AFRICA (Afrĭca)
Provincia dell'impero romano.
Col nome di Africa gli scrittori latini intesero designare più spesso tutto il versante mediterraneo, ecumenico, del continente africano, con qualche riserva per l'Egitto (v). Ma il nome Africa, cui si aggiunse sovente l'appellativo proconsularis, ad indicare la forma amministrativa stabilita dal senato romano, fu altresì impiegato per indicare una provincia, comprendente i primi territori cui i Romani estesero il loro dominio in Africa. Perciò la provincia nacque quando fu distrutta la più temibile avversaria sul suolo africano, Cartagine, nel 146 a. C., e si estese per breve tratto di costa attorno a Utica, la capitale, sino al saltus Buruhilanus verso O, presso la città di Thabraca, ai confini tenuti ancora nel I sec. con la provincia proconsolare della Numidia Inferiore. Verso E il golfo della Piccola Sirte, presso la città di Thaenae, costituì il confine della nuova provincia.
L'eccezionale ricchezza agricola del paese, la sua posizione strategica, come la funzione economica rispetto all'entroterra, e i problemi etnici e sociali aperti dalla fine del dominio punico, spinsero i Romani ad interessarsi della vita della provincia in misura notevole: vi fu una campagna di colonizzazione di Gaio Gracco, e la guerra Giugurtina risolse i problemi difensivi alle frontiere occidentali ed estese la preponderanza militare oltre la Piccola Sirte sino a Leptis.
Un'opera di colonizzazione intensa fu svolta da Cesare e da Augusto: essa determinò tra l'altro il rifiorire di Cartagine. Con Cesare, dopo la battaglia di Tapso (46 a. C.), la Numidia ricevette uno stabile statuto provinciale col nome di Africa nova, per distinguerla appunto dalla proconsularis; la distinzione fu soppressa da Augusto nel 25 a. C., e riammessa nel 38 da Caligola con la divisione di fatto dei due poteri, quello civile lasciato al proconsole residente a Cartagine, e quello militare esercitato in Numidia. Alla morte di Augusto l'Africa proconsularis aveva raggiunto oramai i confini che mantenne sino a Diocleziano, al fondo della Grande Sirte; nella stretta di el-Agheila, a E, ove erano le are dei Fileni si entrava nella provincia Cyrenaica, unita all'amministrazione con l'isola di Creta; a O il confine lasciava in territorio numidico Zama e Theveste e includeva la palus Tritonis. Nell'interno le fortificazioni del limes difendevano le fiorenti città della costa dalle scorrerie delle tribù nomadi.
I centri del dominio punico e lè città con civiltà ellenistica continuarono a fiorire in periodo romano; vastissime tracce della centuriazione e di un intenso popolamento rivelano la trasformazione demografica dell'entroterra tunisino, ove una fitta rete di strade collegava i numerosi approdi sulla costa, da Hippo Diarrhytus, Utica, Cartagine, Curubis, Hadrumetum, Tapso e Tacape, alle villae e ai centri carovanieri, quali Thiges, Gapsa, Thelepte, Cillium, Sufetula, Sufes, Vegesala, Thugga. A partire dall'età di Caligola, quando si separò di fatto la Numidia, parte di essa, con la città di Zama e Sicca nell'interno e di Hippo Rhegius sulla costa, fu definitivamente aggiudicata all'Africa proconsularis.
Mentre nella regione che aveva costituito il più antico nucleo della provincia, e dove la occupazione romana si era sostituita al dominio punico, la colonizzazione fu praticata in profondità sino a qualche centinaio di miglia dalla costa, nei territori permeati di civiltà ellenistica, dove la penetrazione era stata pressoché indisturbata, la vita si concentrò sulle coste, nei grandi centri di Pisida, Sabratha, Oeas (Tripoli), Leptis magna, e Tubactis. Il golfo della Gran Sirte rimase pressoché deserto. Nell'interno, alcune vie carovaniere collegavano Tacape e Leptis magna con il più importante centro d'oasi, Cidamus (Ghadames). Così le regioni costiere tra le due Sirti fiorirono maggiormente a partire dal II sec., e alcune città ricevettero l'appellativo onorifico di colonia. I viaggi di Adriano e - soprattutto - la dinastia severiana rappresentarono rispettivamente l'inizio e l'acmè dello splendore delle comunità civiche romane dell'Africa.
Con Settimio Severo il distacco della Numidia fu sancito da un legittimo ordinamento provinciale. Con Diocleziano l'A. entrò a far parte, con la Numidia e la Mauretania Caesariensis, della viii Diocesi, governata da Roma dal prefetto del pretorio, ma di fatto soggetta ai poteri militari di un comes. L'A. fu divisa dai Tetrarchi in proconsularis Zeugitana, che ebbe il suo centro a Cartagine, Byzacena, con capitale a Hadrumetum, e Tripolitana, governata da Leptis magna. L'ordinamento dioclezianeo perdurò nelle linee essenziali anche dopo la fine della dominazione dei Vandali e sino alla conquista degli Arabi, con la sola variazione del titolo del magistrato bizantino incaricato di reggere la diocesi, dapprima chiamato prefetto, poi esarca.
Bibl: Ch. Tissot, Géographie de la province romaine d'Afrique, Parigi 1884-1888; A.C. Pallu de Lessert, Fastes des provinces africaines sous la domination romaine, Parigi 1896-1901; E. Babelon, R. Cagnat, S. Reinach, A. Merlin, Atlas archéologique de la Tunisie, sér. 1ère, Parigi 1892-1913; sér. 2ème, ibid., 1914 cont.; H. Leclercq, L'Afrique chrétienne, Parigi 1904; G. Boissier, L'Afrique romaine, 8, ed., Parigi [1912]; A. Merighi, La Tripolitania antica, Verbania 1940; R. G. Goodchild, The Roman Roads and Milestones of Tripolitania, Reports and Monographs, I, Department of Antiq. Br. Milit. Administr. Tripolitania, 1948; J. M. Reinolds, J. B. Ward Perkins, The Inscriptions of Roman Tripolitania, Roma-Londra 1952; J. Baradez, Fossatum Africae, Parigi 1949; P. Salama, Les voies romaines de l'Afrique du Nord, Algeri 1950; J. Chevalier, Atlas des centuriations romaines de Tunisie, Parigi 1956.
(G. C. Susini)
Iconografia. - Le prime raffigurazioni della personificazione dell'A. risalgono al periodo ellenistico ed hanno, come attributo principale, il copricapo a testa di elefante, in cui son ben visibili la proboscide e le zanne. Questo simbolo è di origine alessandrina ed è un chiaro riferimento a un copricapo usato da Alessandro Magno. L'esempio più antico di una definitiva associazione di questo simbolo con l'A. si trova su uno statere d'oro, coniato da Agatocle di Siracusa tra il 310 e il 304 a. C.: il verso mostra una testa virile ricoperta da un copricapo a testa di elefante che allude chiaramente alla campagna africana di Agatocle e alla sua vittoria contro i Cartaginesi nel 310 a. C. Sin dalla fine del IV sec. a. C. il copricapo a testa di elefante è divenuto il simbolo caratteristico dell'A., e lo troviamo su monete di Giuba I di Numidia (60-46 a. C.), di Bocco II e di Giuba II di Mauretania. Nel periodo repubblicano romano troviamo simili personificazioni dell'A. su monete di Pompeo, Quinto Metello Scipione, Marco Eppio, Quinto Cornificio, Lucio Cestio, Gaio Norbano. Ma copricapi a testa di elefante appaiono anche su monete della Battriana, ad esempio su tetradracmi di Demetrio (190-161 a. C.), senza alcun riferimento diretto all'A. (tuttavia in rapporto con la tradizione di Alessandro Magno). Durante il periodo imperiale lo stesso copricapo appare su monete di Clodius Macer. Per commemorare la visita dell'imperatore Adriano nella provincia (Spart., Vita, 13, 4-6; 22, 14; 13, 4) furono emesse monete di tre tipi esaltanti la provincia, l'adventus dell'imperatore e l'imperatore stesso come restitutor della provincia. Nelle monete del primo tipo, l'A. è rappresentata da una figura femininile giacente (nell'aes e nel denarius appoggiata ad una roccia) con chitone e himàtion, la testa coperta di pelle di elefante, la cornucopia nella destra e, nella sinistra, talvolta spighe di grano, più spesso uno scorpione (Lucan., Phars., ix, 833), mentre ai suoi piedi è un cesto di frutta. Questa immagine dell'A. giacente continua attraverso tutta l'arte antica; sugli aurei della stessa serie A. si appoggia a una cesta di frutta e posa la destra su un leone (Horat., Car., i, 22, 15: Africa leonum arida nutrix); mentre il chitone lascia il petto nudo, la parte inferiore del corpo è coperta dallo himàtion.
Nelle monete del secondo tipo, celebranti l'arrivo dell'imperatore nella provincia, A. in piedi dinanzi all'imperatore indossa un lungo himàtion ed ha spighe di grano o una cornucopia nella sinistra; su alcuni aera dello stesso tipo A. indossa un corto chitone militare e nella sinistra porta un vessillo, chiara allusione dell'omaggio dell'esercito africano.
Nelle monete del terzo tipo, A. indossa un lungo chitone ed un himàtion e nella sinistra stringe alcune spighe di grano, simbolo delle riforme agrarie volute da Adriano. Le raffigurazioni di A. su monete posteriori sono una derivazione dai modelli adrianei; un nuovo attributo, il sistro, appare su monete da Commodo a Caracalla. Su tutte le monete da Massimiano Erculeo a Costantino, l'A., giacente, regge con la destra una zanna di elefante invece di una cornucopia. Di incerta identificazione la personificazione su medaglioni di Diocleziano, Massimiano Erculeo e Costanzo Cloro.
Oltre che su monete, moltissime sono le personificazioni di A. su oggetti vari, quali corniole, lampade, lampade murali etc. La più importante e più completa personificazione dell'allegoria di questa provincia si trova su una patera al Louvre (da Boscoreale), in cui A. è rappresentata come busto femminile carico degli attributi che diverranno canonici per tutte le raffigurazioni successive che abbiamo già esaminato nelle monete; nella sinistra la figura stringe una cornucopia, simbolo della fertilità del suolo (Horat., Sat., ii, 3, 87: frumenti quantum metit Africa; Plin., Nat. hist., xv, 8), con la destra trattiene nelle pieghe del chitone spighe di grano e frutti. Oltre questi attributi, la raffigurazione sulla patera ne presenta molti altri, come il piccolo leone, allegoria di Eracle-Melqart, la pantera di Dioniso, l'uraeus (il serpente sacro a Iside): motivi che hanno fatto pensare a qualche officina alessandrina. Su un'altra piccola tazza di Boscoreale si nota la figura di A. presentata in atteggiamento di provincia capta da Marte ad Augusto, simile come raffigurazione ad un rilievo da Villa Belletti sulla via Appia Nuova, in cui la figura di A. richiama alla mente i prigionieri del Gran Cammeo di Francia (Parigi, Bibl. Nationale) e della gemma augustea (Vienna, Kunsth. Mus.). Una raffigurazione di A. si trova sul noto sarcofago con scena di matrimonio e personificazioni del Commercio Marittimo e dell'Annona al Museo Naz. Romano, datato verso la fine del III sec. d. C. Nella Bibliothèque Nationale di Parigi si trovano bronzetti con raffigurazioni di A.; recentemente sono state scoperte due teste allegoriche di A., una, frammento di una statua, a Lambesi, in Africa settentrionale; l'altra, sul manico di una patera di bronzo, è stata rinvenuta a Calmasino, presso Verona.
Nel campo della pittura un'importante figurazione di A. si trova a Pompei nella Casa del Menandro in un affresco rappresentante Asia, A. e Alessandria. A. è raffigurata come donna di pelle scura adorna degli attributi che già conosciamo. Nel campo del mosaico abbiamo un mosaico a Ostia, del periodo fiavio, un mosaico a Catania presso il Museo dei Benedettini, in cui troviamo i soliti attributi che altri pensa alludano all'Egitto; infine una raffigurazione musiva dell'allegoria dell'A. è nel pavimento dell'ambulacro della caccia (abside meridionale) della villa di Piazza Armerina in cui è rappresentata una donna di pelle scura che regge una zanna di elefante al posto di una cornucopia.
Monumenti considerati. - Monete alessandrine: Cat. Greek Coins in the B. M., Alexandria, p. lxxxiii; monete di Tolomeo I con sul verso la testa di Alessandro coperta di pelle di elefante: Cat. B. M., The Ptolemies, tav. 1, 1, 2, 3, 5, 6, 8; tav. xii, n. 7, tav. xxii, nn. 3, 10; moneta di Agatocle: G. F. Hill, Historical Greek Coins, Londra, tav. viii, n. 65; monete di Numidia e Mauretania: B. V. Head, Historia numorum, Oxford 1911, pp. 885, 888. J. Mazard, Corpus nummorum Numidiae Mauretaniaeque, Parigi 1395, pp. 15, 17, 50, 135; nn. 89, 93, 94-98, 103, 118, 122, 125-134, 296, 400-402, 497, 565-567; monete del periodo repubblicano romano: H. A. Grueber, Coins Roman Republic in the B. M., Londra, 1910: Pompeo: ii, p. 466, n. 20, iii, tav. cx, n. 13; Scipione, Eppio: ii, pp. 573, 574, iii, tav. cxxi, 5, 6, 7; Cornificio: ii, p. 578, iii, tav. cxxii, 1; Cestio, Norbano: i, p. 552; iii, tav. iv, 5, 6; monete del periodo imperiale: Mattingly-Sydenham, The Roman Imperial Coinage, Clodius Macer: i, p. 194, nn. 3, 4, 5, 6; Adriano: ii, p. 374, nn. 289, 299, tav. xiii, 266; ii, p. 376, nn. 315, 316, tav. xiii, 263; ii, p. 337, nn. 322, 323, p. 463, nn. 940, 942; Commodo e Caracalla: iii, pp. 396, 493, nn. 259, 641, tav. xv, 313. Da Massimiano Erculeo a Costantino: H. Cohen, Monn. Emp.; Massimiano Erculeo: iv, p. 500, n. 65; p. 503, n. 91; p. 504, n. 106; Costanzo Cloro: vii, p. 62, n. 33; Galerio: vii, p. 105, n. 26; Massenzio: p. 170, n. 46; Alessandro: p. 185, n. 1; Costantino: i, p. 235, n. 71.
Medaglioni imperiali: F. Gnecchi, I Medaglioni Romani, Milano 1912; Adriano: ii, tav. 45, n. 7; Antonino Pio: tav. 47, nn. 1, 2; Commodo: tav. 75, n. 5; Diocleziano: iii, p. 78, n. 40, tav. 158, n. 11; Massimiano Erculeo: p. 81, n. 34, tav. 158, n. 24; Costanzo Cloro: p. 89, 12, tav. 158, n. 30. Statue, rilievi con A., in P. Jatta, Le rappresentanze figurate delle province romane, Roma 1908, p. 9, 29; M. Bienkowskj, De simulacris barbararum gentium apud Romanos, Cracovia 1900. Patera e tazza di Boscoreale, Mon. Piot, V. Sarcofago delle Terme: Wirth, Röm. Wandmalerei, Berlino 1934, p. 210, fig. 104. Per i bronzetti della Bibliothèque Nationale, J. Babelon, Cat. bronzes ant. de la B. N., pp. 262, 263, fig. 618, 619, 620. Testa allegorica trovata in Africa: Fasti Arch., iv, 1951, 4020. Patera di Calmasino: G. Fogolari, Patera di bronzo rinvenuta a Calmasino, in Studi Storici Veronesi, 1950, p. 239.
Affresco della Casa del Menandro: G. E. Rizzo, Pittura ellenistico-romana, Milano 1929, p. 47, tav. lxxxiii; mosaico di Ostia: Th. Ashby, in Journ. Rom. Stud., ii, 1912, p. 173, fig. 23; M. E. Blake, i, tav. 49; mosaico di Catania: Jatta, fig. 6; R. Engelmann, in Bull. Inst., 1872, p. 97; mosaico di Piazza Armerina: B. Pace, I mosaici di Piazza Armerina, Roma 1955, pp. 67, 68, fig. xii; B. Neutsch, in Arch. Anz., 1954, p. 578; V. Gentili, La villa romana di Piazza Armerina, Roma 1954.
Bibl: J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, Cambridge 1934.
(L. Rocchetti)