Vedi AFGHANISTAN dell'anno: 1958 - 1994
AFGHANISTAN
La posizione geografica dell'A. - all'estremità orientale dell'altopiano dell'Irān e a N-O dell'India - ha fatto di quella regione in ogni epoca un luogo di passaggio; non soltanto per le migrazioni e le invasioni, ma anche per i mercanti, le carovane, i pellegrini. La barriera del Hindu-Kush, che si erge tra la Battriana e il Kāpishā, deve essere o aggirata o attraversata da chi voglia recarsi dall'Iran o dalla alta Asia verso l'India. E la strada classica, la "vecchia strada dell' India" che tante invasioni e pellegrinaggi hanno percorso. Le province afghane, per usare l'espressione di Alfred Foucher, sono "regioni di frontiera che hanno volta a volta appartenuto all'India o all'Iran, ma che non hanno mai assunto precisamente i tratti dell'una o dell'altra".
Dopo quella degli Arî, le province afghane conobbero il succedersi di nuove invasioni. Nel VI sec. a. C. sono gli Achemènidi a conquistare - con Ciro - le regioni di Balkh e di Kābul e a raggiungere l'Indo. L'iscrizione di Dario a Bīsutūn ricorda, tra le satrapie orientali dell'impero achemènide, la Battriana e il Gandhāra. Nel 329 a. C. Alessandro, sulle tracce di Dario, riconquista le province afghane che avevano, frattanto, recuperato l'indipendenza. Dopo la morte di Alessandro e la divisione del suo impero, queste province caddero in potere dei Seleucidi; ma verso il 175 a. C. si costituì uno stato indipendente, tosto diviso in due regni: il greco-battriano, con Eucratide, e il greco-indiano con Demetrio. Il primo doveva presto soccombere al premere delle orde Shaka le quali, cacciate dalla Transoxiana dagli Yue-che, dilagarono nella Battriana. Il secondo fu in grado di resistere sul Kāpishā, grazie alla difesa dei valichi sulla barriera del Hindu-Kush, ma circa un secolo più tardi venne invaso dai Parthi. Sembra che questi, agli inizi dell'era cristiana, estendessero la loro sovranità su tutta la frontiera indo-iranica.
I Parthi, a loro volta, furono rimpiazzati dai prìncipi Kuṣāṇa, i quali dovevano regnare sull'India settentrionale, fino alla regione di Mathura, dove ebbe sede la capitale d'inverno, mentre quella estiva era Kāpishī. Nel III sec. d. C., l'imperatorè sassanide Ardashīr conquistò la regione di Balkh e le province afghane caddero sotto l'influenza iranica; i prìncipi Kuṣāṇa continuarono a governare, ma sotto la sovranità dei Sassanidi. Il loro dominio, interrotto a metà del V sec. dall'invasione degli Unni eftaliti, o Unni bianchi, doveva poi durare fino all'arrivo degli Arabi nell'VIII secolo.
Al Begram (v.) di Kāpishī sono stati ritrovati oggetti che datano dai prirni secoli dell'era cristiana, adunati in una medesima stanza murata: bronzi, vetri, alabastri, medaglioni in gesso, provenienti dall'Oriente greco-romano; tazze o scatole in lacca originarie della Cina degli Han; e infine, avorî indiani. Ciò prova come all'epoca kuṣāṇa fosse attivo il commercio, nelle province afghane, che venivano pertanto ad essere il luogo d'incontro dei prodotti artistici di quei diversi paesi. Ne derivava, come naturale conseguenza, la creazione di stili complessi che riflettevano le diverse concezioni artistiche e religiose confluenti in quel vero e proprio quadrivio che era allora l'Afghanistan.
La numismatica ci mostra chiaramente in quali dosi ciascuna di quelle influenze fosse accolta. Le monete battriane sono di pura marca greca; quelle del regno indo-greco di Demetrio - un certo numero delle quali sono quadrate come le monete indiane portano, sul rovescio, la traduzione in caratteri arameo-indiani della iscrizione greca impressa sul dritto, e vi figurano attributi indiani. Le monete dei prìncipi Shaka sono imitate da quelle indogreche, e le monete dei Pahlava sono ricalcate su modelli dei Parthi-Arsacidi: portano difatti sul rovescio divinità greche o indiane. Sul dritto delle monete kuṣāṇa, derivate da quelle degli Shaka, i sovrani sono effigiati in piedi, con un iscrizione in greco; mentre il rovescio, dove figurano divinità greche, indiane o iraniche, porta un'iscrizione indiana. Il rovescio di alcune monete di Kaniṣka reca la figura di un Buddha stante.
Nel N-O dell'India, nel Gandhāra e nelle vicine province afghane di Kāpishā e Ningrahar, si verificò l'incontro tra religione buddista ed ellenismo dal quale doveva nascere una nuova iconografia e un nuovo stile: l'arte greco-buddista (v. Gandhāra). Dei temi di questa, alcuni sono tolti in prestito, quasi senza varianti, dall'arte ellenistica; ciò vale soprattutto per gli elementi decorativi, come foglie di lauro e di acanto, fiori di eglantina e il motivo della ghirlanda sorretta da amorini. Il tipo del Buddha rimane assai vicino ai modelli ellenistici, soprattutto nel drappeggio della veste, e tuttavia con una tendenza assai marcata allo schematismo; ciò vale anche per le pettinature, trattate a corte onde che si risolveranno nei minuti riccioli isolati della tradizionale acconciatura dei Buddha. Nella località di Hadda, Ningrahar, sono venuti alla luce diversi monasteri e stūpa (v.) buddisti ornati di numerose figurine in stucco; i Buddha sono di stile classico, ma i numerosi personaggi che li attorniano: guerrieri, zelatori laici, monaci, sono marcatamente individualizzati e rappresentano veri e proprî ritratti dal tipo etnico chiaramente definito. Ma la vita che gli scultori di Hadda hanno infuso così intensamente nelle loro opere (grazie al loro acuto senso d'osservazione e alla docilità della materia che essi hanno scelto, lo stucco) non si ritrova più nelle opere buddiste dei monasteri di Paitava e di Shotorak, dove le sculture, in scisto, paiono assai più fredde e impersonali. Gli abiti dei donatori, coi pantaloni a sbuffo e la tunica serrata alla vita da una cintura, hanno interesse in quanto mostrano la foggia del vestire locale nell'epoca dei Kuṣāṇa.
Le località di Haibak, dove è stato trovato uno stūpa incompiuto, e Bāmiyān (v.) - ricca di conventi buddisti scavati nella roccia - permettono di collegare, pel tramite del Hindu-Kush, l'arte greco-buddista del Kāpishā all'arte della Battriana (v.) che ha lasciato così scarse vestigia. A Kunduz, alcune teste in gesso di mediocre qualità, provenienti da una fondazione buddista, hanno carattere nettamente ellenistico.
Con l'invasione delle regioni afghane da parte dei Sassanidi, nasce una nuova arte, grazie all'incontro di influenze iraniche con l'arte buddista: è l'arte irano-buddista, presente, con particolare risalto, nelle grotte di Bāmiyān e in quelle della vicina vallata di Kakrak. Prima lo sfondo, poi i temi iconografici, sono a poco a poco invasi da motivi di pura marca sassanide: fusti di colonne e vasi inghirlandati di nastri, capitelli a protomi d'animali, nastri svolazzanti, frontone tagliato, vesti, tuniche con risvolti, acconciature e diademi dei personaggi principeschi.
Nel V sec. d. C., nasce un tipo più particolare, ramo secondario dell'arte irano-buddista: è l'arte kuṣāṇo-sassanide, che rivela la sua peculiarità nel modo di trattare le fasce ondeggianti e risalenti allacciate o anche sdoppiantesi fino a divenire fortemente ondulate, per esempio, nei diademi a tre mezzelune e tre dischi del Maitreya e del recacciatore di Kakrak.
L'influenza iranica è ancora sensibilissima nel VI e VII sec., come risulta dal monastero buddista di Fondukistan (v.) dove, tuttavia, l'influenza indiana è preponderante; e lo stesso si può dire per le grotte di Bāmiyān, che datano dalla medesima epoca.
Sebbene il buddismo si sia diffuso in tutto l'A., nella regione erano però praticati anche culti diversi. Sono recenti (1955), e non ancora pubblicati, gli scavi di un tempio del fuoco scoperto nella Battriana, a Surkh-Kotal, che risale all'epoca kuṣāṇa. La decorazione è di argilla o di pietra e sembra apparentarsi all'arte greco-buddista o a quella di Mathurā.
Un altro tempio, assai probabilmente brahmanico, sorge a N-O di Kābul, sul colle di Khair Khaneh. Lo si attribuisce al V sec., e mostra profonde influenze indiane e iraniche. In una delle celle del tempio è stata scoperta una statua del dio Sūrya, in costume iranico. E in marmo bianco, e perciò costituisce un'eccezione, poiché le sculture dell'A. sono generalmente in scisto, in argilla, in stucco o in pietra calcarea.
A Dokhtari Noshirwan esiste una nicchia di grandi dimensioni, scavata nella roccia, il cui fondo è decorato con un affresco. Sfortunatamente, la pittura è in parte cancellata, ma si possono ancora distinguere, nella parte centrale, un principe con acconciatura, assiso in trono sotto un frontone tagliato che porta una testa di leone. Qui non si tratta più di un'opera religiosa, ma di un lavoro a carattere ufficiale, destinato a esaltare la potenza dei Sassanidi. L'affresco dovette essere eseguito dagli artigiani di Bāmiyān, poiché vi si riscontra la morbidezza di tratto che fu caratteristica di quella scuola.
La condizione delle province afghane attraversate dalla vecchia strada dell'India, e in particolare dei conventi buddisti nel VII sec., ci è nota grazie alla relazione di viaggio del celebre pellegrino cinese Hsiuan-chang in visita ai luoghi sacri del buddismo. Egli enumera una dozzina di conventi a Kunduz, e parla di parecchie migliaia di religiosi che risiedevano a Bāmiyān. A Kàpishi i monaci sono mahāyānisti, come il nostro viaggiatore, e cioè seguono le regole del buddismo del Grande Veicolo; ma è li che Hsiuan-chang incontra i primi religiosi jaina e i primi asceti induisti. In più, egli dà notizia di templi eretici nel Kāpishā. Sembra invece che Hadda non si fosse risollevata dalle conseguenze dell'invasione degli Unni eftaliti; le rovine buddistiche vi erano numerose ma di religiosi ne restavano assai pochi.
Bibl: A. Foucher, La vieille route de l'Inde de Bactres à Taxila, Parigi 1942; J. Barthoux, Les fouilles de Hadda I-Stupas et sites; II-Figures et figurines, Parigi 1930-33; J. Hackin e altri, Les antiquités bouddhiques de Bāmiyān, Parigi 1928; J. Hackin e altri, Nouvelles recherches archéologiques à Bamiyan, Parigi 1933; Hackin-Carl, Recherches archéologiques au col de Khair Khaneh près de Kâbul, Parigi 1936; J. Hackin, Recherches archéologiques à Bégram, Parigi 1939; R. Ghirshman, Begram. Recherches archéologiques et historiques sur les Kouchans, Il Cairo 1946; D. Schlumberger, Le temple de Surkh Khotal en Bactriane, in Journal Asiatique, 1952, n. 4 e 1954, n. 2; B. Rowland, The Art and Architecture of India2, Harmondsworth 1956, pp. 94-103.