Aerospace design
Il design per l’utente dello spazio
Il mondo del design in questi ultimi anni è stato attraversato da una molteplicità di fenomeni che hanno modificato la cultura e la pratica del progetto. Le attività di ricerca si sono articolate ed estese oltre i confini tracciati in origine dalla disciplina, verso territori di indagine e sperimentazione ancora inesplorati, facendo emergere nuove domande di progetto e nuovi strumenti con cui affrontarle.
Oltre ad aver accresciuto le qualità espressive, formali e funzionali dei prodotti industriali, il design si è arricchito di conoscenze che appartengono all’ingegneria, alla tecnologia e all’economia dell’innovazione, tenendo presente la specificità che da sempre lo contraddistingue, ovvero l’attenzione per l’utente. Il design è infatti sinonimo di innovazione incentrata sui bisogni dell’uomo. L’interesse crescente dei designer nel guardare oltre gli aspetti funzionali dei prodotti, concentrandosi sul ‘come’ i prodotti possano riflettere stili di vita, valori e aspirazioni, fa emergere un’attitudine al progetto ‘a metà tra design e scienze umane’, caratterizzata da una sempre maggiore attenzione ai fattori legati prevalentemente all’emotività e alla sfera psicopercettiva del soggetto, unita a un forte coinvolgimento nei processi di innovazione tecnico-scientifici (Jordan 2000). Il disegno industriale si fa quindi interprete, attraverso le qualità formali e simboliche dei suoi progetti, delle esigenze, delle aspettative e dei desideri dei consumatori, incrementandone la qualità della vita. Un elevato livello di comfort è, infatti, uno dei segnali più visibili che testimoniano l’evoluzione di una civiltà, o di un determinato comparto industriale, nel passaggio dal soddisfacimento dei bisogni essenziali alla loro progressiva sofisticazione.
La necessità di una progettazione decisamente orientata all’utente è altrettanto auspicabile nell’industria aerospaziale, dove la natura pionieristica di un settore così giovane porta a privilegiare i requisiti tecnologici essenziali al mantenimento della vita, imponendo all’essere umano forti restrizioni. Lo spazio è, infatti, un ambiente poco esplorato; si procede per sperimentazioni, raccogliendo, per ora, pochi dati soggettivi, che non permettono di creare un sapere condiviso, soprattutto se si considera la variabile umana una condizione imprescindibile per le future conquiste.
Sono pochi, al momento, i sistemi abitativi e gli equipaggiamenti che tengono in debito conto le esigenze fisiologiche e psicologiche dell’equipaggio. La maggior parte delle attrezzature utilizzate per svolgere le funzioni primarie – come lavorare, nutrirsi, dormire, lavarsi – sono soluzioni terrestri adattate all’ambiente spaziale e sottoposte a ‘usi impropri’ che non agevolano di certo le attività in orbita.
Il design può essere di grande aiuto per suggerire un approccio più aderente alle esigenze dell’essere umano negli ambienti estremi attraverso l’applicazione di tecniche e metodologie mirate a individuare requisiti di sicurezza, funzionalità, usabilità e piacevolezza, a vantaggio di un incremento della qualità della vita, condizione che diventerà sempre più importante anche per i viaggiatori interplanetari. Ecco perché riveste una funzione così importante nella progettazione che riguarda lo spazio cosmico.
Le stazioni spaziali che si sono susseguite in orbita, dalla prima Saljut sovietica nel 1971 allo Skylab statunitense nel 1973, dalla Mir, fatta precipitare nel Pacifico nel 2001 dopo quindici anni di intensa attività condotta da Russia e Stati Uniti, alla ISS (International Space Station), in orbita dal 1998 e non ancora del tutto completata, hanno dimostrato che l’uomo può soggiornare nello spazio e condurre esperimenti scientifici importanti. Un uomo che però non è più solo astronauta professionista, con alle spalle anni di duro training per prepararsi alla missione e un approccio ‘militare’ che presuppone uno spirito di adattamento considerevole, ma è anche ricercatore, scienziato e turista, non addestrato quindi a vivere in condizioni di continua emergenza a discapito del benessere fisico e psichico. Nel caso del turista, è anzi alla ricerca di emozioni straordinarie vissute però in un ambiente il più possibile confortevole e attraente.
La crescente attenzione verso gli human factors è dimostrata dall’evolversi in questi ultimi anni degli studi relativi all’abitabilità in ambienti confinati e in condizioni di microgravità. Le agenzie spaziali, in parti-colare la NASA (National Aeronautics and Space Ad-ministration), incominciano a considerare la variabile umana come fattore sempre più rilevante, perché in stretta relazione con l’aumento della durata delle missioni spaziali e i tempi di permanenza continuativa nello spazio, in previsione dei viaggi interplanetari. Si è creata anche una comunità scientifica di architetti spaziali, professionisti e ricercatori che lavorano all’interno di agenzie, industrie e università del settore, provenienti da diversi Paesi, che sviluppano studi e progetti innovativi sulle dinamiche riguardanti l’abita-re nello spazio, contribuendo ad aggiornare, con la presentazione dei risultati, lo stato dell’arte della disciplina.
Nei protocolli e nei manuali delle agenzie e delle industrie spaziali la sensibilizzazione verso le esigenze fisiologiche e psicologiche dell’equipaggio ha permesso che ingegneri, fisici, chimici, biologi e medici fossero sempre più spesso affiancati da psicologi, sociologi, architetti e designer.
Decidere di fare del campo aerospaziale un argomento di riflessione privilegiata per il disegno industriale comporta una scelta precisa di operare in modo multidisciplinare, sia nel senso di considerare una pluralità di aspetti sia nel senso di collaborare con altre professionalità progettuali, analitiche, scientifiche e tecnologiche. E il fatto che l’area di una possibile collaborazione tra mondo dello spazio e mondo del disegno industriale sia ancora giovane e relativamente inesplorata, consente di impostare tale collaborazione fin dall’inizio nel modo migliore, per favorire una progettazione dialogica e condivisa.
Il disegnatore industriale assume il compito di rappresentare, in un processo decisionale collettivo come quello progettuale, gli interessi di un futuro utente e di agire quindi in nome e per conto dello stesso utente, con buone probabilità di incrementare il livello prestazionale dei prodotti. Una tale accentuazione dei valori legati all’uso caratterizza il disegno industriale e ne sottolinea le differenze rispetto alle attività progettuali di tipo ergonomico o ingegneristico, che generalmente privilegiano i valori tecnologici o economici. Per certi versi è proprio questa differenza e complementarietà di interessi che rende la collaborazione tra professionisti possibile e fruttuosa.
Anche in ambito nazionale, l’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) ha iniziato a introdurre negli obiettivi strategici pertinenti ai programmi di ricerca in corso e a quelli di medio e lungo termine il concetto di comfort, ponendolo sullo stesso piano di altre esigenze già consolidate e considerate prioritarie, in particolare nell’area di ricerca delle scienze della vita, come, per es., la salute e la sicurezza degli astronauti. Appare evidente quindi come l’esigenza di perseguire una migliore qualità della vita si stia progressivamente diffondendo in quasi tutti i settori che si occupano dei vari aspetti legati alla permanenza dell’uomo nello spazio, imponendosi strategicamente attraverso progetti di design mirati a contrastare i molteplici disagi indotti dalle peculiarità dell’ambiente spaziale.
Il design per lo spazio nasce dunque dalla consapevolezza dell’interesse esponenziale che il fattore umano ha acquisito nel settore aerospaziale e, di conseguenza, dall’esigenza di produrre attività di ricerca volte a indagare le dinamiche ambientali e comportamentali per affrontare la progettazione di adeguati sistemi abitabili, destinati ai viaggi di lunga durata e alla colonizzazione lunare e marziana.
La sfida che viene offerta al progettista è basata sull’assunto che il design del sistema abitabile dovrà avvicinarsi molto al concetto di ‘organismo vivente’, in perfetta autonomia rispetto all’approvvigionamento terrestre, soprattutto in termini di risorse non rinnovabili e di supporti logistici. Quando la prima missione umana partirà verso Marte, per un viaggio che durerà più di due anni, la navicella che farà da casa all’equipaggio dovrà essere in grado non solo di sostenere la vita a bordo attraverso complessi sistemi rigenerativi, ma anche di mantenere l’equipaggio in buona salute fisica e psichica. A questo proposito, la ISS potrebbe essere d’aiuto per training e simulazioni di missioni interplanetarie mirate a rilevare le criticità dell’uomo. La ISS è stata progettata per essere utilizzata, anche se ancora incompleta, come avamposto per testare nuovi esperimenti scientifici. Si trova in orbita attorno alla Terra a circa 400 km di altezza, in quella che viene definita LEO (Low Earth Orbit). I moduli pressurizzati dove l’equipaggio vive e lavora sono di forma cilindrica, di lunghezza differente ma con lo stesso diametro, per poter essere trasportati in orbita attraverso i lanciatori sia americani sia russi. Alcuni contengono i laboratori, altri le aree abitative per l’equipaggio, altri ancora i vari sistemi logistici. L’assemblaggio di ogni elemento sulla struttura viene realizzato con l’aiuto di bracci robotici, mentre gli astronauti completano l’opera con attività extraveicolari (EVA, Extra-Vehicular Activities).
La ISS è abitata dal 2000, inizialmente da due astronauti, poi da tre e, dal maggio 2009, da sei. Ha consentito di sperimentare le condizioni di vita dell’uomo nello spazio, mettendo a punto, nel corso delle missioni che si sono susseguite in questi anni, molti aspetti legati all’abitare in orbita.
Stati Uniti, Russia e Italia hanno svolto un ruolo determinante nel design dei moduli pressurizzati abitabili. Non è informazione diffusa che l’Italia, grazie a Thales Alenia space di Torino, ha consolidato un know-how tecnologico riguardo agli habitat spaziali, realizzando per la ISS tre moduli logistici MPLM (Multi Purpose Logistics Module), i nodi di collegamento 2 e 3, il laboratorio europeo Columbus per gli esperimenti scientifici (in orbita dal 2008), una cupola con un’ampia superficie trasparente, che faciliterà il controllo delle operazioni esterne alla ISS, e il veicolo di rifornimento ATV (Automated Transfer Vehicle).
Le scelte strategiche di configurazione, progettazione e costruzione dei moduli pressurizzati non sono determinate solo dagli aspetti ambientali, strutturali e tecnologici, ma prevedono la sinergia con discipline mediche e sociali che pongono in risalto come sia fondamentale l’analisi del condizionamento fisiologico e psicologico umano nell’elaborazione e sviluppo delle soluzioni progettuali. La relazione sinergica tra gli studi biomedici, fin dall’origine orientati a esplorare come l’essere umano possa sopravvivere alle condizioni estreme che sottendono le missioni spaziali, e quelli relativi all’abitabilità, intesa come efficace contromisura ai disagi indotti dall’abitare lo spazio cos-mico, si rende necessaria per individuare gli strumen-ti più adatti a facilitare e migliorare la qualità della vita in orbita. E a questo proposito la ISS diventa una piattaforma di sperimentazione importante.
Il carattere fortemente interdisciplinare del design pone il progettista al centro di un processo di sviluppo complesso dell’intero sistema di configurazione, che gli permette di coordinare tutti quegli aspetti fisiologici, psicologici, sociologici, ergonomici, sensoriali e percettivi che riguardano le problematiche di interfaccia tra operatore e strumento, in relazione alle condizioni estreme dell’ambiente spaziale. Un ambiente che si distingue da quello terrestre soprattutto per tre caratteristiche particolari, ossia la gravità, il confinamento e le radiazioni, condizioni in grado di incidere in maniera determinante sia sull’essere umano a differenti livelli sia, e di conseguenza, sulle scelte progettuali.
La microgravità è il fattore che maggiormente incide sulla vita e il lavoro nello spazio, ed è considerata il limite più grande e difficilmente risolvibile, almeno per ora, soprattutto nelle missioni di lunga durata, per gli effetti dannosi causati in particolare ai sistemi nervoso, cardiocircolatorio, muscolare e scheletrico. La mancanza di gravità provoca variazioni nelle dimensioni e nelle forme corporee. Distendendosi, infatti, la colonna vertebrale si allunga, la circonferenza delle gambe diminuisce a causa dei fluidi che si riversano dalla parte inferiore a quella superiore del corpo – perché il sistema di ridistribuzione funziona come sulla Terra, e continua anche nello spazio a ‘contrastare’ la gravità spingendo i liquidi verso l’alto – facendo gonfiare il torace e il viso, e l’intero processo determina un cambiamento totale della forma del corpo umano (Biological and medical research in space, 1996). Si alterano le condizioni fisiologiche, i parametri fisici e psicologici, le posture assunte dal corpo (dando origine alla NBP, Neutral Body Posture), i movimenti per mantenere l’equilibrio e per spostarsi da un punto all’altro. Cambiano l’orientamento, la percezione sensoriale dello spazio, dei volumi, dei colori, dei sapori e, in conseguenza di tutto ciò, il rendimento operativo e prestazionale delle attività umane. Questi parametri sono molto importanti per il design dello spazio, perché aiutano il progettista e definire i requisiti specifici delle strutture e degli equipaggiamenti in relazione ai cambiamenti prodotti dalla mancanza prolungata di gravità sull’uomo.
La seconda caratteristica, il confinamento, provoca un senso di costrizione dovuto al fatto di vivere in una struttura abitativa molto ridotta, da cui non è possibile uscire per lunghi periodi di tempo. La mancanza di privacy e la nostalgia di casa generano stress e depressione, e l’equipaggio deve essere capace di mantenere sotto controllo l’aggressività che si sviluppa per mancanza di spazio e per la presenza costante della sensazione di rischio, situazioni potenzialmente aggravate dalle diversità culturali e sociali dei soggetti coinvolti (Connors, Harrison, Akins 1999).
Gli astronauti sono inoltre privi di una serie di sollecitazioni ambientali (come la luce del Sole, i colori, l’aria, il vento, le variazioni di temperatura, i profumi, i sapori e i suoni) che si trovano sulla Terra e che stimolano le funzioni vitali. L’essere umano reagisce a queste sollecitazioni ponendo il suo equilibrio in sintonia con la natura e l’ambiente circostante. La mancanza di una sola di esse può pertanto comprometterne la salute biologica e psichica. La luce naturale, per es., influisce sui ritmi circadiani che regolano il sonno e la veglia: in ambiente confinato tali parametri subiscono forti alterazioni, generando insonnia e insofferenza generale. Il design può agire per ridurre gli effetti negativi, progettando un ambiente artificiale ricco di stimoli sensoriali che siano in grado di riprodurre nel modo migliore possibile gli stimoli presenti in ambiente terrestre. Lo studio dell’illuminazione può, per es., tener conto dei ritmi circadiani e sviluppare corpi illuminanti con proprietà di variazione, in termini di temperatura della luce e intensità luminosa, simili a quelli naturali.
Anche nell’immaginario fantascientifico vi sono spesso soluzioni che cercano di ricreare stimoli ambientali naturali, come suggerisce il regista russo Andrej Tarkovskij nel suo film Soljaris (1972; Solaris), nel quale si riproduce il rumore del vento attraverso strisce di carta poste sotto le ventole di aerazione della stazione spaziale. Ma la realtà non è poi così distante, se nel 1982 il cosmonauta Anatolij Berezovoj trascorse parte dei sette mesi passati a bordo della Saljut 7 ascoltando una cassetta in cui erano stati registrati i suoni dei boschi, degli uccelli, del vento e dello stormire delle foglie, ossia i suoni terrestri.
Delle tre caratteristiche che incidono sull’uomo, le radiazioni cosmiche che vengono assorbite nello spazio dagli astronauti rappresentano il problema maggiore. Sono molto dannose per l’organismo perché incidono direttamente sul DNA e non se ne conoscono ancora gli effetti sul lungo periodo. Per limitarne l’effetto negativo, i moduli pressurizzati della ISS sono dotati di una protezione perimetrale, che però non sarà sufficiente per le missioni di lunga durata sulla Luna e su Marte. Oggi vi è una migliore comprensione del fenomeno, e numerosi studi hanno portato a risultati interessanti, come schermature realizzate con multistrati di materiali molto leggeri, aventi l’obiettivo di diminuire i danni degenerativi delle radiazioni sugli individui, ma anche sulle attrezzature.
Compito del disegno industriale, in questo particolare contesto, è quello di incrementare la sicurezza, il comfort e il benessere progettando strutture abitabili, aree di fruizione, strumenti ed equipaggiamenti in grado di rispondere ai bisogni espressi dall’equipaggio, migliorando lo stato psicofisico, i movimenti umani, la percezione e la fruizione dell’ambiente, lo svolgimento delle varie attività e le dinamiche relazionali di gruppo. L’obiettivo è garantire, per quanto possibile, nel presente e nel prossimo futuro, un sistema per vivere e lavorare nello spazio più funzionale, confortevole e, di conseguenza, più efficiente; condizioni che vanno a incidere direttamente sul buon esito di una missione.
Dagli oggetti d’uso alle basi abitabili
L’esplorazione di un’area di intervento progettuale come quella aerospaziale, così complessa e innovativa dal punto di vista tecnologico e sociologico, richiede di ridefinire il compito del disegno industriale in questo particolare contesto, trovare interlocutori e possibili aree di convergenza, identificare i settori di intervento e gli strumenti metodologici e operativi che consentano di svolgere una scrupolosa analisi dell’ambiente spaziale, delle sue peculiarità e delle conseguenti influenze sulla vita e le attività che svolgono o potrebbero svolgere gli astronauti a bordo.
Il design può intervenire nel processo di progettazione spaziale a differenti scale, ideando oggetti ed equipaggiamenti di ausilio allo svolgimento delle attività umane relative al lavoro, al riposo, all’esercizio fisico di mantenimento, all’igiene personale e alla cura di sé, al tempo libero, alla preparazione, al consumo e alla conservazione degli alimenti, tanto per citarne alcune, mansioni che in assenza di gravità sono molto più complesse e gravose. Può progettare mezzi di trasporto, come le flotte degli Apollo e degli shuttle di ultima generazione, ma anche i veicoli denominati rovers per esplorare la Luna e Marte.
Attraverso il design si interviene sugli aspetti che riguardano la forma della struttura esterna, gli abitacoli interni per l’equipaggio, l’illuminazione artificiale, il sistema di interfaccia di comando e navigazione, arrivando a definire nei dettagli tutti i particolari, i rivestimenti, i colori, i materiali, le strutture dei sedili che accoglieranno gli astronauti, le tute pressurizzate che indosseranno durante il volo o durante la permanenza negli abitacoli su ruote, ma anche i capi di abbigliamento per vivere e lavorare negli interni pressurizzati dei moduli abitabili. È possibile, tuttavia, partecipare anche alla definizione dell’architettura delle stazioni e delle basi spaziali, come la Mir o la ISS, o come i prossimi insediamenti umani lunari e marziani, lavorando sugli aspetti logistici, sulla distribuzione funzionale degli spazi interni ed esterni, sulle applicazioni delle tecnologie innovative e sulle configurazioni strutturali più idonee per integrare le aree abitative al territorio circostante, mantenendo al contempo una visione sistemica e organica del progetto.
Progettare per lo spazio significa ricominciare da capo, pensare con un’altra logica e per un altro am-biente, immaginare nuovi sistemi abitabili ed equipaggiamenti per usi e attività difficilmente prevedibili da chi vive sulla Terra e che presuppongono, nella maggior parte dei casi, una relazione diversa tra il nostro corpo, gli oggetti e lo spazio circostante.
Il design spaziale richiede capacità di previsione d’uso per immaginare, per es., le azioni e i movimenti dell’equipaggio in relazione alla mancanza di gravità e alla nuova postura neutra che si viene a creare, e prevedere quali potrebbero essere le reazioni in condizioni del tutto nuove e sconosciute per l’essere umano. La microgravità incide in modo determinante, oltre che sull’essere umano, sul peso degli oggetti, alterando la forza esercitata per interagire con essi e aumentando quindi la difficoltà nell’uso e nel controllo. Sulla ISS gli oggetti, se non fissati adeguatamente con il velcro, iniziano a muoversi lentamente facendo perdere molto spesso, soprattutto se piccoli, le proprie tracce. Gli astronauti stessi sono costretti ad ancorarsi nello svolgimento delle loro attività che presuppongono, per la maggior parte, una postura stabile. Non esiste la possibilità di farsi una doccia, perché l’acqua prende la forma di tante sfere galleggianti che non aderiscono al corpo, e di conseguenza la pulizia personale viene risolta attualmente passando sulla pelle salviettine detergenti inumidite. Sono inoltre assenti i riferimenti spaziali come alto, basso, destra, sinistra, se non quelli definiti convenzionalmente per orientarsi e comunicare con le stazioni di controllo sulla Terra, mentre la fruizione della spazio interno è da considerarsi totale.
Il ‘design dell’uso e del gesto’ si articola nella capacità di previsione d’uso dell’oggetto di progetto e nella simulazione dei risultati, proiettando i requisiti del futuro oggetto sulla scena dei suoi usi possibili e visualizzandolo in azione, fra le mani dell’operatore, ancorato al corpo e nell’ambiente dove verrà utilizzato. Un esempio di questa metodologia è lo sviluppo del sistema di contenitori portautensili indossabili denominato portable caddy, progettato nel 2000 da Annalisa Dominoni per le operazioni di manutenzione ordinaria della ISS su invito di Thales Alenia space. All’interno di tale sistema, l’analisi dei movimenti più consoni all’uso dei contenitori in relazione agli utensili, scandita da precise sequenze gestuali, è stata effettuata sviluppando in parallelo le caratteristiche morfologiche, tecnologiche e funzionali dei vari elementi del sistema. Progettare i gesti del ‘come’ usare i contenitori e gli utensili – ovvero come riconoscere velocemente gli utensili necessari per una determinata operazione, come sfilarli dai contenitori, come ancorarli al corpo o all’interno della stazione, come riposizionarli nei loro alloggi – e progettarne la forma – in relazione agli aspetti fisiologici, percettivi, ergonomici, psicologici e motori dell’utente, insieme a quelli strutturali, materici, tecnologici e funzionali degli oggetti, ma anche dell’interno abitativo – sono azioni interpretative che appartengono a un unico processo progettuale dove teoria e prassi si sovrappongono, e in cui il valore d’uso di un oggetto è strettamente legato alla prestazione dell’operatore che rende completo e perfettamente attualizzato l’intero progetto.
Un altro esempio che dimostra come il design può intervenire per migliorare lo stato attuale della vita in orbita è il progetto, sempre di Dominoni, di un nuovo sistema di abbigliamento per le attività IVA (Intra-Vehicular Activities), che è stato testato sulla ISS attraverso due esperimenti: VEST (sviluppo di un sistema integrato di VESTiario), durante la missione Marco Polo nel 2002, e GOAL (Garments for Orbital Activ-ities in weightLessness), durante la missione Eneide nel 2005. Gli obiettivi del progetto mirano a incrementare il grado di comfort e di efficienza degli astronauti, migliorando le loro condizioni psicofisiologiche attraverso la vestibilità dei capi, l’estetica, la stabilità termica e l’igiene corporea. Il progetto si basa sulla ricerca e la sperimentazione di nuove fibre e tessuti idonei alle peculiarità dell’ambiente confinato, e sullo studio di tagli e modelli volti ad aumentare la vestibilità in relazione alla postura neutra assunta dall’astronauta in microgravità. Il valore dei due esperimenti nello spazio deriva dal fatto che attualmente gli astronauti indossano gli abiti che portano sulla Terra e che quindi non sono adatti alle particolari condizioni ambientali di bordo. Non è stato previsto finora nessun tipo di abbigliamento da usare come contromisura agli effetti negativi della microgravità, del confinamento e delle radiazioni che si subiscono sulla ISS. Non sono considerati inoltre gli aspetti estetici, molto importanti per l’autostima di sé e i problemi legati al comfort e alla vestibilità.
I risultati di VEST e GOAL hanno confermato la possibilità di incrementare la qualità e l’efficienza dei capi da indossare per la vita e il lavoro nello spazio. L’implementazione del progetto prevede inoltre la ricerca, già in corso, su nuove performances di fibre e tessuti che dovranno rispondere in modo sempre più preciso ai requisiti spaziali in termini di sicurezza e atossicità. Favorire, per es., attraverso i tessuti a contatto con la pelle, la possibilità di raccogliere e contenere la desquamazione cutanea, fenomeno importante e amplificato in ambienti confinati, dove l’igiene e la qualità dell’aria sono inevitabilmente compromesse; prevedere l’inserimento di sensori nei capi di abbigliamento per monitorare i parametri biologici dell’equipaggio, senza interferire né con il soggetto, né con la sua attività e senza richiederne una diretta e consapevole applicazione; integrare agli abiti sistemi di supporto al movimento e per l’ancoraggio degli astronauti ai racks, gli armadi-contenitori che rivestono l’interno dei moduli pressurizzati della ISS, in modo da facilitare il più possibile il mantenimento della postura durante le attività.
La necessità ineludibile di testare in orbita i capi del nuovo sistema di abbigliamento è direttamente collegata sia all’analisi dei dati sia all’elaborazione dei risultati sulle performances dei tessuti e dei modelli in relazione all’uomo e alle sue alterazioni fisiologiche, posturali, ergonomiche e percettive sperimentate nell’ambiente spaziale.
La mancanza di un’esperienza consolidata alla quale riferirsi, dovuta al limitato numero di missioni spaziali umane che hanno finora consentito di raccogliere dati soggettivi non riconducibili a uno standard preciso, unita all’impossibilità di verificare la fattibilità delle ipotesi progettuali, se non direttamente in orbita e con operatori umani, sono i due fattori di rischio che più contraddistinguono l’approccio del design nel campo aerospaziale, e che possono compromettere il buon esito di un esperimento.
I sistemi di simulazione, anche se raggiungono livelli di sofisticazione sempre più elevati, non permettono di prevedere la maggior parte dei risultati, né di testare la fattibilità dei progetti. Le prove effettuate sui prototipi di volo realizzati in base ai risultati preliminari – a secco, in acqua e durante i voli parabolici – riproducono soltanto parzialmente l’ambiente in microgravità. Se queste difficoltà contribuiscono in maniera determinante ad aumentare il livello di complessità del design degli oggetti e degli equipaggiamenti per lo spazio, si può solo immaginare quali problematiche deve affrontare il progettista passando alle scale più ampie che riguardano intere basi abitabili, tenendo presente che bisognerà affrontare un ordine di grandezza in più, soprattutto per la Luna e Marte.
Oltre che testare le dinamiche fisiologiche e comportamentali umane, le agenzie spaziali prevedono di utilizzare la ISS come avamposto per facilitare i trasporti e la costruzione delle strutture abitabili sulla Luna. Sono allo studio diversi programmi che hanno come obiettivo quello di realizzare moduli pressurizzati gonfiabili di dimensioni ridotte, ma con la possibilità di ospitare persone, che possano essere collegati alla ISS in modo da diventarne parte integrante, dimostrando così la maturità delle tecnologie pneumatiche. Fulcro di questi nuovi programmi sono le fasi di validazione delle tecnologie dei moduli gonfiabili attraverso la realizzazione di prototipi in grado di effettuare missioni dimostrative sulla ISS. Le strutture gonfiabili vengono progettate fin da oggi pensando già alle lunghe missioni del futuro, cosicché la qualifica in orbita di questi moduli possa servire anche per le missioni sulla Luna e su Marte.
La NASA sta effettuando alcune verifiche su progetti di strutture abitative gonfiabili, che consentiranno le prime esplorazioni oltre l’area iniziale di atterraggio sulla Luna, in uno dei più remoti ambienti estremi terrestri, l’Antartide. I concepts prevedono di utilizzare habitat provvisori che permetteranno agli astronauti di vivere e lavorare alla costruzione della base lunare al riparo dall’ambiente ostile. Gli habitat saranno pressurizzati e riscaldati, con una superficie utile di circa 125 m2 e un’altezza di circa 3 m. Richiederanno soltanto quattro astronauti per le operazioni di assemblaggio, che si prevede non dovrebbero durare più di qualche ora, e potranno essere smontati e riposizionati molte volte. È importante tener presente che l’equipaggio lavorerà all’esterno indossando le ingombranti tute per le attività extraveicolari, che rendono tutto più lento e faticoso; di conseguenza la semplicità e la velocità di installazione dei moduli risultano tra i requisiti prioritari. Durante il periodo della simulazione, un sistema di sensori permetterà di monitorare le performances strutturali e abitative per studiare come ottimizzare, per es., il consumo di energia, come ridurre il packaging durante il trasporto, come facilitare le operazioni di assemblaggio e smontaggio e come, infine, incrementare il comfort per la vita e il lavoro dell’equipaggio.
I primi concepts di basi stabili ed efficienti sulla Luna che sono stati elaborati dalle agenzie spaziali non si discostano molto dagli scenari attuali. Il progetto di base lunare FLO (First Lunar Outpost) della NASA risale al 1992, e consisteva in un habitat capace di atterrare automaticamente sulla superficie della Luna prima dell’arrivo dell’equipaggio (Joosten 1992). La missione prevedeva che quattro astronauti restassero sulla superficie della Luna per sei settimane, vivendo nella base ed esplorando il territorio con rovers non pressurizzati. Il design era progettato per essere riutilizzabile da altri equipaggi, aveva forma cilindrica, perché prevedeva di avvalersi dell’Apollo per il rientro a Terra, e si basava sull’uso di risorse in situ e sull’energia solare. Sempre nel 1992 venne proposto un concept di modulo pneumatico fatto di tessuto composito, horizontal inflatable habitat (HIH), che una volta atterrato sulla Luna si sarebbe aperto (Kennedy 1992). La struttura poteva essere ricoperta da regolite o da scudi schermanti per consentire il riparo dalle radiazioni. Le aree abitabili erano distribuite su due piani, con alti soffitti collegati da scale e comprendevano spazi per uffici, laboratori scientifici, servizi e magazzini per le attività logistiche: cucina, sala da pranzo, sala ricreativa e palestra per l’equipaggio; spazi personali con letto, area abiti e comunicazioni; docce e servizi per l’igiene degli astronauti. Era prevista anche un’area sperimentale per la crescita delle piante usando culture idroponiche. Nel 1995, un progetto russo prevedeva uno scenario composto da siti abitabili multipli per differenti funzioni, tra cui un osservatorio e diverse basi per effettuare estrazioni minerarie. L’innovazione rispetto ai progetti precedenti era quella di proporre una base mobile su ruote per fornire servizi ed equipaggiamenti. La base, costruita in orbita con l’aiuto dei bracci robotici della ISS, sarebbe stata in grado di atterrare direttamente sulla Luna (Kozlov, Shevchenko 1995).
Il concept di modulo gonfiabile venne sviluppato ulteriormente in previsione delle missioni verso Marte e proposto nel 1997 per sostituire il modulo abitativo per l’equipaggio americano della ISS: TransHab racchiudeva in un’unica struttura un ‘cuore’ rigido e una ‘pelle’ leggera e flessibile che permetteva di ridurre drasticamente il peso e la massa del packging durante le fasi di lancio e trasporto. Lo scopo era quello di dimostrare le potenzialità dei moduli pneumatici per l’esplorazione interplanetaria, attraverso un design innovativo e materiali altamente performanti.
Design e tecnologie innovative per la colonizzazione interplanetaria
Per le agenzie spaziali, soprattutto la NASA, l’ESA (European Space Agency) e la russa Roscosmos, il futuro dell’esplorazione umana, dopo l’esperienza della ISS, è indirizzato verso la Luna e Marte, sia pure per ragioni e interessi diversi. Le dinamiche politiche ed economiche gravano sugli enti per il completamento della ISS e, una volta a regime, per il suo utilizzo, spostando nel tempo le decisioni strategiche.
Il pianeta rosso è l’obiettivo trainante dei programmi nei prossimi decenni, anche se per il momento non è stato ancora formulato in maniera precisa. La logica più diffusa per arrivarci gradatamente è ancora quella espressa dall’ex amministratore della NASA, James C. Fletcher, secondo la quale la via più breve per Marte passa per la Luna, perché ritornare sul nostro satellite naturale consente di imparare a vivere e lavorare in un ambiente diverso da quello terrestre e di collaudare le tecnologie e i sistemi abitativi necessari a una colonizzazione marziana. Le agenzie spaziali si stanno incontrando, secondo la nuova ottica di una cooperazione sempre più indispensabile nei grandi programmi strategici, allo scopo di impostare un’architettura sistemica per l’esplorazione, in cui le singole nazioni possano contribuire con missioni specifiche senza sovrapporsi. Attualmente molte sonde inviate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea svolgono missioni analoghe, e la tendenza in atto è quella di evitare di sviluppare progetti simili e di ottimizzare le risorse secondo le competenze di ciascun Paese. Il programma Aurora dell’ESA si propone dal 2001 di progettare e implementare un piano europeo a medio e lungo termine per le esplorazioni robotiche e umane del Sistema solare.
Per tali progetti di colonizzazione interplanetaria, in cui si lavora sull’architettura di sistema in senso più ampio, le problematiche legate all’uomo in relazione all’ambiente e agli strumenti che utilizzerà in loco sono considerate, al momento, priorità secondarie. È aumentata l’assistenza robotica, soprattutto nelle prime fasi esplorative del territorio, ma l’uomo è riconosciuto sempre essenziale, perché è lui che fa la differenza nel momento decisionale.
L’interesse principale è rivolto alle tecnologie dei sistemi rigenerativi di acqua e ossigeno a livello ambientale, considerato che la struttura abitabile dovrà essere completamente autonoma e in grado di rigenerarsi, non potendo contare su un approvvigionamento terrestre, come accade ancora oggi per la ISS. Come già accennato, fra gli obiettivi strategici delle agenzie spaziali c’è il progetto di utilizzare la Luna come terreno di prova per acquisire esperienze in previsione delle prossime missioni verso Marte, ma anche per altre destinazioni. Nel piano di collaborazione internazionale per l’avamposto lunare, gli Stati Uniti si occuperanno dei trasporti, la Russia dei generatori di potenza, l’India dei satelliti per le telecomunicazioni e l’Italia dei moduli abitativi.
Il programma Constellation della NASA include lo sviluppo di nuovi sistemi di trasporto ed energia per i collegamenti di andata e ritorno dalla Terra alla Luna e a Marte. Prevede di inviare gli uomini sulla Luna entro il 2020, e successivamente verso Marte e altre destinazioni del Sistema solare, con una flotta di lanciatori e di veicoli spaziali più sicuri e affidabili in orbita, tra cui il lanciatore HLV (Heavy-lift Launch Vehicle) e i veicoli con equipaggio CEV (Crew Exploration Vehicle) e Ares, evoluzione dei concepts di Apollo e Space Shuttle. Si prevede che il CEV possa essere operativo non più tardi del 2014. HLV e CEV hanno in comune una parte pressurizzata, capace di accogliere fino a sei astronauti, e una parte di servizio, per carichi e funzioni essenziali al mantenimento efficiente dell’intera struttura.
Il progetto Orion, all’interno del programma Constellation, si sta sviluppando parallelamente alle missioni di completamento della ISS, con l’obiettivo di sostituire lo Space Shuttle nel 2014, dopo il suo ritiro, previsto per il 2010. Anche il design di Orion avrà la stessa forma dei lanciatori tradizionali, simile all’Apollo ma più largo, con un diametro di 5 m e un volume interno 2 volte e mezzo superiore a quello dell’Apollo, e con un’innovazione tecnologica superiore per quanto riguarda i sistemi di protezione, propulsione e supporto alla vita dell’equipaggio. La forma dell’Apollo sembra essere infatti ancora la migliore per sostenere l’impatto con l’atmosfera, specialmente ritornando direttamente dalla Luna o da Marte.
Dopo le missioni robotiche, che fino al 2014 esploreranno il territorio con misurazioni e campionature per individuare i siti più favorevoli all’insediamento umano, nel 2020 gli astronauti metteranno a punto un avamposto lunare per lunghe permanenze continuative. A questo scopo l’agenzia sta sviluppando concepts per moduli abitabili che provvederanno alla protezione degli astronauti e faciliteranno i trasporti sulla superficie lunare. Molti progetti abitativi in corso sono volti a incrementare la leggerezza e la collassabilità strutturale, oltre che a garantire la protezione necessaria a consentire la vita.
Questi requisiti hanno favorito lo sviluppo di nuove tecnologie pneumatiche per gli habitat spaziali, che offrono molti vantaggi rispetto a quelli tradizionali grazie ai nuovi materiali che utilizzano. Un modulo gonfiabile, che ricalca sostanzialmente le caratteristiche del primo TransHab, è realizzato con compositi in fibre di carbonio per la struttura rigida e con multistrati di Nextel®, un materiale comunemente usato per l’isolamento della capote delle auto, e Kevlar®, noto nel settore spaziale per le sue caratteristiche di resistenza, intervallati da strati di schiuma polimerica, simile a quella usata per le imbottiture dei cuscini d’arredamento. L’aria è contenuta in camere d’aria di Combitherm®, usato spesso nell’industria del confezionamento alimentare, mentre il rivestimento più interno del modulo a contatto con l’equipaggio è di tessuto di Nomex®, un materiale resistente e ignifugo che protegge la camera d’aria da possibili danneggiamenti. Le strutture gonfiabili sono molto leggere, flessibili, permettono una considerevole riduzione di volume durante la fase di lancio, e di conseguenza di energia, nonché la possibilità di ampliare, una volta in opera, lo spazio interno di fruizione rispetto alla configurazione di partenza.
Gli habitat utilizzano diversi livelli di materiale al fine di contrastare l’impatto di micrometeoriti e l’effetto nocivo delle radiazioni e nello stesso tempo per garantire il controllo termico, in modo da mantenere sicuro e confortevole l’ambiente per i suoi abitanti, anche se il comfort in questo caso è legato a tematiche primarie che riguardano la sopravvivenza e la sicurezza dell’essere umano.
Prevale la natura logistica, che impone di percorrere diverse alternative per trasportare sulla Luna, per es., tutto il materiale necessario per costruire i vari moduli degli insediamenti. Gli aspetti legati alle dinamiche dell’abitare, in cui il design gioca un ruolo fondamentale, sono ancora lontani. Per il momento il ruolo di architetti e designer è rivolto allo sviluppo di concepts strutturali e studi di fattibilità di scenari abitativi, in cui si ipotizzano gli aspetti morfologici e distributivi degli spazi.
Nell’ambito delle strutture pneumatiche esistono diversi progetti di moduli pressurizzati, ma anche di antenne ed equipaggiamenti, come brevetti ideati, per es., al fine di catturare nello spazio materiale marziano da poter successivamente analizzare.
Nel frattempo una parte importante della ricerca è rivolta allo studio e alla sperimentazione di tecnologie ISRU (In Situ Resources Utilization) per ricavare dalle risorse autoctone, come regolite e ghiaccio potenziale, propellente per i trasporti e ossigeno per il mantenimento della vita. Lo sviluppo di queste tecnologie include anche sistemi di scavo e di estrazione dalla roccia lunare di materiali volatili e strutturali, in previsione di costruire sistemi abitabili in parte sotto la superficie lunare, al riparo dalle radiazioni e dai meteoriti, e in parte con materiali locali lavorati in situ.
Abitare la Luna e Marte richiederà moltissima energia e, se per la ISS i pannelli solari sono sufficienti per garantire i sistemi di supporto alla vita, di controllo termico, computer e navigazione e per effettuare gli esperimenti scientifici, per quel che riguarda le nuove basi lunari e marziane la NASA sta esplorando diverse tecnologie basate sul nucleare.
Una parte importante dell’innovazione tecnologica riguarda la generazione di potenza in cui il nucleare sembra essere la strada più probabile, sia per far fronte alle problematiche legate ai trasporti, sia per sopperire all’alternanza di 14 giorni di luce e 14 giorni di buio sulla Luna, sia in previsione di un viaggio verso Marte che durerà più di due anni. L’energia è alla base di tutte le attività che permettono alle ricerche e ai progetti per lo spazio di prendere forma, e pensare a come ridurre l’impiego di questa indispensabile risorsa o come trasformare la materia per ottenerla, seguendo logiche sostenibili, diventa sempre più urgente e necessario.
Alcuni studi sono incentrati sulla possibilità di creare impianti per convertire le risorse locali in materiali utili ai trasporti, alla costruzione e al mantenimento delle basi spaziali. La NASA, per es., sta lavorando a uno scenario per la Luna in cui si prevede di creare il propellente per tornare sulla Terra con materiale autoctono. Diverse iniziative sono rivolte ad analizzare alcune tecnologie critiche che riguardano i sistemi di trasporto e propulsione, come l’efficienza delle protezioni termiche e la capacità di guida, di reazione e controllo della navigazione, utilizzando superfici aerodinamiche. Si stanno eseguendo studi preliminari su dimostratori dedicati al rientro in atmosfera terrestre, che consentono di testare i materiali in condizioni particolari ad altissima velocità, tenendo conto che tornando dalla Luna siamo intorno agli 11 km/s, mentre tornando da Marte siamo a circa 13 km/s.
In tale ambito l’Italia partecipa al programma ESA GSTP3 per lo sviluppo di EXPERT (European eX-PErimental Reentry Testbed), un simulatore volante di forma semplice, simile a una capsula, progettato per realizzare le condizioni per lo studio di fenomeni aerotermodinamici critici della fase di rientro in regime ipersonico. Altri dimostratori permettono di testare sistemi avanzati di protezioni termiche, partendo dai dati già raccolti in altri esperimenti, ma ulteriormente raffinati e analizzati in ambienti leggermente diversi e più simili al sistema del volo di rientro.
Uno degli obiettivi primari dell’ESA è sviluppare competenze e tecnologie per le future applicazioni nei sistemi di trasporto europei di generazione futura, per accrescere la competitività e la flessibilità dei lanciatori europei e diminuire i costi di accesso allo spazio, mantenendo il posizionamento internazionale delle società e degli enti di ricerca europei.
La gravità terrestre è un forte impedimento ai trasporti spaziali, perché assorbe moltissima energia ed è impensabile utilizzare i lanciatori, per quanto potenti possano essere, per portare tutti i pezzi delle strutture necessarie ad andare sulla Luna e su Marte. È necessario che gli elementi lanciati separatamente vengano assemblati direttamente in orbita attraverso adeguati sistemi di interfaccia che implicano però diverse criticità. Attualmente i russi utilizzano un sistema di attracco automatico in cui resta determinante la supervisione dell’uomo, ma sono in corso nuovi studi per creare un sistema di docking che permetterà un assemblaggio robotico di più pezzi di una stessa infrastruttura. Si tratta di sistemi di attuazione in grado di utilizzare un ‘androgino’, rispetto ai sistemi attuali in cui è previsto un cacciatore e un cacciato, con un meccanismo capace di essere sia attivo sia passivo. La capacità di rendez-vous, ovvero permettere a degli elementi di incontrarsi senza l’intervento dell’uomo, presuppone una tecnologia in grado di integrare un sistema di sensori con radiofrequenze in modo che i pezzi si riconoscano, si avvicinino e si assemblino da soli. L’ESA sta promuovendo un sistema di attracco per unire i pezzi, con centraggio elettromagnetico. L’obiettivo è capire se si riuscirà a costruire un’intera base su Marte in modo automatico, dai pannelli solari alle strutture abitabili, o se servirà sempre una stazione di supporto alle attività di assemblaggio.
Il turismo spaziale
I viaggi turistici sembrano essere l’ultima frontiera dei tentativi di commercializzare le attività legate allo spazio. Nonostante la riluttanza della NASA, la Russia ha permesso al miliardario americano Dennis Tito, per 20 milioni di dollari, di diventare il primo turista spaziale a bordo della ISS, volando con il lanciatore Soyuz il 30 aprile 2001 e restando in orbita per una settimana, il periodo di tempo che contraddistingue una missione taxi-flight, che consente l’approvvigionamento a bordo delle scorte e degli equipaggiamenti necessari al funzionamento della ISS. Dopo di lui altri sei privilegiati hanno potuto godere dell’esperienza, l’ultimo per ora il canadese Guy Laliberté, nel 2009. Parallelamente ai voli ‘istituzionali’ dei programmi delle agenzie spaziali, si sono costituite industrie private che hanno iniziato a proporre viaggi spaziali su veicoli suborbitali e che stanno pianificando intere città in orbita terrestre per il prossimo futuro. Queste compagnie hanno investito cifre esorbitanti, credendo nello sviluppo del turismo spaziale di massa nei prossimi anni. Per il momento si tratta solo di un’opportunità rivolta a individui che si possono permettere cifre da capogiro, ma molti studi correnti prevedono circa 1000 passeggeri per voli suborbitali entro il 2021. Attualmente le attività di ricerca e l’entusiasmo attorno all’industria del turismo spaziale sono concentrati negli Stati Uniti. È qui che il 21 giugno 2004 è stata lanciata dalla Virgin galactic la prima navicella privata, SpaceShipOne, che ha raggiunto i 100 km di quota ed è planata dopo dodici minuti. È facile immaginare nei prossimi decenni un incremento delle attività legate al turismo spaziale, anche se per ora i viaggi effettuati dalle navicelle private riguardano l’area suborbitale, che raggiunge solo i 100 km di altezza. Gli attuali mezzi di trasporto spaziale con equipaggio costituito da americani, russi e ora anche cinesi, devono raggiungere un’altezza di 400 km per poter raggiungere la ISS. Un velivolo per volo suborbitale è quindi meno complesso dal punto di vista tecnologico, e più simile agli aerei che effettuano voli parabolici. Inoltre, la SpaceShipOne è stata lanciata con propellente misto grazie al supporto di un altro aereo, e ha compiuto un volo parabolico senza orbitare intorno alla Terra. Al di là delle caratteristiche tecniche, che corrispondono a obiettivi strategici diversi, l’aspetto del turismo spaziale che più interessa il design è proprio la capacità di offrire una ‘visione’. Il design deve essere capace di esprimere, attraverso il progetto, un mondo possibile nel quale ogni individuo possa riconoscersi, ma soprattutto desiderare di provare l’esperienza del volo spaziale oltre l’atmosfera terrestre. Progettare scenari futuri significa trovare gli strumenti strategici necessari per comunicare al pubblico un’esperienza così straordinaria, soprattutto in termini sensoriali e percettivi, da farla diventare un bisogno, un’esigenza reale per ognuno. Non a caso gli interni della SpaceShipTwo sono stati progettati da Marc Newson, noto designer australiano, con un’impronta avveniristica e futuribile degna di 2001: a space odissey (1968; 2001: Odissea nello spazio) di Stanley Kubrick. Lo studio di architettura Foster & partners ha vinto nel 2007 un concorso internazionale per costruire il primo ‘spazioporto’ privato del mondo per la Virgin galactic e la New Mexico spaceport authority. La forma organica dell’edificio si integra naturalmente nel territorio grazie anche all’uso di materiali e tecnologie locali che favoriscono principi di sostenibilità. Il design della struttura esterna e interna regala suggestioni che contribuiscono ad alimentare l’immaginario collettivo riguardo all’esperienza magica dei viaggi spaziali. Per 200.000 euro si potrà acquistare un viaggio di un’ora e mezza, accomodati in innovativi sedili in grado di assorbire e minimizzare gli effetti dell’accelerazione e decelerazione e di garantire sicurezza e comfort. La navicella è progettata per portare un equipaggio di quattro passeggeri, che potranno sperimentare tre minuti di microgravità e galleggiare quindi senza peso godendosi lo spettacolo della Terra da un punto di vista privilegiato. La suggestione delle escursioni in orbita in assenza di gravità sembra rafforzare diverse iniziative in molti Paesi. I giapponesi hanno costruito delle ipotesi turistiche elaborate da alcune società private, che prevedono degli hotel sia in orbita lunare sia tra le sabbie lunari. Anche la spagnola Galactic suite, nata nel 2007, promette di realizzare il primo resort spaziale per il 2012, prenotabile fin da ora per 3 milioni di euro a stanza. Il sito dell’impresa descrive un’esperienza di viaggio che inizia con un training di alcune settimane per permettere ai turisti di prepararsi fisicamente e psicologicamente al viaggio sulla nave spaziale, che consentirà di arrivare a bordo di un hotel spaziale a forma di grappolo, che ospiterà fino a un massimo di sei persone, due membri dell’equipaggio e quattro ospiti. I turisti potranno sperimentare cosa significhi fluttuare nello spazio in assenza di gravità e godersi lo spettacolo della Terra dalle grandi finestre della propria suite spaziale, comprese 15 albe e altrettanti tramonti, visibili orbitando intorno al nostro pianeta ogni 90 minuti. Pur essendo una prospettiva credibile, per ora manca un mezzo di trasporto economico e sicuro capace di volare nel buio cosmico, e i progetti di colonie spaziali abitabili possono affascinare e far sognare solo attraverso bellissime immagini elaborate al computer.
Bibliografia
K. Joosten, First lunar outpost. Mission overview, Houston (Tex.) 1992.
K.J. Kennedy, A horizontal inflatable habitat for SEI, Reston (Va.) 1992.
I.A. Kozlov, V.V. Shevchenko, Mobile lunar base project, «Journal of the British interplanetary society», 1995, 1, pp. 49-54.
Biological and medical research in space, ed. D. Moore, P. Bie, H. Oser, Berlin-New York 1996.
M.M. Connors, A.A. Harrison, F.R. Akins, Living aloft, Ames (Cal.) 1999.
P.W. Jordan, Designing pleasurable products. An introduction to the new human factors, London-New York 2000.
A. Dominoni, Design strategies in space design between university and industry, in Designing designers. Training strategies for the third millennium, ed. L. Collina, G. Simonelli, Milano 2001, pp. 86-94.
A. Dominoni, Disegno industriale per la progettazione spaziale/ Industrial design for space, Cinisello Balsamo 2002.
A. Dominoni, Aesthetics in microgravity, in Machines that become us, ed. J.E. Katz, New Brunswick (N.J.) 2003, pp. 277-84.
A. Dominoni, VEST. Clothing support system on-orbit validation, Warrendale (Pa.) 2005.