AERONAUTICA
(I, p. 594; App. I, p. 32; II, 1, p. 34; v. anche aeroplano, in App. II, 1, p. 39).
Le costruzioni aeronautiche.
1. Evoluzione delle strutture aeronautiche. - In campo aeronautico è sempre stata dominante la tendenza verso velocità di volo sempre maggiori, e quindi verso quote sempre più alte per cercare di sfuggire alla via via crescente resistenza aerodinamica. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale i grandi sviluppi in campo propulsivo hanno portato a rapidissimi progressi nell'aumento delle velocità e delle quote. Alla fine dell'ultima guerra la grande maggioranza degli aerei era dotata di motori alternativi il cui campo di buon funzionamento è limitato a velocità fino a 600 km/h e a quote fino agli 8 km. Successivamente la sostituzione del motore alternativo con la turbina a gas, pur mantenendo l'elica (aerei turboelica), ha permesso di raggiungere velocità fino agli 850 km/h e quote di 12-14 km. Il progresso si è ulteriormente accelerato con l'introduzione della propulsione a reazione. Dapprima il turboreattore ha portato al superamento della velocità del suono e a quote fino ai 20 km, poi l'autoreattore e soprattutto l'endoreattore (motore a razzo) hanno permesso il raggiungimento di velocità altissime, ancora oggi in continuo aumento.
Le profonde innovazioni in campo propulsivo hanno a loro volta prodotto grandi trasformazioni nelle caratteristiche e nell'architettura dei veicoli aerei, e, in particolare, hanno portato ad un rapido sviluppo delle strutture aeronautiche. Questo sviluppo deve essere visto sotto il duplice aspetto della trasformazione delle configurazioni strutturali e della introduzione di nuovi materiali più adatti a sopportare . le forti sollecitazioni dovute alle elevate velocità di volo. Naturalmente tali due aspetti sono strettamente interconnessi ed è stato il loro armonico sviluppo che ha permesso il raggiungimento negli ultimi dieci anni di nuovi ed efficienti tipi strutturali.
Già alla fine dell'ultima guerra le strutture resistenti degli aerei (almeno quelle alari) erano prevalentemente metalliche e fra i materiali più impiegati erano già dominanti le leghe di alluminio per le loro caratteristiche abbastanza elevate di rigidezza e per il loro basso peso specifico. Come tipo strutturale si andava già affermando il guscio. Le strutture a guscio, strutture di tipo diffuso, sono essenzialmente costituite di tre elementi (fig. 1): a) correnti e correntini - elementi longitudinali capaci fondamentalmente di assorbire sforzi nella direzione del proprio asse e quindi resistenti alle azioni flettenti; b) diaframmi - setti trasversali dotati di elevatissima rigidezza nel proprio piano e rigidezza quasi nulla in direzione normale, aventi il compito di distribuire agli altri elementi i carichi esterni applicati, e funzione di forma; c) pannelli di rivestimento, compresi fra due diaframmi e due correnti consecutivi - elementi capaci di assorbire gli sforzi di taglio e perciò capaci di resistere fondamentalmente alle azioni torcenti. Le strutture a guscio quindi presentano due sostanziali vantaggi; intanto, a causa del loro carattere diffuso, soddisfano al requisito aeronautico fondamentale della leggerezza, ma, soprattutto, ogni elemento di esse lavora nel modo migliore, cioè assorbe solo quei carichi, cui può "opporre" la massima rigidezza.
Fino a pochi anni fa le strutture a guscio erano nettamente dominanti in campo aeronautico, ma il continuo aumento delle velocità di volo fece sorgere nuovi problemi, la cui risoluzione ha portato ad una nuova sostanziale evoluzione delle strutture aeronautiche, in particolare di quelle delle superfici portanti.
Una conseguenza dell'aumento della velocità di volo è stata, per ragioni aerodinamiche, la riduzione degli spessori percentuali dei profili delle superfici portanti, e cioè della distanza fra i correnti della superficie inferiore e quelli della superficie superiore. Ne viene che, a parità di superficie alare in pianta, l'aumento delle velocità di volo produce un aumento di sforzo assiale nei correnti. Poiché una parte dei correnti sono sollecitati a compressione, l'aumento del carico rende importanti i problemi di instabilità dell'equilibrio elastico.
La risposta a questo problema è stata l'ala "multisetti e multicentine" (fig. 2) nella quale è caratteristica l'assenza - o quasi - di correnti longitudinali, sostituiti da setti verticali che riducono i pericoli dell'instabilità dell'equilibrio elastico. I pannelli di rivestimento, come in alcune soluzioni di strutture a guscio classiche, vengono resi collaboranti alla resistenza a flessione. La combinazione dei setti longitudinali e dei pannelli di rivestimento garantisce una maggiore rigidezza torsionale. Una struttura di questo genere è ancora una struttura diffusa, che tende a risolvere le difficoltà derivanti dalla diminuzione degli spessori dei profili da un punto di vista puramente strutturale, ma, connesso con questa diminuzione, esiste anche un problema costruttivo, di lavorazione, tale che, quando gli spessori sono piccoli, rende impossibile economicamente la realizzazione di strutture portanti dei tipi sopra ricordati.
È nata così l'ala "quasi piena" dal comportamento a piastra (fig. 3). Una ala a piastra non funziona strutturalmente nel modo migliore, perché la sua rigidezza per carichi normali al proprio piano medio, quale è il caso delle superfici portanti degli aerei, è la minima possibile; ma, d'altra parte, questo tipo di ala costituisce l'unica soluzione accettabile nel caso di aerei altamente supersonici. Al passaggio da strutture a guscio a strutture a piastra non si accompagna in genere un cambiamento dei materiali impiegati, che rimangono leghe di alluminio, ma piuttosto una profonda trasformazione dei metodi di lavorazione.
Il problema dei materiali sorge soprattutto in relazione al "riscaldamento cinetico", dovuto a velocità di volo molto elevate (numero di Mach M superiore a 2,5, per stabilire approssimativamente un limite). L'effetto del riscaldamento cinetico sulle strutture è duplice. Da un lato, nel transitorio, il differente riscaldamento delle varie parti strutturali fa insorgere degli sforzi termici che si vanno ad aggiungere agli sforzi dovuti ai carichi aerodinamici; dall'altro lato l'aumento della temperatura dei componenti strutturali ne diminuisce il modulo di elasticità e quindi le caratteristiche di rigidezza.
In questo secondo aspetto il parametro base da considerare è il rapporto carico limite di elasticità/densità del materiale al variare della temperatura. Ora, le leghe di alluminio perdono buona parte delle loro caratteristiche di rigidezza anche a temperature dell'ordine di poche centinaia di °C, il che le rende praticamente inadatte al volo a velocità = M > 2,5. Sono stati quindi proposti numerosi nuovi materiali metallici e non, come per es. il titanio, i quali peraltro, a lato della buona resistenza strutturale anche ad elevate temperature, presentano numerosi svantaggi che ne rendono disagevole e problematico l'impiego, in sede soprattutto di produzione di serie. Si tratta comunque di una materia assai fluida e in continuo divenire sulla quale non si può a tutt'oggi esprimere alcun giudizio conclusivo. Si può dire soltanto che probabilmente la soluzione sarà offerta agli aerei dai missili, che già oggi raggiungono quelle altissime velocità cui gli aerei tendono soltanto, e forse saranno delle soluzioni rivoluzionarie, quali ali interamente, o quasi, in plastica che si imporranno in un futuro che si annuncia non lontano.
I principali problemi strutturali possono così essere riassunti: a) problemi statici, derivanti dai carichi statici applicati; b) problemi dinamici, derivanti dai fenomeni non permanenti di moto; c) problemi termici, collegati fondamentalmente al numero di Mach, e alla velocità di volo.
2. Problemi statici. - Strutture a guscio. - Si è già accennato che le strutture a guscio sono formate dall'unione di tre elementi base: correnti e correntini, diaframmi (centine per le superfici portanti e ordinate per le fusoliere), e pannelli di rivestimento.
Il comportamento di una struttura a guscio può essere così schematizzato (figg. 7, 9). I carichi esterni sono applicati ai diaframmi, i quali li trasformano in azioni tangenziali periferiche; queste vengono assorbite dai pannelli precedenti e seguenti i diaframmi; la differenza tra le azioni tangenziali di due pannelli contigui collegati da un corrente viene assorbita come sforzo normale da questo.
Seguendo lo schema indicato le incognite e le equazioni generali del problema possono essere così suddivise:
a) Spostamenti: tre componenti di moto rigido: due spostamenti y e z e una rotazione θ dei diaframmi nel loro piano; spostamenti assiali ui dei correnti (tanti quanti sono i correnti) normali ai diaframmi (fig. 4).
b) Sforzi interni: sforzi normali nei correnti Ni e sforzi di taglio τi nei pannelli - al posto dei quali generalmente è conveniente considerare i flussi di taglio qi = tiτi con ti spessore del pannello i.esimo, dato che lo spessore stesso è molto piccolo (fig. 5). S'intende che tutti gli sforzi interni, come anche gli spostamenti, devono essere considerati funzione della ascissa longitudinale x della struttura (nella direzione dei correnti);
c) Equazioni di elasticità: in base alle ipotesi fatte non si scrivono per i diaframmi, mentre per i correnti si ha:
con Ai sezione trasversale dello i.esimo corrente e E modulo di elasticità longitudinale; per i pannelli:
con γi scorrimento e G modulo di elasticità trasversale; la [2] può anche essere posta nella forma (fig. 6):
con s ascissa longitudinale sul contorno del diaframma.
d) Equazioni di equilibrio: per i correnti si ha (fig. 7):
se la sezione è semplicemente connessa, oppure:
nel caso di fig. 8. Per i pannelli, in base alle ipotesi fatte, la condizione di equilibrio è automaticamente soddisfatta. Per i diaframmi le equazioni di equilibrio esprimono, nel piano del diaframma stesso, che la risultante vettoriale dei carichi esterni più la somma vettoriale della differenza degli sforzi di taglio è zero (fig. 9):
Non si scrivono equazioni di congruenza perché nella presente impostazione vengono assunti come incognite gli spostamenti. Il complesso delle [1] [3] [4] [5] e [6] costituisce, con le opportune condizioni al contorno, il sistema differenziale cercato.
Numerosi i metodi di risoluzione di tale sistema differenziale. Qui si accenna soltanto al metodo delle forze bilanciate (v. anche iperstatici, sistemi: App. II, 11, p. 59), che permette di ricondurre il problema ad uno risolubile per successive approssimazioni mediante la trasformazione dei carichi esterni, qualsiasi, in una distribuzione di sistemi nulli.
La precedente impostazione non può essere sempre mantenuta nella applicazione ai casi pratici. Un esempio tipico di ciò è fornito dalle strutture in cui gli elementi longitudinali (correnti) non sono perpendicolari agli elementi trasversali (diaframmi). Questo caso si verifica, per es., in un'ala a freccia qualora i correnti siano nella direzione dell'apertura e le centine nella direzione del vento (fig. 10).
Evidentemente le rotazioni di flessione nei correnti hanno una componente nel piano dei diaframmi, che non possono essere ulteriormente considerate infinitamente rigide nel loro piano (fig. 11). Si devono quindi introdurre delle ulteriori incognite esprimenti la deformabilità delle centine nel proprio piano, incognite che vengono a complicare ulteriormente il problema. Il risultato più importante può essere visto facendo riferimento alle figg. 12 a e 12 b. Un carico simmetrico applicato all'estremità dell'ala in fig. 12 a (perfettamente simmetrica rispetto al piano A-A) dà luogo a sforzi normali e tangenziali eguali nei due longheroni: l'introduzione di un angolo di freccia (fig. 12 b) dà luogo al progressivo trasferimento del carico dal longherone anteriore a quello posteriore. Il rapporto tra le sollecitazioni unitarie del longherone posteriore rispetto al caso dell'ala dritta (rapporto di concentrazione degli sforzi) è rappresentato in fig. 13, da cui si vede il grande effetto dell'angolo di freccia.
Strutture a piastra. - Come si è sopra accennato, la riduzione degli spessori percentuali delle superfici portanti ha condotto a forme strutturali che possono essere adeguatamente schematizzate come piastre piane a spessore variabile. Per il calcolo si parte dalla teoria generale delle piastre sottili soggette a carichi normali al piano medio. Una superficie portante può essere schematizzata mediante una piastra trapezia con un lato incastrato (fig. 14); evidentemente rientrano in questo schema, come casi particolari, le ali diritte e le ali a freccia non rastremate; parimenti anche le ali a freccia variabile (ali a scimitarra) possono conglobarsi in questo tipo considerandole costituite di più trapezî successivi.
Le difficoltà del problema sono essenzialmente due: la prima riguarda la possibilità di esprimere in forma semplice le condizioni al contorno data la forma della piastra; la seconda, che naturalmente è legata soprattutto alla soluzione numerica, deriva invece dal fatto che, essendo le superfici portanti della piastra a spessore variabile, le equazioni differenziali risolventi sono a coefficienti variabili.
La prima difficoltà viene superata introducendo un sistema di riferimento come in fig. 14. In tal modo i quattro lati del trapezio diventano coordinati e le condizioni al contorno si scrivono in forma semplice. Per superare la seconda difficoltà conviene risolvere il problema in una forma approssimata, ma sufficientemente adeguata, facendo un'ipotesi restrittiva su w(x,0) deflessione del piano medio:
con w0(x) e w1(x) funzioni incognite da determinare. Con questa ipotesi, che equivale ad ammettere che le sezioni della piastra possono soltanto spostarsi e ruotare nel loro piano, si arriva ad una equazione risolvente di w1(x) del tipo:
con le condizioni al contorno:
e:
con le condizioni al contorno:
con M momento flettente della sezione considerata, T momento rispetto all'asse x di tutte le forze che precedono la sezione considerata e A(x), B(x), θG, YG e C0 funzioni delle caratteristiche geometriche ed elastiche della superficie portante. Il complesso delle [8] [9] [10] (11] in molti casi interessanti la pratica può essere esattamente integrato perché A(x), B(x), XG, YG e C0 assumono delle espressioni estremamente semplici. Questo avviene, per esempio, quando la rigidezza locale D può essere posta nella forma:
con D (θ) funzione qualsiasi della sola θ.
I risultati più importanti del metodo indicato sono raccolti nei seguenti diagrammi (figg. 15 e 16), che si riferiscono ad un'ala a delta di 45°. Si noti in particolare la concentrazione degli sforzi sulla parte posteriore della struttura.
3. Problemi dinamici. - Vibrazione proprie. - Nel caso dinamico il problema è complicato dall'intervento delle forze di inerzia, il che significa che i carichi esterni non sono più noti ma dipendono dagli spostamenti incogniti.
Nel caso, ad es., di una struttura a guscio valgono ancora le equazioni [1] [3] [4] e [5], mentre la [6] deve ora essere scritta:
con t tempo e mi masse per unità di lunghezza.
Il problema può essere risolto mediante i due metodi classici di impostazione: quello differenziale e quello integro-differenziale (funzioni di influenza). Introducendo il concetto della separazione della variabile temporale da quelle spaziali si arriva alla determinazione degli autovalori e delle autofunzioni della struttura in esame.
Problemi aeroelastici. - Questa categoria di fenomeni è legata alla interazione tra il "campo" delle forze aerodinamiche e il "campo" delle forze elastiche (v. aeroelasticità, in questa App.).
I più importanti fenomeni aeroelastici sono raccolti schematicamente nel diagramma in fig. 17 (diagramma del Collar).
4. Problemi termici. - I più recenti sviluppi nel campo aeronautico e spaziale si riferiscono ai veicoli - come i satelliti artificiali e le astronavi - destinati a permanere più o meno a lungo al di fuori dell'atmosfera terrestre. Nasce così il problema del "rientro" nell'atmosfera stessa, caratterizzato da fasi con elevatissima accelerazione e intensissimo riscaldamento cinetico: la maggior parte di questi nuovi problemi è pertanto di natura termica o termostrutturale. Senza opportuni provvedimenti il veicolo spaziale rientrante si disintegrerebbe come un meteorite per le elevatissime temperature raggiunte. I sistemi di protezione proposti sono essenzialmente due.
Il sistema dei pozzi di calore consiste nel dotare il corpo rientrante di una massa termica di capacità sufficientemente elevata, perché tutto sia assorbito dall'aumento di temperatura della massa termica, o "pozzo di calore". Naturalmente occorre a questo scopo un materiale dotato di elevato calore specifico c; in quanto alla conducibilità K essa dovrebbe essere da un lato buona per sfruttare al massimo tutta la capacità termica, d'altra parte dovrebbe essere tale da non pregiudicare troppo l'isolamento interno. Inoltre il materiale stesso dovrebbe naturalmente essere leggero. Buoni risultati in questo campo si sperano dall'impiego del berillio, oltre che dalle strutture anisotrope e composite: le prime sono dotate di conducibilità assai più forte in senso trasversale che nel senso del flusso di calore, e quindi non pregiudicano il suddetto isolamento interno: le seconde sono costituite da due strati di materiale diverso (di più elevata conducibilità quello esterno).
La predizione delle temperature T raggiunte si basa sulla determinazione del calore prodotto dalla traiettorie e dalla integrazione della equazione differenziale della trasmissione del calore:
in cui T è la temperatura, t il tempo, c il calore e K il tensore della conducibilità; q è il calore eventualmente autogenerato nella unità di volume del solido. Le quantità di calore Q provenienti dall'esterno possono immaginarsi autogenerate in uno straterello superficiale di spessore infinitesimo dν ponendo ivi q = Q/dν; tale posizione ha il vantaggio di ridurre sempre le condizioni al contorno a quelle di isolamento perfetto sulla superficie esterna.
L'equazione [14] è generalmente non lineare per due motivi: a) il calore q è una funzione non lineare della temperatura e delle sue derivate (es. irraggiamento, ablazione); b) i coefficienti c e K dipendono dalla temperatura.
Le non linearità di tipo b) possono ridursi al tipo a) in quanto è sempre possibile integrare la [14] con c e K costanti e pari ai valori iniziali c0, K0, simulando le loro variazioni con una distribuzione aggiuntiva di sorgenti di calore q′.
La soluzione della [14] può ottenersi nel caso più generale una volta che sia nota la funzione di Green v(P, t, P′, λ), cioè l'innalzamento di temperatura nel generico punto P all'istante t, prodotto da un lampo di calore di intensità unitaria applicato all'istante λ nel punto P′. Nota la funzione di Green, la distribuzione di temperature prodotta da una qualsiasi distribuzione di sorgenti di calore è data da:
L'espressione [15] è valida nel caso sia lineare sia non lineare. In questo secondo caso q(P′ λ) dipende da T e dalle sue derivate e l'integrale va computato al passo.
La difficoltà del problema è ricondotta a quella della determinazione della funzione di Green per il corpo isolato. Un metodo recentemente proposto (L. Broglio) permette di arrivare alla seguente espressione:
essendo pn ed Un gli autovalori e le autofunzioni normalizzate del problema; definito da:
Il problema [17] [18] è formalmente identico a quello delle vibrazioni del corpo considerato avente densità fittizia c e rigidezza per unità di volume K. Le soluzioni delle [17] [18] sono note in forma analitica per varie forme di interesse pratico (piastra, cilindro, sfera, ecc.) nel caso di corpo isotropo. Sono altresì noti molti eccellenti metodi numerici per il caso più generale.
La fig. 18 mostra i risultati per il caso di un rientro tipico, per cinque materiali diversi. Si nota la efficienza decisiva del berillio in confronto agli altri materiali.
Il sistema dell'ablazione consiste invece nel formare lo strato protettivo di un materiale che utilizzi il calore prodotto per cambiare di stato (in genere sublimando). I materiali migliori hanno elevato calore latente di sublimazione, e possibilmente assenza di fase liquida (o almeno, fase liquida così poco viscosa da permettere una sua immediata rimozione): questi materiali sono in genere del tipo resina sintetica (teflon).
Dal punto di vista matematico il problema consiste nella integrazione della traiettoria a peso variabile, collegato a sua volta alle quantità di calore entrante. Questo problema è affrontabile col metodo già citato in questo paragrafo. La fig. 19 fornisce il diagramma della percentuale di peso che può essere ricondotto a terra in funzione di un parametro adimensionale H che dipende dalla forma, peso del corpo, condizioni di rientro, materiale dello scudo di ablazione.
Dal punto di vista termoelastico, i riscaldamenti diversi nei varî punti della struttura provocano importanti sforzi, che possono anche talvolta assumere un carattere dinamico. La fig. 20 mostra, per es., la distribuzione di sforzi trasversali in un guscio sferico di spessore pari all'8% del raggio esterno, in condizioni di rientro.
Bibl.: S. Timoshenko, Theory of plates and shells, New York 1940; A. E. H. Love, The mathematical theory of elasticity, New York 1944; S. Niles e J. S. Newell, Airplane structures, New York 1954; L. Broglio, Exact solution for cantilever plates of whichsoever trapezium planform and of variable thickness, Roma, Istituto di costruzioni aeronautiche, 1956; id., Some contributions to the heat conduction and thermal stresses analysis in aircraft and missile structures (ICAS Meeting), Madrid 1958; id., Il metodo delle forze bilanciate nella scienza e nella tecnica, Roma 1958; N. J. Hoff (edit.), High temperature effects in aircraft structures, Londra 1958; L. Broglio, Anisotropic composite thermal structures for hypersonic flight, I.A.S. 27th annual meeting, New York, gennaio 1959.
Decollo e atterraggio verticale e accorciato.
Il complesso dei problemi del decollo e dell'atterraggio verticale (VTOL = ingl. vertical take-offand landing) o accorciato (STOL = ingl. short take-off and landing) è oggi in primo piano fra le questioni aeronautiche di attualità, per i motivi seguenti: a) constatazione della necessità finora univocamente manifestatasi di un progressivo allungamento delle piste, per il corrispondente incremento degli spazî massimi di decollo e atterraggio degli aeroplani; b) sviluppo e diffusione degli "aerogiri", cioè degli aeromobili a velatura rotante (e, in special modo, dell'elicottero), che sono intrinsecamente macchine VTOL o STOL; c) introduzione del gettosostentato (v. aeromobile, in questa App.); d) nuove concezioni e indirizzi nel campo della sicurezza del volo (v. navigazione, in questa App.) associati a una maggior confidenza negli impianti di potenza (motori alternativi e turbine a gas), giustificata in gran parte dall'effettivo progresso tecnico di questi e, per il resto, da importanti esigenze militari ed economiche e, infine, da moventi psicologici (nell'accezione comune del termine); e) naturale tendenza al miglioramento delle caratteristiche a bassa velocità di una estesa classe di aeroplani.
Si tratta, in realtà, di varî gruppi di problemi, che si presentano nettamente distinti per diverse categorie di aeromobili in dipendenza dell'infrastruttura da essi richiesta: aeroplani pesanti militari e civili per grandi percorrenze; aeroplani da trasporto per medie percorrenze; aeroplani leggeri; caccia e aeroplani militari per impieghi speciali; convertiplani. I problemi relativi all'atterraggio si presentano, di norma, più gravi di quelli del decollo.
Nel significato tradizionale del termine, si ha decollo quando si raggiunge, con una corsa a terra, una velocità di buona manovrabilità (che, per l'aeroplano, è di poco superiore alla velocità di stallo) alla quale si può operare il distacco dal terreno dell'aeromobile, che diviene aerodinamicamente sostentato; ciò ha senso soltanto per quegli aeromobili con organi portanti ai quali non viene direttamente trasmessa potenza (ad ala fissa, aeroplano, o ad ala rotante, autogiro); il decollo può essere "assistito" se durante tutta la corsa di accelerazione, o parte di essa, si usano mezzi di propulsione ausiliarî, non impiegati, di norma, durante il volo: caso tipico il decollo assistito con razzi (JATO = ingl. jet-assisted take-off). Più in generale, si può oggi definire decollo il distacco, comunque ottenuto, dell'aeromobile dal terreno (o da qualsiasi base), comprendente i casi nei quali l'impianto di potenza a bordo esercita direttamente una spinta opposta al peso e superiore ad esso (gettosostentazione, in senso lato) e quelli nei quali viene trasmessa potenza a superfici portanti rotanti (elicottero e alcuni tipi di convertiplano) o fisse (aeroplano con "ala soffiata"). Il decollo può essere "verticale" se avviene in direzione verticale senza corsa a terra, "obliquo" se avviene, sempre senza corsa, in direzione comunque inclinata; il primo richiede che la spinta superi il peso, anche se di poco, il secondo richiede spinte sempre superiori al peso, ma tanto maggiori quanto minore è l'inclinazione. Il decollo obliquo può avvenire con appoggio iniziale su rampa; in tal caso viene più comunemente indicato con "decollo a corsa zero" o brevemente "decollo zero". Si ha "decollo accorciato" quando la corsa di decollo normale viene abbreviata con una gettosostentazione parziale (inferiore al peso) e quando l'impianto di potenza agisce sulle superfici portanti (acceleramento di rotori, soffiamento sull'ala, ipersostentazione forzata con aspirazione strato limite). La definizione tradizionale di decollo corrisponde all'impostazione classica della sicurezza in a., per la quale l'aeromobile distaccatosi dal suolo deve essere sempre in condizione di atterrare planando indipendentemente dal funzionamento dei motori; quella generalizzata all'attuale impostazione meno restrittiva (negli elicotteri il decollo e l'autorotazione verticale e il volo verticale a bassa quota sono tuttavia, per quanto possibile, evitati).
Decollo assistito. - Nel decollo assistito con razzi ausiliarî (l'involucro dei quali è talora sganciabile) questi devono essere azionati, per ottenere il massimo effetto utile, nella fase finale della corsa; può essere tuttavia opportuno utilizzarli in parte anche dopo il distacco per facilitare la salita e il superamento di ostacoli. I razzi vengono talvolta disposti con asse inclinato verso il basso: essi forniscono allora una piccola componente sostentativa dando luogo a un decollo misto di tipo accorciato. Sono stati impiegati anche per aeroplani civili (su aerodromi ad elevata altitudine o in climi tropicali) ma la loro principale applicazione è militare, e tipica di alcuni bombardieri pesanti.
Il catapultamento viene tuttora impiegato per velivoli imbarcati, anche se, percentualmente, in misura considerevolmente minore che nel passato.
Caso limite di decollo assistito è lo sgancio da altri aeromobili in volo, sperimentato nel recente passato per alcuni tipi di caccia ("parassiti"), oggi non più in linea, e presentemente impiegato per aeromobili da ricerca per altissime quote e velocità.
Azionamento di rotori. - L'azionamento diretto, al decollo, di rotori destinati in altre fasi del volo a sostentare per autorotazione, può esser effettuato con trasmissione meccanica o pneumatica. In quest'ultimo caso, l'aria compressa viene o direttamente addotta ad ugelli situati alle estremità delle pale o a fusi statoreattori ivi collocati, nei quali viene bruciato combustibile. L'azionamento meccanico è adottato negli autogiri. Caso tipico di azionamento mediante statoreattori è quello del convertiplano Fairey Rotodyne (v. aeromobile, in questa App.). L'elevato livello del rumore prodotto dagli statoreattori pone serî problemi di silenziamento, in fase di risoluzione.
Ipersostentazione forzata. - Il controllo dello strato limite (BLC, ingl: boundary-layer control) è passato dallo stadio di ricerca a quello delle pratiche realizzazioni. Sono stati raggiunti in volo valori superiori a quattro per il coefficiente di portanza, riferito alla pressione dinamica. Nella sua forma più completa, il BLC si esegue aspirando aria dal dorso dell'ala e dalle superfici fisse degli impennaggi e soffiandola sulle superfici ipersostentatrici e di governo; di queste ultime è spesso necessario aumentare l'efficacia anche in caso di controllo parziale sull'ala per le considerevoli variazioni di centramento che si manifestano. La sola aspirazione è stata realizzata, su scala sperimentale, indipendentemente dall'ipersostentazione (e quindi dai problemi del decollo e atterraggio), per ottenere, mantenendo il deflusso laminare sul profilo, un generale miglioramento delle caratteristiche di aeroplani subsonici da trasporto attraverso la diminuzione di resistenza in crociera e alla velocità massima. Su aeromobili di serie, la soluzione adottata è il soffiamento. Nei caccia viene prelevata aria dai compressori dei turbogetti ed eiettata sul dorso delle alette ipersostentatrici del bordo d'uscita dell'ala; l'azionamento è automatico e avviene quando la deflessione delle alette stesse supera un certo angolo. Importante realizzazione è l'impianto BLC sul Lockheed C 130 Hercules (v. aeromobile, tav. f. t.), aeroplano da trasporto medio militare, peso totale 61.235 kg, apertura alare 40,25 m, superficie alare 162,12 m2, con quattro turboelica Allison T 56-A-1-A da 3750 HP equivalenti. È dotato di due coppie di turbogetti ausiliarî, montati sotto l'ala; il gas da essi generato viene condotto lungo l'intera apertura dell'ala e dell'impennaggio verticale e orizzontale ed eiettato attraverso una serie di ugelli (fessura continua interrotta da montantini) su tutte le superfici di governo e gli ipersostentatori. Poiché i gas sono a elevata temperatura, le condutture sono isolate con fibra di vetro, e le superfici esterne lambite dal getto sono rivestite di titanio. L'azionamento del sistema BLC è a comando; con esso la corsa di decollo si riduce da 460 a 185 m e quella di atterraggio (con peso totale di 45.000 kg) da 420 a 140 m.
Su altri aeroplani, sperimentali, propulsi con eliche, si usa la scia di queste per il controllo dello strato limite che risulta, così, accoppiato al sistema "ala soffiata".
Ala soffiata. - Consiste nell'incrementare artificialmente, a spese dell'impianto di potenza a bordo, la velocità del vento relativo che investe l'ala, ordinariamente a mezzo della scia delle eliche usate per la propulsione. È normalmente associato al controllo strato limite sugli ipersostentatori realizzati a fessura e deflessione. È possibile, al limite, ottenere lo stazionamento in aria, il decollo e l'atterraggio verticale. Esempio di "ala soffiata" è lo sperimentale Breguet 940 "Integral" (v. aeromobile, tav. f. t.). È un monoplano ad ala alta rettangolare con quattro eliche tripala (diametro 4 m); la scia di queste investe l'intera apertura alare. L'intero bordo d'uscita dell'ala è incernierato; gli ipersostentatori esterni, a doppia articolazione, fungono anche da alettoni. Le eliche sono sincronizzate, ed intercollegate meccanicamente per l'eventualità dell'arresto di un motore; 4 turbine a gas Turbomeca TURMO II da 400 HP; apertura alare 1750 m, corda 2,65 m; peso totale 6670 kg; velocità max di crociera 380 km/h, velocità di atterraggio 45 km/h; spazio di decollo (con ostacolo 15 m) 190 m; spazio di atterraggio (con ostacolo 15 m): 230 m.
Gettosostentazione. - Si ha, in senso proprio, nel "telaio volante" o "gettosostentato", in senso generalizzato quando la sostentazione è ottenuta, in tutto o in parte, come spinta prodotta da dispositivi diversi da quelli classici (ala fissa, rotore con pale di grande allungamento) e che sono, di massima, quelli impiegati normalmente a scopi propulsivi (sistemi motore-elica, turbogetti), ai quali tuttavia se ne affiancano altri (eliche libere di grande diametro, rotori intubati, ventole) aventi carattere intermedio fra gli organi dei motori e le velature rotanti.
La gettosostentazione generalizzata, al decollo e all'atterraggio, può esser ottenuta: a) con orientazione delle sole eliche, o rotori intubati, o ventole; b) con orientazione dell'intero sistema di propulsione (motoelica, turboelica, turboventola, turbogetto); c) con ribaltamento dell'intera ala con i sistemi di propulsione ad essa collegati rigidamente; d) con orientazione dell'intero aeromobile; e) con deviazione della spinta; f) con l'azionamento di organi appositi. I casi a), b), c) sono caratteristici di una vasta gamma di convertiplani, macchine intrinsecamente VTOL o STOL, e i relativi problemi sono inerenti allo sviluppo e all'impiego di tali macchine tuttora sperimentali. Il caso d) è quello degli aeroplani (a elica o a getto) a decollo verticale longitudinale (tail sitters), alcuni esemplari dei quali sono stati finora realizzati e impiegati soltanto a scopo di ricerca (Convair XFY-1; Lockheed XFV-1; Ryan X-13). I casi e) ed f) sono quelli degli aeroplani "a sollevamento verticale" (flat risers). Il sistema e), con deviatori di spinta sullo scarico dei turbogetti, è stato sperimentato sia con modifica di aeroplani già costruiti (Gloster "Meteor") sia con appositi prototipi da ricerca (Bell X-14); il sistema f) con macchine di nuova progettazione tendenti a conservare per quanto possibile la linea e le caratteristiche di volo degli aeroplani avanzati attuali (Short S. C. 1).
Problemi gravi posti dalla gettosostentazione sono: il danneggiamento delle piste e, in generale, del terreno ad opera dei getti ad alta temperatura; il pericolo di danni a persone e cose circostanti (anche a considerevole distanza) a causa della proiezione di oggetti (p. es. sassi) da parte dei getti veloci. Anche per tali motivi, vi è tendenza a orientarsi verso getti misti o freddi a moderata velocità e forti portate, realizzati con opportune ventole.
Inoltre, nel caso della gettosostentazione, come più in generale in tutti i casi nei quali la sostentazione è incrementata da dispositivi dipendenti dall'impianto di potenza, sono necessarî sistemi di stabilizzazione, e correzione sui comandi, automatici a pronto intervento non sussistendo più le qualità di stabilità intrinseca (o di lenta divergenza) tipiche dell'aeroplano. Sono in fase di sviluppo turbogetti a due flussi a pronta risposta alle richieste di variazione di regime. Le condizioni più critiche si hanno all'atterraggio.
Applicabilità dei sistemi VTOL e STOL. - È in relazione alle esigenze d'impiego, all'infrastruttura e alla potenza installata ed ha caratteri nettamente diversi nei due casi seguenti.
A) Macchine di nuova concezione (in gran parte, convertiplani), per le quali i sistemi STOL e VTOL sono connaturati all'esistenza della macchina e determinano in modo essenziale tutte le prestazioni di essa. Lo sviluppo di queste, a prescindere dai problemi tecnici di messa a punto, dipende (come è avvenuto per l'elicottero) essenzialmente dalla richiesta di utilizzazione di tali prestazioni (nettamente differenziate da quelle degli altri tipi di aeromobile) e, soprattutto nel campo militare, dalla evoluzione dei temi operativi.
B) Aeromobili tradizionali (essenzialmente, aeroplani) nei quali i sistemi VTOL e STOL possono esser incorporati in sede di progettazione o di adattamento con limitate alterazioni delle caratteristiche generali o come naturale risultato dell'evoluzione tecnica. Il normale spazio di decollo orizzontale degli aeroplani può ritenersi, in prima approssimazione, proporzionale al prodotto del carico alare (Q/S) e del carico per unità di spinta (Q/T) secondo un fattore k che, per una data quota, è funzione essenzialmente delle caratteristiche aerodinamiche (soprattutto del coefficiente di portanza massimo, per velocità di decollo non molto elevate). Al crescere delle velocità di volo (massima e di crociera) cresce Q/S e contemporaneamente, di regola, diminuisce Q/T; l'influenza di Q/S prevale fino alle soglie della compressibilità; a velocità superiori l'incremento di T/Q predomina gradualmente su quello di Q/S (le resistenze all'avanzamento sussistono anche per i veicoli privi di ali). I massimi valori di s si sono raggiunti nel recente passato in corrispondenza di carichi alari di 500÷600 kg/m2 e carichi per unità di spinta di 4÷5 per trasporti civili e militari a grande distanza e bombardieri pesanti: a questi aeromobili è imputabile l'accrescimento delle piste fino alle lunghezze attuali. A prescindere dall'avvenire del bombardiere pesante (legato all'incerta evoluzione di temi militari), bombardieri più "compatti" volano oggi a numeri di Mach intorno a 2 con rapporti Q/T di circa 2,5, e aeroplani di linea da "Mach tre" sono in progetto; per questi sono prevedibili Q/T anche inferiori ad uno: ne risultano stabilite le naturali premesse energetiche sia per brevi corse di decollo sia per un possibile VTOL del tipo con gettosostentazione (in senso generalizzato). Questa classe di aeromobili richiede, per sua natura, un'infrastruttura imponente, anche a prescindere dalle piste; a parte queste, le soluzioni da adottarsi potranno esser determinate da varî fattori, tra i quali: sicurezza comparata del sollevamento verticale (possibile avaria ai motori o ai sistemi di autostabilizzazione) rispetto alle corse a terra, brevi ma con elevate velocità relative al distacco e all'atterraggio (scoppio di pneumatici, avaria ai freni, ecc.); limitazione dei fattori di carico sugli organismi a bordo nelle fasi di accelerazione e decelerazione (importante, specialmente per i passeggeri).
Per gli aeroplani da trasporto medio, la ipersostentazione forzata trova il suo naturale campo di applicazione. Si tratta di aeromobili, in gran parte militari, propulsi ad elica e con rilevanti potenze installate, nei quali buone caratteristiche di autonomia e velocità di trasporto devono esser associate a basse velocità minime con possibilità di utilizzare piste e campi di dimensioni ridotte e scarsamente allestiti: ciò non può ottenersi che limitatamente con soluzioni aerodinamiche facenti parte integrante dell'architettura del velivolo.
Nel campo degli aeroplani da trasporto per brevi percorrenze, che hanno modeste esigenze nei confronti degli aerodromi, l'applicazione dei procedimenti STOL e VTOL non si presenta, allo stato attuale, conveniente, perchè onerosa sotto l'aspetto energetico e svantaggiosa sotto quello della sicurezza; il sistema che ha, forse, qualche possibilità di applicazione (principalmente ai fini militari) è quello ad "ala soffiata".
Gli aeroplani leggeri (particolarmente quelli per lavoro aereo) sono intrinsecamente STOL; l'estensione verso il basso del loro modesto campo di escursione di velocità è affidata al perfezionamento dei sistemi classici di ipersostentazione.
Diritto aeronautico.
Il diritto aeronautico (più propriamente diritto dell'aviazione) con il progredire della tecnica, continua ad evolversi seguendo faticosamente gli sviluppi tecnico-organizzativi dell'aviazione. Presso tutti i principali stati esso ha assunto tuttavia la forma o l'importanza di veri e complessi codici, suscitando l'intensificarsi dell'insegnamento universitario con cattedre autonome della materia. La stessa giurisprudenza aumenta di volume ed importanza, specialmente negli Stati Uniti d'America dove il traffico aereo è particolarmente intenso.
La legislazione internazionale si è arricchita di 15 allegati (specie di regolamenti tecnico-giuridici) alla fondamentale convenzione di Chicago del 1944; l'importante convenzione di Varsavia sul trasporto aereo internazionale è stata completata con un protocollo (Aia 1955) riguardante soprattutto la nozione e l'effetto della colpa grave e l'aumento dei limiti della responsabilità del vettore; la convenzione di Roma 1933 sui danni ai terzi alla superficie è stata sostituita da un'altra più complessa (e non migliore) convenzione di Roma del 1952 avente la caratteristica di dichiarare esecutive le sentenze dei tribunali degli stati contraenti presso tutti gli altri stati contraenti; a Ginevra nel 1948 è stata firmata una convenzione sui diritti sugli aeromobili per favorire il credito ipotecario al momento dell'acquisto degli aeromobili. Inoltre numerosi progetti di convenzioni attendono ora la firma della ratifica.
Il fatto nuovo che allarga l'orizzonte di questo ramo del diritto, suscitando nuovi e più ardui problemi politico-giuridici, è la invenzione e l'incipiente uso di altre macchine volanti (missili, satelliti artificiali) che sono capaci di volare anche nello spazio ultra-atmosferico. Anche questa nuova attività può continuare a chiamarsi "aviazione" intendendo l'aviazione come "la scienza e l'arte del volo umano" (A. Ambrosini); si può quindi parlare di un diritto dell'aviazione anche a proposito del volo extra-atmosferico, respingendo altre equivoche denominazioni (spaziale, cosmico, ecc.).
I giuristi hanno intrapreso a indagare la natura giuridica degli spazî extra-atmosferici e la più appropriata disciplina giuridica del loro uso. Il problema capitale al riguardo è quello di sapere se la sovranità esistente sullo spazio aereo o atmosferico possa o debba estendersi allo spazio ultra-atmosferico. Qualche scrittore, interpetrando estensivamente le convenzioni di Parigi e di Chicago, ha risposto affermativamente, ma tale opinione è rimasta isolata. La maggioranza degli autori opina che la sovranità, conformemente alla lettera di quelle convenzioni, debba intendersi limitata allo spazio aereo, constatando peraltro che allo stato attuale manca una norma di diritto internazionale che definisca la natura giuridica degli spazî ulteriori, che quindi il problema resta aperto. La più diffusa tendenza è, tuttavia, che lo spazio extra-atmosferico vada inteso, quale res communis omnium, aperto al libero uso di tutti.
Senonché qui sorge un'altra più importante e forse più difficile questione: sapere quale possa essere la linea di demarcazione fra lo spazio aereo, soggetto alla sovranità, e quello ultraatmosferico, libero. Nel tentativo di risolvere la questione ci si è riferiti specialmente a dati di natura fisica e pertanto indefettibili. Taluno ha fatto riferimento generico al punto in cui cessa la forza di attrazione della terra; altri a una zona neutra in cui la forza di gravità della terra e della luna si equilibrano. Altri ancora al punto nel quale fisicamente l'aria è talmente rarefatta che può dirsi praticamente cominciare il vuoto (100-150 km al di sopra della terra); altri infine al livello (atmosferico) in cui gli aeromobili convenzionali possono sostenersi e volare. C'è invece chi ricorre alla idea che la sovranità debba cessare nel punto più basso ove una realizzazione umana ossia un satellite artificiale sia capace di orbitare attorno alla terra. Un rapporto delle N. U. parla della "possibilità di basare il regime giuridico dello spazio ultra-atmosferico sulla natura ed il tipo di particolari attività spaziali". Fra tutte queste opinioni sembra più accettabile quella che pone il limite a 100-150 km dal livello del mare e che, comunque, gli stati, di comune accordo, convengano di fissare, sia pure provvisoriamente, a quell'altezza il punto in cui debba intendersi cessare la sovranità territoriale degli stati.
Al postutto, precisare almeno convenzionalmente quel limite è essenziale se si vuole accedere alla opinione più diffusa che lo spazio ultra-atmosferico sia da considerare res communis e quindi libero, evitare l'occupazione a titolo di sovranità dei corpi celesti quale la luna, nonchè cause d'incertezze e di contrasti.
Una siffatta delimitazione appare ancora tanto più impellente quando si voglia arrivare - ed ecco il problema non più giuridico ma squisitamente politico che condiziona arduamente ogni decisione in materia - alla c. d. demilitarizzazione (alias divieto di utilizzarlo a fini militari) dello spazio ultra-atmosferico. È questo il problema che oggi si discute calorosamente e la cui soluzione in senso affermativo, che trova un analogo ma non identico precedente nel recente trattato sull'Antartide (v., in questa App.), potrebbe permettere una stretta collaborazione fra tutti gli stati per l'esplorazione e l'uso pacifico dello spazio cosmico; esplorazione ed uso da assoggettare, come è già stato proposto, ad una specie di amministrazione internazionale a beneficio di tutta l'umanità; una specie di condominio politico che permetta l'uguale uso di tutti ed impedisca l'abuso dei forti.
Le N. U. hanno già cominciato a studiare tali problemi al fine di arrivare, quando sarà possibile, a degli accordi internazionali.
Bibl.: Dir. aeronautico: A. Lefebvre D'Ovidio e G. Pescatore, Manuale di dir. della navigazione, 2ª ed., Milano 1953; A. Ambrosini, Corso di dir. aeronautico, Roma 1935; id., Istituzioni del dir. dell'aviazione, 3ª ed., Roma 1940; Chr. N. Shawcross e altri, Air law, 2ª ed., Londra 1951. - Dir. spaziale: J. C. Hogan, A guide to the study of space law, New York 1958, in cui è contenuta una estesa bibliografia della materia; Nazioni Unite, Report of ad hoc Committee on the peaceful uses of outer space, Doc. A/4141, 14-7-1959, Sottocomitato giuridico, pres. Ambrosini, p. 61 sgg.