affetto (sost.)
Il termine, nel linguaggio filosofico anteriore e contemporaneo a D., non ha uno specifico significato tecnico; esso viene comunemente usato come sinonimo di passio e di affectio.
D. lo recepisce in accezioni semanticamente già elaborate nell'ambito della classicità latina, sia presso filosofi e moralisti (Cic. Tusc. V XVI 47, ma Cicerone preferisce l'uso del termine corrispondente affectio; Sen. Ep. XVIII l5, LXXV 12), che presso retori (Quint. Inst. I XI 2, VI I 7, II 8-10, 12 e 20, X I 101; Sen. Contr. II VI 1), poeti (Ovid. Met. VIII 473, Trist. IV III 32, V II 8, Pont. III IV 21), medici e naturalisti (Cels. Med. III 18, II 15; Plin. Nat. hist. XXXIV 8, 19 e 70). Il termine continuò ad avere una molteplicità di significati, tutti però riconducibili a quello più generale di " stato " o " moto dell'anima " (cfr. Agost. Civ. IX 4 " Duae sunt sententiae philosophorum de his animi motibus quae Graeci πάϑη, nostri autem quidam, sicut Cicero, perturbationes, quidam affectiones vel affectus, quidam vero, sicut iste, de Graeco expressius passiones vocant ", e anche Bonaventura (Seni. I XVII 2 4 2): " Sic ergo triplex est affectus, unus a caritate elicitus, quo quidem opto alicui aliquod bonum summum. Alius imperatus, quo opto alicui aliquod terrenum bonum. Tertius vero annexus, quo delector in deterius bono, qui magis tenet rationem passionis, quam motus ".
1. In D. fondamentalmente vale " moto dell'animo sensibile o concupiscibile ", " passione ", facoltà ben distinta dall'intelletto (cfr. Mn I XVI 5 Intellectu aegrotas utroque, similiter et affectu). In tal senso può essere anche degli animali: Talvolta un animal coverto broglia, / sì che l'affetto [" ciò che esso prova ", "i suoi impulsi "] convien che si paia / per lo seguir che face a lui la 'nvoglia (Pd XXVI 98). Nell'uomo l'a. può opporsi all'intelletto, come appare da Pd XIII 120 l'affetto l'intelletto lega (cfr. Mn III III 4 Hominibus nanque rationis intuitu voluntatem praevolantibus hoc semper contingit: ut, male affecti, lumine rationis postposito, affectu quasi caeci trahantur), ma normalmente, rientrando tra gli elementi necessari dell'anima (cfr. Cv III II 11-14), coopera con esso, se in mano al terzo Cesare si mira / con occhio chiaro e con affetto puro (Pd VI 87, dove occhio indica la " mente " e affetto il " cuore ", gl'impulsi passionali). In dipendenza del valore fondamentale a. assume spesso il significato di " appetito " (cfr. Cv IV XXI 13-14 e XXII 10, dove si distingue tra l'appetito dell'anima razionale e l'appetito dell'anima sensibile), e quindi di " desiderio ": Ma s'a conoscer la prima radice / del nostro amor tu hai cotanto affetto (If V 125); qua giù dove l'affetto nostro langue (" dove i nostri desideri sono languidi " e piegano ai beni fallaci, in contrasto con là dove appetito non si torce [v. 5], cioè col cielo; il luogo è in Pd XVI 3); e con ardente affetto il sole aspetta (Pd XXIII 8); e così pure in Pg XXIX 62, Pd VIII 45 e XVIII 23. Talora a. si avvicina al senso di " volontà ", come in Pd XV 73 L'affetto e 'l senno,/ come la prima equalità v'apparse, / d'un peso per ciascun di voi si fenno (" la volontà e l'intelligenza, non appena le anime destinate al Paradiso si presentano davanti a Dio, si fanno in loro di un medesimo peso ", sicché esse possono ciò che vogliono: cfr. voglia del v. 79, corrispondente, nel contesto, ad a.). Altre volte il vocabolo vale, secondo l'uso moderno, " sentimento di benevolenza verso qualcuno ", e, in gradazione maggiore, " sentimento d'amore ", come in Pg II 77 Io vidi una di lor trarresi avante / per abbracciarmi, con sì grande affetto, / che mosse me a far lo somigliante; Pd XXII 52 L'affetto che dimostri / meco parlando; XXIII 125 l'alto affetto / ch'elli avieno a Maria; XXIX 66 ricever la grazia è meritorio / secondo che l'affetto l'è aperto (" nella misura con la quale l'amore si apre ad accoglierla "; qualche commentatore antico però prende qui a. per " volontà " [" idest voluntas ", Benvenuto], oppure per " volontà e desiderio " [Buti]); Pd XXIX 140 a l'atto che concepe / segue l'affetto (" all'atto che concepisce Dio, cioè alla visione intellettuale di Dio, si accorda l'amore per lui ": chi meglio vede Dio, più lo ama; cfr. d'amar la dolcezza dello stesso verso); e così anche in Pg XVIII 57, Pd VI 122, XV 43, XXIV 29, XXXI 141, Cv IV XIX 7 (cfr. Tomm. Sum. theol. II II 80 1 ad 2 " benevolentia quae hic dicitur affectus ").
2. In Pg XXV 107 Secondo che ci affliggono i disiri / e li altri affetti, il termine corrisponde ai vari " sentimenti ". In qualche caso, citato al singolare o al plurale, indica l'insieme dei moti dell'anima e quindi, in senso lato, l'anima stessa. Tale sembra essere il suo valore nella preghiera di Bernardo alla Vergine: ti priego.../ che conservi sani/ ... li affetti suoi (Pd XXXIII 36); nelle parole di D., in Pd XVIII 14 rimirando lei [Beatrice], lo mio affetto / libero fu da ogne altro disire; in quelle di Piccarda: Li nostri affetti, che solo infiammati / son nel piacer de lo Spirito Santo (III 52). In un passo di Cv III III 14, D. ci testimonia il caso di anima che significa " affetto ": la mia anima, cioè lo mio affetto, intendendo indicare la parte affettiva dell'anima. Ma ancora in Cv II VII 11 ragiona dinanzi a li occhi del mio intelligibile affetto, l'intelligibile affetto non è che l'anima razionale (si ricordino le parole di I XI 3 Sì come la parte sensitiva de l'anima ha suoi occhi... così la parte razionale ha suo occhio, ecc., e si confronti Tommaso d'Aquino, il quale parla di un " affectus secundum rationem " come quello che è guidato dalla ragione e conformato a essa: Sum. theol. I 21 3c, II I 102 6 ad 8).
Per la controversa questione se in Pg XVII 111 debba leggersi affetto o effetto, v. la voce EFFETTO. Nei codici della Commedia e delle altre opere dantesche è assai diffusa la sostituzione del prefisso tra affetto ed effetto, con varia reciprocità d'uso (cfr. Schiaffini, Testi 160 13, 168 15; Contini, Poeti I 402, II 334; Petrocchi, Introduzione 116 e 429); vedi anche AFFETTO partic. passato. Altrettanto dicasi per affezione ed effezione, affettuoso ed effettuoso. Ne nasce la necessità di dover decidere, per la costituzione del testo, in base al ragionamento e non alla semplice escussione dei manoscritti.