affliggere
. Il testo critico di G. Petrocchi ha consentito di recuperare, sul tradizionale afiggon(o), " l'unico esempio del verbo che non sia al participio passato ", ci affliggono i disiri, cioè " ci colpiscono ", in Pg XXV 106: se ne conosceva prima soltanto l'uso in una delle rime spurie (pure, confluita nelle concordanze Sheldon-White attraverso Fraticelli e Moore), Amor m'affligge, ond'io prendo cordoglio, v. 11 del sonetto Se 'l bello aspetto non mi fosse tolto, che è invece di Giovanni Quirini (edizione del '21, p. 141).
Al tempo composto, è afflitto (Pg XXX 45) vale senza particolare rilievo " è addolorato, rattristato ". In funzione aggettivale, " sofferente ", " languente ", " abbattuto ", figura una sola volta, in Rime LXVIII 19 e de la doglia diverrò sì magro / de la persona, e 'l viso tanto afflitto.
Sostantivato, in If XXVII 10 l'afflitto, cioè " il reo martirizzato " (Sapegno) o più semplicemente " il suppliziato ", è Perillo, rinchiuso da Falaride nel toro di rame. Il verbo manca nella prosa: pare quindi che D. lo considerasse termine poetico.