Afasia
Il termine afasia, introdotto nella seconda metà del 19° secolo da A. Trousseau, designa una serie di disturbi acquisiti del linguaggio, che intervengono a compromettere le funzioni linguistiche normalmente sviluppate di individui adulti e sono conseguenti a lesioni cerebrali dovute a traumi, malattie vascolari, tumori ecc. La corretta caratterizzazione dell'afasia come danneggiamento o perdita di linguaggio normalmente sviluppato fino al momento in cui interviene il disturbo fa sì che non siano incluse nella famiglia delle afasie propriamente dette le cosiddette afasie o disfasie evolutive, che invece consistono in una evoluzione patologica dello sviluppo di una o più funzioni linguistiche (v. linguaggio).
I disturbi afasici possono coinvolgere le capacità tanto di produzione quanto di comprensione linguistica, sia nella modalità orale-uditiva sia in quella visivo-scritta. Le capacità e le modalità possono essere coinvolte nel disturbo anche in misura molto diversa tra loro, fino al punto che talora nello stesso paziente si possono osservare dissociazioni estremamente marcate tra alcune funzioni di linguaggio che sono più o meno gravemente compromesse e altre che restano ben preservate o relativamente preservate.Il tradizionale studio clinico delle afasie si è indirizzato principalmente alla differenziazione e alla caratterizzazione di diverse sindromi afasiche, nonché alla localizzazione delle aree del cervello dedicate all'uso del linguaggio. Da quest'ultimo punto di vista, sin dalla seconda metà del 19° secolo si è dimostrato che le funzioni linguistiche sono rappresentate, perlomeno negli individui destrimani, soprattutto nella corteccia dell'emisfero cerebrale sinistro e, di conseguenza, che la maggior parte dei disturbi afasici sono prodotti da un danno all'emisfero sinistro.
Si è soliti datare l'inizio dello studio scientifico delle afasie al 1861, anno in cui P.P. Broca descrisse un tipo di afasia caratterizzato da due elementi definitori: una localizzazione della lesione nel giro inferiore del lobo frontale sinistro (da allora conosciuto anche come area di Broca) e un insieme di sintomi. Questi consistono principalmente: in una produzione piuttosto povera di linguaggio parlato, con un'articolazione lenta e laboriosa; una scarsa complessità, principalmente dal punto di vista sintattico (vengono omessi o semplificati soprattutto gli elementi che marcano le caratteristiche grammaticali: articoli, congiunzioni, preposizioni, affissi e desinenze; per tale ragione a volte si attribuisce agli afasici di Broca anche l'etichetta di pazienti 'agrammatici'); una comprensione del linguaggio sia parlato sia scritto relativamente preservata se paragonata al corrispettivo linguaggio espressivo (anche se ricerche recenti hanno messo in dubbio la presenza di quest'ultima caratteristica, mostrando che quando la struttura sintattica delle frasi è complessa, spesso negli afasici di Broca è compromessa anche la comprensione).
Un secondo tipo di afasia, studiato a pochi anni di distanza dal neurologo tedesco C. Wernicke (1874), è correlato a una lesione del giro superiore del lobo temporale sinistro ed è caratterizzato da una diversa configurazione di sintomi: produzione verbale fluente, ma scarsamente comprensibile e accompagnata da molti errori di recupero lessicale e numerose circonlocuzioni; parafasie fonologiche (cioè omissioni, oppure sostituzioni o aggiunte di uno o più fonemi simili a quelli che compongono la parola che si intende produrre); parafasie semantiche (cioè produzione di parole contigue per significato alla parola-bersaglio che si vuole realmente produrre); difficoltà di comprensione nella modalità sia uditiva sia visiva; difficoltà di ripetizione.
Le due assunzioni alla base di tali correlazioni neurofunzionali erano che un certo numero di macrofunzioni linguistiche (per es. la comprensione o la produzione di linguaggio) o di macrocomponenti del linguaggio (per es. la grammatica o la semantica) fossero precisamente localizzate in alcune aree del cervello e che dunque il danneggiamento di una determinata regione della corteccia provocasse un determinato set di disturbi afasici. Nelle sue linee generali, questo modello implicito dell'organizzazione neuroanatomica del linguaggio sulla base di corrispondenze biunivoche tra aree del cervello e funzioni linguistiche ha dominato la ricerca sull'afasia per circa un secolo.
Sulla base del modello appena descritto, la tipologia tradizionale delle afasie si è successivamente arricchita, arrivando a comprendere una grande varietà di categorie basate su diversi sistemi di classificazione. In alcuni casi queste classificazioni fanno riferimento alla localizzazione cerebrale, in altri all'insieme di funzioni sensoriali e motorie colpite dal disturbo, in altri ancora alle abilità linguistiche danneggiate, più spesso a una mescolanza di questi diversi criteri. In tutti i casi, la definizione in termini psicologici delle categorie è affidata esclusivamente alla descrizione di insiemi di sintomi che tendono a co-occorrere. Sulle partizioni dei tipi di afasia e sui sintomi definitori a essi sottesi non c'è fra gli studiosi un accordo completo. Tradizionalmente, tuttavia, si distinguono almeno quattro tipi principali di afasie (per una rassegna, cfr. Benson 1979, 1985; Acquired aphasia 1981).
La prima è l'afasia di conduzione, correlata dal punto di vista localizzatorio a una lesione delle fibre che collegano l'area di Broca all'area di Wernicke (fascicolo arcuato); è un tipo di afasia che si riscontra raramente, ciò nonostante ha rivestito un'importanza particolare nella tradizione di ricerca clinica sull'afasia. Secondo una teoria che ha avuto come principale esponente N. Geschwind (1965a, 1965b), si tratterebbe della classica sindrome da disconnessione, che insorge quando sono interrotte le vie neurali di collegamento tra centri del linguaggio preposti a diverse funzioni. Dal punto di vista comportamentale si caratterizza soprattutto per una marcata incapacità di ripetizione immediata, per la presenza di parafasie fonemiche e, talvolta, per problemi di comprensione e di articolazione. Vi è poi un'afasia anomica (o amnesica), associata a una lesione del giro angolare e caratterizzata da problemi di recupero delle parole dalla memoria lessicale, in particolare nella denominazione di oggetti, da parafasie semantiche, dalla produzione di circonlocuzioni e talvolta da problemi di comprensione sintattica.
Afasia transcorticale, poi, è la denominazione generica con la quale vengono designate diverse forme afasiche correlate a lesioni localizzate al di fuori dell'area perisilviana dell'emisfero sinistro; si distinguono in particolare: l'afasia transcorticale motoria, una forma di afasia non fluente, simile per molti aspetti all'afasia di Broca, ma correlata alla lesione di un'area posta anteriormente all'area di Broca, nel lobo frontale; e l'afasia transcorticale sensoriale, una forma afasica di tipo fluente con disturbi di comprensione e lesioni localizzate solitamente nella giunzione dei lobi parietale, temporale e occipitale. Infine, l'afasia globale, riscontrabile in seguito a lesioni sia dell'area di Broca sia dell'area di Wernicke e contrassegnata da un danneggiamento generale di tutte le modalità e funzioni linguistiche o di molte di esse; il risultato, dal punto di vista dei sintomi, corrisponde all'insieme dei disturbi che si osservano in forma isolata negli altri tipi di afasie.
L'approccio classico allo studio dell'afasia è stato particolarmente utile, soprattutto nella sua fase iniziale e poi nella fase di immediata, successiva espansione. Quanto oggi conosciamo intorno a vari aspetti della neuroanatomia funzionale del linguaggio ci proviene soprattutto dalle correlazioni clinico-patologiche stabilite nello studio delle afasie. In parte tali acquisizioni sono state ottenute già alla fine del secolo scorso da studiosi come P. Broca, C. Wernicke, L. Lichtheim, J.J. Déjerine e altri, i quali hanno descritto le principali sindromi afasiche con un livello non trascurabile di dettaglio e hanno localizzato le funzioni del linguaggio e le loro principali componenti in particolari regioni della corteccia cerebrale. Il quadro che è emerso, grazie anche alle successive osservazioni cliniche della neuropsicologia di questo secolo, è tale da far ritenere che le componenti fondamentali del linguaggio (sintattica, morfologica, semantico-lessicale e fonologica) sono rappresentate in strutture neuronali situate nella regione perisilviana dell'emisfero sinistro; altre regioni cerebrali, sostanzialmente l'emisfero destro, hanno un ruolo più marginale nei processi linguistici, per es., negli usi metaforici e ironici del linguaggio.
Tutte queste acquisizioni sono senza dubbio importanti, ma tendono a rimanere al livello di una neuroanatomia funzionale piuttosto generica, che non si pone l'obiettivo di dar conto analiticamente di come le funzioni linguistiche siano rappresentate nel cervello. In altre parole, la tradizione di ricerca in neuropsicologia classica ha continuato a operare all'interno di un quadro di riferimento non guidato da teorie cognitive o linguistiche e comunque non finalizzato alla formulazione di una teoria esplicita e computazionale dei processi linguistici. Si tratta di una tradizione di ricerca che ancora oggi, quando stabilisce correlazioni tra localizzazioni neuroanatomiche e categorie comportamentali, definisce queste ultime in modo scarsamente analitico ed esplicito (per es., 'ripetizione povera', 'scarsa comprensione scritta', 'problemi di produzione sintattica'), mentre sappiamo che queste categorie stanno a indicare insiemi molto complessi di meccanismi cognitivi, che è compito della ricerca dettagliare.
Per tutti questi motivi, alla fine degli anni Settanta del 20° secolo è apparso chiaro come la tipologia tradizionale dell'afasia basata sulle sindromi non fosse più difendibile. Tale tipologia non costituisce uno schema di classificazione sufficientemente coerente, né quando l'afasia viene studiata con l'obiettivo di sviluppare una teoria cognitiva dei processi e delle rappresentazioni che sono alla base dell'uso normale del linguaggio, né quando viene studiata con l'obiettivo di capire qual è il substrato neuroanatomico e neurofisiologico dell'uso del linguaggio nel cervello normale. Inoltre si sono manifestati apertamente due elementi empirici che mettevano in crisi i sistemi di classificazione tradizionale dell'afasia. In primo luogo, attraverso lo studio sempre più accurato dei pazienti afasici è apparso chiaro che nella maggior parte dei casi non è possibile assegnare univocamente la varietà di sintomi manifestati da un paziente a un'unica categoria sindromica. Secondariamente, i sintomi che definiscono ciascuna sindrome tendono a non manifestarsi necessariamente tutti insieme nello stesso paziente, ma solo come tendenza statistica in una certa popolazione; per es., i sintomi dell'agrammatismo tendono a co-occorrere solo in parte e in combinazioni diverse da un caso all'altro.
Per tutti i motivi appena delineati, si è recentemente sviluppato un approccio alternativo a quello classico, che va sotto il nome di 'neuropsicologia cognitiva del linguaggio' e che si basa su principi teorici e metodologici radicalmente diversi da quelli della neuropsicologia clinica. Mentre lo studio classico dell'afasia acquisita aveva lo scopo di stabilire correlati clinico-patologici delle diverse forme che il disturbo può assumere, l'approccio cognitivo allo studio dell'afasia assume come proprio obiettivo principale la formulazione di una teoria della struttura computazionale dei processi normali di linguaggio, attraverso l'analisi dettagliata delle forme acquisite di disturbo linguistico (per una descrizione dei presupposti e dei temi di ricerca della neuropsicologia cognitiva, cfr. Shallice 1988). Nello studio delle funzioni linguistiche e cognitive danneggiate nell'afasia, la neuropsicologia cognitiva ha mutuato dalla psicologia cognitiva l'uso dei modelli di elaborazione dell'informazione (information processing). Secondo tali modelli molti comportamenti complessi, come per es. quelli linguistici, sono governati da sistemi interni di rappresentazioni cognitive che elaborano l'informazione. Tali sistemi cognitivi sono organizzati in insiemi di singole sottocomponenti separate, che manipolano informazioni specifiche e, anche se interagiscono tra loro trasmettendosi informazioni, sono ciascuna responsabile di un aspetto del processo studiato. Comprendere come si svolge in condizioni normali un determinato compito linguistico e in quali forme quello stesso compito può essere disturbato in un paziente afasico equivale a spiegare e prevedere il funzionamento del sistema cognitivo preposto a quel compito. Da ciò consegue che i dati della patologia dai quali è possibile inferire la struttura dei processi cognitivi sono, all'interno dell'approccio cognitivo, le co-occorrenze e dissociazioni di sintomi derivanti dal danno cerebrale. In altre parole, se in un certo paziente la funzione linguistica x è danneggiata e la funzione y è preservata, e se magari in un altro paziente la funzione x è preservata mentre la funzione y è danneggiata, queste rappresentano prove sperimentali del fatto che le funzioni x e y sono rappresentate in due componenti indipendenti del sistema cognitivo umano.Il cambiamento di paradigma in senso cognitivo nello studio dell'afasia ha avuto anche un'importante conseguenza metodologica, che è consistita nella particolare enfasi posta sullo studio dei casi di singoli pazienti piuttosto che di gruppi di pazienti raggruppati a partire da una comune etichetta clinica (Caramazza 1986).
Il principale motivo per considerare lo studio del caso singolo come la metodologia appropriata di analisi cognitiva del disturbo afasico è il seguente: se lo scopo dell'indagine è spiegare le co-occorrenze e dissociazioni di sintomi come conseguenza della lesione funzionale di una o più componenti del sistema, allora è solo lo studio in profondità di un singolo paziente a garantire che l'interpretazione del comportamento osservato sia basata sull'insieme di tutti i dati rilevanti e non di un loro sottoinsieme arbitrariamente enucleato a priori. Gli studi di gruppi di pazienti, invece, si basano su categorie di classificazione quali 'afasia di Broca', che non sono motivate teoricamente al punto da garantire che i pazienti inclusi in un certo gruppo presentino un disturbo alle stesse componenti del sistema cognitivo. Al contrario, data la genericità delle sindromi cliniche riguardo ai meccanismi che sono alla base del disturbo, è altamente probabile che pazienti compresi nello stesso gruppo definito clinicamente presentino disturbi dovuti a diversi meccanismi cognitivi o a disparate combinazioni di essi. La condizione di omogeneità all'interno di un gruppo di pazienti può dunque essere soddisfatta solo a posteriori, a partire dai risultati sperimentali conseguiti mediante lo studio in profondità di casi singoli (Caramazza 1984; 1986).
L'adozione di un approccio cognitivista in contrasto con quello clinico tradizionale ha una serie di conseguenze anche dal punto di vista degli strumenti usati per la ricerca, la diagnosi e la riabilitazione. Le batterie di prove alle quali è sottoposto il paziente afasico debbono valutare il grado di funzionalità delle diverse componenti cognitive coinvolte nei diversi compiti linguistici e possono essere utilizzate, se è il caso, anche per la riabilitazione delle componenti disturbate (una batteria di valutazione e analisi dei disturbi afasici in pazienti di lingua italiana, concepita sulla base di un approccio cognitivo, è quella di Miceli et al. 1994).L'approccio della neuropsicologia cognitiva allo studio dell'afasia ha prodotto non solo nuove proposte sul piano teorico e metodologico generale, ma anche interessanti risultati in molti campi di accentuata rilevanza per lo studio del linguaggio. Tra questi, l'organizzazione del sistema lessicale, in particolare per i processi di lettura (Caramazza 1988; Deep dyslexia 1980; Surface dyslexia 1986), la rappresentazione dell'informazione semantica (Warrington-Shallice 1984), il rapporto tra elaborazione linguistica e memoria di lavoro (Vallar-Shallice 1990), la rappresentazione delle conoscenze sintattiche (Agrammatism 1985).In definitiva, si può affermare che lo studio delle afasie è oggi considerato di grande importanza dal punto di vista psicologico e neuropsicologico, perché rappresenta un osservatorio privilegiato sui meccanismi che presiedono alle diverse funzioni che sono alla base dell'uso del linguaggio. Attraverso i progressi derivanti dall'adozione di un approccio cognitivo-sperimentale, negli ultimi anni lo studio delle afasie ha fatto comprendere più analiticamente e con maggiore consapevolezza teorica come l'uso del linguaggio, sia nella normalità sia nella patologia, derivi dalla complessa interazione di componenti funzionalmente indipendenti del nostro sistema linguistico e cognitivo. Lo studio in profondità di tali componenti, che nei disturbi acquisiti possono essere selettivamente danneggiate, aiuta a capire sempre più dettagliatamente il loro ruolo funzionale anche nel linguaggio normale.
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