccoli fori sul dorso delle ali, sul ventre di queste e sulla superficie esterna della fusoliera; ciascuno di detti fori faceva capo ad una capsula manometrica che registrava su un cilindro affumicato le pressioni verificatesi nella regione nella quale sboccava il foro (fig. 11). Era così possibile, durante il volo e durante le evoluzioni, avere il quadro della distribuzione in ogni istante di queste pressioni e quindi degli sforzi elementari cui fusoliera e velatura erano sottoposte. Poiché le capsule manometriche erano nella fusoliera, per conoscere ed eliminare l'influenza della depressione statica, in essa verificantesi durante il moto, il Costanzi ne fece la determinazione con passaggi dell'apparecchio presso una torre: due bottiglie thermos, una sull'apparecchio ed una sulla torre, venivano contemporaneamente chiuse al passaggio dell'aeroplano vicino alla torre; si misurava la pressione statica accennata innestando le due bottiglie, una ad un estremo ed una all'altro di un manometro ad U.
Esperienze a fini aeronautici in acqua furono condotte dal 1906 dal Crocco e proseguite dal Costanzi, sotto la direzione di quello, in una vasca Froude appositamente costruita a Roma presso la brigata specialisti (figura 12). Il Crocco ebbe l'idea di adoperare questo mezzo d'indagine, introdotto dal Froude nel 1871 per scopi di architettura navale. Questo impianto servì prima alla conferma sperimentale di alcune leggi sulla stabilità dei dirigibili dedotte matematicamente dal Crocco: poi alla determinazione delle forme più adatte da dare alle carene dei dirigibili e ai loro impennaggi, e dette infine modo di scoprire altre leggi sperimentali sulla variazione dei regimi di deflusso intorno ai corpi in moto nell'acqua, confermata in seguito in aria dall'Eiffel.
Moto circolare. - Altra via sperimentale è quella del cosiddetto maneggio o molinello: consiste nel fare muovere il corpo intomo ad un asse a conveniente distanza da questo e a velocità diverse di rotazione misurando, con appositi strumenti, il valore della corrispondente resistenza incontrata dal corpo e la sua direzione e posizione. Il metodo è viziato dall'influenza del fenomeno di trascinamento del fluido messo in moto dal corpo stesso e specialmente dal suo supporto, dopo qualche giro, e dalle azioni centrifughe nell'aria. Tale influenza è difficilmente eliminabile.
Nel 1874 il Hagen determinò per questa via la resistenza al moto di piastre piane di varie dimensioni: i fratelli Lilienthal sperimentarono nei 1889 lamine piane e curve; il Langley, pure nel 1889, nell'osservatorio d'Allegheny in Pennsylvania, sperimentò anch'egli piastre di varie forme. Analoghe esperienze fecero il von Lossl nel 1891 e il Dines nel 1899, il Mannesmann pure nel 1899, il Reichel nel 1901, il col. Renard nel 1902. Nel 1903 l'ing. Finzi e il dott. Soldati adoperarono nel maneggio il sistema manometrico per determinare la distribuzione delle pressioni sul corpo in moto; tale sistema era realizzato praticando dei forellini in varî punti del corpo da esaminare e collegando poi ciascuno di questi fori con apposito manometro mediante opportune tubazioni come più sopra è stato accennato.
Il metodo del maneggio (fig. 13) venne usato nel 1911 dall'allora capitano del genio navale italiano Alessandro Guidoni in una importante serie di esperienze per deteminare le forze portanti, le resistenze all'avanzamento ed il centro di pressione di ali e di modelli di aeroplano completi.
Il Crocco applicò il metodo del maneggio in una vasca circolare ad acqua ed eseguì una lunga e notevole serie di esperienze per determinare i coefficienti delle sue formule sulla stabilità nel moto, in evoluzione, di modelli di dirigibili. Apposite bilance da lui ideate misuravano forze e coppie durante l'evoluzione e fornivano i dati sperimentali da introdurre nelle formule del moto.
Un molinello venne pure adoperato presso il National Physical Laboratory inglese nel primo decennio del secolo per misurare la spinta e il rendimento dei propulsori.
Metodo del tunnel. - Questo metodo cominciò ad essere adoperato in Italia nel 1903 dal Crocco: egli, per produrre la corrente necessaria, utilizzò un gassometro ad ossigeno: poté in questo impianto primitivo verificare la sua legge del rettangolo della velocità che formò uno degli elementi principali per le successive ricerche sue e di altri matematici nei riguardi delle leggi aerodinamiche della stabilità degli aerei: altro piccolo impianto di quell'epoca era quello del col. Renard dell'esercito francese.
Un tunnel fu costruito dallo Stanton (1903-1904) nel National Physical Laboratory in Inghilterra, con asse verticale e sezione quadrata di m. 0,60 di lato.
Altri furono costruiti dal Maxim, pure in Inghilterra, ad asse orizzontale ed a sezione quadrata di m. 0,52, e dal Riabušinsky (fig. 14) a Kčinka in Russia con sezione circolare di metri 1,20 di diametro.
Nel 1904 il Crocco costruiva un secondo tunnel a Roma a ventilatore centrifugo soffiante con camera di regolazione della corrente, a sezione quadrata di m. 0,80 di lato, ed un terzo tunnel nel 1909 pure a Roma, con ventilatore centrifugo soffiante a sezione quadrata di m. 2 di lato (fig. 15).
In questo tunnel il Crocco ed il Costanzi condussero una serie di ricerche sistematiche sulle eliche. Questo terzo impianto fu sostituito nel 1912 da un quarto tuttora in funzione a circuito chiuso (fig. 16) su brevetto Crocco: dall'epoca ora ricordata ad oggi l'attività di detto tunnel fu intensissima e diretta a fornire gli elementi di prova sperimentale sui modelli presentati dai costruttori di dirigibili e di aeroplani. Questo tunnel ha speciali strumenti di misura, per la massima parte ideati dal Crocco.
Esso è costituito da un condotto cilindrico di m. 2 di diametro raccordato a due tronchi di cono, uno collettore della corrente d'aria, uno diffusore di questa: alla base del cono diffusore è situata un'elica che aspira aria e la ricaccia per due grandi condutture a sezione rettangolare verso il collettore. Nella parte cilindrica traversante una vasta sala hanno luogo le esperienze. Vi si può raggiungere la velocità di 50 m/sec.
Lo stabilimento di ricerche aerodinamiche di Gottinga sorse per iniziativa della Motorluftschiff Studiengesellschaft nel 1909 sotto la direzione dell'ing. Fuhrmann, morto poi nel 1914 sul campo di battaglia nel Belgio.
Questo tunnel (fig. 17) notevole per gli studî eseguiti, è a sezione quadrata a ritorno unico della corrente, che viene regolarizzata molto accuratamente con reti e filtro a nido d'ape, simile a un radiatore di automobile, formato da 82.000 canaletti a sezione triangolare lunghi 10 cm., allo scopo di impedire che essa sia pulsante e di ottenere la stessa velocità pressoché in tutti i punti della regione di esperienza.
I tratti di ritorno sono rettilinei con brusche voltate della corrente, ottenute con una persiana a stecche verticali opportunamente curvate per modo che il loro bordo di attacco si trovi nella direzione del vento in arrivo e il bordo di uscita in quella del condotto susseguente, cioè ad angolo retto con la primitiva.
Un regolatore elettrico automatico, comandato dall'azione della pressione su apposito manometro, regolava i giri del motore del ventilatore per modo che questo aumentava e diminuiva la velocità di rotazione a seconda delle oscillazioni del vento riducendole a valori piccolissimi.
L'attuale tunnel Prandtl di Gottinga è un ingrandimento del precedente: ma il condotto di ritorno invece che allo stesso livello di quello di esperienza è al di sotto di questo. La vena fluida circolare con m. 2,25 di diametro e 50 m/sec. di velocità massima traversa senza condotto di guida la camera di esperienza.
Nel primo decennio del secolo il National Physical Laboratory sperimentava modelli in un tunnel di limitata dimensione sia col metodo della misura sintetica della resistenza, sia con quello analitico della distribuzione delle pressioni sulle superficie del corpo in esame.
Furono successivamente costruiti varî tunnel di dimensioni dimrse, tra essi uno rettangolare di m. 2, 10 × 4,20 (fig. 18). Tutti sono a tubo di Venturi, a sezione quadrata o rettangolare, senza circuito di ritorno: il ventilatore aspira dal diffusore e caccia l'aria nell'hangar nel quale ha luogo il ritorno libero della corrente al collettore, attraverso grandi filtri.
L'ing. Eiffel costruì, a sue spese, un primo tunnel al Campo di Marte a Parigi (fig. 19). L'aria era aspirata da un hangar chiuso e traversava come corrente fluida cilindrica, senza conduttura di guida, la camera di esperienza e veniva dal ventilatore ricacciata nell'hangar. Anche questo tunnel era perciò del tipo cosiddetto a vena libera.
L'Eiffel costruì poi, nel 1912, un secondo tunnel di maggiori dimensioni (fig. 20) ad Auteuil (Parigi); quivi applicò il principio del tubo di Venturi per ottenere nella strozzatura della vena fluida una maggiore velocità senza aumentare soverchiamente la potenza motrice del ventilatore: anche qui la corrente d'aria aspirata attraverso il diffusore da un ventilatore elicoidale, traversava la camera delle esperienze dopo essere stata raccolta dal collettore: anche questo tunnel è a vena libera a circuito di ritorno aperto. Un tunnel più piccolo e simile serviva per realizzare velocità più forti.
Le ricerche sistematiche metodicamente condotte in questi due tunnel riuscirono molto preziose ai costruttori e costituirono per questi un vero manuale che restò per molti anni l'unica fonte cui si potessero attingere dati e coefficienti.
Esperienze sono state fatte in aria libera e al vento naturale nel primo decennio del secolo nel National Physical Laboratory inglese mediante torri alte circa 9 metri sulle quali erano posti i modelli le cui resistenze erano misurate con apposite bilance.
Un tunnel fu costruito dalla ditta Zeppelin a Friedrichshafen (fig. 21); esso è una fedele riproduzione del 4° tunnel Crocco a doppio ritorno, e diversifica da questo soltanto per avere la vena libera nella camera di esperienza, condizione però che si può facilmente riprodurre nel tunnel Crocco nel quale il tratto cilindrico, sede delle esperienze, può essere asportato con opportuni congegni di sollevamento, lasciando così libera la vena.
Il tunnel della sezione tecnica dell'aviazione francese, costruito nel 1918 a Issy-les-Moulineaux (fig. 22), è uno dei più potenti, a tubo Venturi, con circuito libero di ritorno con sezione ristretta per l'esperienze, di forma circolare e diametro di m. 3, azionato da un motore elettrico di 1000 HP. Vi si raggiunge la velocità di 80 m/sec. È in cemento armato.
In America, negli Stati Uniti, il tunnel N.A.C.A. (fig. 23) è a densità d'aria variabile. Vi si può sperimentare fino a 20 atmosfere di pressione data da apposito motore da 260 HP.
La corrente è prodotta da altro motore che aziona un ventilatore elicoidale: il diametro della camera di esperienza è di circa m. 1.50; il ritorno della corrente avviene intorno al tunnel: esso ha per speciale fine la verifica della legge di Reynolds riguardante la similitudine, nella quale sia tenuta come causa perturbatrice predominante la viscosità del fluido. Recentemente è stato costruito a Mosca un grande tunnel aerodinamico (fig. 24) capace di contenere un'intera fusoliera con motore ed elica.
A Montecelio per render possibile la prova di alcuni strumenti di bordo, il Costanzi fece costruire un tunnel aerodinamico, il quale è destinato specialmente alla taratura di alcuni istrumenti di bordo (indicatori di velocità, giroscopî a turbina d'aria, ecc.). Tale tunnel (a doppio cono Venturi) ha nella sezione ristretta m. 0,40 di diametro; collettore e diffusore sono a sezione circolare: il ramo lungo del condotto di ritorno è a sezione ellittica con l'asse maggiore orizzontale per provare, volendo, dei modelli di ali e tenere le pareti del condotto stesso il più lontano possibile dai margini di esse. Si può raggiungere, nella sezione ristretta, la velocità di 120 m/sec. con un motore da 40 HP da automobile. L'elica è a 8 pale: il supporto di essa è a raggiera ed i raggi formano altrettante controeliche per raddrizzare la corrente torta dall'elica.
Osservazione circa i tunnel. - L'esperienza ha provato, e la teoria può confermare, che tra i fattori che regolano la resistenza dei corpi, quello che ha notevole importanza (quando si esperimenti su modelli per dedurre dati al vero) è il cosiddetto numero di Reynolds dato da
ove
V = velocità (espressa in metri al secondo);
L = dimensione lineare scelta a piacere (espressa in metri); si intende che nel modello e al vero si debbano però assumere le lunghezze di elementi corrispondenti;
ν = è il coefficiente cinematico della viscosità dell'aria (= 0,00001446 a 15° e 760 mm.).
Per poter dunque avere per un dato modello un numero di Reynolds il più vicino possibile a quello dell'apparecchio al vero bisogna sperimentare in un tunnel tale che consenta di tenere più alto possibile il valore di tal numero, anche per il tunnel, che deve essere sempre sufficientemente ampio, rispetto al modello, da non influenzare eccessivamente colle sue pareti la corrente intorno ad esso. Ciò si può raggiungere o aumentando la densità dell'aria (il che è quanto dire diminuendo il coefficiente di viscosità cinematica ν) o, volendo non comprimere l'aria, aunentando V come si è fatto a Montecelio e in molti altri tunnel; o (sempre senza comprimere l'aria) aumentando L ossia il diametro del condotto di esperienza.
Esaminiamo quale delle due ultime soluzioni convenga. Il Crocco, partendo dalla formula
che dà la potenza necessaria per produrre la velocità V in un tunnel di diametro L (diametro del condotto di esperienza) osservò che per aumentare R nella formola
se si aumenta L la potenza cresce col quadrato di L, mentre se si aumenta Vn cresce col cubo di V; conviene dunque aumentare le dimensioni invece che le velocità.
Si deduce subito che essendo
poiché
si ha, assorbendo in K' il valore di ν,
ossia la potenza è proporzionale al quadrato del numero di Reynolds moltiplicato per la velocità.
Si deduce pure che
cioè: a parità di numero di Reynolds la potenza è inversamente proporzionale alle dimensioni lineari.
Conviene dunque aumentare le dimensioni del tunnel piuttostoché la velocità, perché, per esempio, un numero di Reynolds si raggiunge per la prima via impiegando una potenza 4 volte mentre per la seconda è necessaria una potenza 8 volte più grandi.
Bilance aerodinamiche. - Sono di svariatissimo tipo a seconda delle grandezze da misurare ed a seconda del sistema di collegamento di esse col modello.
Alcune servono esclusivamente per determinare la resistenza all'avanzamento incontrata da corpi geometrici di forma tale da non dare componenti di detta resistenza nel piano normale alla direzione del moto, come ad esempio sfere, solidi con asse di rivoluzione parallelo al moto, oppure fili, cilindri, montanti d'aeroplano disposti col loro asse normale alla direzione del moto, ecc.
Altre sono destinate a dare le due componenti della resistenza nel piano di simmetria del corpo, disposto parallelamente alla direzione del moto: specialmente per determinare forze portanti e resistenze all'avanzamento di ali.
Altre servono alla misura delle coppie: altre, infine, servono per misurare la spinta e la coppia motrice dei modelli di eliche.
Quasi tutte queste bilance sono basate sul principio della riduzione a zero; le forze e le coppie producono rispettivamente una traslazione o una rotazione del corpo in esame che viene ricondotto alla posizione iniziale mediante l'azione di una forza antagonista dovuta a molle tarate, o a pesi, o a pressioni su una capsula manometrica.
La maggior parte degli organi delle bilance sono esterni alla corrente per evitare turbamenti di questa; ma poiché è necessario sostenere in qualche modo il modello dentro di essa, il supporto (opportunamente profilato, per diminuire il turbamento accennato) la traversa in tutto od in parte e può essere rigido o a fili.
Entrambi i sistemi di sospensione hanno i loro inconvenienti: se può essere eliminata mediante opportune tarature la parte della misura dovuta al supporto, non è possibile eliminare quella dovuta all'ombra aerodinamica del supporto stesso sul modello.
Le bilance più usate sono le seguenti:
La bilancia Crocco a supporto rigido per la misura della sola resistenza all'avanzamento (fig. 25): è formata da un parallelogramma deformabile applicabile sia a misure nella vasca sia nel tunnel. Il modello viene assicurato mediante un supporto rigido al telaio inferiore che è appoggiato su coltelli ai montanti, anche essi appoggiati su coltelli e portati da un telaio fisso: il supporto può essere rivestito da una guaina a forma penetrante assicurata al carrello od al tunnel per modo che dentro di essa è permessa al supporto una lieve oscillazione; questa disposizione è conveniente perché non interviene nella misura la resistenza del supporto e perché la forma carenata disturba meno di una forma cilindrica: sotto l'azione della resistenza il telaio rigido indietreggia, il parallelogramma si deforma, si restituisce alla posizione primitiva mediante l'azione antagonista di molle o pesi.
La bilancia Crocco per la misura delle resistenze all'avanzamento e delle forze portanti di ali (fig. 26): è costituita da un doppio parallelogramma deformabile.
La bilancia Costanzi per la misura delle resistenze (fig. 27): è derivata dal principio del pendolo orizzontale adoperato in sismologia: è a sospensione filare. Un leggiero telaio A B C, A′ B′ C′ D′ circonda esternamente il tunnel del vento e ad esso è collegato mediante fili il modello da sperimentare posto dentro la corrente. Il telaio è sostenuto dall'armatura H L M N e dalla sua parallela H′ L′ M′ N′ mediante punte in H L L′ H′ e a sua volta l'armatura è sorretta da altre punte in M N M′ N′ cui fanno da contrappesi rispettivamente G e G′. Sotto l'azione della resistenza dell'aria il telaio indietreggia e le armature ruotano intorno a due assi quasi verticali M N ed M′ N′ (è detto "quasi" perché questi assi pendono leggermente per dare al telaio una posizione di equilibrio definita); il telaio è riportato alla posizione primitiva mediante pesi applicati ad un piattello sostenuto da un filo passante per una carrucola. di rimando per modo che alla resistenza orizzontale si fa equilibrio con una forza verticale: il peso rappresenta la resistenza del modello e dei fili di sospensione: l'aliquota di resistenza dovuta ai fili viene eliminata mediante opportune tarature.
La bilancia Crocco per la misura della spinta e del lavoro motore delle eliche (fig. 28). Un robusto telaio esterno al tunnel porta il supporto dell'elica a forma penetrante ed è libero di oscillare intorno ad un asse normale all'asse dell'elica alla quale la rotazione è trasmessa da un motore elettrico attraverso un dinamometro di trasmissione e un cardano con centro sull'asse di oscillazione del telaio, quindi ad un albero verticale accoppiato a quello orizzontale portaelica mediante un ingranaggio ad angolo. La disposizione del centro del cardano sull'asse di oscillazione della bilancia permette di trasmettere il moto di rotazione all'elica, lasciando libera l'oscillazione del supporto. La spinta dell'elica viene misurata mediante pesi applicati al braccio orizzontale del telaio, dopo la opportuna taratura dovuta alla resistenza del supporto; la coppia motrice è misurata col dinamometro di trasmissione dopo conseguente taratura del Tendimento dell'ingranaggio ad angolo, taratura fatta mediante un freno elettromagnetico Pasqualini: un ordinario cinemometro segna il numero dei giri ed è possibile quindi determinare la spinta ed il lavoro motore necessario a far girare l'elica al numero di giri e alla velocità di vento dell'esperienza.
La bilancia Guidoni per le forze portanti era ad asse orizzontale portata all'estremità della trave rotante del molinello già descritto; il modello in esame era assicurato ad un braccio della bilancia ed equilibrato con pesi sull'altro braccio: appositi dispositivi miravano a mantenere l'angolo d'incidenza. Mettendo in moto la trave il modello tendeva a sollevarsi, contrastato in ciò da una molla il cui allungamento tarato misurava lo sforzo.
La bilancia Guidoni per la resistenza era ad asse verticale in modo che la direzione rispetto alla traiettoria fosse costante e restasse eliminata nella misura l'influenza della posizione dal centro di pressione: dispositivi analoghi ai precedenti servivano alla misura.
La bilancia Guidoni per determinare il centro di pressione era a stessa delle forze portanti, senza però gli speciali dispositiviper assicurare al modello l'incidenza fissa; nota la forza con la prima bilancia, si determinava con questa il momento rispetto all'asse e la distanza da questo del centro di pressione.
La bilancia Eiffel (fig. 29) per la misura della forza portante, della resistenza all'avanzamento e per la determinazione del centro di pressione, porta il modello da esaminare all'estremità di un braccio orizzontale che può girare in un cuscinetto: questo è a sua volta rigidamente connesso col telaio che può prendere appoggio per mezzo di coltelli o anteriormente o posteriormente mediante manovra di apposito congegno. Il momento della resistenza del modello rispetto ad un appoggio o all'altro, è misurato da un momento antagonista fornito dall'opportuno peso posto sul piattello P. Eseguite le due pesate, capovolto il modello ed eseguite altre due pesate di controllo, si possono, mediante una costruzione grafica proposta dall'Eiffel stesso, avere subito il valore, nonché la direzione e il punto di applicazione della resistenza le cui componenti orizzontali e verticali sono appunto la resistenza all'avanzamento e la forza portante.
La bilancia Eiffel per prove di eliche. Ricorda la bilancia Crocco: il motore però non sta a sé come nella bilancia Crocco, ma oscilla col supporto: il motore ad asse verticale, attraverso il supporto e un ingranaggio ad angolo, comunica la rotazione all'asse orizzontale dell'elica. Tutto l'insieme è portato da un cardano giacente nel piano orizzontale sopra al tunnel. L'elica in moto nel vento dà una spinta nella direzione del suo asse: inoltre la coppia torcente tende a far rotare il sistema in un piano normale all'asse. A questi due movimenti fanno opposizione delle capsule manometriche che dànno quindi il valore della spinta e quello della coppia motrice. Noto il numero dei giri, si risale al lavoro motore necessario a produrre la spinta osservata alla velocità di rotazione e di vento dell'esperienza.
La bilancia universale del laboratorio di aeronautica del Politecnico di Torino ha caratteri comuni con la bilancia Eiffel in quanto il braccio porta-oggetti, che penetra nell'interno della galleria del vento, è solidale al giogo di una bilancia che può oscillare successivamente intorno a tre assi distinti, due normali all'asse della galleria ed uno parallelo, non contenuti tutti nel medesimo piano. In tal modo da tre pesate si deducono tre relazioni di momenti sufficienti per determinare i tre parametri di una forza in un piano, e cioè: la sua componente orizzontale (resistenza), la componente verticale (portanza) ed il momento rispetto all'origine, che determina il centro di spinta; cosicché, nel caso di un sistema simmetrico e simmetricamente collocato rispetto alla direzione del moto, la posizione e la grandezza della azione aerodinamica risultano note.
La bilancia di torsione del laboratorio di aeronautica suddetto, è specialmente atta a determinare il centro di spinta, supposta nota la grandezza e la orientazione della forza. Essa consiste in un equipaggio compensato, al quale il modello è congiunto in modo da poter rotare con l'equipaggio stesso, assoggettando a torsione una verga dinamometrica, che crea la coppia antagonista. Due apparecchi di misura con specchio e scala permettono di dedurre sia l'orientazione del modello, sia la torsione della verga dinamometrica e quindi il momento dell'azione aerodinamica rispetto all'asse d'imperniamento.
Il pendolo aerodinamico del laboratorio suddetto, costruito per determinare l'indice di stabilità di una struttura aerodinamica rispetto ad un asse di rotazione, consiste in un pendolo di torsione, ossia in un filo verticale con l'estremità superiore fissata invariabilmente ad un sostegno e la inferiore ad una massa discoidale di grande momento d'inerzia, alla quale si può rendere solidale un modello esposto nella galleria del vento. Messo in oscillazione torsionale il sistema, si misura il fattore di smorzamento, il quale risulta tanto maggiore, quanto più stabile è l'apparecchio che il modello rappresenta. L'indice di stabilità si può dedurre dalla differenza fra il fattore di smorzamento del pendolo unito al modello e quello del pendolo libero.
La bilancia Prandtl (fig. 30), usata nello stabilimento di ricerche aerodinamiche di Gottinga per le misure delle resistenze all'avanzamento e delle forze portanti è a sospensione a fili. Il corpo in esame sospeso a fili sotto l'azione della corrente indietreggerebbe ma è riportato alla posizione iniziale mediante l'applicazione di un peso I che lo contrasta attraverso un filo posto in direzione della corrente: apposita taratura elimina dalla resistenza complessiva, così determinata, l'aliquota dovuta ai fili. Mediante i pesi II e III si determinano le forze di sollevamento: note queste si può dedurre la posizione del centro di pressione.
La bilancia Prandtl (fig. 31) per le esperienze su modelli di eliche. Il modello dell'elica ha l'asse sostenuto da due supporti sospesi mediante fili e può essere messo in moto mediante un ingranaggio conico, per mezzo di un giunto che permette all'asse del modello degli spostamenti longitudinali. La spinta dell'elica è misurata da una bilancia identica a quella adoperata per la misura delle resistenze: il momento torcente è misurato mediante dinamometro di trasmissione.
Primi risultati sperimentali. - La maggior parte degli sperimentatori volsero dapprima le loro ricerche alla determinazione del valore della resistenza che opponeva l'aria ai corpi in moto in essa. Non si prevedeva probabilmente quanto complesso, intricato e difficile fosse questo problema e quali ostacoli, ancora insormontati, si opponessero alla possibilità di una teorizzazione del complicato meccanismo della resistenza che i fluidi oppongono al movimento dei corpi. Parve quindi naturale limitarsi da principio a corpi di forme semplici e regolari, sperando di poter risalire più facilmente a leggi generali: sfere, emisfere, cilindri di varia altezza e base, con asse parallelo e normale alla direzione del moto, placche piane quadrate, rettangolari o circolari, esposte normalmente alla corrente, diedri, piani affiancati o posti l'uno dietro l'altro, parvero dovessero dare il filo conduttore nella ricerca: si entrò così in un ginepraio di difficoltà, complicate non solo da quelle inerenti al caso in esame che non era affatto il più semplice, per quanto semplice ne fosse la forma geometrica, ma dagli errori e dalle non supposte influenze dei supporti dei corpi messi in esperienza.
La massima parte di queste misure perdettero, col progredire delle esperienze, la loro importanza quali dati praticamente utili alla locomozione aerea, che diresse le sue indagini verso le buone caratteristiche di penetrazione e di forza portante, trascurando quelle che rivestivano solo carattere di curiosità sperimentale.
La resistenza R di questi corpi, che per solito avevano un asse di simmetria nella direzione del moto, poteva essere espressa con la formula
ove S era la superficie della sezione maestra, cioè della massima sezione del corpo, normale al moto, supposto coincidente con l'asse di simmetria e quindi con risultante diretta secondo questo; V la velocità relativa del corpo rispetto al fluido e K il coefficiente, il quale stava a rappresentare la resistenza specifica, ossia quella di un corpo geometricamente simile al dato, ma con sezione maestra di un metro quadrato, in moto alla velocità di un metro per secondo in aria a 15° di temperatura e 760 mm. di pressione barometrica. Questo ragguaglio alla superficie unitaria di sezione maestra partiva dal preconcetto che il valore di K dipendesse, per corpi geometricamente simili, a una data velocità, solo dalla densità dell'aria perché era intuitivo e noto che la resistenza aumentava con la densità del mezzo e proporzionalmente a questa.
Si riconobbe presto che il valore di K dipendeva per i corpi della stessa forma geometrica anche dalle dimensioni assolute di essi, per quanto le variazioni non apparissero di entità paragonabile a quelle derivanti dalla densità.
Parimenti nella formula ora accennata è ammesso che la variazione della resistenza sia proporzionale al quadrato della velocità.
Dalle esperienze condotte nel laboratorio aerodinamico della brigata specialisti a Roma, il Costanzi, riprendendo in esame anche le esperienze di altri sperimentatori, provò che la resistenza incontrata da un corpo poteva essere rappresentata da una equazione
ove K è una funzione non continua di V, S e V hanno il significato prima accennato e n è un esponente che secondo i corpi e i campi di velocità è generalmente molto vicino a 2 ma può assumere per certi corpi valori molto inferiori o alquanto superiori. Accertò pure (Sulla variabilità del coefficiente di deflusso, Roma 1912-1913) che il coefficiente K per lo stesso corpo ed alla stessa velocità può assumere in successive esperienze valori molto diversi in relazione col regime di deflusso che si stabilisce e permane intorno al corpo.
È manifesta la straordinaria complicazione ed incertezza introdotta nel delineamento del fenomeno: ne risulterebbe che allo stato attuale delle conoscenze solo l'esperienza direttamente eseguita sul corpo in vera grandezza e nelle condizioni di funzionamento prefissate potrebbe dare una norma al ricercatore di dati per usi pratici: solo con una oculata interpretazione dei risultati dei modelli, tenendo presente le già esposte cause perturbatrici della legge di similitudine, è possibile risalire dal modello al vero.
La teorizzazione dei risultati non è ancora fatta; onde, chi volesse risultati numerici praticamente utilizzabili dovrebbe limitarsi al catalogo delle esperienze compiute, adottabili caso per caso, ammettendo che esse non siano viziate da errori sperimentali. Ma poiché è indispensabile fornire qualche dato per orientare lo studioso, ci limiteremo ad alcuni risultati principali, ammettendo in prima approssimazione valida la legge del quadrato.
Da alcune di queste esperienze, condotte per la maggior parte dall'Eiffel alla sua torre ed al suo tunnel risulterebbe che la resistenza specifica aumenta per le placche piane coll'aumentare delle dimensioni: tale constatazione però probabilmente è dovuta alle influenze del supporto (come ombra aerodinamica), preponderanti nelle placche di piccole dimensioni, attenuate in quelle di grandi dimensioni.
Interessante fu invece la constatazione che, mentre due dischi normali al moto e posti a fianco resistevano come se fossero indipendenti e quindi senza apprezzabile influenza reciproca, l'azione dell'uno sull'altro (induzione o ombra aerodinamica) era rilevante se posti l'uno dietro l'altro, e dipendente dalla distanza cui venivano collocati, giacché il loro insieme per distanze dell'ordine di grandezza del loro diametro, offriva resistenza all'avanzamento minore di quella del disco isolato: con l'aumentare della distanza la resistenza del loro insieme andava crescendo fino ad assumere il valore della somma dei due dischi indipendenti.
Ma l'aviazione, che appassionava già tutti gli sperimentatori, li spinse non solo a ricercare la forma che desse la migliore penetrazione, ma ad uno studio sistematico della sostentazione dinamica.
Da una parte perciò si ebbero le prove sporadiche di tipi di ali disegnate più o meno a capriccio o copiate approssimativamente dalle ali degli uccelli, dall'altra si ebbero studî sistematici di proporzioni (rapporto tra l'apertura dell'ala, dimensione normale a quella del moto e la profondità, dimensione nel senso del moto, rapporto che fu chiamato allungamento) e delle forme dei profili delle centine ossia delle sezioni con piani perpendicolari alle ali nel senso della profondità.
Nello studio dei cosiddetti piani portanti ossia delle ali, importava conoscere:
1. la determinazione della resistenza ai varî angoli di attacco (cioèla componente orizzontale se il moto è orizzontale);
2. la determinazione della forza portante (cioè la componente verticale nel moto orizzontale);
3. il punto di applicazione della risultante (fig. 32).
La rappresentazione dei risultati di queste esperienze può essere fatta mediante grafici di diverso sistema.
Quello adottato dall'Eiffel è rappresentato appunto nella fig. 32. In un sistema di assi cartesiani nei quali sono segnate come ascisse gli angoli di attacco e come ordinate i valori delle forze espresse in chilogrammi sono riportati i valori della resistenza all'avanzamento Ky e della forza portante Kx, dedotti dall'esperienza, ma riferiti alla velocità di 1 m./sec. (deducendo i relativi valori colla legge del quadrato) e alla superficie di 1 mq.
Ma ciò che interessa anche conoscere è il rapporto, per ogni valore dell'angolo di attacco, tra la forza portante e la resistenza all'avanzamento. È chiaro che questo rapporto assume per una ala una grande importanza perché ne rappresenta il rendimento. A parità di forza portante tra due ali di diverso rendimento sarà migliore l'ala col rendimento maggiore perché il denominatore del suddetto rapporto (cioè la corrispondente resistenza all'avanzamento), ossia lo sforzo di trazione necessario per ottenere quella forza portante, è minore; ossia è minore lo sforzo per sostenere quel carico alla data velocità. Ciò naturalmente in linea di massima, perché possono intervenire speciali circostanze che subordinino ad altre necessità questo vantaggio.
Altro sistema è quello rappresentato alla fig. 33 dove sono portate come ascisse le resistenze e come ordinate le portanze. La curva che ne risulta si dice la polare dell'ala.
Ma non solo importano i valori delle componenti: interessa anche il punto di applicazione della risultante. La posizione di questo punto col variare dell'angolo di attacco può rappresentarsi con un diagramma nel quale come ascisse sono presi gli angoli di attacco e come ordinate il percento delle distanze dal bordo di attacco.
Oggi sono frequentemente adoperate per l'intero apparecchio le polari logaritmiche molto comode per risolvere i numerosi problemi che si possono presentare (fig. 34); sono ottenute assumendo su carta logaritmica i logaritmi delle resistenze come ascisse e quelli delle forze portanti per ordinate: a ciascun angolo corrisponde perciò un punto di una curva. Nel monogramma Crocco invece si assumono per ascisse le forze portanti e per ordinate i corrispondenti rendimenti, sempre su carta logaritmica.
Deduzioni da alcuni risultati sperimentali.
Resistenza di forma. - Esponiamo una lastra sottile di forma circolare e di superficie S normalmente ad una corrente d'aria di nota velocità V.
Rendiamo visibile con fumo, ottenuto p. es. con tetracloruro di titanio o con polvere di licopodio o altrimenti, la corrente intorno alla lastra; osserveremo che le particelle visibili in sospensione, le quali presumibilmente hanno traiettorie analoghe a quelle delle molecole dell'aria, scivolano avanti alla lastra in tutte le direzioni, e sfuggono per la zona periferica. Il flusso si stacca alla periferia della lastra; alcune delle particelle sono trascinate in moto turbinoso dietro di essa formando vortici che, a brevi periodi, si formano, si allontanano col vento e spariscono a distanza. Se il fluido fosse perfetto, le molecole suddette, invece che distaccarsi, potrebbero, dopo lambita la faccia anteriore, girare il bordo, lambire quella posteriore e riprendere la loro traiettoria rettilinea: ciò non accade di fatto.
Le traiettorie delle molecole sono sempre meno irregolari man mano che ci si allontana dal contorno della lastra e tornano ad essere rettilinee a distanza notevole da essa.
Se ricerchiamo col metodo manometrico dianzi descritto la distribuzione delle pressioni sulla faccia anteriore e posteriore della lastra in parola, troveremo una sovrapressione dinamica regolarmente distribuita sulla faccia anteriore, rapidamente decrescente ai bordi fino ad annullarsi alla periferia e una depressione dinamica (o vuoto relativo) sulla faccia posteriore (fig. 35).
Se misuriamo, con una delle bilance prima descritte, la resistenza globale opposta dalla lastra, troviamo un valore uguale a quello risultante dalla integrazione delle pressioni e depressioni dinamiche dianzi ricordate.
Osserviamo inoltre che, al variare della velocità, tanto le pressioni misurate col metodo manometrico, quanto la resistenza sintetica misurata con la bilancia, variano presso a poco in ragione del quadrato della velocità.
Si può qui ricordare che si possono immaginare velocità per le quali la depressione sulla faccia posteriore abbia un limite e cioè il vuoto assoluto, oltre il quale non è possibile che cresca ulteriormente, mentre, crescendo ancora la velocità, la pressione può crescere illimitatamente.
Il regime delle resistenze, derivante dall'azione concomitante delle pressioni e delle depressioni da questa velocità in poi dovrebbe seguire altra legge.
Questa velocità critica probabilmente corrisponde a quella di efflusso del fluido nel vuoto; essa viene raggiunta abbastanza presto in acqua, molto più tardi in aria; oltre questa velocità si ha il così detto fenomeno di cavitazione. Da esperienze del Panetti fatte a velocità tra il regime idraulico e quello balistico in aria, e quindi prima che possano avvenire fenomeni di cavitazione, è risultato che, per esempio, la pressione anteriore su una sfera cresce in proporzione maggiore del quadrato delle velocità mentre la depressione posteriore cresce (in valore assoluto) in proporzione minore del quadrato.
Resistenza di attrito. - Supponiamo ora che la lastra invece che disposta normale al vento sia col suo fianco nella direzione di questo: supponiamo di aver potuto ovviare con artifizi sperimentali a quella aliquota di resistenza che proviene dalla pressione dinamica esercitata sul bordo anteriore ed alla depressione dinamica sul bordo posteriore; troveremo che in tale posizione la resistenza della lastra è piccola ma non è nulla. Il sussistere di una resistenza non può derivare da pressioni che, per la simmetria della impostazione sperimentale, si eliminerebbero: è dovuto dunque ad azioni tangenziali ossia all'attrito del fluido sulle due facce della lastra. Si può qui ricordare incidentalmente che per determinare la legge di resistenza d'attrito in acqua col variare della velocità il Costanzi adoperò il metodo seguente.
Misurato il valore della resistenza alle varie velocità di due ogive A e B, poste con le basi a contatto, il Costanzi interpose (fig. 36) prima un tratto cilindrico di lunghezza pari al diametro, poi due, tre, quattro, cinque, ecc., volte più lungo di esse, determinando ogni volta la variazione della resistenza con la velocità. Poiché questi tratti cilindrici non potevano aggiungere che resistenza di attrito (egli aveva in precedenza verificato col metodo manometrico che non variava in modo apprezzabile la distribuzione delle pressioni e quindi la resistenza di forma quando si intercalavano i detti tratti cilindrici), gli fu facile calcolare la legge di variazione dell'attrito pel breve campo di velocità esplorato: essa dette
Tornando in modo speciale all'aria e concludendo, la resistenza aerodinamica di un certo corpo può essere analizzata e attribuita:
a) alle sovrapressioni dinamiche dovute agli urti e cambiamenti di direzione o di velocità delle particelle d'aria,
b) alle depressioni dinamiche determinate da queste cause o dal distacco del flusso dalla superficie del corpo;
c) alle azioni tangenziali dovute all'attrito.
Esperienze molto accurate avrebbero dimostrato che, a contatto con una superficie molto liscia, l'aria scorre laminarmente, ossia come tante lamine parallele alla superficie in parola con velocità che va da zero, a contatto del corpo, a valori abbastanza grandi, minori tuttavia di quelli della corrente. Si noti che questo strato di laminazione dell'aria, in cui si ha la variazione suddetta, avrebbe lo spessore dell'ordine di qualche centesimo di millimetro. Subito dopo di esso vi è una zona turbolenta, dove la velocità va sempre aumentando, poi il deflusso torna regolare. Non si deve dimenticare che questa conclusione sembrerebbe apparentemente contraddetta dalla constatazione che partendo in volo con sabbia, polvere o gocce d'acqua sul dorso delle ali o della fusoliera, questi corpi estranei restano in posto per vario tempo. Per mezzo dello strato suddetto si eserciterebbero le azioni tangenziali dell'aria sulla superficie del corpo.
La resistenza di attrito è in relazione con la viscosità del fluido e non è quindi possibile ridurla oltre un certo limite quando le superficie del corpo siano ben lisce e si siano date ad esse dimensioni limitate nel senso del moto.
Esperienze recenti hanno dimostrato che il coefficiente di attrito C per una superficie piana intelata e verniciata con sei strati di vernice da aeroplano, può essere espressa con la formula:
ove V è la velocità (in m/sec.), L la lunghezza della superficie nel senso del moto (espressa in metri), ν il coefficiente di viscosità cinematica dell'aria (ν = 0,00001446 a 15° e 760 mm.).
La resistenza totale di attrito Ff dell'aria su una superficie piana di area totale St (in metri quadrati) cioè superficie delle due facce del piano, se sono entrambe investite dal vento è data, in chilogrammi dalla formula:
essendo γ il peso specifico dell'aria.
Resistenza delle sfere. - Se esaminiamo col metodo manometrico la distribuzione delle pressioni sulla sfera (che può considerarsi derivata dalla lastra circolare già ricordata, applicando avanti e dietro ad essa due emisfere di diametro uguale a quello della lastra) troviamo, e di ciò abbiamo già fatto cenno, che le sovrapressioni dinamiche non si estendono a tutta la emisfera anteriore, ma sono limitate ad una calotta il cui cerchio di base ha un diametro 7/10 di quello della sfera: inoltre esse hanno un massimo nel polo anteriore, decrescono per ridursi a zero sul cerchio anzidetto: al di là di questo si manifesta una depressione dinamica crescente rapidamente in valore assoluto fino a toccare un massimo, per diminuire poi e raggiungere un certo valore che si mantiene quasi costante per tutta la emisfera posteriore.
La depressione nell'emisfera anteriore, che non compariva nella faccia anteriore del disco, è favorevole al moto.
L'esperienza ha mostrato che, sia per la diminuita pressione dinamica, sia per la comparsa della depressione anteriore (che è propulsiva), la resistenza dell'emisfero anteriore è un tredicesimo della resistenza della faccia anteriore della lastra: però la depressione sull'emisfero posteriore è maggiore di quella misurata sulla faccia posteriore della lastra; in conclusione il forte vantaggio dato dall'emisfero anteriore resta alquanto diminuito dallo svantaggio conseguente nella emisfera posteriore.
Ma questa condizione di svantaggio non si verifica che a velocità inferiori ad un certo valore, variabile con le dimensioni della sfera.
Si è constatato che, quando si aumenta il prodotto velocità × dimensioni, aumentando o la velocità o le dimensioni, la zona di distacco dei filetti si sposta dietro l'equatore fino ad arrivare, per un valore del suddetto prodotto sufficientemente grande, ad un parallelo situato a circa 25° dopo l'equatore (figg. 37 e 38).
Il flusso lambisce la sfera contornandola per più lungo tratto: a questo regime la resistenza specifica si riduce a circa 1/3 di quello che era nel primo regime.
Nel 1912, durante le esperienze per misurare la resistenza di varî corpi nel laboratorio aero-idrodinamico della brigata specialisti, il Costanzi, in presenza della constatata saltuaria resistenza di alcuni corpi, pensò chiarirne le leggi, studiandola su un corpo sferico, poiché tale forma, essendo molto semplice, doveva, a suo credere, dar luogo a fenomeni anche ben netti: era invece una forma di singolare comportamento, onde egli scoprì quella pluralità di regimi che formò poi oggetto di una vasta letteratura da parte di molti sperimentatori. tna sfera di cm. 10 di diametro seguiva una determinata legge di resistenza data da:
fino ad una certa velocità: da questa velocità in poi seguiva invece l'altra legge:
Come appare dalle formule, nel secondo regime il coefficiente di resistenza specifica è addirittura meno della metà di quello del primo regime. Queste prime esperienze, cui seguirono subito dopo quelle dell'Eiffel in aria, di Toussaint e Maurain, ecc., dimostrarono che la velocità critica (alla quale avviene il cambiamento di resistenza) si verifica a valori diversi a seconda della grandezza della sfera e precisamente in ragione inversa delle dimensioni lineari di quella. Cioè se per una sfera A di diametro, per esempio, metà della sfera B, il cambiamento di regime si ha a quattro m/sec. di velocità, per la sfera B il cambiamento avviene a due m/sec. (fig. 39).
Il Costanzi provò anche sperimentalmente che il fenomeno non era una singolarità della sfera, e che l'apparizione di un secondo regime in taluni casi può essere brusco ad una velocità critica, in taluni corpi, o graduale in altri, dando per questi l'impressione che la legge di resistenza si distacchi notevolmente dalla legge del quadrato.
Il Toussaint dà alcuni numeri per chiarire l'ordine di grandezza dei valori delle pressioni dinamiche normali. Secondo i risultati dell'esperienza, presa come base la formula:
per un disco circolare sottile, normale alla corrente, si trova che C1 = 1,12: la sovrapressione dinamica anteriore è il 74% di questa resistenza, ossia
la depressione posteriore è il 26% ossia
Nel caso del disco si ha un solo regime perché il distacco della vena non può avvenire che sulla circonferenza della placca.
Ponendo le due emisfere avanti e dietro, il coefficente di resistenza totale C2 della sfera, avente quindi la sezione maestra di area uguale a quella del disco, diviene
Esaminiamo quale contributo dànno in entrambi i regimi le sovrapressioni e le depressioni: 1° regime: la resistenza della emisfera anteriore deriva dalla sovrapressione, estesa alla calotta polare di diametro 0,7 del diametro della sfera, il cui coefficiente C′ (av.) è 0,225, e dalla depressione della restante calotta il cui coefficiente C″ (av.) sarebbe −0,179 per modo che il contributo di resistenza dato dalla emisfera anteriore è
L'emisfera posteriore contribuisce con una resistenza assai più rilevante e precisamente:
Nel 2° regime si ha una resistenza totale della sfera, come si è detto, C = 0,16.
L'emisfera anteriore contribuisce con una parte aliquota di resistenza dell'ordine di quella trovata nel 1° regime: mentre l'emisfera posteriore, sempre nel secondo regime, contribuisce con una che è circa un quarto della corrispondente del 1°.
Resistenza della forma affusolata. - Se al disco primitivo invece delle emisfere poniamo avanti e dietro forme così affusolate da assomigliare a quella dei pesci (fig. 40), vediamo che la resistenza globale del corpo che ne risulta (avente sempre la stessa sezione maestra del disco) è C = 0,033 cioè diventa 1/34 della resistenza del disco: il contributo delle depressioni e sovrapressioni, sempre secondo il Toussaint può essere così analizzato:
Il contributo di resistenza della parte anteriore è ancora diminuito rispetto alla sfera: ma quello che è disceso in modo rilevante è il contributo alla resistenza dato dalla parte posteriore e ciò perché si è estremamente ridotta con la forma affusolata posteriore la zona di distacco del deflusso che in queste forme, dette penetranti, accompagna fin quasi all'estremità il corpo. È bene richiamare l'attenzione sul fatto che si verifica a prora dei dirigibili e sul bordo di attacco delle ali, che la resistenza globale, esigua nel suo valore assoluto, è la differenza di due azioni contrarie distribuite su elementi diversi e contigui di superficie, per modo che in pratica le strutture non sono assoggettate ai piccoli sforzi che si potrebbero presumere dal valore della risultante, ma alla somma delle dette azioni, ciascuna delle quali può anche essere di un ordine di grandezza superiore a quello della loro differenza.
Resistenza di cilindri a forma carenata. - Quanto abbiamo fatto parlando del disco potremmo fare anche partendo da una lamina rettangolare molto lunga esposta normalmente al vento e ponendo avanti e dietro la medesima, prima due mezzi cilindri, poi delle forme carenate (fig. 41) a sezione analoga a quelle delle forme affusolate su ricordate (fig. 40); si perverrebbe a risultati analoghi.
Anche per le forme cilindriche e carenate, nelle esperienze fatte nel su ricordato laboratorio della brigata specialisti, il Costanzi scoprì la pluralità dei regimi, dopo di lui universalmente constatata.
I coefficienti da assumere possono essere tratti dalla tabella precedente: è sempre conveniente, dal punto di vista della diminuzione della resistenza all'avanzamento, sostituire i montanti e i fili cilindrici con montanti e fili affusolati.
Per i primi l'allungamento più favorevole varia da 3 a 3,5 facendo assegnamento su un C = 0,08; per i secondi si va da C = 0,40 per V = 40 m/sec. a C = o,356 per V = 80 m/sec.
Resistenze passive dei vari organi di un aeroplano. - Abbiamo accennato ai cosiddetti effetti di ombra o induzione aerodinamica: questo fenomeno ha molta importanza nello studio della forma da dare agli organi secondarî di un aeroplano, prescindendo per ora dalle ali delle quali si parlerà in appresso.
Fusoliera. - L'esperienza ha provato che una fusoliera di grande penetrazione, a forma di carena di dirigibile, cresce notevolmente di resistenza se fornita di alcuni accessorî indispensabili, come il parebrise e l'appoggia testa: il laboratorio Eiffel ha determinato i seguenti valori, che si citano per norma, non senza avvertire che questi organi aggiunti, essendo molto piccoli, influiscono sul modello forse assai più che al vero, non essendosi conservato nell'esperienza il numero di Reynolds che si avrebbe in pratica
Per una fusoliera a sezione maestra rettangolare si ha:
La presenza di un radiatore frontale, soltanto per effetto della troncatura necessaria nella fusoliera invece della ogiva delle comuni forme penetranti, porta un aumento di resistenza che il Toussaint, per le fusoliere sperimentate, dice calcolabile in
essendo Sf la superficie della sezione maestra della fusoliera ed essendo Sf la superficie della troncatura di questa, occupata dal radiatore.
Ma un ulteriore aumento di resistenza si ha per il passaggio dell'aria attraverso il nido d'ape del radiatore, talché indicando con C(f,r)il coefficiente di resistenza unitaria della fusoliera col radiatore, essa sarebbe data, secondo il Toussaint, dalla espressione
dove Cf è il coefficiente di resistenza della fusoliera senza radiatore, ma terminata ad ogiva; Sf ed Sr sono le superficie rispettivamente della sezione maestra e della troncatura corrispondente al radiatore, vr0 la velocità di passaggio dell'aria attraverso il radiatore isolato e vr,. quella attraverso il radiatore non isolato, Cr il coefficiente di resistenza del radiatore isolato.
Per una fusoliera il cui radiatore avesse una superficie di troncatura metà della sezione maestra e con coelficiente di resistenza
si avrebbe
di fronte ad un
della fusoliera senza troncatura.
Le ruote, se l'intelamento laterale è tangente al copertone, resistono meno che nel caso in cui esso sia tangente al cerchione: si può assumere, come media, nel primo caso C = 0,254, nel secondo, come media, C = 0,34.
I fili, i cavi e i montanti seguono leggi diverse indicate nella tabella di cui sopra: per velocità di 80 m/sec. e per l'allungamento della carenatura più conveniente (da 3 a 3,5) si può prendere un C =0,0800.
Scafi d'idrovolanti. - Gli scafi di idrovolanti vanno studiati dal punto di vista idrodinamico e aerodinamico; il primo, che deve essere in armonia con le caratteristiche aerodinamiche dell'apparecchio, va studiato a parte.
Dal secondo punto di vista, osserviamo che la forma penetrante può essere rispettata in uno scafo meno che in una fusoliera, poiché è necessario interrompere la curvatura della faccia inferiore con un rédan senza il quale lo scafo, avendo la forma del dorso di un'ala rovesciata, si sommergerebbe nell'acqua invece che sollevarsi da questa, all'inizio del moto.
Dal punto di vista della interpretazione delle esperienze con modelli il Diehl (Stati Uniti d'America) assegna la formula;
ove Fx(c) è la resistenza aerodinamica al vero; Fx(m), è la resistenza aerodinamica del modello; V ed L sono rispettivamente velocità al vero e lunghezza dello scafo al vero; v ed l sono rispettivamente velocità di esperienza e lunghezza del modello.
Si può assumere per comodità
ove K si ricava dalla tabella
Impennaggi. - Le dimensioni degli impennaggi sono subordinate a quelle delle ali e alla distanza da queste: l'esperienza ha dimostrato che conviene farli a profilo abbastanza spesso perché a parità di proiezione orizzontale della loro superficie, il profilo biconvesso (fino ad un certo spessore) ha un Cx minore che il corrispondente piano sottile a spigoli opportunamente smussati.
Il Toussaint dà i seguenti dati:
È da tenere presente che il profilo spesso può essere a cantilever e quindi, contenendo le armature all'interno, può risparmiare molto nella resistenza all'avanzamento, compensando la lieve perdita dovuta allo spessore abbastanza forte del profilo.
L'ala. - Consideriamo un'ala a profilo biconvesso e simmetrico; supponiamo che il suo piano di simmetria contenga tutte le rette come A B e sia orizzontale; che orizzontale sia il vento cui l'ala è esposta ed esso abbia appunto la direzione delle rette A B (fig. 42). Data la simmetria delle azioni dell'aria, la portanza sarà nulla e la resistenza all'avanzamento sarà dovuta quasi esclusivamente alla resistenza di attrito dell'aria sul dorso e sul ventre dell'ala.
Se incliniamo l'ala sollevando il bordo anteriore di essa, si determinano nuove condizioni di deflusso non più simmetriche: l'aria sarà spinta in basso e l'ala risentirà una reazione che avrà una componente verso l'alto.
Esaminando la distribuzione delle pressioni ai varî angoli di attacco e alle varie velocità, abbiamo i diagrammi a fig. 43.
L'insieme delle pressioni dinamiche elementari dà una risultante leggermente inclinata indietro rispetto alla normale direzione del vento, risultante che però è meno inclinata indietro di quella che si ottiene dalla misura sintetica che tiene conto non solo delle pressioni derivanti dalla misura manometrica, ma anche della resistenza di attrito.
Le velocità del fluido lungo il profilo e nelle sue vicinanze sono accresciute nella zona a depressione e diminuite in quella pressione come se alla corrente preesistente se ne fosse sovrapposta un'altra circolante attorno all'ala nel senso indicato nella figura 44.
Componendo le due velocità dovute alle due correnti in ciascun punto, si trova che la risultante dà appunto la pressione dinamica che si verifica in quello.
La componente verticale (portanza) che è perciò perpendicolare alla direzione del vento, aumenta proporzionalmente all'angolo di incidenza da zero a 12° o 15° gradi, cresce poi meno rapidamente per decrescere subito dopo.
La componente orizzontale (resistenza all'avanzamento) che è perciò nella direzione del vento (la sola esistente nel caso della simmetria del corpo rispetto a questa direzione), ai piccoli angoli di attacco ha variazioni poco sensibili; cresce poi rapidamente con l'aumentare dell'angolo d'incidenza.
L'angolo di attacco per il quale la componente normale comincia a non crescere più proporzionalmente all'angolo di incidenza (e non può più essere rappresentata con una linea retta nel diagramma cartesiano), corrisponde all'angolo per il quale si inizia decisamente lo scollamento del deflusso dal dorso dell'ala, scollamento che si propaga rapidamente, col crescere dell'angolo di attacco, dal bordo d'uscita verso quello di entrata, con conseguente formazione di zone vorticose e forte aumento di resistenza. La teoria e l'esperienza hanno provato che tra due ali, aventi lo stesso profilo e lo stesso angolo di attacco, quello che ha maggiore apertura ha anche la risultante più vicina alla normale alla corrente (la normale rappresenterebbe il limite della inclinazione per un'ala di apertura infinita se mancasse la resistenza di attrito). Dunque la limitazione nell'apertura dell'ala introduce un'ulteriore resistenza oltre quella d'attrito, riscontrata a incidenza nulla.
L'aria cacciata verso il basso dall'ala, devia, dando per reazione, come abbiamo detto, una componente verticale: ma alle estremità laterali rigurgita, cercando di riversarsi dal basso verso l'alto nella zona depressa superiore; si forma così una regione marginale di vortici che si propaga anche a discreta distanza dietro l'ala.
Queste perturbazioni marginali modificano più o meno tutto il regime di deflusso intorno all'ala secondo che l'apertura sia minore o maggiore.
La resistenza all'avanzamento dovuta alla perturbazione anzidetta è inversamente proporzionale all'allungamento dell'ala, ossia al rapporto
dell'apertura alla profondità secondo un coefficiente di proporzionalità che, calcolato teoricamente, si trova abbastanza corrispondente a quello sperimentale.
In conclusione la resistenza all'avanzamento di un'ala si può considerare quale somma di una resistenza di profilo dovuta all'attrito delle superficie allo spessore dell'ala ed alla curvatura della centina, oltre ad una resistenza autoindotta, dovuta all'azione dei vortici prodotti dalle perdite marginali.
Parimenti si può concludere che, per ottenere da una certa ala una determinata sostentazione, si debba dare ad essa un certo angolo di attacco il quale, in sostanza, è formato di un angolo d'incidenza teorica dipendente dalla forma del profilo per un'ala a pianta rettangolare e ad apertura infinita e da un angolo dipendente solo dalla forma della pianta dell'ala ossia dalle proporzioni tra la sua apertura e la sua profondità, detto angolo autoindotto.
Questo angolo è proporzionale alla forza portante ed al quadrato dell'apertura con un coefficiente di proporzionalità presso a poco uguale a quello della resistenza indotta.
Nelle cellule multiplane, oltre la resistenza dovuta al profilo e quella autoindotta dovuta alle perdite marginali dell'ala isolata, si debbono aggiungere le resistenze indotte di un'ala sull'altra.
L'angolo di incidenza può pertanto considerarsi come la somma di tre angoli, di cui due sono quelli prima considerati e il terzo è a sua volta la somma degli angoli indotti dovuti all'ombra aerodinamica di un'ala sull'altra; analogamente deve dirsi per la resistenza.
Calcoli relativi alle ali. - Consideriamo un'ala di superficie S e di apertura L: secondo quanto si è detto la resistenza totale Fx è uguale alla somma della resistenza di profilo Fxo e della resistenza indotta Fxi ossia
Così l'angolo di incidenza per avere la portanza Fz è
La teoria di Prandtl circa le ali di apertura finita porta alle formule
ovvero
nelle quali i è espresso in gradi, Cxi ed ii, hanno il significato rispettivamente di coeffificiente unitario della resistenza indotta e di angolo indotto, mentre che io è l'angolo d'incidenza per l'ala di apertura infinita e che corrisponde ad Fz e Cz:
Il rapporto
viene chiamato allungamento ridotto od effettivo. Nel caso particolare delle ali rettangolari (per le quali si prenda k = 1) la precedente formula si riduce alla
ove l è la profondità
ossia all'allungamento quale si dà per definizione.
La ripartizione trasversale della sostentazione su un'ala monoplana a pianta rettangolare man mano che aumenta l'allungamento si avvicina sempre più alla forma rettangolare, perché l'influenza delle estremità si va man mano attenuando.
Se l'ala invece ha pianta ellittica o di mezza ellisse formata da profili omotetici e aventi la stessa incidenza, la ripartizione della sostentazione si avvicina ad una ellisse: per queste ali si è trovato teoricamente che k = 1. In questo caso si avrà la resistenza autoindotta minima, mentre nel caso precedente essa sarebbe più grande di quella che corrisponderebbe ad una distribuzione ellittica.
Calcolando mediante formule teoriche dovute al Betz i valori di k2 in funzione di λ, per le ali rettangolari si ha la tabella
Concludendo: la resistenza unitaria Cx e l'angolo di incidenza i di un'ala monoplana sono dati dalle formule
Se si sono determinati sperimentalmente i valori di Cz: e di i per un profilo e per un'ala che indichiamo con (1) costruita con questo profilo, si potranno calcolare le componenti unitarie e l'angolo d'incidenza per qualsiasi altra ala che indichiamo con (2) avente lo stesso profilo, adoperando le relazioni
Queste relazioni esprimono che le polari delle ali di vario allungamento sono spostate le une rispetto alle altre di quantità ben definite e proporzionali a Cz2. Nel sistema di assi O Cx e O Cz si possono tracciare a priori le parabole rappresentanti i valori di Cxi per i varî allungamenti. Se alle ascisse Cxi di queste parabole si aggiunge il valore Cxo corrispondente al profilo considerato, si otterrà la polare calcolata. Questa coincide con la polare sperimentale nel campo degli angoli nei quali non si hanno distacchi del flusso (Toussaint). Formule analoghe alle precedenti si applicano anche al calcolo delle cellule multiplane.
Il Prandtl ha dato le formule teoriche che permettono di calcolare le cellule biplane in generale e le cellule triplane nei casi di ali della stessa apertura; ha anche dato formule approssimate per le cellule multiplane.
Influenza della forma del profilo delle ali sostentatrici. - L'aerodinamica teorica insegna, come si vedrà più oltre, che si possono tracciare un'infinità di profili di corpi di buona penetrazione in modo da essere riguardati come generati da linee di corrente.
In un fluido reale, ossia con viscosità, il fenomeno si complica perché il deflusso dell'aria talvolta si stacca dalla superficie e ciò avviene anche per i buoni profili di ali ad angoli di attacco abbastanza elevati, o quando ostacoli particolari (come per esempio un parebrise sul dorso di un'ala) determinino tale distacco. In conseguenza del distacco la resistenza all'avanzamento cresce, e diminuisce invece la forza portante.
Un profilo simmetrico abbia, per esempio, il massimo di Cz (forza portante) a 15°, massimo variabile tra 0,8 e 1 a seconda dello spessore del profilo e dell'allungamento dell'ala: incurvando la linea media di questo profilo, si potrà aumentare il massimo suddetto di una quantità determinabile sperimentalmente (fig. 45).
I parametri principali della forma di un profilo sono: lo spessore massimo relativo e/l (essendo e lo spessore assoluto in metri e l la profondità del profilo in metri) e la freccia o curvatura relativa massima della linea media f/l (essendo f l'altezza del vertice della curvatura sulla congiungente i due bordi d 'attacco e d' uscita), misurati in metri.
Posta l'uguaglianza di curvatura relativa, i profili spessi possono dare portanze massime più elevate, secondo quanto è stato accertato nei laboratorî nei quali si sono potuti avere dei numeri di Reynolds abbastanza elevati (purtroppo non quanto al vero).
Risorge il dubbio se quanto è stato accertato nei laboratorî corrisponda al vero, ossia risorge la questione sugli effetti di scala, non ancora definita per mancanza di sufficienti riscontri al vero delle prove fatte in scala. In ogni modo sta il fatto che le esperienze dei varî laboratorî hanno svelata la convenienza, in molti casi, dei profili mediamente spessi, anche perché questi possono contenere all'interno molta parte della struttura resistente, che nelle ali sottili viene più o meno esposta al vento, ed altri organi, come serbatoi di benzina, ecc.
Si prospetta qui la questione della convenienza dell'ala a curvatura variabile, alla cui ideazione si sono dedicati molti inventori, che talvolta l'hanno realizzata in modo abbastanza geniale. Però il peso che s'introduce in siffatta costruzione, volendo mantenere la necessaria robustezza, non compensa in alcun modo il lieve vantaggio che si ottiene colla maggiore portanza utilizzabile generalmente solo su aerodromi nel momento delicato dell'atterramento.
Il centro di spinta e il momento della risultante aerodinamica sull'ala. - Col mutare dell'angolo di incidenza in genere cambia la posizione e il valore della risultante e quindi cambia il valore del momento rispetto al centro di gravità. Questa variazione produce due inconvenienti; l'uno che riguarda specialmente la struttura, l'altro che riguarda la stabilità.
L'escursione rilevante della risultante introduce dei momenti torsionali nell'ala che, specie in quella monoplana, possono diventare così forti da produrre la rottura, o per la loro grandezza effettiva, o per le vibrazioni torsionali verso l'alto e verso il basso che si verificano a certe velocità critiche verso l'estremità dell'ala. A ciò bisogna contrapporre una rilevante robustezza del longherone o dei longheroni per gli sforzi di torsione, e naturalmente un congruo spessore di questi.
Perciò il costruttore cercherà di utilizzare un profilo d'ala nel quale la risultante varii pochissimo il suo cosiddetto punto di applicazione e venga a passare per la parte più spessa, ove potrà essere collocato il longherone, per modo che il momento torcente dell'ala sarà sempre piccolo, e possibilmente zero, con profili speciali che saranno perciò, da questo punto di vista, grandemente consigliabili.
Tale invariabilità della posizione della risultante importerà un notevole vantaggio perché eliminerà l'altro inconveniente sopra accennato. Se la linea d'azione della risultante, al variare dell'angolo di attacco, varia molto, poiché in aria agitata l'apparecchio viene di continuo incontrato dall'aria con angoli di attacco diversi, il pilota dovrà ad ogni spostamento della linea di azione (che porta un mutamento nel valore del momento), neutralizzare l'effetto della variazione di questo (che cambierebbe l'assetto longitudinale del velivolo) con opportuna manovra del timone di profondità.
L'ala a fenditura. - Il costruttore inglese Handley Page preconizzò e sostenne l'utilizzazione dei profili a fenditura per ottenere una sostentazione massima più elevata.
Si è riscontrato nelle esperienze di laboratorio che un profilo a più fenditure, come nella fig. 46, riesce a dare una portanza massima circa del 60% maggiore della portanza massima corrispondente all'ala che inviluppa l'insieme, e ciò ad angolo di circa 25° e 26°, quando lo scollamento del deflusso è già avvenuto per l'ala semplice.
Il Handley Page dopo varî anni di esperimenti ha ridotto ad una le fenditure, per rendere la cosa pratica, e l'ha posta solo all'estremità dell'ala dal lato del bordo di attacco per un tratto corrispondente agli aleroni, rendendone la manovra automatica.
L'automaticità della manovra è data dal fatto seguente: ai grandi angoli di attacco sul bordo anteriore si verifica una depressione che si estende anche un poco sotto il becco dell'ala (fig. 42).
Il bordo d'attacco in questa regione è distaccabile (ossia può venire avanti) e produrre quindi tra sé e il restante dell'ala una fenditura: il meccanismo di questa manovra è tale che ai grandi angoli di attacco la depressione suddetta aspira la parte del bordo, producendo automaticamente la fenditura.
Questo fatto consente una stabilità automatica all'apparecchio; perché appena, per es., cade a destra, siccome da questa parte la direzione del vento relativo aumenta l'angolo di attacco, si produce subito la fenditura a destra, aumenta la forza portante dell'ala da questa parte e l'equilibrio si ristabilisce.
La fenditura funziona anche quando l'apparecchio vola a velocità molto bassa ed è quindi molto cabrato: in tal caso lo sportello che forma la fenditura si distacca da ambo le parti, e rende quindi possibile di volare con sicurezza a velocità molto minori per il conseguente aumento di forza portante.
Aerodinamica teorica. - Le leggi dell'equilibrio e del movimento degli aeriformi hanno fermato l'attenzione degli studiosi, soprattutto per i loro rapporti con la possibilità di tradurre in atto l'antichissima aspirazione dell'uomo a sollevarsi nell'atmosfera e a dirigersi in essa.
L'aerostatica, sulla quale si fonda la navigazione aerea col più leggiero dell'aria, per quanto di gran lunga più semplice dell'aerodinamica, non è la più antica. Invero il principio di Archimede, pel quale un corpo immesso in un fluido è soggetto ad una spinta uguale al peso del fluido spostato, ossia del fluido di ugual volume, fu applicato assai più tardi ai fenomeni atmosferici, essendo rimasto ignorato per molto tempo il peso degli aeriformi, che solo sul principio del XIX secolo fu documentato con studî precisi.
I fatti che in questo ordine di fenomeni l'uomo aveva continuamente sott'occhio, come l'ascesa spontanea del vapore perché più leggiero dell'aria circostante, venivano interpretati con astrazioni metafisiche. Tuttavia già nei primi anni del sec. XVIII Bartolomeo Gusmão, nato a Santos nel Brasile, sperimentando nel Portogallo, sua patria d'adozione, riuscì a sollevarsi, servendosi a quanto pare del gas sviluppato con la reazione dell'acido solforico sulla limatura di ferro. La scoperta dell'idrogeno e delle sue proprietà, fra le quali fondamentale il suo piccolissimo peso specifico, si attribuisce però al Cavendish nel 1766, ma i tentativi del dott. Black per applicarlo all'aerostatica rimasero senza successo, tanto che la prima affermazione concreta della navigazione col più leggiero dell'aria fu fatta, come è ben noto, con un mezzo del tutto primordiale: l'aria calda. a cui ricorsero i fratelli Ètienne e Joseph Montgolfier, quando, nel giugno 1783, in Annonay, nell'Ardèche, gonfiarono il loro primo pallone di 866 mc. in tela da imballaggio foderata di carta.
Più varia è la storia della ideazione del volo col più pesante dell'aria. I concetti fondamentali di essa potevano essere forniti dalla navigazione, che risale ai tempi della più remota antichità. La tecnica navale offriva di fatto tre fondamentali ordini di notizie, utilizzabili per il problema del volo:
la forma dei corpi di minima resistenza, aventi figura di fuso, che del resto la natura ci insegna con la configurazione dei pesci e degli uccelli;
l'azione del vento sulle vele, che ha così stretti rapporti con la forza portante delle ali.
l'azione del fluido sui timoni, come mezzo per il governo della navigazione, sia nell'acqua, sia nell'aria.
È notevole anzi come il grande precursore del volo meccanico, Leonardo da Vinci, abbia avuto una chiarissima visione dell'analogia di quest'ultimo fenomeno con quello fondamentale della capacità portante dell'ala. Ciò risulta dalla frase incisiva contenuta nel foglio 308 del Codice Atlantico: "come noi vediamo", egli dice, "un picciol moto, quasi insensibile, del timone aver potenzia di voltare una nave di maravigliosa grandezza, carica di grandissimo peso... cosi possiamo esser certi che piccol moto d'alia o di coda da entrare sotto o sopra il vento, per quelli uccelli che sopra al corso dei venti senza battimento d'alia si sostengano, sia atto e soffiziente a proibire il discenso de' predetti uccelli".
Assai più tardi invece, e quasi soltanto ai tempi nostri, le forti azioni dei venti sulle vele, inclinate di piccoli angoli rispetto alla loro direzione, furono messe in rapporto con la forza portante delle ali.
E lo stesso Leonardo, non potendo nel primo decennio del sec. XVI, quando ideava la sua macchina per volare, avere una precisa idea dalla possibilità di creare una forza di propulsione con energie permanenti diverse dalla forza muscolare dell'uomo, dirigeva la sua genialità inventiva all'imitazione del moto battente delle ali, che la tecnica moderna, per quanto progredita, non è riuscita a tradurre in atto praticamente.
Frattanto il concetto della capacità portante dell'ala, trascinata con grande velocità ed inclinata di un piccolo angolo rispetto alla direzione del moto, sul quale si fonda l'aeroplano moderno, subiva una dannosa deviazione in conseguenza di una proposizione di Newton sul modo di operare di una corrente fluida contro uno schermo piano ad essa opposto. Le cognizioni già progredite sulla forza sviluppata da un vento diretto normalmente ad uno schermo, che dovevano condurre all'applicazione del paracadute, venivano utilizzate nella proposizione citata, ammettendo che la sola componente del vento normale allo schermo avesse azione efficace. In tale ipotesi la forza applicata allo schermo risulterebbe, a parità di altre condizioni, proporzionale al quadrato del seno dell'angolo di incidenza, ossia dell'angolo che la direzione del vento forma col piano dello schermo.
La proposizione ha un fondamento reale di attendibilità quando la superficie battuta dal vento limita un corpo abbastanza esteso per impedirne l'azione a tergo; non quando la corrente può circolare intorno ad una piastra sottile, nel qual caso l'azione è assai più energica, e quindi utilizzabile come forza portante di grande efficienza.
L'applicazione ingiustificata di quella proposizione, confortata dall'autorità del nome, ebbe un'influenza nociva al favore che i precursori dell'aviazione dovevano attendersi dagli studiosi.
Soltanto dopo che il von Lilienthal, alternando gli studî sperimentali agli esperimenti del volo con ali fisse senza motore, nel periodo che va dal 1891 al 1896, riuscì a porre le leggi fondamentali dell'azione del vento sugli schermi sottili, l'aerodinamica moderna trovò la sua via.
La perfetta analogia dei fenomeni dinamici in seno all'acqua ed all'aria e in genere ad ogni fluido che si comporti come perfetto, già pienamente intuita a quei tempi, non offrì che assai più tardi un efficace aiuto al progresso dell'aerodinamica, poiché il problema fondamentale per essa non era stato affrontato dall'idrodinamica, rivolta ad altri quesiti. Oggi i due rami della meccanica si sono perfettamente fusi, e il più moderno di essi può finalmente trarre profitto dagli sviluppi che la teoria dei moti in seno all'acqua, in un lungo periodo di progressi, ha assicurato alle conoscenze umane.
Ipotesi fondamentali. - I movimenti dell'aria in presenza di ostacoli e quelli dei corpi in seno ad essa si studiano considerandola anzitutto come un fluido perfetto, ossia tale che le azioni interne e quelle contro le pareti siano normali agli elementi sui quali operano.
Tali azioni si dicono pressioni, e si misurano in kg. per mq. ovvero in mm. di colonna d'acqua, essendo le due unità di misura equivalenti.
La variazione della pressione da punto a punto dello spazio nel quale il movimento ha luogo, dipende dalla velocità e dalla quota. Però, data la piccola estensione dei fenomeni aerodinamici, che formano oggetto degli studî tenici, l'influenza della quota, fondamentale nell'aerostatica, svanisce; ossia, il lavoro della gravità può essere trascurato rispetto a quello della pressione.
Ciò non esclude che il medesimo problema di aerodinamica interessi a quote diverse e perciò con densità diverse dell'aria.
È quindi fondamentale in aerodinamica l'interdipendenza fra pressione p e velocità V, e, finché questa è mantenuta nei limiti che la aeronautica non ha ancora varcato, le variazioni della pressione sono così piccole da poter considerare l'aria come incomprimibile, ossia come un fluido a densità ρ costante.
Allora, lungo il percorso di una particella fluida, l'energia corrispondente al passaggio della unità di volume
somma dell'energia potenziale e dell'energia di movimento, deve conservare valore costante, quindi se la velocità aumenta, la pressione diminuisce; in ciò consiste il teorema di Bernoulli.
Le leggi bene accertate dei moti fluidi si limitano ai moti permanenti, ossia a quelli nei quali la velocità conserva in ogni punto dello spazio direzione e grandezza costanti mentre il tempo passa. In tal caso lo spazio costituisce un campo di velocità, e, per il principio di continuità, la massa fluida contenuta in ogni suo elemento non varia col tempo. Trattandosi poi di fluido di densità costante, anche il volume di detta massa è invariabile, e quindi la divergenza del campo è nulla in ogni suo punto.
Dette pertanto u, v, w le componenti della velocità, deve essere ovunque
In un campo di velocità i movimenti si svolgono secondo traiettorie invariabili, lungo le quali le particelle fluide si succedono prendendo il posto ed i valori dinamici di quelle che le hanno precedute. Il moto dell'aria entro uno spazio limitato da superficie immobili si rappresenta quindi segnando le linee di corrente, tangenti in ogni punto alla velocità. Tutte quelle che si appoggiano ad una linea chiusa costituiscono un tubo di flusso, ossia un canaletto percorso dall'aria, che non può attraversarne la parete.
Il principio di continuità, applicato ad un tubo di flusso, dice che tutte le sue sezioni devon essere attraversate nell'unità di tempo dallo stesso volume di fluido. Detta quindi V la velocità media ed A l'area di una sezione del tubo, deve essere
ossia, ove il tubo di flusso si restringe e le linee di corrente si avvicinano la velocità è grande e quindi la pressione è piccola. E poiché la velocità non può diventare infinita, nessun tubo di flusso e quindi nessuna linea di corrente può arrestarsi, ma devono estendersi indefinitamente o chiudersi sopra di sé.
Trasversalmente alle linee di corrente la pressione varia se esse presentano curvatura, e deve crescere verso la convessità per equilibrare la forza centrifuga. In una corrente di traslazione la pressione è invece costante, poiché si è convenuto di trascurare il peso del fluido.
L'equazione di Bernoulli, valida lungo una linea di corrente, si estende a tutto lo spazio, se a distanza infinita l'aria è animata da una semplice traslazione uniforme.
È questo il caso più importante per lo studio delle azioni aerodinamiche contro gli ostacoli, ed è quello che si cerca di tradurre in atto sperimentalmente nelle gallerie del vento, operando sui modelli, contro i quali viene lanciato un vento artificialmente prodotto. Il moto di un corpo nell'aria, a grande distanza immobile, si riduce al caso precedente utilizzando il principio del moto relativo, in virtù del quale i fenomeni aerodinamici fra l'aria e le pareti non si modificano finché le velocità relative rimangono inalterate, essendo identiche le condizioni sulle superficie limiti (v. sotto: Aerodinamica sperimentale).
Moti con potenziale. - La teoria classica con la quale si svolge il problema del moto di una colonna fluida indefinita contro l'ostacolo esclude ogni discontinuità nella distribuzione della velocità entro il campo.
In tale ipotesi una sola linea di corrente può raggiungere la superficie dell'ostacolo e staccarsi da essa normalmente. Il tubo di flusso infinitameme sottile, di cui detta linea è l'asse, raggiunto l'ostacolo, si dilata per avvolgerlo tutto, e, dopo essersi chiuso alle sue spalle, se ne allontana. A distanza le linee di flusso assecondano l'andamento della parete di questo tubo, perdendone via via la curvatura.
Nei due punti di inserzione e distacco della linea d'asse del campo sulla superficie del corpo la velocità si annulla, e deve quindi prodursi la sovrapressione dinamica
I suoi valori, per la densità normale dell'aria a bassa quota (ρ0 = 0,125) in unità pratiche (kg. m. s.),
In tutti gli altri punti, verificandosi una velocità tangente V diversa da V0, si ha una sovrapressione
che è depressione dove V > V0. Variando nello stesso rapporto tutte le dimensioni dell'ostacolo o la velocità della corrente all'infinito V0, non si altera la fisionomia del campo, né si modificano i rapporti V/V0. Ne deriva la legge fondamentale della resistenza del mezzo: corpi simili e similmente orientati rispetto ad una corrente uniforme sono soggetti negli elementi corrispondenti delle loro superficie a forze proporzionali alle aree, alla densità del fluido ed al quadrato della velocità della corrente.
La risultante di tali forze è però nulla, e in ciò consiste il paradosso di D'Alembert, conseguenza della speciale struttura del campo con linee di corrente che si rinchiudono a poppa come si aprono a prora nella immediata adiacenza del corpo, creando su di esso una controspinta compensatrice.
Un siffatto regime non si può però ammettere, neppure in una concezione astratta del fenomeno, se la superficie dell'ostacolo presenta singolarità tali che le linee di corrente debbano girare intorno a punti angolosi con raggi di curvatura infinitamente piccoli, poiché il fluido dovrebbe staccarsene per forza centrifuga.
La teoria classica si applica pertanto ai soli corpi a linee di corrente, a quelli cioè la cui superficie si può generare con moti fluidi opportunamente architettati, consistenti, secondo il procedimento di Rankitine, nell'immaginare sorgenti che emettono materia fluida e pozzi che l'assorbono, queste in presenza di quelli, in modo da creare un flusso che un vento sopraggiungente avvolge e rinchiude in una superficie formata tutta di linee di corrente.
Per gli altri corpi è necessario ammettere il distacco dei filetti fluidi in corrispondenza degli spigoli salienti, e la formazione, a valle di essi, di una superficie di discontinuità.
Lord Rayleigh concepì il fluido chiuso fra la poppa dell'ostacolo e tale superficie come immobile e quindi a pressione costante (scia stagnante). La corrente che l'avvolge non può presentare al contatto differenze finite di pressione rispetto al fluido interno alla scia, perciò lungo la superficie di discontinuità, anche dalla parte del fluido in moto, dev'essere costante la pressione e quindi la velocità.
Questa, se la scia si estende all'infinito, dev'essere uguale alla velocità V0 della corrente all'infinito. In tale ipotesi si deduce una spinta Rs sull'ostacolo diversa da zero. Essa è la risultante delle azioni dinamiche sulla superficie del corpo, esclusa la parte corrispondente alla scia, e si può esprimere, in omaggio al principio di similitudine enunciato, con la formula
dove S è una dimensione superficiale dell'ostacolo, per esempio l'area della sua proiezione su di un piano normale a V0 (sezione maestra); cs, è il coefficiente di forma ragguagliato alla superficie S prescelta, per mezzo del quale si misurano le resistenze all'avanzamento di tutti i corpi simili a quello per cui fu determinato.
Tale coefficiente è adimensionale. Esso è legato al coefficiente K delle formule date nell'aerodinamica sperimentale dalla relazione
Ed essendo la densità dell'aria normale a bassa quota
(cfr. aerostatica), i valori di c risultano da quelli di K dati dalla tabella a p. 578 moltiplicando questi ultimi per 16.
Funzione potenziale. - Il fenomeno aerodinamico intorno ai corpi a linee di corrente si studia col potenziale della velocità, cioè con una funzione Φ delle coordinate, le cui derivate parziali sono le proiezioni della velocità sugli assi. Più generalmente: se ds è un elemento di linea nel campo,
è la proiezione della velocità sulla tangente alla linea.
La velocità è dunque il gradiente del potenziale, e quindi il principio di continuità, affermando che la divergenza del gradiente di Φ è nulla, conduce a porre per la funzione potenziale la condizione
Inoltre: 1°, a distanza infinita dall'ostacolo, Φ deve rappresentare una corrente uniforme di traslazione con velocità V0; 2°, a contatto dell'ostacolo, indicando con n la normale alla sua superficie, dev'essere
Notevole l'esempio della sfera: per essa negli estremi dei raggi inclinati di a sulla direzione di V0 si ha
Vi corrisponde per il teorema di Bernoulli una sovrapressione
il cui diagramma polare si vede segnato con linea intera nella fig. 47 portando le sovrapressioni p − p0 sui raggi, a partire dal circolo meridiano, verso l'esterno se positive. Tale diagramma è simmetrico rispetto alla sezione maestra, secondo il paradosso di D'Alembert: ha ordinata nulla a 41°,50', ha depressioni massime lungo il contorno della sezione maestra, uguali a 0,625 ρ V02.
I risultati sperimentali rappresentati col diagramma a tratti coincidono sensibilmente con quelli della presente teoria per un angolo anteriore di circa 60°: divergono profondamente per la regione di poppa. In essa, lungi dal verificarsi la sovrapressione di ricupero, si hanno depressioni di risucchio, la cui azione si somma con la spinta esercitata sulla prora, aumentando la resistenza all'avanzamento, che, per la sfera, si può apprezzare col coefficiente della (3): cs = o,30. Ciò contraddice non solo il paradosso di D'Alembert, ma anche l'ipotesi della scia stagnante.
La sfera ed il campo circostante si possono generare col metodo di Rankine per mezzo di una sorgente e di un pozzo infinitamente vicini ed infinitamente intensi (doppietta), con valore M finito del prodotto distanza × intensità, sicché il potenziale relativo in coordinate polari r ed α è
Sovrapponendo al flusso della doppietta quello di una corrente uniforme di velocità V0, risulta che il primo è chiuso entro una sfera, il cui raggio ro soddisfa alla condizione
Migliore approssimazione dà la teoria classica nel caso dei corpi penetranti, siluriformi, dei quali la natura ci offre un esempio significativo nella forma dei pesci, e che la tecnica foggia come solidi di rivoluzione (aerostati fusiformi delle aeronavi, fusoliere e carlinghe degli aeroplani).
Giova in tal caso l'uso della funzione di corrente ψ, che esiste nei campi con asse di simmetria x, è funzione della x e della y ad essa normale, e si calcola esprimendo la condizione che il suo differenziale δ ψ moltiplicato per 2 π dia la portata fluida attraverso la superficie generata dalla rotazione intorno ad x dell'elemento d s rispetto a cui d ψ è stata presa.
In conseguenza d ψ è nulla se d s è un arco di linea di corrente, quindi, uguagliando ψ ad una costante, alla quale si attribuiscono valori diversi, si hanno tutte le linee di corrente del campo. In particolare ψ = o è l'equazione della linea meridiana del solido di rivoluzione.
Così nel caso di una sorgente semplice s di portata Q = 4 π q, si ha: ψ1 = q (i + cos α), detto α l'angolo che il raggio
forma con l'asse x.
Sovrapposto al campo di tale sorgente un vento uniforme V0 a cui corrisponde
ed uguagliando a zero ψ = ψ1 + ψ2 si genera la prora di Fuhrmann (semicorpo), cioè il solido indefinito, la cui linea meridiana ha per equazione:
Esso rassomiglia (fig. 48) alla prora di un dirigibile di diametro massimo
col vertice distante D/4 dalla sorgente che servì a costruirlo. In accordo quasi perfetto coi risultati sperimentali, si trova che la zona delle sovrapressioni termina alla distanza 0,15 D dal vertice di prora, e la depressione massima
si raggiunge alla distanza 0,44 D dallo stesso vertice, come indica la figura.
Una paziente elaborazione fondata sulla ricerca delle sorgenti e dei pozzi, distribuiti con intensità costanti o variabili linearmente lungo segmenti di retta, permise prima a Fuhrmann (1914) poi a Kármán (1927) di costruire i campi relativi a corpi siluriformi, simili a quelli adottati per i fusi dei dirigibili. La fig. 49 indica uno di tali campi col sistema di sorgenti s e di pozzi generatori p, e le linee di corrente relative ad essi segnate nella metà superiore prima che il vento uniforme, proveniente dalla parte della prora, venga a serrarne il flusso entro il corpo, mentre nella metà inferiore si vede il campo circuante il corpo fusiforme. Essa documenta inoltre l'accordo soddisfacente fra il diagramma teorico delle pressioni dinamiche (linea piena) e quello ottenuto sperimentalmente (linea a tratti). Solo all'estremità di poppa P le sovrapressioni di ricupero effettivamente riscontrate sono assai minori di quelle corrispondenti al paradosso di D'Alembert.
Per questi corpi d'ottima penetrazione la resistenza all'avanzamento è però ridottissima, da 1/20 ad 1/50 di quella opposta alla piastra piana di area uguale alla loro sezione maestra. Per calcolarla si adotta nella tecnica dei dirigibili la formula (3)
assumendo come superficie S di riferimento D???2-3???, ossia la faccia del cubo di volume D uguale al corpo aerostatico della nave aerea, al quale è proporzionale la sua forza portante.
Se lungo l'asse del corpo penetrante si immagina distribuito un sistema di doppiette, dirette normalmente ad esso, d'intensità variabile indeterminata, e si sovrappone al loro flusso una corrente uniforme di velocità W trasversale al corpo e di senso opposto alle doppiette, si può porre la condizione che la superficie di rivoluzione, nella quale è chiuso il flusso delle doppiette, venga a coincidere con quella del corpo, determinando così le intensità delle doppiette stesse, per mezzo delle quali il campo è stato generato.
La combinazione del campo studiato col sistema longitudinale di sorgenti e pozzi e della corrente V0, col campo trasversale di doppiette e della corrente W, permette, secondo il metodo di Klemperer e di Kármán, di risolvere il problema del comportamento aerodinamico dei corpi penetranti, colpiti in deriva da un vento di componenti V0 e W.
Naturalmente però non risulta da tali ricerche una forza finita trasversale al corpo, come non risulta una resistenza finita nella direzione del suo asse, ma semplicemente una coppia, poiché la forza portante della prora è compensata dalla deportanza della poppa.
È invece noto dalle ricerche sperimentali, le quali furono compiute assai prima di questi procedimenti, del resto molto laboriosi, che le reazioni aerodinamiche contro i corpi penetranti, colpiti dal vento sotto piccole derive, sono deviate di forti angoli rispetto all'asse di figura. La schiera di tali reazioni inviluppa una curva che ammette lo stesso asse di simmetria del corpo, ed ha un punto angoloso M a proravia di esso (fig. 50). Esso è il punto intorno al quale gira per angoli di deriva infinitamente piccoli, la reazione aerodinamica contro il corpo, il quale ha per conseguenza spiccati caratteri di instabilità, tanto più gravi quanto migliori sono le sue forme rispetto al problema della buona penetrazione.
Moti rotazionali. - La teoria dei moti con potenziale conduce ad una conseguenza particolarmente inaccettabile: quella che la velocità a contatto delle pareti degli ostacoli possa avere valori finiti, anzi, in alcuni punti, massimi rispetto a tutto il campo. Così nel caso della sfera si trovò lungo il contorno della sezione maestra una velocità del 50% superiore a quella asintotica della corrente.
Se il fluido bagna la superficie e non è privo di viscosità, è logico ammettere in adiacenza alle superficie degli ostacoli un moto relativo per falde parallele ad esse, con velocità crescenti in ragione della distanza.
Un tale movimento non ammette potenziale, poiché non sono soddisfatte le condizioni per l'esistenza della funzione Φ, non essendo nulli i binomî
che sono le componenti della vorticità.
Calcolando di fatto tali binomî per il moto rigido di rotazione, per esempio il primo di essi per la rotazione rigida intorno all'asse Z con velocità angolare ω, per la quale
si ha 2 ω, ossia la vorticità, che è il rotore della velocità del campo, doppio della rotazione.
Perciò i movimenti con potenziale diconsi irrotazionali, e quelli che, per azione combinata di aderenza e di viscosità, nascono a contatto delle pareti diconsi rotazionali. Lo strato a cui questi moti si estendono ha spessore ridottissimo, ma la sua influenza sul regime generale del movimento è grande, malgrado la piccolezza della viscosità μ dell'aria, che, per medie temperature, si ritiene uguale a 2 + 10-6 unità pratiche (kg. m. s.; cfr. sopra).
Anzitutto, per effetto di essa, nasce una vera e propria resistenza di attrito, eccitata dallo scorrimento delle falde fluide, e, secondo la teoria del moto lamellare (Lanchester), proporzionale alla potenza 3/2 della velocità. In secondo luogo il distacco della corrente dalla superficie che limita l'ostacolo non è più determinato soltanto dalla presenza di spigoli salienti, ma dal fenomeno assai complesso del moto rotazionale. In terzo luogo le particelle fluide, animate di moto rotazionale, eccitato dallo strisciamento lungo la parete, debbono, per il principio di Helmholtz, conservarlo anche dopo il distacco, e costituiscono la superficie di discontinuità racchiudente la scia non più immobile, come nella teoria classica si suppone.
Come elemento costitutivo di questi fenomeni si considera il filo vorticoso, cioè l'asse di un moto girante del fluido, con velocità inversamente proporzionale alla distanza da esso. Tale movimento ammette potenziale, poiché per esso le (4) si annullano, ed è stabile. Difatti, in accordo col teorema di Bernoulli, sono più grandi le pressioni negli anelli fluidi di grande raggio, perché in essi la velocità è minore, e quindi la forza centrifuga degli anelli interni può essere equilibrata. Ma, accostandosi all'asse, la velocità ed il suo gradiente tendono ad infinito, perciò la viscosità deve modificare profondamente la legge del moto, creando un nucleo quasi rigido, ove il moto è rotazionale.
La presenza di un filo vorticoso si rivela misurando la circuitazione lungo una linea chiusa che si allacci col filo, ossia
lungo tutta la linea chiusa. Il suo valore è la intensità J del vortice, non dipende dalla linea chiusa scelta per misurarlo, ed è uguale alla vorticità moltiplicata per la sezione retta del filo. In presenza di un filo vorticoso rettilineo indefinito la velocità è uguale a
Per una semiretta vorticosa la velocità nel piano normale ad essa, passante per l'origine, è J/4 π r se r è la distanza del punto esplorato dalla retta.
Due vortici rettilinei coniugati creano una corrente che attraversa con velocità quasi uniforme la striscia fra essi compresa; e la quantità di moto comunicata a tutta la massa fluida indefinita, per uno strato di profondità 1, è normale alla striscia ed uguale al prodotto della sua larghezza per J ρ, essendo ρ la densità del fluido.
Moto dello strato vorticoso a contatto delle pareti. - Il moto rotazionale a contatto delle pareti fu studiato dal Prandtl, applicando le equazioni di Stokes del moto dei fluidi viscosi con le semplificazioni permesse dal fatto accertato di uno spessore ρ dello strato piccolissimo (v. p. 580), a segno di poterne trascurare la curvatura sia longitudinale sia trasversale al flusso, e ridurre quindi ad una sola equazione differenziale il problema:
In essa u è la velocità longitudinale entro lo strato, v la componente trasversale diretta come l'asse y normale alla superficie lambita e con l'origine sulla superficie stessa, V la velocità del campo con potenziale, esterno allo strato rotazionale, ma adiacente ad esso, per la quale
Per y = δ dev'essere u = V ed inoltre
poiché il diagramma delle u rapidamente crescenti con y, raccordandosi al limite dello strato con quello della V che, per variazioni di y dell'ordine di grandezza dello spessore dello strato, si può ritenere costante, deve presentare tangente parallela alla fondamentale.
Inoltre, a contatto della superficie lambita dal flusso, si ammette che ogni velocità si annulli, ossia per y = 0
L'integrazione dell'equazione del moto è stata tentata, esprimendo u con una serie di potenze crescenti di y, e fu così risolto il problema della resistenza di attrito di una piastra piana sottilissima parallela alla direzione della corrente.
Nel caso generale, il punto di distacco dello strato fluido dalla parete dell'ostacolo è quello pel quale il primo coefficiente a della serie con cui la u fu espressa si annulla per cambiare segno. Limitando tale serie ai suoi tre primi termini si ottiene
e ne deriva che a può annullarsi soltanto ove
è negativo, ossia nella regione di poppa, dove le linee di corrente del campo con potenziale, dopo essersi aperte per circuire l'ostacolo, tendono a chiudersi alle spalle di esso, sicché la sezione dei tubi di flusso cresce e quindi V diminuisce.
Il distacco inoltre avverrebbe tanto più in ritardo quanto minore è lo spessore δ dello strato, la cui grandezza risulta da una equazione differenziale, che si ottiene uguagliando la derivata a′ di a, deducibile dalla precedente espressione, al valore di a′ dato direttamente dalle condizioni del movimento dello strato sulle superficie limiti.
Ma la risoluzione di questo problema non è stata ancora raggiunta.
Struttura della scia vorticosa. - L'aria in moto rotazionale, che costituisce lo strato scorrente alla superficie dell'ostacolo, se ne stacca sotto una forma che si può, in una prima astrazione, riguardare come una successione continua di fili vorticosi trasversali al flusso. Così la superficie di discontinuità che chiude la scia assume una struttura ben definita, e la variazione brusca della velocità ad essa tangente, fra una parete e l'altra, non è altro che l'intensità vorticosa per unità di lunghezza delle direttrici della scia.
Di fatto però, per le velocità che interessano l'aeronautica, il fenomeno è lontano dalla regolarità di questo schema.
Già lo strato rotazionale, quando il prodotto della sua velocità media per il suo spessore supera certi limiti (riconosciuti dal Reynolds a proposito del movimento dei fluidi entro tubi), dà luogo al moto turbolento, e appena staccato dalla superficie a cui aderiva, si spezza in vortici A B C D che ne rappresentano la concentrazione a distanze fisse l e si allontanano con la corrente nel moto relativo all'ostacolo, formando la scia serpeggiante (fig. 51). Essa è il risultato dell'azione delle coppie di vortici fra le quali scorre, capaci di comunicarle quantità di moto dirette normalmente ai segmenti che congiungono i vortici coniugati.
Moti piani. - Assai progredito è lo studio dei moti piani, di quelli cioè che si compiono parallelamente ad un piano direttore con legge identica in tutti i piani di ugual giacitura. Essi hanno grande importanza rispetto alla teoria dell'ala, la quale, nel moto dell'aria relativo ad essa, si comporta come un ostacolo molto esteso in direzione trasversale al movimento e quasi identico in tutte le sezioni parallele al piano di simmetria dell'aeromobile a cui appartiene. È fondamentale anzi che l'efficienza dell'ala è tanto maggiore quanto più grande è la sua apertura, cioè la sua estensione in direzione trasversale al moto, e la figura geometrica delle ali dei migliori volatori segnala l'importanza di una grande apertura con una piccola profondità, ossia di un grande allungamento (rapporto della apertura alla profondità).
Il campo dei moti piani è a due sole dimensioni e la funzione potenziale Φ a due variabili. Esse sono le coordinate x ed y che si sostituiscono vantaggiosamente negli sviluppi matematici col complesso
La teoria classica ha potuto di fatto compiere in questo caso speciale del problema aerodinamico maggiori progressi appunto perché le funzioni di variabile complessa W possono fornirci con la loro parte reale Φ il potenziale e con la immaginaria Ψ la funzione di corrente, in quanto l'una e l'altra parte soddisfano in ogni caso all'equazione di Laplace Δ = o.
Lo strumento matematico è del resto lo stesso che altri rami della fisica hanno sfruttato con vantaggio; basti citare la teoria della trasmissione del calore nei corpi omogenei e la teoria della elasticità dei corpi isotropi.
La Φ e la Ψ e la uguagliate a costanti ci dànno due schiere di linee fra loro ortogonali, che costituiscono le linee equipotenziali e le linee di corrente; ciò deriva dalla proprietà fondamentale delle funzioni suddette come parti della W
Inoltre la derivata del potenziale complesso W rispetto alla coordinata complessa del punto z dà il vettore coniugato alla velocità del punto; infatti
Esempio caratteristico della risoluzione di un problema col metodo qui accennato è quello di un cilindro a sezione retta circolare di raggio r0 colpito trasversalmente da una corrente uniforme di velocità V0. Il potenziale complesso del campo è
risulta quindi il vettore coniugato alla velocità in ogni punto del campo
e al contorno dell'ostacolo, ove z = r0 eia, V1 = V0 (i - e-2ia) il cui modulo è 2 V0 sen α.
Per
ossia, in corrispondenza delle generatrici del cilindro nel piano diametrale normale alla velocità (sezione maestra), si ha V1 = 2 V0 velocità doppia di quella asintotica del campo, e quindi una depressione 3 Pd, assai maggiore di quella trovata nel caso della sfera.
La fig. 52 rappresenta con linea piena il diagramma delle pressioni dinamiche al contorno del circolo, dedotto dalle velocità sopra espresse con la formula di Bernoulli e lo confronta col diagramma ricavato sperimentalmente, segnato a tratti nel caso del cilindro di lunghezza infinita, e con linea a punti in quello di un tronco cilindrico lungo 9 diametri. È notevole non solo la differenza di comportamento della regione poppiera, per cui il fenomeno reale è opposto a quello della teoria classica che conduce al paradosso di D'Alembert, ma anche il divario fra il diagramma delle pressioni per il cilindro indefinito e per quello di lunghezza limitata, per quanto assai grande. Tale divario conferma l'influenza dell'allungamento.
Fenomeno della portanza. - Col cilindro indefinito si può costruire il più semplice schema di una struttura aerodinamicamente portante, animandolo di moto rotatorio con velocità periferica V2 comunicabile all'aria circostante, la quale, in conseguenza, dovrà assumere in tutta l'estensione del campo un moto girante con velocità inversamente proporzionale alla distanza dall'asse del cilindro, come se il cilindro rotante fosse il nucleo di un vortice rettilineo indefinito.
Combinando il campo definito dalla W con quello circostante al vortice così creato, di intensità J = 2 π r0 V2, si ha un campo asimmetrico. Invero le due correnti, nelle quali il cilindro, come un partitore, divide il flusso, possiedono l'una velocità risultanti dalla somma, l'altra dalla differenza delle velocità dei due campi. Deve dunque nascere una forza trasversale diretta dalla corrente più lenta alla più veloce. La grandezza di essa si può trovare col procedimento consueto, deducendo dalla velocità al contorno V2 + 2 V0 sen α la pressione su di esso, e calcolandone la risultante.
Il risultato è questo: la forza trasversale (portanza) per unità di lunghezza del cilindro è uguale a ρ J V0, ossia al prodotto della densità del fluido, per la sua velocità a distanza infinita, per la intensità del vortice.
Fondamenti della teoria matematica dell'ala indefinita. - Il teorema più importante dell'aerodinamica moderna dedotto indipendentemente dal Kutta e dal Joukowski, e noto quindi col loro nome, è quello che afferma, nel caso più generale del moto dell'aria intorno ad un ostacolo cilindrico indefinito, il valore della forza portante sopra indicato. Se l'ostacolo è di natura tale da creare intorno a sé una circuitazione diversa da zero, esso è capace di raccogliere dal fluido che lo circonda una reazione atta a portarlo.
Questo fatto si verifica per le ali, corpi cilindrici con direttrice falcata ed appuntita posteriormente, le quali, per disimmetria di forma e di orientamento e per l'azione di distacco che la punta esercita sulla corrente sottostante, si dimostrano atte a creare nella corrente in moto relativo ad esse una disimmetria aerodinamica. E invero la loro capacità di sviluppare forze portanti dimostra che la pressione sulla loro faccia è maggiore di quella sul dorso, e quindi che la velocità della corrente che lambisce la prima è minore di quella che circuisce il secondo. Ora tale struttura del campo si può per l'appunto immaginare il risultato di una ripartizione simmetrica della corrente, combinata con una corrente circolatoria, che dalla faccia, passando davanti all'orlo anteriore dell'ala, raggiunge il dorso. Quanto maggiore è la velocità di questa corrente circolatoria tanto più grande è la disimmetria del campo risultante, e quindi tanto più grande, a parità della corrente di traslazione, è la forza portante. Questo dice il teorema di Kutta-Joukowski.
Effettivamente la forza portante della quale un'ala è capace cresce con l'incidenza, ossia con l'angolo che la direzione del vento forma con un asse di posizione ben determinata che si dice l'asse principale del profilo.
Si può però stabilire una corrispondenza fra i due mezzi per creare forza portante: il cilindro rotante e l'ala, quando la circuitazione dell'uno e dell'altra abbiano lo stesso valore. Il cilindro rotante diventa per tal guisa il modello meccanico dell'ala, senza che per questo si affermi la possibilità fisica del fenomeno che esso rappresenta, e che dipende dall'aderenza e dalla viscosità, grazie alle quali l'aria ambiente può effettivamente essere trascinata in moto rotatorio.
Ma nel cilindro rotante sono astrattamente possibili circuitazioni comunque grandi, ottenibili facendo crescere la velocità periferica V2. A seconda che V2 ⋚ 2 V0 il campo assume fisionomie diverse, poiché nel primo caso esistono due punti di velocità nulla sul contorno, che nel secondo coincidono e nel terzo svaniscono, sicché nessuna linea di corrente del campo corrispondente al vento uniforme raggiunge più il circolo, il quale risulta invece chiuso entro un alone, tanto più ampio, quanto maggiore è il rapporto V2/2 V0 (fig. 53). Ciò non è più vero per l'ala.
La corrispondenza fra il profilo alare ed il circolo si può praticamente stabilire soltanto per il primo caso, quando cioè i punti singolari sono distinti non solo, ma sufficientemente lontani. Il mezzo matematico per definirla consiste ancora nell'uso delle funzioni di variabile complessa, con le quali ad ogni punto del piano z del circolo si fa corrispondere un punto del piano ζ del profilo, mantenendo inalterate le regioni del piano a distanza infinita, per modo che la circuitazione sia in ambedue i sistemi la stessa. Una tale trasformazione dicesi conforme, perché non altera gli angoli formati dagli elementi corrispondenti, fatta eccezione per quelli che hanno il vertice nei punti singolari, pei quali
si annulla.
Pure essendo dimostrata in modo generale l'esistenza di funzioni atte ad eseguire la trasformazione di qualunque contorno semplicemente connesso in un circolo, il problema è praticamente risolto solo in alcuni casi. Fra essi primeggia, per la semplicità degli artifici necessarî il caso dei profili di Joukowski (Žukowskii), che si ottengono dal circolo con la trasformazione
interpretabile con la costruzione geometrica della fig. 54, ossia sommando i raggi vettori OS, OS′ uscenti dall'origine delle coordinate e diretti l'uno al circolo di raggio
l'altro a quello di raggio
In queste espressioni tang β, inclinazione della retta congiungente i due centri rispetto al segmento h, è il parametro di incurvamento del profilo, ed ε è il parametro di grossezza, che possono praticamente variare fra zero e 0,20, dando profili alari non dissimili da quelli usati nelle costruzioni, fatta eccezione per l'elemento costituente la punta dell'ala, che nei profili Joukowski è una cuspide invece di un punto angoloso.
Nella corrispondenza fra circolo ed ala, il vertice posteriore di questa, essendo un punto singolare del contorno, si fa sempre corrispondere al punto posteriore di velocità nulla sul contorno del circolo, ciò che è reso possibile dal valore della derivata
in esso punto, ed è conseguenza della condizione fisica fondamentale del problema, consistente nell'impossibilità per le linee di corrente di doppiare detto punto, perché alla curvatura infinita, secondo la quale dovrebbero piegarsi, corrisponderebbe il distacco della vena fluida. Il punto anteriore di velocità nulla del circolo riesce tanto più vicino al posteriore quanto più grande è la circuitazione, e ad esso corrisponderanno sul profilo punti diversi, tanto più spostati all'indietro quanto maggiore è la incidenza. Tali punti sono le estremità della linea di corrente Ψ = o, la quale raggiunge il profilo a prora e bipartisce il flusso.
La velocità al contorno del profilo nei tipi Joukowski si calcola assai facilmente per mezzo della velocità al contorno del circolo moltiplicata per
Ne deriva una costruzione assai semplice delle pressioni in tutti i punti del contorno, per la quale basta formare per ciascun punto il prodotto dei rapporti dei quattro segmenti
rappresentati nella fig. 55, per ottenere in percentuale di pd la pressione dinamica.
I diagrammi che se ne ottengono sono somigliantissimi a quelli che l'esperimento fornisce, e che la tecnica utilizza per i calcoli di robustezza delle centine.
Ricerche più generali, fondate su di una trasformazione definita da una serie di potenze decrescenti in z, avente in comune con la trasformazione di Joukowski i due primi termini, permisero al Von Mises di dedurre, nel caso generale, il momento delle azioni aerodinamiche di portanza su di un profilo alare, e di riconoscervi un fuoco ed una parabola inviluppata dalla risultante di dette azioni. Il fuoco è il punto F rispetto al quale il momento delle azioni aerodinamiche R di portanza rimane costante, variando l'incidenza del vento V, a cui R è perpendicolare (fig. 56). La direttrice della parabola è parallela all'asse principale del profilo.
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