Afghānistān
di Matteo Marconi
Stato dell’Asia anteriore interna. Il quadro Oceano sociale ed economico dell’A. è Indiano fortemente condizionato dal confronto militare che dal 2001 ha visto costantemente contrapposte prima le truppe statunitensi e i suoi alleati, poi nella missione ISAF (International Security Assistance Force) la NATO, all’insieme delle forze degli insorgenti, generalmente definiti Ṭālibān. La popolazione al 2014, secondo la stima UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs), è in leggero aumento: 31.280.518 abitanti. Nonostante la situazione difficile, il tasso di migrazione è relativamente basso, pari a 2 persone per ogni 1000 abitanti. Tuttavia, il disimpegno militare della NATO dall’A. a fine 2014 ha aumentato le incertezze per il futuro. La popolazione urbanizzata è ancora bassissima (23,5%), mentre le condizioni di vita nel corso del primo decennio del 21° sec. sono rimaste estremamente precarie. Ancora molto alti sono i tassi di mortalità infantile e di analfabetismo.
Le possibilità di sviluppo economico del Paese nei prossimi anni sono legate agli aiuti internazionali, promessi per favorire la fase di passaggio dal controllo militare occidentale a quello delle forze armate afghane. Le cifre ipotizzate, però, non sembrano in grado di garantire un processo di peace building efficace, considerata anche la situazione di forte instabilità politica e militare interna. Alla forte dipendenza dagli aiuti internazionali non si accompagna un’effettiva efficacia degli stessi, causa la debolezza cronica delle strutture statali ricreate dalla NATO. Le pratiche politiche ed economiche sono fortemente caratterizzate da rapporti diretti e patrimoniali che ostacolano fortemente l’affermarsi di una mentalità pubblica di tipo occidentale, e sono aggravate dal pesante deficit statale (−8.7% nel 2012). Il discreto tasso di crescita del PIL (3,2% nel 2014) è poco significativo rispetto al dato complessivo della ricchezza nazionale, che rimane bassissima.
La popolazione è massimamente impiegata in agricoltura (78%), in cui la pastorizia ha un ruolo prevalente. Tra le coltivazioni la più rilevante è quella del papavero da oppio, che nel 2013 ha registrato il record di superficie coltivata, 209.000 ettari, in netto aumento rispetto al periodo talebano e tale da costituire quasi il 90% della produzione mondiale. L’economia rimane saldamente in mano ai canali informali, tanto legati ai traffici illegali del papavero da oppio che a commerci locali. Le esportazioni lecite hanno un volume complessivo estremamente ridotto (appena 376 milioni di dollari nel 2012) e riguardano produzioni artigianali tradizionali come pelli e tappeti, ma anche una piccola quota di gas naturale e di derrate agricole. I principali Paesi esportatori sono nelle immediate vicinanze: Pakistan, India e Tagikistan. Il sistema infrastrutturale del Paese, anche a causa della difficile orografia, non è risultato significativamente sviluppato negli ultimi dieci anni, rimanendo invariati i chilometri di strade a disposizione (42.150, di cui solo 12.350 asfaltate).
di Germano Dottori
La guerra civile iniziata in A. negli anni Ottanta del secolo scorso proseguì anche dopo il rovesciamento del regime ṭālibān, avvenuto nell’autunno 2001 a opera di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti in seguito agli attentati dell’11 settembre e al rifiuto del governo afghano di estradare Usāma Ibn Lādin, un ex combattente del jihād antisovietico che aveva successivamente fondato l’organizzazione terroristica denominata alQā‛ida, ritenuta responsabile degli attacchi contro Washington e New York. A dispetto dell’apporto decisivo dato dal potere aereo occidentale alla campagna contro i seguaci del Mullā ῾Umar, le maggiori città settentrionali, occidentali e centrali afghane vennero conquistate dalle milizie dell’Alleanza del Nord, inclusa la capitale Kābul. Jalālābād e Kandahār, invece, furono liberate da un raggruppamento assai più evanescente di ‘signori della guerra’ di etnia pashtun, tra i quali Hamid Karzai risultò rapidamente quello maggiormente in grado di porsi come punto di riferimento interno ed esterno, tanto in ragione del proprio lignaggio tribale quanto della rete di rapporti internazionali che aveva saputo tessere intorno a sé.
Derivò dalle modalità di conclusione di queste operazioni l’assetto politico dato provvisoriamente al Paese: sostanzialmente affidato a un capo dello Stato ad interim, residente a Kābul e protetto da una forza militare internazionale sotto mandato ONU, l’ISAF (International Security Assistance Force), e controllato per via indiretta da un gruppo di ‘uomini forti’ dotati di proprie milizie, come Rashid Dostum, Ismail Khan o Gul Agha Sherzai.
Gli Stati Uniti decisero inizialmente di limitare drasticamente a non più di diecimila uomini il loro contingente nel Paese, per mantenere la pressione su Ibn Lādin (poi ucciso in un raid condotto dalle forze speciali americane nella città pakistana di Abbottabad nel 2011), sui suoi seguaci e sui Ṭālibān in fuga, cercando tuttavia di evitare di coalizzare contro le proprie truppe il risentimento della popolazione locale, avversa alle protratte presenze militari straniere. Giocò peraltro un ruolo nella direzione di un impegno americano circoscritto anche la preparazione dell’attacco all’῾Irāq, che tuttavia spalancò le porte dell’A. all’ingresso dell’Alleanza atlantica, anche a causa della mancanza di Stati in grado o desiderosi di assumere la responsabilità solitaria di guidare l’ISAF.
L’ingresso della NATO in A., avvenuto nell’agosto 2003, segnò l’inizio di una nuova fase del conflitto, coincidendo con l’avvio di un piano multifase di espansione territoriale delle competenze dell’ISAF, fino ad allora praticamente limitate alla regione della capitale, che interessò nell’ordine la regione settentrionale, quella occidentale, quella meridionale e quella orientale del Paese, giungendo al completamento nell’autunno 2006. Proseguiva inoltre su tutto il territorio afghano l’operazione a guida statunitense denominata Enduring freedom, a più spiccata vocazione antiterroristica e abilitata a intervenire anche oltre la Linea Durand, il confine con il Pakistan tracciato dai colonizzatori britannici dell’India, mai riconosciuto da Kābul. Dopo il varo della nuova Costituzione, nello stesso periodo si procedeva all’elezione diretta del presidente della Repubblica (2004, conferma di Hamid Karzai), della Camera bassa (Wolesi jirga; la Meshrano jirga, Camera alta, è invece eletta a suffragio indiretto) e dei Consigli provinciali (2005).
Il tentativo dell’ISAF di assistere il legittimo governo afghano nell’assumere il controllo effettivo del Paese conduceva anche le truppe della NATO ad affrontare la crescente resistenza opposta dal rinascente movimento ṭālibān, riorganizzatosi nel frattempo nelle zone tribali dell’attiguo Pakistan. Oltre che nell’Est, scontri aspri ebbero luogo soprattutto nelle province meridionali di Kandahār, dove operava un contingente canadese, e dell’Helmand, nel quale i militari britannici finirono rapidamente con il trovarsi in grande difficoltà, costretti con pochi elementi a difendere avamposti isolati, a gran distanza gli uni dagli altri. Progressivamente, l’A. cessò quindi di essere rappresentato come una ‘storia di successo’ da contrapporre al fallimento riportato dall’amministrazione Bush in ῾Irāq, assorbendo crescenti risorse umane e materiali.
Le elezioni presidenziali del 2009 vennero pesantemente condizionate dalle violenze e dai brogli, al punto che le maggiori potenze occidentali costrinsero Karzai a concedere un ballottaggio, al quale tuttavia lo sfidante Abdullah morti feriti Abdullah, tagiko, si sottrasse in extremis. La vicenda compromise i rapporti tra il presidente afghano e gli alleati.
L’entità dei contingenti assegnati all’ISAF e a Enduring freedom aumentò gradualmente, raggiungendo i 140.000 effettivi nel 2011 anche per effetto del tentativo del nuovo presidente Barack Obama di riportare una vittoria decisiva su quello che considerava il teatro di una guerra combattuta dagli Stati Uniti ‘non per scelta, ma per necessità’. La gestione del surge afghano – il forte incremento di truppe successivo al 2009 – venne affidata al generale Stanley McChrystal, che interpretò al meglio la dottrina di controinsurrezione elaborata da David H. Petraeus e da questi testata con successo in ῾Irāq. Venne così limitato il ricorso ai bombardamenti ed enfatizzata la necessità di difendere i civili afghani rispetto a quella di proteggere le truppe occidentali. I risultati furono tuttavia piuttosto deludenti, anche per le diverse caratteristiche dei due teatri e, probabilmente, per il minor peso che in A. rivestiva dal punto di vista strategico il controllo della capitale.
Dalla mancata stabilizzazione del Paese derivò uno scontro tra il vertice militare dell’ISAF e la Casa Bianca, culminato con l’allontanamento dal comando di McChrystal e la sua sostituzione con lo stesso Petraeus, che rinunciò all’applicazione integrale della sua dottrina per raggiungere più velocemente dei successi utili a mantenere il consenso alla prosecuzione delle operazioni. Contro l’avviso del Pentagono, sempre nel 2011, Obama annunciò tuttavia il piano di progressivo ritiro degli Stati Uniti dall’A., cui fece eco il varo da parte della NATO della cosiddetta ‘transition’, ovvero la progressiva restituzione alle forze di sicurezza afghane della responsabilità sui territori del proprio Paese, che fu completata nel 2013.
Da allora, l’apporto dato ai combattimenti dalle truppe internazionali, nel frattempo assottigliatesi, diminuiva gradualmente, mentre aumentava parallelamente l’impegno dell’esercito nazionale e delle polizie afghane, ricostruite nel frattempo dagli alleati. Al calo del numero dei militari occidentali caduti non corrispondeva una vera riduzione del livello assoluto della violenza. I tentativi di negoziare una soluzione onorevole al conflitto, intrapresi tanto tra Stati Uniti ed emissari ṭālibān, spesso con l’apporto di Paesi terzi, come il Qaṭar, quanto per iniziativa dello stesso governo afghano, tramite l’Alto consiglio per la pace, non approdavano ad alcun tangibile risultato.
Malgrado la campagna elettorale per la scelta del successore di Karzai alla presidenza della Repubblica si fosse svolta nella primavera 2014 in un clima caratterizzato da grande partecipazione popolare e speranze di autentico rinnovamento, la protratta contestazione dei risultati che obbligava il neoeletto Ashraf Ghani a una coabitazione di fatto con il suo rivale Abdullah non giovava alla legittimità delle istituzioni. La firma dell’Accordo bilaterale di sicurezza con gli Stati Uniti e del SOFA (Status Of Forces Agreement) con la NATO consentiva una proroga fino al 2016 della presenza militare occidentale in Afghānistān. L’ISAF si concludeva il 31 dicembre 2014 cedendo il posto a Resolute support: una missione notevolmente più piccola, con compiti di formazione delle forze di sicurezza afghane, che non contemplava in teoria la partecipazione a scontri campali. Va peraltro segnalato come il degrado delle condizioni di sicurezza induceva nel novembre 2014 Barack Obama a ritornare in parte sui suoi passi, permettendo almeno nel 2015 alle truppe americane di intervenire a sostegno di quelle afghane in caso di necessità. Nel 2015 veniva rilevata nel Paese la presenza di formazioni aderenti al sedicente Stato islamico (v. IS) sorto a cavallo tra ῾Irāq e Siria.
di Bianca Maria Filippini
Nelle due lingue maggioritarie dell’A., nonché lingue ufficiali della Repubblica islamica d’Afghānistān, il dari e il pashto, si è prodotta un’ampia letteratura che si fonda su un ricco patrimonio di tradizioni letterarie orali e scritte. La poesia resta la forma d’arte privilegiata dagli afghani di ogni estrazione sociale, alfabetizzati o meno, ma ha assunto, rispetto alla tradizione classica, il carattere di una poesia in varia misura politicizzata, anche quando non apertamente politica o ideologica. Essa è raffinato strumento di critica sociale, ma soprattutto ‘poesia del lutto’. In A. i traumi collettivi e personali, frutto di un’esperienza di guerra di trentacinque anni, di un feroce governo ṭālibān e di una non meno violenta invasione da parte delle truppe internazionali, hanno trovato nella poesia, ma anche nella più recente narrativa breve, un mezzo di rielaborazione molto reattivo.
Un genere poetico particolarmente diffuso tra la comunità pashtun d’A., dove la tradizione poetica orale è molto vasta, è quello del landai, brevissimo componimento poetico popolare nato in contesto nomadico, il cui compositore è anonimo. Esso viene tramandato oralmente e recitato a voce alta, spesso con l’accompagnamento di un tamburo. Il contenuto ruota intorno a temi come l’amore, la separazione, la patria, la guerra, la morte, variamente combinati secondo le esigenze espressive dell’autore. In questo campo sono particolarmente prolifiche le donne, per le quali la composizione dei landai è spesso l’unico modo per far sentire la propria voce e infrangere tabù. Per molte giovani ragazze di provincia, costrette a rimanere in casa, recitare al telefono questi versi per gli ascoltatori di programmi radiofonici dedicati alla poesia o per l’uditorio di uno dei tanti circoli letterari sparsi in tutto l’A., è un modo per ‘passare il testimone’ e dare alla propria creazione, frutto di una strenua resistenza, un carattere collettivo. Anche questi componimenti riflettono le ansie di un popolo da troppi anni sotto assedio, in cui è forte l’anelito alla pace e alla dignità umana. Non mancano riferimenti ai signori della guerra o ai bombardamenti delle truppe internazionali. Spesso, infatti, alcuni landai vengono rubricati come ‘poesia talebana’, con riferimento a quel genere di poesia non necessariamente scritta dai Ṭālibān (che, in ogni caso, hanno prodotto un discreto numero di opere in cui la retorica riesce, in alcuni casi più felici, a sciogliersi in una voce più autentica), ma che riflette l’insofferenza all’occupazione delle truppe internazionali e la lealtà alla causa dei militanti.
Tra i numerosi circoli letterari attivi in A. si annoverano: il Mirman Bahir, a gestione femminile, con sedi in diverse città afghane; lo storico Herat literary association; lo Balkh writers association (a Balkh è attiva anche la casa della cultura Partaw, aperta a sole donne, e la biblioteca Khoshāl Bābā, punto di riferimento per tutti i poeti in lingua pashto della provincia), il Kāpisā writers and poets society, a due ore dalla capitale, dove si concentrano numerose associazioni che promuovono la cultura locale, anche su impulso della comunità internazionale, mentre a Jālālā bad è attivo dal 2001 Khatiz Adabi Bahir, un movimento letterario dell’A. orientale.
Tra i poeti in lingua dāri emerge come una delle più promettenti voci della sua generazione Khāleda Forugh (n. 1972), la cui opera attinge a elementi della mitologia persiana per creare un dialogo tra presente e passato. Il più acclamato poeta in lingua dari è Partaw Nāderi (n. 1953), autore di raccolte di poesie tradotte in diverse lingue, ma anche di opere in prosa e di articoli di taglio giornalistico.
Tra gli autori di poesia e narrativa in lingua pashto degni di menzione sono ‘Abdolbāri Jahāni (nato presumibilmente nel 1948) e Pir Mohammad Kārwān (n. 1965), mentre tra i più giovani si distingue Mahmud Marhun (n. 1989).
Tra le più recenti iniziative in favore di un rinnovamento in campo culturale che coinvolga non solo il mondo dei letterati si colloca il primo seminario sulla satira (2012), organizzato dal ministero dell’Informazione e della Cultura per valorizzare un genere molto apprezzato in A., e nel 2013 la Giornata del libro e il Salone del libro, con un’esposizione di circa duemila volumi.
La fuoriuscita di intellettuali afghani verso altri Paesi a causa della mancanza di sicurezza politica ha fortemente condizionato il panorama letterario afghano, che negli ultimi anni si è visto privato di alcune figure notevoli che avevano investito molto nella ricostruzione culturale dell’A. dopo l’arrivo delle truppe internazionali. Tra questi si distingue Mohammad Hossein Mohammadi, non solo per la pregevole produzione narrativa, ma anche per il ruolo svolto nel campo della critica letteraria e per l’attività editoriale svolta presso la casa editrice Tāk, una delle più vivaci esistenti in Afghānistān.
Tra le personalità letterarie scomparse in questi ultimi anni è da ricordare Muhammad Saddiq Pasarli (m. 2014), noto come il maestro del ghazal (componimento poetico a tema amoroso, mistico, gnostico e altro) in pashto.
Songs of love and war. Afghan women’s poetry, ed. Seyyed Baha’ ud-Din Majrouh, New York 2003; She‘r-e zanān-e Afghānestān, ed. M. Mirshahi, Teheran 1383 [2004]; W. Ahmadi, Modern Persian literature in Afghanistan. Anomalous visions of history and form, London-New York 2008; Vizhenāmeye dāstān-e zanān-e Afghānestān, ed. M.H. Mohammadi, Kabol 1388 [2009]; Oral literature of Iranian languages: Kurdish, Pashto, Balochi, Ossetic, Persian and Tajik, ed. P.G. Kreyen broek, U. Marzolph, London 2010; V. Pellizzari, In battaglia, quando l’uva è matura. Quarant’anni di Afghanistan, Roma-Bari 2012; Emzāhā. Gozine-ye dāstānhā-ye kutāh-e Afghānestān, ed. M.H. Mohammadi, 2 voll., Kabol 1390 [2012]; Poetry of the Taliban, ed. A. Strick van Linschoten, F. Kuehn, New York 2012; Afghanistan in Ink. Literature between diaspora and nation, ed. N. Green, N. Arbabzadah, New York 2013; Dāstān-e zanān-e Afghānestān, ed. M.H. Mohammadi, Kabol 1391 [2013].
https://www.inter-disciplinary.net/wp-content/uploads/2010/06/widmarkpaper.pdf; http://www.bbc.co.uk/ persian/afghanistan/2011/09/110901_l09_taher_afghan_youth_po ets.shtml; http://www.poetryfoundation.org/media/landays.html?utm_source=facebook&utm_medium=social_media&utm_campaign=general_marketing; http://himalmag.com/reed-flutegunpowder/.