AERONOMIA
. Con questo termine, proposto da Sydney Chapman e che nel 1954 entrò ufficialmente nella sigla della IAGA (Associazione Internazionale per il Geomagnetismo e l'Aeronomia), s'intende lo studio delle leggi che controllano i fenomeni atmosferici al di sopra di circa 30 km di quota, mentre si riservano i termini di "aerologia" e "meteorologia" alle discipline che si occupano dei fenomeni al di sotto di tale quota.
I dati ricavati con strumenti portati da satelliti vengono utilizzati per gli strati superiori a circa 100 km, e quelli ottenuti con razzi per le quote inferiori. Da alcuni anni si sono andate sviluppando tecniche di telerilevamento da satellite: con fotometri su satellite si misurano particolari emissioni provenienti dagli strati sottostanti (v. aerologia in questa App.).
Numerose definizioni sono state introdotte in passato per caratterizzare strati atmosferici particolari: la fig. 1 ne riassume concisamente le più salienti.
Soprattutto per mezzo del frenamento dei satelliti è stato possibile ottenere misure dirette dei parametri atmosferici e delle loro variazioni diurne, stagionali, nonché delle correlazioni con l'attività geomagnetica e solare. Ciò ha permesso di costruire un modello atmosferico di riferimento internazionale. Questo metodo ha però consentito di ottenere un maggior numero di dati alle latitudini equatoriali e intermedie che non alle alte latitudini. Sulle calotte polari l'atmosfera è soggetta a fluttuazioni violente e irregolari. Pertanto la conoscenza della dipendenza dalla latitudine del modello atmosferico è ancora alquanto approssimativa.
L'atmosfera è controllata dal Sole, con un meccanismo molto complesso. Il tramite di questa interazione è costituito dalle radiazioni elettromagnetiche e corpuscolari solari. Quelle elettromagnetiche attraversano gli strati superiori dell'atmosfera ionizzandoli, finché l'aumentata densità atmosferica estingue rapidamente la radiazione incidente. Questo è quanto avviene per quasi tutte le lunghezze d'onda, tranne che per un piccolo intervallo nel visibile che si estende sino al suolo ("finestra ottica dell'atmosfera). Questi processi di assorbimento atmosferico svolgono un ruolo fondamentale nella fisica dell'atmosfera, e il loro studio costituisce una disciplina a sé, quella della fisica ionosferica. Normalmente il limite inferiore della ionosfera si può definire attorno a 50 ÷ 60 km. Al suo limite superiore l'atmosfera è sempre più ionizzata: le frange estreme si confondono o con le fasce di Van Allen, oppure, alle latitudini più alte, con la magnetosfera. Il complesso dei fenomeni ionosferici è notevolmente complicato dal contributo della radiazione corpuscolare che incide alle alte latitudini. Gli strati variamente ionizzati sono soggetti a un regime dinamico variabile. Ciò genera correnti elettriche che si evidenziano chiaramente attraverso le perturbazioni geomagnetiche al suolo, che sono il miglior mezzo per evidenziare le maree atmosferiche alle alte quote (v. magnetismo in questa App.).
L'interazione della radiazione solare con l'atmosfera innesca un complicatissimo insieme di reazioni fisico-chimiche. La fig. 2 rappresenta molto schematicamente i diversi tipi di reazioni coinvolte. La fig. 3 dà un'indicazione della composizione chimica e la fig. 4 un dettaglio della stessa. Si noti l'ozono (O3) la cui importanza (anche alle quote inferiori a 60 km) è ritenuta basilare, in quanto costituisce uno schermo che assorbe gran parte della radiazione ultravioletta solare. Per inciso si ricorda che le perplessità sollevate in merito al volo stratosferico di grandi aviogetti è stata originata dal timore che l'inquinamento prodotto sia tale da alterare rapidamente la struttura della "ozonosfera" con conseguenze imprevedibili per la vita sulla Terra.
Informazioni molto importanti sui processi aeronomici sono date allo studio della luce diffusa del cielo, lo airglow (letteralmente "bagliore dell'aria"), secondo una definizione introdotta da C.T. Elvey nel 1950 su suggerimento di O. Struve. Questa si differenzia in nightglow, dayglow, e twilightglow (luce del cielo notturno, diurno e crepuscolare rispettivamente). Lo studio del nightglow è notevolmente più agevole in quanto è assente il disturbo della luce diffusa solare. Le più intense emissioni si notano nell'infrarosso, a opera dell'OH. Ciò equivale a dire che il cielo è molto più luminoso nell'infrarosso che non nel visibile. Ciò implica importanti conseguenze (per es. per l'astronomia nell'infrarosso, o per applicazioni militari). Nel visibile le emissioni più importanti sono prevalentemente quelle dell'ossigeno, e soltanto in minor misura alcune che coinvolgono anche l'azoto. Le reazioni che comportano reagenti neutri sono attive nello strato a circa 90 ÷ 100 km, quelle con reagenti ionizzati nello strato a 250 ÷ 300 km. Anche le righe del sodio vengono osservate e la loro presenza a quote tanto elevate ha costituito oggetto di sorpresa. La fig. 5 evidenzia molto bene la natura stratificata del fenomeno. Negli strati superiori dell'esosfera la composizione chimica diventa esclusivamente H ed He, e con fotometri su satellite sono state osservate emissioni di questi elementi (in analogia alla corona solare si è allora definita una "geocorona").
L'atmosfera si presenta come un sistema fisico soggetto a fluttuazioni, più o meno brusche, accompagnate da oscillazioni smorzate e/o forzate, sempre più marcate ed evidenziate con l'aumentare della quota e in specie alle alte latitudini. Nel caso dell'airglow sono state osservate alle latitudini tropicali delle variazioni molto considerevoli la cui origine è ancora un mistero. Un fenomeno meglio conosciuto è costituito (fig. 6) dagli archi SAR o M (Sub-Aurorali Rossi o di Media latitudine), scoperti nel 1958 da D. Barbier. Sono caratterizzati da un notevole aumento di emissione in un tipico doppietto nel rosso dell'O, in uno strato fra 400 e 600 km, lungo un parallelo geomagnetico con un'estensione in latitudine di circa 700 km. Grazie a misure fotometriche dal satellite OGO4 è stato possibile appurare (1967) che in generale questi archi non appaiono simultaneamente nei due emisferi (al contrario di quanto avviene per le aurore polari); manca ancora una spiegazione per essi.
La radiazione corpuscolare solare è costituita essenzialmente da un "vento solare" che ha caratteristiche di sostanziale continuità, sul quale si sovrappongono fiotti di radiazioni più energetica (raggi cosmici solari) e altre perturbazioni. Il vento solare interagisce con un oggetto magnetizzato (quale la Terra, Giove, Mercurio, ecc.) e dà luogo alla formazione di una "magnetosfera". La forma di questa ricorda quella di una cometa: il vento solare si avvicina il più possibile dalla parte del Sole; nel caso della Terra fino a 11 Rt (dove Rt è il raggio terrestre), con escursioni fra meno di 5 Rt e più di 13 Rt; poi viene deviato e scorre via su una superficie vagamente aerodinamica, che si prolunga in una lunghissima coda. Per quanto interessa l'a. basta qui distinguere sommariamente fra magnetosfera interna, costituita dalle regioni d'intrappolamento stabile e quasi-stabile delle particelle (fasce di Van Allen), magnetosfera esterna, e la regione intermedia fra le due (fig. 7). La magnetosfera interna è contraddistinta da una regione più cospicuamente popolata di radiazione, la "plasmasfera". In ogni caso le particelle intrappolate costituiscono una gabbia di Faraday contro le perturbazioni esterne. I fenomeni aeronomici che avvengono entro la magnetosfera interna sono il risultato di complesse catene di cause ed effetti, cioè sono di spiegazione meno diretta di quanto avviene alle latitudini maggiori. Le latitudini intermedie sono interessate alla proiezione sull'atmosfera dello "strato di plasma" (plasmasheet) che avvolge lungo tutta la coda il cosiddetto "foglio neutro" (neutral sheet). Le particelle che popolano la strato di plasma vengono accelerate e precipitano sulla ionosfera con profondità massima di penetrazione fino a 100 km (eccezionalmente fino a 80 km). Gli effetti più cospicui si manifestano come variazioni geomagnetiche (alimentando l'elettrogetto aurorale) e producendo le aurore polari, che si manifestano lungo l'"ovale aurorale". Attorno all'ovale, lungo il parallelo geomagnetico di 67°-68°, si manifesta un aumento strumentale di emissioni tipiche aurorali, noto come "aurora a mantello". Questo stesso fenomeno, osservato recentemente da satellite, è stato incluso in un tipo di aurora chiamato "aurora diffusa", in contrapposizione alle aurore tradizionali, denominate "discrete". L'interno dell'ovale è connesso alla magnetosfera esterna. Questa regione viene ora definitivamente ritenuta connessa direttamente con lo spazio interplanetario. Un tipo di fenomeno oggi inspiegabile vi appare sotto la veste di usuali aurore polari, che non presenterebbero mai quote eccezionalmente alte e che si osservano soltanto in condizioni di grande quiete geomagnetica, e sarebbero allineate alla direzione Terra-Sole. Queste vengono denominate "aurore di calotta polare". Più chiara appare invece la spiegazione di un altro tipo di fenomeni: gli eventi PCA (Assorbimento di Calotta Polare), accompagnati da una "aurora di bagliore polare" (polar glow aurora). Un'improvvisa precipitazione di particelle con energia fino all'ordine delle centinaia di MeV interessa simultaneamente tutta una calotta polare. Le particelle penetrano fino a circa 50 km; la ionosfera polare ne è violentemente perturbata e le radiosorgenti stellari esterne tacciono repentinamente: di qui l'origine del nome PCA. Questi eventi sono peraltro relativamente sporadici. Alla calotta polare va associato un altro tipo di fenomeno: il "vento polare". Si tratta di una sorta di risucchio che depaupera l'esosfera polare di materia che va a disperdersi nel vento solare. Questo fenomeno, previsto dapprima teoricamente (dal 1961 in poi) da diversi autori, ricevette infine il suo nome da W.I. Axford nel 1968, anno in cui vennero riportate anche le prime evidenze sperimentali sulla scorta di misure effettuate con il satellite Explorer 31.
Si vanno ora studiando sempre più i fenomeni oscillatori che si propagano nell'atmosfera a tutti i livelli e la cui origine è spesso ignota o problematica. Le stesse connessioni fra alta e bassa atmosfera, fra a. e meteorologia, un tempo negate de facto, sono ora oggetto di rinnovata attenzione. La comprensione dei fenomeni atmosferici e della relativa interazione con l'ambiente interplanetario è ancora lontana da un assetto soddisfacente, nonostante il sostanziale impulso ricevuto nell'era spaziale. Rapidi progressi sono in atto, e la maggior attenzione dedicata dalla tecnologia spaziale all'atmosfera terrestre guardata dall'esterno (mentre fino a poco tempo fa la scienza spaziale era prevalentemente orientata allo studio dell'ambiente che circonda la Terra) consente la facile previsione di importanti passi nei prossimi anni. Forse la conoscenza dell'ambiente vitale dell'uomo e del clima potranno trarne sostanziali e imprevedibili vantaggi.
Bibl.: IUGG (International Union of Geodesy and Geophysics), International auroral atlas, Edimburgo 1963; W. Petrie, Keoeeit, the story of the aurora borealis, Oxford e New York 1963; H. Rishbeth, o. K. Garriott, Introduction to ionospheric physics, New York e Londra 1969; S. Chapman, R. S. Lindzen, Atmospheric tides, New York 1970; A. Omholt, The optical aurora, Berlino 1971; COSPAR (Committee on Space Research), International reference atmosphere 1972, Amsterdam 1972; S. I. Akasofu, S. Chapman, Solar-terrestrial physics, Oxford 1972; B. M. McCormac, Physics and chemistry of upper atmospheres, Dordrecht e Boston 1973; F. E. Roach, J. L. Gordon, The light of the night sky, ivi 1973; A. Vallance Jones, Aurora, ivi 1974; B. M. McCormac, Atmospheres of the Earth and the Planets, ivi 1975.