Africa
Àfrica. – Agli inizi del secondo millennio l'A. mostra, forse con maggiore evidenza rispetto al passato, il coesistere di modelli di sviluppo e assetti disparati in campo economico, demografico, politico. Tendenze positive e negative individuano ambiti spaziali pressoché continui: l'A. a nord del Sahara e (tendenza recente) l'A. australe sviluppano andamenti progressivamente migliori, sia pure fra incertezze e contraddizioni, mentre nel resto del continente si continuano a riscontrare le condizioni di vita più deplorevoli al mondo. Sotto il profilo demografico, il ritmo di crescita della popolazione e alcuni elementi strutturali negativi sono in attenuazione. L'A. accoglie (2011) circa un miliardo di persone, è il continente con il più alto tasso di crescita (quasi 2,3% annuo) e la sua popolazione negli ultimi vent'anni è aumentata di oltre il 50%; dall'inizio del Novecento al primo decennio del 21° secolo il peso della popolazione africana in quella mondiale è quasi raddoppiato (da circa l'8% a oltre il 15%); l'A. è anche il continente con il più alto tasso di mortalità infantile (7,1%) e la più bassa aspettativa di vita (57 anni). Questi e altri indicatori vanno però mostrando un miglioramento: all'inizio del primo decennio del Duemila la mortalità infantile sfiorava il 9% e la speranza di vita non raggiungeva i 52 anni, mentre nei primi anni Ottanta del Novecento prima il tasso di crescita aveva raggiunto il massimo con il 2,8% annuo. Occorre però insistere sulla drammatica divaricazione dei valori tra singoli Paesi (talché le medie continentali assumono un significato davvero esiguo): se la mortalità infantile in Libia è dell'1,3% (alcuni degli Stati insulari presentano tassi anche migliori), in Ciad raggiunge il 12,4%, in un rapporto che sostanzialmente è di 1 a 10. La questione demografica è comunque solo un aspetto (e non necessariamente il più rilevante, malgrado i ricorrenti allarmi sul sovrappopolamento del continente) della generale situazione dell'A. Vi si intrecciano continue turbolenze politiche, interne e internazionali, che investono quasi indifferentemente tutte le regioni (con l'unica, e parziale, eccezione dell'A. meridionale); perdita di rilevanza e di autorità degli Stati legali (dall'A. settentrionale al Golfo di Guinea, dall'area nilotica al bacino del Congo), con la virtuale scomparsa di alcuni Stati (Somalia), la perdita di coesione di altri (Nigeria, Repubblica Democratica del Congo), la nascita di altri ancora (Sudan Meridionale); meccanismi di crescita economica discontinui, vulnerabili, dipendenti dall'esterno, e in generale così gravemente squilibrati all'interno da non garantire un'adeguata redistribuzione della ricchezza neppure nei Paesi che presentano surplus commerciali o produzione interna elevata; situazioni sociali irrigidite e generalmente deficitarie (sono africani gli ultimi Paesi nelle liste mondiali per indice di sviluppo umano e per PIL pro capite), che tra l'altro concorrono a spingere all'emigrazione le classi giovanili e istruite; nonché la persistente intromissione di poteri economici, politici e militari esterni al continente che, in una forma o nell'altra, finiscono per perpetuare condizioni di subalternità che inibiscono l'innesco di processi autopropulsivi – a questo proposito, hanno fatto scalpore nell'ultimo decennio il vivace attivismo della Cina in A., impegnata in molti paesi nella realizzazione di infrastrutture e nell'apertura di mercati alla propria industria, e la diffusione del fenomeno del land grabbing (v.). Sotto il profilo socioeconomico va ribadito che, per quanto alcuni Paesi (Guinea Equatoriale, Botswana, Sudafrica e altri) presentino PIL pro capite mediamente elevati, la distribuzione della ricchezza in A. è massimamente squilibrata: sono tutti africani i Paesi per i quali l'indice di Gini applicato alla distribuzione della ricchezza supera il valore 0,6: Centrafrica, Sierra Leone, Botswana, Lesotho, Sudafrica, Seychelles e Namibia (che con un indice 0,71 è il Paese del mondo in cui la distribuzione della ricchezza è meno equa).