affetti
All’origine del pensiero psicoanalitico, gli a. non avevano uno statuto concettuale distinto: Sigmund Freud tratta degli a. in termini di ≪carica affettiva≫, di generico corredo energetico della pulsione (ogni pulsione si esprime ≪come affetto e come rappresentazione≫), clinicamente rilevante solo per la capacità di trasformarsi in angoscia – quale che sia la coloritura emotiva originaria – sotto l’effetto della rimozione. Freud sottolinea inoltre che c’è in proposito una ≪innocua negligenza espressiva≫, una scambiabilità di senso tra i vari termini che indicano i moti dell’animo: passioni, a., emozioni, sentimenti, umori, ecc., che per di più si declinano diversamente in ogni idioma con una varietà di parole e di sfumature che fa la ricchezza di ogni lingua.
La contrapposizione basilare individuata da Freud è quella tra passione e ragione: da un lato le pulsioni (la sessualità, o libido, e poi – con l’evolversi del pensiero freudiano – l’aggressività, che si configureranno a loro volta nell’‘impasto-disimpasto’ perenne di Eros e Thanatos); dall’altro il logos. La storica antinomia filosofica tra ragione ed emozione si configura originariamente nella psicoanalisi come un conflitto; non solo interpersonale, tra sé e gli altri, ma anche intrapsichico, tra le varie istanze (tra il Super-Io e l’Es, tra coscienza morale normativa e punitiva e le esigenze prepotenti degli istinti delle pulsioni); e perfino all’interno dell’Io stesso, che si affanna – secondo il noto aforisma – a ≪servire due padroni≫. In epoca postfreudiana – come conseguenza del progressivo estendersi dell’indagine psicoanalitica ai livelli precoci dello psichismo (pre-edipici e preverbali) – si verifica un significativo spostamento dell’asse teorico-clinico: il registro pulsionale resta sullo sfondo, mentre ci si va orientando verso nuovi paradigmi, che mettono a fuoco precipuamente le vicissitudini delle relazioni e degli affetti. Prima che esploda la drammaticità dei rapporti oggettuali (➔ oggetto/soggetto) e delle dinamiche relazionali nella dimensione del conflitto, sono infatti le emozioni, gli a., a costituire gli organizzatori dell’esperienza psichica alle origini e la radice della costruzione del ‘senso di sé’. La prima esperienza conoscitiva è infatti quella di sé; è la registrazione proto-mentale dei cambiamenti che avvengono nel corpo del bambino (caldo/freddo, pieno/vuoto, contatto/distacco e così via) secondo un registro percettivo-sensoriale. Tale edificio si crea necessariamente nella dimensione delle cure parentali, nello scambio emotivo con l’ambiente, che precede la comunicazione con sé stessi e con gli altri tramite il registro verbale delle parole.
Tessuto connettivo basilare della mente, gli a. sono il nostro sistema comunicativo più arcaico. In precisa concordanza con le recenti acquisizioni delle neuroscienze, possiamo constatare come le emozioni connettano non solo la mente e il corpo di un singolo individuo, ma anche le menti e i corpi tra gli individui. Gli a. però sono di per sé ‘muti’. Per avere diritto di accesso alla coscienza, per poter fruire di un’espressione riconoscibile, si devono coniugare con un’idea: non c’è sentimento, a., emozione, passione che non debba appoggiarsi a una rappresentazione mentale per essere pensabile, comunicabile a sé stessi e agli altri. Il nostro Io cosciente niente può capire e percepire del mondo dei sentimenti se questi non sono veicolati da immagini e rappresentazioni: dapprima di elementare valore sensoriale, poi via via articolate in sempre più complesse reti associative di rappresentazioni di cose e di parole. Gli a. sono anche lo strumento che consente la più immediata valutazione cognitiva dell’esperienza: la primitiva differenziazione tra buono/cattivo, bello/brutto, regolata secondo il principio del piacere/dispiacere (➔), si articola progressivamente – sotto l’egida del Super-Io e della norma morale – nelle più articolate distinzioni tra bene e male. Ciò che è ‘buono’, piacevole, gratificante – per es., il corpo della madre – può non essere più ‘bene’ dopo il crocevia dell’Edipo; poiché è proibito, il desiderio diviene anzi ‘male’, fonte di angoscia e di colpa. È proprio il vincolo tra emozioni e idee che garantisce, oltre che l’accesso alla mentalizzazione, anche la qualificazione e la costruzione del senso.
Tutt’ora non c’è accordo tra i vari autori circa le differenze che intercorrono tra i vari termini che designano i moti dell’animo. Conviene però almeno distinguere, all’interno del concetto di a., le emozioni – manifestazioni somatiche neuroumorali e metaboliche – e i sentimenti – consci e inconsci –, quali componenti esperienziali, sul versante psichico, che conferiscono valore e significato alle vicissitudini della quotidianità. C’è invece una sostanziale convergenza tra la psicoanalisi odierna e le altre discipline nel considerare l’integrazione delle varie componenti dell’apparato psichico come chiave di volta dello sviluppo psicofisico. Qualunque disturbo, scompenso, squilibrio a livello delle passioni o degli a. sempre si traduce in un disturbo del pensiero; viceversa, paradossalmente, la razionalità pura, svincolata dai fatti reali, può essere sintomo delle più gravi patologie psicotiche.