AFRANCESADOS
. Questa parola significa "infranciosato", in generale; ma entrò nella lingua spagnola col significato di devoto alla dominazione francese quando, con la lotta nazionale contro l'invasione e il dominio napoleonico, si sentì il bisogno di denominare, per distinguerli dalla quasi totalità degli Spagnoli, coloro che riconoscevano e servivano Giuseppe Bonaparte quale legittimo re di Spagna. Questi Spagnoli che, durante il regno di Giuseppe I (1808-1813), furono, in mezzo a una popolazione di 12 milioni di abitanti, poche migliaia, naturalmente non contando quanti, più o meno passivamente, si rassegnarono per paura o per forza maggiore "all'usurpazione", non sono da confondersi con tutti gli altri che nutrirono e manifestarono idee liberali e democratiche, di marca più o meno francese: tanto è vero che afrancesados è sinonimo di josefinos "giuseppini". Nella lunga e terribile lotta non mai interrotta dal 1808 in poi, contro gl'invasori e dominatori della Spagna, il numero e la forza del partito giuseppino toccò il colmo nel 1809, quando la magnifica campagna di Napoleone I ebbe rialzato le sorti del fratello, già costretto a ritirarsi dalla sua stessa capitale, ed ebbe dato a molti l'illusione che egli si fosse consolidato definitivamente sul trono spagnolo. Da costoro il governo napoleonico trasse il personale burocratico, politico e, in piccola parte, militare; contro costoro, poi, infierirono non solo la scriunta suprema e, in seguito, le Cortes coi loro decreti, emanati nel nome di Ferdinando VII, ma soprattutto le passioni e i risentimenti popolari. Allorché Giuseppe I, sfasciandosi l'edificio napoleonico, dové abbandonare la Spagna, circa 12.000 afrancesados, per sfuggire all'odio pubblico, poiché erano considerati traditori della patria, emigrarono in Francia. Ferdinando VII, con il patto di Valencey (8 dicembre 1813), aveva promesso, nell'articolo 9, che tutti gli Spagnoli che avessero servito negli uffici civili e militari il re Giuseppe e poi seguìto in Francia il re stesso, avrebbero riottenuto gli onori, i diritti, le prerogative di cui avevano goduto, e sarebbero stati reintegrati nei loro beni. Viceversa, reduce in Spagna, con l'ordinanza del 30 maggio 1814 condannava all'esilio perpetuo con la perdita dei beni tutti costoro; anzi, con l'art. 6 del decreto, vietava anche alle mogli, che erano coi mariti in Francia, di rimpatriare, solo permettendo il ritorno ai minori di venti anni, sotto la vigilanza della polizia nel domicilio scelto. Ristabilita la costituzione per i moti del 1820, la Giunta provvisoria concesse il rimpatrio agli afrancesados, che, numerosissimi, si affrettarono a valicare i Pirenei; ma, sotto l'influsso dei patriotti più ardenti, essa sospese subito gli effetti dell'amnistia e proibì ai rimpatriati di uscire dalle provincie basche, dove essi si videro fermati, senza mezzi di sussistenza. Finalmente le Cortes, con la deliberazione del 21 settembre 1820, dopo una discussione assai significativa, soprattutto per i discorsi dei deputati Toreno e Martínez de la Rosa, concessero agli esuli piena amnistia e il riacquisto dei beni.
Bibl.: B. Sánchez Alonso, Fuentes de la historia española e hispano-americana, 2ª ed., Madrid 1927, nn. 9793-9802. Specialmente, M. Mendez Bejarano, Historia politica de los afrancesados, in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos, XXIV e XXV (1911); C. Viñas-Mey, Nuevos datos para la historia de los afrancesados, in Bull. Hispanique, XXVI e XXVII (1924 e 1925).