AFRICA
(I, p. 730 e App. I, p. 57).
Sommario. - Geografia: Esplorazione e studî (p. 67); Geologia (p. 68); Clima (p. 68); Produzioni e condizioni economiche (p. 69); Comunicazioni (p. 70); Popolazione (p. 71); Assetto politico e colonizzazione (p. 71). - storia: Nuove dottrine politiche sui rapporti fra Europa ed Africa (p. 72); La politica interna in Africa nel decennio anteriore alla seconda Guerra mondiale (p. 73); L'Africa nella politica estera della Germania alla vigilia della seconda Guerra mondiale (p. 73); L'Africa nella politica estera italiana dal 1936 al 1940 (p. 74); Conseguenze politiche e movimenti di idee in Africa durante la seconda Guerra mondiale (p. 74); Francia e Belgio in Africa durante e dopo la guerra (p. 75). - L'Africa settentrionale nella seconda Guerra mondiale: Caratteristiche generali della guerra in Africa (p. 75); Forze inizialmente contrapposte (p. 76); Piani di campagna e di operazioni (p. 77); Schieramento iniziale (p. 77); Sviluppo delle operazioni (77).
Geografia.
Esplorazioni e studî (I, p. 730 e App. I, p. 57). - Due grandi opere sull'Africa, terminate quasi contemporaneamente, nella Géographie universelle dell'editore Colin (Parigi 1938-39; autori A. Bernard e P. Maurette) e nel Handbuch der geographischen Wissenschaft (Potsdam 1939; autori F. Klute, L. Wittschell e A. Kauffmann) porgono un quadro generale del continente in base alle conoscenze che si possedevano una dozzina o quindicina di anni fa; nel 1938 poi fu tenuto a Roma un convegno sull'Africa nel quale molti tra i problemi generali più interessanti relativi a questo continente furono esposti e discussi da studiosi di tutte le nazioni civili.
L'esplorazione dell'Africa è continuata anche in questi ultimi anni; ma, chiusosi ormai quello che fu detto il periodo eroico delle scoperte africane, essa si effettua mediante indagini sistematiche, ma più approfondite e su aree ristrette. Tra le spedizioni i cui risultati hanno interesse generale occupano sempre il primo posto quelle aventi per oggetto il Sahara e le regioni contermini: le spedizioni della Società geografica italiana a Cufra, nel Fezzan (i cui risultati definitivi furono resi noti a partire dal 1936) e nel Tibesti (specialmente A. Desio: 1936 e 1940; inoltre Monterin, ecc.), quelle di Th. Monod (dal 1934) nelle plaghe meno note del Sahara occidentale, e di altri esploratori francesi nell'Hoggar e nel Tanezruft, con parecchi itinerarî almeno in parte nuovi; una spedizione diretta di T. Thebinger nel Tibesti (1937), una più recente spedizione francese nel Fezzan (J. Despois e altri), spedizioni egiziane nel deserto libico occidentale (Gilf Kibir, Natrun, ecc.). Un complesso molto ragguardevole di spedizioni, specialmente italiane, ma anche tedesche, ecc., riguarda l'Africa Orientale (missione diretta da G. Dainelli al Lago Tana, eccellente esempio di spedizione geografica organizzata con criterî moderni; missioni e ricerche nelle regioni galla e sidama, nello Uollega, nella Dancalia, nei Borana; missioni di studio in Somalia; ecc.). La regione del Lago Rikwa, una tra le meno note dell'Africa orientale, fu esplorata nel 1938 da V. E. Fuchs.
Alcune delle regioni meno conosciute dell'area a foresta equatoriale furono percorse da spedizioni che avevano per oggetto lo studio di gruppi di popolazioni indigene poco note, quali i Pigmei del fiume Ituri studiati in più viaggi dal p. Schebesta.
Allo studio di problemi morfologici erano dirette invece spedizioni a largo raggio nel Sudafrica, come quella di E. Obst e K. Kayser (1935-1936), i cui risultati hanno interesse per la conoscenza generale della morfologia africana.
Nella attuale fase di riconoscimento del continente africano aiuti sempre più efficaci vengono dall'impiego dei mezzi automobilistici e aerei: questi ultimi sono poi utilizzati largamente nel rilevamento cartografico e con risultati paragonabili, per esattezza, con quelli del rilevamento ordinario a terra.
Per quanto riguarda la cartografia, sono stati pubblicati (a tutto il 1947) i fogli della carta internazionale al milionesimo per tutta la sezione a nord dell'Equatore, salvo una parte del Congo Belga (85 fogli) e una dozzina di altri fogli dell'Africa australe; molti dei fogli sono peraltro in edizione provvisoria. È terminata una carta al 2 milioni in 38 fogli edita in collaborazione fra gli uffici topografici militari britannico e francese, ed esiste anche una buona carta ipsometrica al 4 milioni, inglese (per l'Africa a nord dell'Equatore anche in edizione italiana).
Carte a scala maggiore (400.000 o 500.000) esistono ma eseguite con metodi diversi per la maggior parte dell'Africa, tranne il Sahara centrale, il Sudan Anglo-Egiziano, l'Africa Orientale e le colonie portoghesi. Ma per il Sudan Anglo-Egiziano c'è una buona carta al 250.000 e a scale prossime a questa (200-000 ovvero 300.000) si trovano rappresentate tutta l'Africa Settentrionale Francese, buona parte dell'Africa Occidentale, i territorî coloniali ex germanici, buona parte dell'Unione Sudafricana e anche una parte notevole del Congo Belga e dell'Africa Orientale Britannica.
Geologia (I, p. 735). - I numerosissimi studî geologici particolari non possono essere menzionati qui; ma conviene accennare che essi permettono sintesi generali assai più soddisfacenti di quelle di una ventina d'anni fa: una carta geologica internazionale al 5 milioni è stata pubblicata nel 1939 a Parigi dal Bureau d'études géologiques et minières coloniales; un'opera geologica generale sull'Africa ha visto la luce nel 1943 come parte di un vastissimo manuale su questo continente diretto da E. Obst (v. bibliografia).
Clima (I, p. 740). - Altrettanto deve dirsi per il clima: lo straordinario moltiplicarsi delle stazioni meteorologiche in ogni parte del continente permette di perfezionare le nostre conoscenze specialmente sulle piogge ed il loro regime che costituiscono in Africa l'elemento climatico più importante; ciò è dimostrato dalle carte pluviometriche della Libia e dell'Africa Orientale (Fantoli), del Sahara (Capot Rey, 1940), del bacino del Congo (Pfalz, 1943) dell'Unione Sudafricana (Hafemann, 1943), ecc.
Un problema di grande interesse ha negli ultimi anni richiamato l'attenzione degli studiosi: il presunto progressivo inaridimento dell'Africa che si manifesterebbe soprattutto nel Sahara occidentale col graduale avanzarsi del deserto verso sud, ai confini col Sudan. Ma parecchie indagini particolari e soprattutto le ricerche di una speciale commissione che ha compiuto vaste e scrupolose inchieste locali, tendono ad escludere l'esistenza del fenomeno, come fatto generale e continuo: vi è piuttosto probabile alternanza di cicli più o meno umidi, vi sono effetti, apparentemente legati col clima, ma più probabilmente operati dall'uomo. Le piogge, nella media, non si riscontrano in diminuzione; indizî sicuri di abbassamento delle falde di acque profonde, come fatto generale, non vi sono. Ma, d'altro lato, è forse esagerata la conclusione che il clima del Sahara sia a un dipresso stabile da 8-10.000 anni.
Un altro problema, connesso almeno in parte col clima, e che è stato oggetto di numerosi studî, è quello della degradazione del suolo superficiale, che si manifesta in modo quanto mai preoccupante in molte parti dell'Africa tropicale ed anche della subtropicale. Nell'Unione Sudafricana il Ministero dell'agricoltura e foreste ha fatto eseguire accurate ricognizioni su larghe estensioni (H. H. Bennett e altri): il suolo agricolo si sarebbe ridotto, rispetto all'area primitiva, perfino del 25%: le regioni più danneggiate sono il Transvaal settentrionale ed alcune plaghe dell'Africa di SO. Per la regione montuosa alle sorgenti dell'Orange uno studioso parla di "tragedia della montagna". Sono allo studio vasti piani per rimediare ai danni più immediati e per frenare l'intensificarsi del fenomeno. Nell'Africa Occidentale esso si presenta su vasta scala nelle provincie settentrionali e orientali della Nigeria, nei territorî settentrionali della Costa d'Oro, nella Sierra Leone; intervengono ad aggravarlo la deforestazione e l'estensione del pascolo. Il fenomeno è segnalato, con minor gravità, nel Mozambico, nell'Angola, nel Sudan Anglo-Egiziano: quivi è stato istituito un Soil Conservation Committee, che esercita una efficace azione di sorveglianza. Nell'Africa mediterranea la degradazione del suolo ha minore importanza.
Produzioni e condizioni economiche (I, p. 749 e App. I, p. 57). - Nel valutare l'importanza attuale dell'Africa nel campo della produzione agricola, bisogna distinguere i prodotti delle zone temperate da quelli delle zone tropicali. Tra i primi (Africa mediterranea e regione del Capo) hanno qualche peso solo l'ulivo (circa 8% della produzione mondiale di olio) e la vite (11% della produzione mondiale di vino). Tra i prodotti che servono all'alimentazione delle popolazioni locali, va segnalato soprattutto, per il suo notevole incremento nell'ultimo decennio, il riso (Egitto, Madagascar, Africa Occidentale Francese e paesi della Guinea), del quale i due primi paesi sono già esportatori; per altri prodotti (orzo, miglio e affini, manioca, igname) l'Africa provvede ormai, in tempi normali, quasi interamente ai propiî bisogni. Nell'Africa intertropicale gli Europei cercano di dare sviluppo soprattutto alle piantagioni. Tra le piante tessili ha fatto progressi in prima linea: il cotone nel Sudan Anglo-Egiziano, nell'Uganda e in tutta la regione sorgentifera del Nilo, in altre parti dell'Africa Orientale, nella Nigeria, nel Congo Belga, nell'Ubanghi - Sciari (A. E. F.); la produzione totale africana si ragguaglia forse oggi al 10-11% di quella mondiale (6% della media del quinquennio 1925-29). Nell'Africa Orientale si estendono le piantagioni di agave sisalana e di kapok.
La produzione del caucciù, che fino al 1933 era in declino, ha poi segnato una ripresa, prima lenta, poi più rapida soprattutto per la situazione determinata dalla seconda Guerra mondiale: le piantagioni di hevea si sono estese soprattutto nella Liberia, nella Nigeria meridionale, nel Congo Belga e nell'Africa Equatoriale Francese (la produzione totale africana del 1946 si calcolava a oltre 32.000 tonn.: il quadruplo circa della media 1934-38). Anche l'olio e le noci di palma, che prima provenivano dalla raccolta spontanea, ora sono dati in buona parte da piantagioni della Nigeria, del Congo Belga, dell'Africa Equatoriale Francese, del Camerun, ecc. Questi paesi ed altri dell'Africa Occidentale sono di gran lunga i principali esportatori. In diminuzione è invece l'arachide, di cui l'Africa non dà oggi forse più del 12-13% del totale mondiale (in confronto a 18-19% nel 1934-38); per lo più in diminuzione, almeno nell'Africa Orientale, il sesamo, che invece si estende in Egitto. Qui, e anche nel Mozambico, nel Natal, nell'Angola è in aumento la coltivazione della canna da zucchero (che tende invece a diminuire a Mauritius): l'Africa dà ora forse il 6,5% del totale mondiale (4,5% nella media 1924-28). Il caffè è pure in notevole aumento, grazie alla diffusione acquistata dalle piantagioni nel Congo Belga (specie nella regione del Kivu) e anche nell'Africa Orientale, nella Liberia, ecc. (6% del totale mondiale), è in aumento probabilmente anche il tè. Di cacao l'Africa seguita a fornire circa i due terzi del totale mondiale: la produzione è in aumento nella Nigeria, nel Camerun, a S. Tomé, in stasi o in diminuzione altrove. Tra le frutta avevano assunto importanza per l'esportazione i banani, le cui piantagioni si estendevano nell'Africa Occidentale Francese, nel Camerun, nella Somalia, nel Mozambico: prima del secondo conflitto mondiale l'Africa concorreva per l'11% all'esportazione mondiale (media del quinquenno 1934-38;8% nella media del 1924-28).
Per quanto si riferisce al bestiame di allevamento, le statistiche più sicure davano per il 1938, nel complesso di tutti i paesi africani, circa 65 milioni di bovini (9,5% del totale mondiale), 96 milioni di pecore (13%), oltre 56 milioni di capre (circa il 25%), 4.650.000 cammelli (60%). L'Africa dava al commercio circa il 5,5% del totale mondiale di carni bovine, il 12,5% di carni ovine e caprine, il 9,5% della lana greggia. Riguardo ai prodotti del sottosuolo, il fatto più meritevole di essere segnalato è forse il grande incremento della produzione del rame, determinato soprattutto dalle miniere della Rhodesia del Nord, oggi al terzo posto fra i paesi mondiali produttori di rame (dopo Stati Uniti e Chile), avendo superato il Canada. Dopo la Rhodesia viene il Congo Belga e, a grandissima distanza, l'Unione Sudafricana; nell'insieme l'Africa dà oggi circa un quinto del prodotto mondiale. Anche per lo stagno si registra un grande incremento, dovuto allo sfruttamento delle miniere della Nigeria e del Congo Belga (12% della produzione mondiale). Per il manganese la compartecipazione dell'Africa sale al 22%, in virtù dei giacimenti della Costa d'Oro scoperti nel 1914, del Marocco, dell'Unione Sudafricana; per il cromo è del 35% (Unione Sudafricana e Rhodesia del Sud); per il cobalto dell'87% (Congo Belga, Rhodesia del Nord, Marocco; le antiche miniere della Nuova Caledonia e dell'Ontario nel Canada sono passate assolutamente in seconda linea). Invece per il ferro la produzione, nel quadro mondiale, rimane modesta: ai ricchi giacimenti dell'Algeria e del Transvaal si sono aggiunti quelli della Sierra Leone, mentre in altri paesi equatoriali, dove la coltre superficiale di laterite offrirebbe, a quanto sembra, notevoli prospettive, non si hanno ancora avviamenti di qualche rilievo; ma le possibilità future del continente sembrano assai più ragguardevoli di quanto non si ritenesse in passato. Per il piombo (Tunisia, Marocco, Africa di SO., Congo Belga) la produzione africana raggiunge appena il 4% del totale mondiale.
Il primato africano nella produzione dell'oro non solo si mantiene ma accenna ad aumentare (65% del totale mondiale nel 1942), perché ai giacimenti del Transvaal - più di 4/5 del totale africano - si aggiungono quelli della Rhodesia del Nord, della Costa d'Oro, del Congo Belga e, in molto minor proporzione, di parecchi altri paesi (Kenya, Tanganica, Africa Occidentale Francese, Sierra Leone ecc.). L'argento non ha importanza; per il platino l'Africa dà forse il 10% del totale mondiale (Sudafrica ed Etiopia); per i diamanti dà più del 95% (distretto di Kimberley e altri dell'Unione Sudafricana); notevolissima la produzione dei minerali di radio (Congo Belga) e di tantalio (Nigeria, Congo Belga, ecc.). Altri prodotti minerali per i quali l'Africa ha importanza nei mercati mondiali sono l'amianto, in notevole incremento (Rhodesia del Sud e Unione Sudafricana), la mica (Madagascar, Unione Sudafricana, ecc.), la grafite (Madagascar), i fosfati (Africa Settentrionale Francese ed Egitto: 33% della produzione mondiale). Invece per i combustibili fossili, nonostante la produzione, ormai ragguardevole ed in aumento, dell'Unione Sudafricana (21-23 milioni di tonn.), il contributo dell'Africa non arriva al 2% del totale mondiale; pressoché nulla è la produzione di petrolio cui non concorre, e in minima parte, che l'Egitto.
L'Africa ha enormi riserve di energie idroelettriche, calcolate a non meno di 190 milioni di CV (circa il 40% del totale mondiale), ma di esse una parte assolutamente minima è finora utilizzata. Cominciano ad essere sfruttate le risorse dell'Atlante (Algeria, Marocco) e quelle del Sudafrica, le une e le altre assai modeste rispetto a quelle dell'Africa intertropicale, finora praticamente intatte.
La Guerra mondiale ha dato impulso, in molti paesi africani, ad attività industriali, dirette a provvedere articoli di varie specie dei quali diveniva difficile l'importazione. Così in Egitto hanno assunto notevole sviluppo l'industria cotoniera e lo zuccherificio, inoltre l'industria dei cementi e di altri materiali da costruzione; nel Sudafrica varî rami di industrie meccaniche e chimiche, la fabbricazione di pneumatici, di calzature e altri oggetti in cuoio; in molti paesi il cementificio (Marocco, Madagascar, ecc.); nell'Eritrea, che si è trovata per lungo tempo del tutto isolata, molte industrie basate sulla trasformazione di prodotti locali, ecc. Ma non può dirsi quali e quante di tali attività siano destinate a consolidarsi ed a svilupparsi. In Egitto è stato studiato un piano organico di industrializzazione.
La partecipazione dell'Africa al commercio mondiale, negli anni precedenti la seconda Guerra mondiale era molto modesta: si calcolava (1938) a circa 5,1% per l'importazione e a 4,6% per l'esportazione. Come cause di ciò si indicavano principalmente: da un lato l'attitudine passiva degli indigeni rispetto alle attività agricole, industriali e commerciali alimentatrici dei traffici esterni e dall'altro l'avviamento ancor troppo recente delle attività coloniali europee. Ma indubbiamente i clienti dell'Africa venivano aumentando, Così come si allargava il raggio delle esportazioni. Quali saranno le conseguenze del conflitto non si può prevedere, però due fatti possono fin da ora essere segnalati: la scomparsa del Giappone dai mercati dell'Africa orientale, dove esso era soprattutto importatore, e le allargate relazioni tra gli Stati Uniti e i paesi africani in genere (specialmente Africa mediterranea ed atlantica); ma le nuove correnti dei traffici non possono dirsi ancora stabilizzate.
Comunicazioni (I, p. 751 e App. I, p. 57). - Per quanto riguarda le comunicazioni, la fisionomia dell'Africa va mutando rapidamente. L'Africa ha oggi circa 75.000 km. di ferrovie (appena il 5,7% del totale mondiale) con cinque o sei diversi scartamenti. Sono a scartamento normale soltanto la linea Tunisi-Casablanca, quella Alessandria-Cairo-Assuan e poche altre; a scartamento 1.667 tutta la rete del Sudafrica, e i raccordi principali dell'Angola, del Congo Belga e del Mozambico, le linee del Sudan Anglo-Egiziano, della Nigeria e della Costa d'oro, a scartamento minore tutte le altre. Tra le nuove linee ha il primo posto la Transahariana francese, la cui costruzione, dopo mezzo secolo di discussioni e di progetti, è stata iniziata sul percorso Colomb Béchar-Reggan-Bidon 5-In Tauit-Gao; sono previsti i raccordi con la ferrovia del Niger che oggi arriva fino a Segu, con quella della Costa d' Avorio che oggi sale fino a Ouagadougou e con quella del Dahomey. Tra le ferrovie progettate vi sono il prolungamento della ferrovia della Nigeria fino al lago Ciad, il collegamento della ferrovia della Costa d'Avorio col Niger (Bobo Djoulasso-Segu), il prolungamento della ferrovia del Kasai, che oggi termina a Port Francqui, fino a Léopoldville, il collegamento diretto della ferrovia della Rhodesia col porto di Beira, mediante il tronco Kafue-Sawi e l'allacciamento del Congo (Stanleyville) col lago Alberto. Ma molte delle ferrovie africane risultano di gestione onerosa, perché, essendo state costruite con criterî eccessivamente economici, hanno pendenze troppo forti e raggi di curvatura ridotti (allo scopo di risparmiare costose opere costruttive) e perciò consentono sui treni carichi netti molto bassi: si deve perciò moltiplicare il numero dei treni a basso carico, con costo di esercizio molto elevato (consumo di combustibile, di materiale rotabile, spese per riparazioni ecc.), e impiego sproporzionato di personale, solo in parte compensato dai bassi salarî corrisposti agli indigeni che forniscono ora la massima parte degli impiegati. La trazione elettrica è stata finora sperimentata solo nel Marocco ed in Algeria e la sua convenienza, dal punto di vista economico, è dubbia.
Queste ragioni spiegano, almeno in parte, perché le ferrovie africane non abbiano avuto, negli ultimi decennî, lo sviluppo che molti si aspettavano. La rete delle strade per il traffico automobilistico, che in molti casi può far concorrenza favorevolmente al traffico ferroviario, si è invece molto estesa ed i servizî pubblici vi si sono moltiplicati. Tre strade automobilistiche regolarmente mantenute traversano il Sahara francese: la più frequentata è quella dell'Algeria per Insalah a Tamar'asset e a Gao. Durante la guerra mondiale fu costruita una grande strada che allaccia il Camerun al Sudan Anglo-Egiziano: da Duala per Banghi a Kodok sul Nilo ed a Khartum, con una diramazione per Fort Lamy, Abeshr ed El Fasher fino a El Obeid dove termina attualmente la ferrovia proveniente da Omdurman; entrambe le strade sono percorribili tutto l'anno e su di esse il traffico durante la guerra è stato assai intenso. La seconda delle strade su menzionate è anche collegata alla rete costruita dagli Italiani nel Sahara centrale. Tra le altre opere grandiose più recenti vanno poi ricordate la litoranea libica dal confine tunisino a quello egiziano, che rende possibile il percorso automobilistico da Tunisi ad Alessandria; le strade dell'Etiopia (Asmara-Addis Abeba, ecc.) e quelle dall'Etiopia alla Somalia, costruite dall'Italia, la strada dalla Rhodesia al Kenya, la quale, oltre ad aprire l'accesso a zone prima assai segregate della regione fra l'alto Congo e il lago Niassa, costituisce una comunicazione diretta fra il Sudafrica e l'Africa Orientale Britannica. Servizî automobilistici integrano quelli ferroviarî stabilendo collegamenti, specie nell'alto Nilo, fra il Congo e i Grandi laghi e nell'Africa Orientale. È molto migliorata anche la rete delle strade automobilistiche del Madagascar.
La rete aerea africana ha ormai assunto una propria fisionomia: la sua caratteristica è quella di provvedere alle comunicazioni rapide fra il Mediterraneo e i paesi della Guinea e del Congo, e fra il Mediterraneo e il Capo. Da Casablanca (collegata alla rete aerea europea e ad Algeri) linee aeree collegano tutti gli scali dell'Africa occidentale fino al Camerun (Bula) con prosecuzione per Brazzaville, Léopoldville ed Èlisabethville. Tre linee regolari traversano il Sahara, due in partenza da Algeri, una da Tripoli, con arrivo a Niamey e Lagos, a Kano e Fort Lamy e proseguimento su Léopoldville. Tripoli è collegata con Tunisi e con il Cairo; Kano e Fort Lamy con Khartum. È stata ripristinata la linea Roma-Cairo-Addis Abeba. La linea più diretta col Capo è la Cairo-Khartum-Nairobi-Johannesburg. Un'altra linea compie il percorso Nairobi-Zanzibar-Lindi-Beira-Johannesburg. Una linea da Lindi a Tananarivo provvede al collegamento con il Madagascar. Èlisabethville è pure collegata con Johannesburg e perciò con la rete interna del Sudafrica. Dakar e Bissau sono scali di linee aeree per l'America attraverso l'Atlantico meridionale.
Il mezzo aereo ha perciò trionfato dei due maggiori ostacoli che offriva un tempo il continente nero: il deserto e la foresta tropicale.
La navigazione fluviale, mezzo economico, ma lungo, non tende ad aumentare d'importanza; si sviluppa invece il traffico sui maggiori laghi: Vittoria, Alberto, Tanganica e Niassa; su tutti gli altri è insignificante.
Per quanto riguarda la navigazione marittima, si può segnalare il miglioramento nell'attrezzatura di alcuni grandi porti, anche in dipendenza di necessità belliche. Tra quelli maggiormente avvantaggiatisi negli ultimi anni sono Casablanca, Dakar, Freetown, Lagos, Città del Capo, Port Elisabeth e Massaua.
Il movimento attraverso il Canale di Suez ha ripreso in pieno già nel 1945, superando i 25 milioni di t.; ma la maggior parte di esso è dato dal traffico da e per l'Asia e l'Australia: per tre quinti circa è rappresentato dalla bandiera britannica, per più di un altro quinto da quella statunitense.
Popolazione (I, p. 753 e App. I, p. 64). - Riguardo alla popolazione dell'Africa, nel 1940 essa si calcolava a 169 milioni di ab., e alla fine del 1947 a 175 milioni in cifra tonda. Si può osservare, in linea di massima, che il suo incremento nell'ultimo secolo ha proceduto con ritmo analogo a quello degli altri continenti del Mondo antico; il numero assoluto degli abitanti è infatti, in cento anni circa, un po' più che raddoppiato: si calcolavano a 80 milioni nel 1850 (nello stesso periodo in Europa si è passati da 263 a 550 milioni, in Asia da 675 a 1280). All'opposto, nelle Americhe il numero si è più che quintuplicato. Ma profondo è invece il contrasto fra l'Africa e gli altri due membri del Mondo antico per la capacità di popolamento, per la quale si hanno accurati calcoli recenti (Hollstein, 1937): essi dànno, per l'intero continente, una cifra superiore a 3800 milioni di ab. (circa 22 volte l'attuale); massima capacità di popolamento avrebbero le regioni a savane del Sudan, dell'Africa Orientale e degli altipiani meridionali. Ma questi calcoli hanno più che altro valore teorico perché non tengono conto di fattori essenziali, quale l'acclimazione, ecc.
Lo sviluppo dei centri urbani nell'ultimo decennio ha proceduto con notevole ritmo: vi sono ora, in tutto il continente, 25 città con più di 100.000 ab. delle quali 14 nell'Africa mediterranea, 6 nell'Africa australe e 5 nell'intertropicale.
Tra gli studî recenti sulle popolazioni africane meritano di essere rilevati soprattutto alcuni che, riguardando gruppi meno noti perché posti in aree più segregate, come i Pigmei (missioni del p. Schebesta, ecc.), alcune genti del Camerun settentrionale, i Tebu del Sahara, alcuni gruppi etiopici (Sidama, Borana, genti nilotiche dell'Ovest, ecc.), vengono a completare sempre meglio il quadro etnografico generale dell'Africa: il lettore italiano trova un buon riassunto nell'opera di R. Biasutti: Razze e popoli della Terra (vol. II, 1941).
Assetto politico e colonizzazione (I, p. 754 e App. I, p. 54). - Tra i problemi generali della colonizzazione più discussi negli ultimi anni, sono da menzionare quelli relativi alla utilizzazione della mano d'opera e del lavoro indigeno, quelli concernenti i rapporti fra indigeni ed Europei, quelli riguardanti l'acclimazione dei Bianchi nell'Africa tropicale. Mentre nell'Africa mediterranea ci si avvia sempre più verso una convivenza su piede di parità fra l'elemento indigeno e l'europeo talché, nonostante gli ostacoli e le resistenze tuttora vivaci, si intravede facilmente quale possa essere l'esito finale, nell'Africa tropicale, mentre aumenta la partecipazione degli indigeni ad ogni sorta di attività coloniali europee ed il livello culturale e sociale degli indigeni stessi si viene elevando, vi è ancora una profonda divisione fra l'ambiente indigeno e quello europeo. Gli indigeni, che dànno l'opera loro alle iniziative europee, avulsi dal loro ambiente tradizionale, sciolti dagli ordinamenti della tribù o del gruppo cui appartenevano, non trovano alcun surrogato, rimangono in un isolamento sociale, non partecipano in genere alla vita pubblica. Movimenti che tendono verso nuove forme di organizzazione sociale degli indigeni non mancano, ma appaiono ancora poco coordinati e non ben definiti nei loro programmi. E lo stesso può ripetersi per le tendenze verso affermazioni di autonomia o indipendenza nel campo politico.
In seguito al secondo conflitto mondiale, l'Etiopia (v. in questa App.) è stata ricostituita come organismo politico indipendente, entro confini non ancora definitivamente delimitati, con una superficie variabile fra 900.000 e 1.150.000 kmq. secondo i diversi calcoli. Tangeri e il territorio circostante, internazionalizzati col trattato anglo-franco-spagnuolo del 27 novembre 1912, occupati da truppe spagnuole nel novembre 1940 ed annessi ai territorí spagnuoli del Marocco, sono stati ricondotti nel 1945 al regime di amministrazione internazionale cui partecipano anche gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica (v. tangeri, in questa App.). Un trattato anglo-egiziano del 1936 ha posto termine alla occupazione militare britannica nell'Egitto lasciando alcune questioni pendenti (v. egitto, in questa App.).
In tutti i territorî coloniali a mandato, viene sostituita, a questa forma di regime, quella detta della "amministrazione fiduciaria" (v. appresso, Storia), sotto la sorveglianza delle NU. A seguito del trattato di pace che ha posto fine alla seconda Guerra mondiale, l'Italia ha dovuto rinunziare alla sovranità sui territorî africani già alle sue dipendenze, sottoposti all'amministrazione militare britannica, in nome delle quattro grandi potenze, fino a tanto che queste non si siano accordate sulla loro definitiva sistemazione; in mancanza di tale accordo, entro il 15 settembre 1948, la questione deve essere deferita all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
La situazione politica dei territorî africani legati alla Francia risulta profondamente modificata in seguito alla creazione della Union Française (v. unione francese, in questa App.), che comprende la repubblica francese con le sue pertinenze d'oltremare da un lato, i territorî e gli stati associati dall'altro. L'Algeria (v. in questa App.) viene parificata alla metropoli comprendendo un gruppo di dipartimenti (20) con propria organizzazione ed autonomia finanziaria; tutti gli algerini sono cittadini francesi ed eleggono i deputati (30) all'assemblea nazionale e i rappresentanti nel consiglio della repubblica. Un dipartimento d'oltremare è l'isola di Réunion. Sono Stati associati dell'Unione la Tunisia (dal 1946) e il Marocco (dal 1947). L'Africa Occidentale Francese, l'Africa Equatoriale Francese, Madagascar e la Somalia Francese costituiscono territorî d'oltremare dell'Unione francese, rappresentati sia nell'assemblea dell'Unione, sia nell'assemblea nazionale metropolitana e nel consiglio della repubblica.
Per quanto riguarda i territorî legati in vario modo all'Impero britannico, l'Unione Sudafricana si avvia verso la completa indipendenza e tende inoltre ad una politica di sempre maggiore compartecipazione in tutte le questioni riguardanti l'assetto dell'Africa vera e propria (a sud del Sahara); i territorî dell'Africa orientale - Kenya, Uganda, Tanganica, Niassa - già collegati da una unione doganale, tendono verso un regime federativo; in altri territorî (Nigeria, Rhodesie, ecc.). i consigli legislativi ed esecutivi locali che assistono i governatori, tendono ad ampliare i loro poteri.
Bibl.: W. Fitzgerald, Africa. A social, economic and political Geography of its maior regions, Londra 1934; E. Krenkel, Geologie Afrikas, 3 voll., Berlino 1934-38; D. Westermann, The African to-day, Intern. Instit. of African languages and cultures, Londra 1934; J. Weulersse, L'Afrique noire, Parigi 1934; F. Klute, Allgemeine Länderkunde von Afrika, Hannover 1935; A. Dardano, R. Riccardi, Atlante d'Africa, Milano 1936; Att. Mori, Africa in generale. Africa minore, ecc., Milano 1936; A. Bernard, Afrique septentrionale et occidentale (Géogr. Univers. T. XI), Parigi 1936-39; F. Maurette, Afrique équatoriale orientale et australe (Géogr. Univers. T. XII), Parigi 1938; B. Francolini, Africa d'oggi. Aspetti e problemi della colonizzazione europea, Bologna 1937; L. Waibel, Die Rohstoffgebiete des tropischen Afrika, Lipsia 1937; Hailey, An African Survey. A study of problems arising in Africa south of the Sahara, Comm. of the African Research Survey, Londra 1938; E. F. Gautier, L'Afrique blanche, Parigi 1939; D. Hall, Soil Erosion: the Growth of the Desert in Africa and elsewhere, Washington 1939; P. J. Rorhbach, Afrika heute und morgen. Grundlinien europäischer Kolonialpolitik in Afrika, Berlino 1939; F. Klute, L. Wittschell, A. Kaufmann, Afrika in Natur, Kultur und Wirtschaft, Potsdam 1939; R. Accademia d'Italia, Convegno (Volta) di Scienze morali e storiche. L'Africa, 2 voll., Roma 1939; H. Baumann, R. Thurnwald, D. Westermann, Völkerkunde von Afrika, Essen 1940; E. Obst, Afrika. Handb. der praktischen Kolonialwissensch., III, Der geologische Bau, die nutzbaren Lagerstätten und die Bergwirtschaft Afrikas, Berlino 1940-43; H. L. Shantz, Agricultural Regions of Africa, in Economic Geography, Worcester, voll. XVI-XIX, 1940-43; E. Massi, L'Africa economica, I, Milano 1941; R. U. Light, Focus on Africa, New York 1941 (raccolta di fotografie); Th. Bohner, Afrika. Erdteil europäischer Verheissung, Lipsia 1941; K. H. Dietzel, O. Schmieder, H. Schmitthener, Lebensumfragen europäischer Völker, II, Europas koloniale Ergänzungsräume, Lipsia 1941 (vol. in gran parte dedicato all'Africa); K. Remy, Kriterien der Leistungsfähigkeit, Beanspruchung und Wirtschaftlichkeit kolonialafrikanischer Eisenbahnen, in Beiträge zur Kolonialforschung, I, 1942; F. Schumacher, Mineralische Rohstoffe und Bergbau Afrikas, in Beitr. zur Kolonialforschung, II; W. Eggers, Zur kartographischen Erschliessung Afrikas, in Zeitschr. für Erdkunde, 1943; H. A. Wieschhoff, Colonial Policies in Africa, Philadelphia 1944; R. Furon, Les ressources minérales de l'Afrique, Parigi 1944; H. H. Bennet, Soil Erosion and Land Use in the Union of South Africa, Pretoria 1945.
Storia (p. 790).
Nuove dottrine politiche sui rapporti fra Europa ed Africa. - Un importante fattore politico della nuova fase di storia dell'Africa fu certamente il conflitto italo-etiopico del 1935-36. Il conflitto mosse da incidenti locali, ma per formale iniziativa dell'Etiopia fu portato alla Società delle nazioni; e quindi venne ad essere politicamente impostato non più come una questione territoriale africana isolatamente risolvibile, ma invece come una lotta di resistenza tra l'organizzazione della Società delle nazioni ed una delle maggiori potenze partecipanti. Ancora una volta, quindi, una questione africana veniva ad assumere un valore determinante in una fase assai delicata della politica mondiale, dimostrando praticamente non soltanto quanto di vero sia nel concetto già formulato da politici e giuristi della "indivisibilità della pace" nel mondo moderno; ma anche quali profondi legami, apparenti e sostanziali, uniscano l'Africa con l'Europa e le situazioni politiche ed economiche del continente africano con quelle del continente europeo. Da queste circostanze prese motivo un movimento di pensiero politico, che - iniziatosi particolarmente in Germania - assunse il nome di "Eurafrica"; in quanto afferma la solidarietà dei due continenti vicini, uniti dal Mediterraneo, e ne dimostra la cosiddetta complementarità, costituendo l'Africa la riserva necessaria per l'avvenire dell'Europa e costituendo l'Europa la guida necessaria per l'evoluzione dell'Africa. Tali idee, che in origine avevano carattere storico e disinteressato (non senza accenni a superiori ordinamenti di composizione e collaborazione internazionale, in formulazioni di studiosi italiani), apparivano confortate dalle recenti esperienze storiche: almeno dalla crisi anglo-francese di Fascioda (1898) alle due crisi marocchine (1905 e 1911), alla guerra italo-turca (1911-12) con le sue conseguenze sulla situazione dei Balcani e così via sino al conflitto etiopico, di cui si è detto.
Questo concetto dell'Eurafrica pareva avesse maggior valore per l'Italia che, da quando è risorta ad unità, ha avuto in avvenimenti connessi con il continente africano i motivi di alcuni suoi principali mutamenti storici e politici (da Cairoli a Crispi ed a Giolitti); e che, spinta in politica estera verso gli stati continentali (Germania ed Austria) dagli avvenimenti di Tunisia, fu indotta a segnare il suo nuovo accostamento alla Intesa occidentale (Inghilterra e Francia) dagli accordi per la Libia. Per la Germania geograficamente non contigua con l'Africa, invece, la formula della Eurafrica veniva a rappresentare, imperialmente, una sostituzione della famosa "Berlino-Baghdād", che era stata uno dei presupposti politici della prima Guerra mondiale.
Accanto a queste impostazioni del problema africano in generale, si venivano delineando nel ventennio 1919-39 alcuni pratici indirizzi nel campo della politica interna africana e quindi dei rapporti tra africani ed europei. L'antica disputa tra i sostenitori dei due differenti sistemi di promuovere l'evoluzione delle popolazioni africane (l'assimilazione e l'adattamento) prendeva così nuovi aspetti. Abbandonata quasi da per tutto la teoria, già particolarmente cara ad ambienti francesi, che l'africano si debba evolvere civilmente portandolo, sia pure gradualmente, entro una struttura morale, giuridica e politica analoga a quella europea, fu rielaborato profondamente l'altro sistema, già detto dell'adattamento (in quanto supponeva che si partisse nell'evoluzione dell'africano dalla propria antica e tradizionale struttura culturale e sociale e non già da quella dell'Europa), successivamente poi denominato piuttosto della collaborazione. Questa evoluzione del sistema della collaborazione si concreta particolarmente in Inghilterra in quello che fu detto, dal titolo di un diffuso volume di Lord F. Lugard: Dual mandate, od anche da altri: Indirect rule. L'evoluzione sociale degli africani andava stimolata, pur mantenendone la caratteristica individualità non solo nei confronti dell'Europa, ma anche da paese a paese del vasto continente africano stesso, mediante una progressiva riduzione, nel campo politico, dell'intensità del dominio europeo, affidando, cioè, progressivamente ad africani il massimo possibile dell'amministrazione del loro territorio. Queste idee evidentemente, erano connesse anche formalmente con l'istituto del mandato internazionale, che sorto per le clausole dei trattati di pace del 1919-20 era ancora alle sue prime incerte prove ed, estinto o destinato a prossima estinzione nei territorî asiatici del Vicino Oriente, aveva ora le sue massime applicazioni territoriali in Africa.
Le generose idee del Lugard avevano, del resto, oltre che nel campo politico, notevoli ripercussioni favorevoli per gli studï in quanto contribuirono all'intensificazione delle ricerche etnologiche e sociali sulle popolazioni africane, per le quali sorse anzi a Londra nel 1929 un Istituto internazionale africano, il cui primo presidente fu il Lugard stesso, con la partecipazione di studiosi dei varî paesi di Europa e delle missioni cattoliche e protestanti.
La politica interna in Africa nel decennio anteriore alla seconda Guerra mondiale. - Questi movimenti di idee ebbero varie conseguenze nella politica interna di differenti paesi africani nel decennio immediatamente anteriore alla seconda Guerra mondiale. Il concetto della totale interdipendenza dei territorî africani ed europei di uno stato fu energicamente affermato nella Costituzione portoghese e nel conseguente Acto Colonial dell'11 aprile 1933 (art. 5-6: "L'Impero coloniale portoghese è solidale nelle sue parti componenti e con la metropoli. La solidarietà dell'Impero coloniale portoghese include specialmente l'obbligo di contribuire in forma adeguata a che siano assicurati i fini di tutti i suoi componenti e la integrità e difesa della Nazione"); e la Costituzione come la Carta organica do Imperio colonial Português del 15 novembre 1933 stabilivano che i territorî ultramarini "fanno parte integrante del territorio della Nazione". Con tali solenni postulati dello "Stato Nuovo" di A. de Oliveira Salazar e in parte con alcuni aspetti della politica francese in Algeria vanno ricollegati i provvedimenti presi dall'Italia in Libia nel 1938 e 1939 per la dichiarazione che la Libia non è più colonia, ma parte integrante del territorio metropolitano italiano; divisa poi in provincie come la penisola; e per il conferimento ai Libici di una cittadinanza italiana.
Tali misure, che non mancarono di suscitare giustificata opposizione da parte di studiosi, i quali, al raccordo giuridico della Libia alla penisola avrebbero preferito, al contrario, una politica libica di larghissima autonomia, furono tuttavia fermate, nel loro sviluppo inevitabile nel senso dell'assimilazione, dallo scoppio della seconda Guerra mondiale nel 1939 stesso. In ogni modo, quell'ordinamento resta a testimoniare che l'Italia nella ispirazione fondamentalmente generosa di quelle norme, considerava in Libia già superata la cosiddetta "fase coloniale" dello sviluppo del paese e cercava, sia pure con qualche incertezza, la via di un assetto politico superiore.
Altro fatto importante nella storia dei rapporti con l'Africa fu l'intervento delle truppe marocchine nella guerra civile spagnola. Il movimento del generale F. Franco ebbe inizialmente una delle sue basi più importanti nel Marocco Spagnolo, dove egli aveva esercitato per anni ed anni importanti cariche. Truppe africane erano state portate in Europa durante la prima Guerra mondiale; ma ora, nel 1936-37, per la prima volta dopo secoli, soldati dell'Africa settentrionale partecipavano ad una sanguinosa lotta civile in un paese europeo. Tale avvenimento non mancò di influire sul carattere dei rapporti tra Spagna e Marocco Spagnolo, nel senso anche di rafforzare la tendenza, d'altronde naturale, a considerare i territorî al di là del breve stretto di Gibilterra come un prolungamento politico ed economico della Penisola Iberica. Del resto, già da decennî il magnifico rifiorire, in Spagna, degli studî arabi (accentrati nelle Escuelas de Estudios Árabes di Madrid e di Granata) tendeva a far considerare agli Spagnoli molta parte della tradizione filosofica, letteraria ed artistica araba come gloria comune del mondo arabo e della Spagna.
Accanto a queste manifestazioni, che sia pure in vario grado dipendevano (insieme ad altre minori, di cui qui non è cenno) da una tendenza al rinsaldamento dei vincoli tra territorî africani ed europei considerati come parte di una unità superiore, si trovano nella storia degli anni antecedenti la seconda Guerra mondiale altri fatti che, invece, sembrano significativi di un opposto movimento centrifugo. In tal senso si può qui far menzione anche degli accordi anglo-egiziani del 1936, con i quali, riaffermata l'indipendenza dell'Egitto dalla Gran Bretagna, si stabilì in principio lo sgombero delle truppe britanniche dalla valle inferiore del Nilo ed il loro concentramento nella zona del Canale di Suez, sistemazione che, così solennemente affermata, fu poi praticamente interrotta nella sua applicazione dalla seconda Guerra mondiale e ripresa effettivamente dopo la fine delle ostilità, nel 1945.
Contemporaneamente la questione del Sudan, rimasta aperta tra Gran Bretagna ed Egitto, veniva resa più complessa dall'affermarsi di una vivace corrente politica di Sudanesi tendente ad una indipendenza del paese tanto dalla Gran Bretagna quanto dall'Egitto. A questa tendenza l'amministrazione del condominio veniva incontro, facendo una maggior parte sia nella composizione del personale amministrativo sia nei poteri ai nativi del Sudan. E in definitiva si profilava così il tentativo di trasformare, sia pure assai gradualmente, in una nuova unità politica effettiva l'attuale Sudan Anglo-Egiziano, che è stato geograficamente ed etnicamente soltanto il risultato di varie imprese belliche condotte dal territorio egiziano verso il sud.
Questa nuova entità politica in formazione, etnicamente del tutto africana, è limitata al sud dal gruppo dei territorî dell'Africa Orientale amministrati dai britannici (Kenya, Uganda, Tanganica, Niassa). In questi territorî fu lungamente dibattuta la questione della cosiddetta Closer Union, e cioè praticamente la possibilità di inserire meglio il Tanganica (che era soltanto un mandato britannico) nel gruppo degli altri territorî, che sono colonie di sovranità britannica. La questione fu ufficialmente conclusa, con il rapporto della Commissione d'inchiesta presentato nel novembre 1931 e la conseguente corrispondenza ufficiale presentata al parlamento britannico nell'agosto 1932, rimandando sine die ogni mutamento costituzionale, ma intensificando sul posto pratiche misure tendenti ad assicurare l'omogeneità dell'amministrazione in quei territorî e la loro mutua cooperazione, anche attraverso periodiche conferenze dei governatori. Questo movimento autonomistico, che tende alla formazione di una nuova unità politica nel sistema africano, una federazione dell'Africa Orientale Britannica che unisca i predetti territorî tutti adatti all'immigrazione europea e quindi ad un più intenso avvenire, è da allora rallentato, ma tuttavia non cessato, nemmeno nel campo delle aspirazioni politiche.
Più a sud l'Unione Sudafricana continuava, nel decennio anteguerra, il suo magnifico sviluppo, iniziando anche la formazione di centri industriali all'infuori delle tradizionali industrie minerarie estrattive. L'affermazione, già prima liberalmente ammessa, dell'importanza dell'elemento boero della popolazione dava all'Unione un aspetto sempre più chiaro di originalità nella comunità dell'Impero britannico; ed i riconoscimenti dell'uguaglianza delle due lingue ufficiali (inglese e olandese, nella varietà locale detta Afrikander), l'adozione di una bandiera con suoi colori (giallo, bianco, azzurro), l'invio di proprie rappresentanze diplomatiche all'estero (la legazione Sudafricana a Roma fu costituita nel 1929) contribuivano, con altri fatti minori, a dare all'Unione Sudafricana questa nuova fisionomia.
Il giovane stato, già così ricco di gloriose tradizioni, ha vittoriosamente superato crisi interne determinate dal diverso concetto che i varî partiti hanno avuto dei legami del paese con il Commonwealth britannico e dalla grave questione dei rapporti tra la popolazione di origine europea e quella negra africana; ma la saggezza dei governanti ha preparato l'Unione ad una sua propria grande funzione politica ed economica nell'equilibrio del continente africano.
L'Africa nella politica estera della Germania alla vigilia della seconda Guerra mondiale. - In questa situazione, determinata dallo sviluppo delle opposte tendenze, intervennero le vertenze internazionali, che dovevano poi preparare la seconda Guerra mondiale. Si esamineranno qui i motivi di tale preparazione politica alla guerra, per quanto concerne il campo africano e quindi in relazione ai risultati che tale impianto politico della guerra ebbe poi nella storia odierna dell'Africa. Mentre la Germania di Weimar dal 1919 in poi, aveva considerato con particolare attenzione la questione della rivendicazione delle colonie perdute a Versailles (basti ricordare la esaltazione, del resto giustissima, delle gloriose imprese di Lettow Vorbeck in Africa Orientale; l'attività della Lega Coloniale del duca di Meclemburgo; la richiesta ufficialmente presentata dal dott. H. Schacht alla Conferenza dell'Aja nel 1929); il nazismo fu, in genere, meno accanito in tale direzione. Le note aspirazioni di Hitler, esposte nel Mein Kampf, erano nettamente quelle di risolvere il problema della superpopolazione germanica verso l'Oriente europeo e l'Asia; e, di fronte a tale atteggiamento anti-russo fondamentale per la sua politica, il ricupero delle colonie africane era poco più che una questione di prestigio storico. In ogni modo già l'11 febbraio 1933 Hitler dichiarava, in un'intervista al Sunday Express: "Per quanto concerne le nostre terre di oltremare, non abbiamo affatto rinunciato alle nostre mire coloniali. Vi è una quantità di cose che la Germania deve trarre dalle colonie e noi ne abbiamo bisogno precisamente come una qualsiasi altra potenza". Questa posizione dei primi anni del governo nazista in Germania venne tuttavia a modificarsi quando, sotto il crescente impulso di correnti economiche interne, alla questione della rivencazione delle colonie già tedesche si sovrappose l'altra della aspirazione germanica ad ottenere una larga parte della zona africana centrale particolarmente ricca di materie prime.
Tali aspirazioni ad una Mittel-Africa congiunta alla Mittel-Europa del Terzo Reich si ricollegavano alle idee già espresse dalla Germania di Guglielmo II alla vigilia e durante il primo conflitto mondiale del 1914-1918. Così Hitler, nel suo discorso di Norimberga del novembre 1937, formulava questa nuova politica africana della Germania: "La Germania non ha pretese coloniali per motivi militari, ma unicamente per motivi economici. È chiaro che in epoche di una prosperità generale il valore di un determinato territorio possa diminuire, ma è chiaro che in tempo di miseria tale valore subisca un immediato mutamento. La Germania combatte una grande lotta per la sua vita; e le materie prime le sono indispensabili. Un acquisto sufficiente si potrebbe solo avere con un continuo e durevole aumento della nostra esportazione sino a cifre irraggiungibili in pratica. Perciò la richiesta delle colonie sarà sempre ripetuta da una nazione così popolosa come la nostra". Questi due motivi (annullamento delle clausole coloniali del trattato di Versailles ed aspirazione a nuovi territorî ricchi di materie prime) ritornano poi in forma più o meno aspra sia in manifestazioni ufficiali sia nelle polemiche di stampa in Germania nel 1938 e 1939.
L'Africa nella politica estera italiana dal 1936 al 1940. - La posizione dell'Italia nei confronti del problema africano non fu costante, negli anni tra il conflitto etiopico e la seconda Guerra mondiale. Alla conclusione delle operazioni militari nel 1936, manifestazioni ufficiali ed ufficiose italiane insistevano sul concetto che con l'acquisto dell'Etiopia, paese atto ad una numerosa immigrazione italiana e sufficientemente provvisto di materie prime, i principali problemi dell'Italia in Africa erano da ritenere risolti e l'Italia passava nelle file dei "soddisfatti" nel campo africano, avendo ormai colà lavoro per più generazioni.
A questo atteggiamento politico generale seguivano concreti fatti, che erano volti a diminuire la tensione causata dal conflitto etiopico nei confronti delle potenze occidentali. Nei confronti dell'Inghilterra già il 27 gennaio 1937 si addiveniva agli accordi italo-britannici su varie questioni di frontiera tra l'Etiopia e la Somalia Britannica e sul traffico etiopico nei porti di Zeila e Berbera (accordi di Roma), in modo da instaurare una collaborazione di fatto, anche prima del riconoscimento de iure della sovranità italiana. Tale collaborazione trovò poi una più solenne affermazione un anno dopo nel Gentlemen's Agreement italo-britannico del gennaio 1938, di cui una gran parte regolava questioni africane (Libia ed Egitto e rispettive situazioni militari; regime delle isole del Mar Rosso). Non diversamente si procedeva nei confronti della Francia e nel 1936 e 1937 una serie di accordi economici regolava i principali interessi francesi in Etiopia, particolarmente quelli della ferrovia di Gibuti ed il monopolio del sale, in uno spirito di reciproca cooperazione. Conversazioni italo-francesi per un più vasto accordo africano erano in corso a Parigi nel marzo-aprile 1937; ma furono interrotte per l'aggravarsi del conflitto spagnolo e la conseguente nuova tensione europea.
Ma, pur attraverso le difficoltà della nuova situazione dell'Europa, la massima parte degli ambienti africani italiani non solo conservò un prudente atteggiamento di soddisfatto lavoro nel nuovo campo acquisito all'Italia, ma si manifestò apertamente favorevole all'estensione più vasta della collaborazione europea nell'Africa. Caratteristico di tale stato d'animo fu il risultato del Convegno Volta indetto a Roma dall'Accademia d'Italia nell'ottobre 1938, in piena crisi europea per la questione dei Sudeti: convegno, che si concluse da parte italiana con ripetute affermazioni della solidarietà europea in Africa.
Tanto più inatteso, e dipendente particolarmente da considerazioni estranee all'Africa - e cioè dalla nuova politica estera italiana - apparve il discorso pronunziato il 30 novembre 1938 dal ministro degli Esteri, G. Ciano, il quale affermava l'intendimento del governo di "tutelare con inflessibile fermezza gli interessi e le legittime aspirazioni del popolo italiano", aspirazioni che furono dalle grida dei presenti nominativamente precisate, per quanto concerne l'Africa, in Tunisi e Gibuti. A questo discorso seguì il 17 dicembre 1938 la denunzia degli accordi africani italo-francesi (del 7 gennaio 1935); e le dichiarazioni di Mussolini del 28 marzo 1939 sui problemi che quella denunzia poneva: "Questi problemi hanno un nome: si chiamano Tunisi, Gibuti, Canale di Suez. Il governo francese è perfettamente libero di rifiutarsi anche alla semplice discussione di tali problemi, come ha fatto fin qui attraverso i suoi troppo reiterati e categorici ''giammai''. Non avrà poi a dolersi se il solco che divide attualmente i due paesi diventerà più profondo". Anche queste, tuttavia, che pure furono le uniche dichiarazioni ufficiali italiane, prima della seconda Guerra mondiale, sui problemi dell'Africa, erano una manifestazione non necessariamente impegnativa (il ministro degli Esteri personalmente non aveva fatto alcuna precisazione) e comunque apparivano dirette soltanto nei confronti della Francia. Con questo programma assai vago ed incerto, per quanto concerne l'Africa, l'Italia entrò in guerra nel giugno 1940, guerra che per l'Italia dovette essere combattuta prevalentemente in Africa, dove si svolsero gli avvenimenti decisivi e dove alla impreparazione politica fece riscontro l'impreparazione militare.
Conseguenze politiche e movimenti di idee in Africa durante la seconda Guerra mondiale. - La seconda Guerra mondiale ebbe, nel complesso, maggiori conseguenze per la storia dell'Africa che non la guerra del 1914-18. Intanto le stesse operazioni militari in Africa, con le loro alterne vicende e con le azioni dei varî movimenti di dissidenza verificatisi nei confronti dell'uno o dell'altro stato europeo partecipante al conflitto, contribuirono fortemente - insieme con le ovvie necessità, invero assai lamentevoli, della propaganda di guerra - a diminuire notevolmente il prestigio politico e militare dell'Europa nei confronti delle popolazioni africane, ponendo in dubbio non solo i presupposti politici ma, fatto ancor più grave, gli stessi motivi morali e civili del dominio europeo in Africa.
Tale stato di cose, che rendeva estremamente acuta la crisi già accennata qui sopra dello stesso concetto di colonizzazione africana, ebbe una sua formulazione politica per opera già di un generoso movimento di idee intensificatosi dopo il 1941 in America, dove le stesse tradizionali obbiezioni storiche americane contro le "colonie" europee in altri continenti trovavano buon gioco nella difesa degli interessi ideali delle genti dell'Africa. Un episodio clamoroso di questo movimento fu nel 1942 la pubblicazione del libro One World di Wendell Wilkie, già candidato alla presidenza degli Stati Uniti, e la campagna di stampa che ne seguì.
D'altra parte, queste nuove idee partivano, oltre che dai fatti sopra accennati, anche da un innegabile dato giuridico: l'istituto alla fine della prima Guerra mondiale quasi come un grado di evoluzione politico-giuridica nella via del progresso dei territorî coloniali, era da ammettere praticamente fallito.
Limitato al minimo formalmente indispensabile, se non addirittura reso irrisorio, il controllo della Commissione dei mandati della società delle nazioni, i territorî asiatici sotto mandato avevano acquistato per forza propria l'indipendenza totale, sia pure con l'onere di un trattato di alleanza, mentre i territorî africani erano ormai amministrati alla pari delle colonie della potenza mandataria.
Parve perciò che le nuove idee dovessero praticamente concretarsi in un nuovo istituto giuridico, che, sostituendo il mandato ginevrino, affermasse con maggiori garanzie la solidarietà internazionale nel compito di portare le popolazioni africane ad una più elevata organizzazione politica e sociale, considerandosi ormai chiusa la "fase coloniale" dei rapporti tra Europa ed Africa. Una prima proposta da parte britannica, inizialmente accennata dal ministro per le Colonie Oliver Stanley, nel 1942, consisteva nel sostituire praticamente al controllo centrale, previsto per i mandati ginevrini, una forma di collaborazione regionale: raggruppare i possedimenti extraeuropei in "zone", per ognuna delle quali era proposto un "Consiglio di zona" internazionale, alle cui decisioni veniva demandato il coordinamento dell'amministrazione dei territorî della "zona", pur restando il governo di ogni singolo territorio nelle mani dello stato oggi detentore a qualsiasi titolo. Tale progetto, tuttavia, non ebbe alcun seguito per quanto concerne i territorî africani; ed anzi alla Conferenza di S. Francisco del 1945 si tornò al concetto di un mandato (che si preferì denominare: trusteeship o amministrazione fiduciaria), affidato da un unico organo internazionale mondiale (l'Assemblea delle Nazioni Unite) ad uno stato, il quale ne assume la responsabilità nei confronti della stessa comunità internazionale organizzata (particolarmente, del Comitato Amministrazioni Fiduciarie delle Nazioni Unite). Il principio informatore del nuovo istituto non si allontana così molto dall'ordinamento del mandato; varia però profondamente lo spirito informatore, perché, in diritto, viene apertamente e decisamente affermato che scopo dell'amministrazione fiduciaria è quello di portare i popoli all'indipendenza. In questo senso si può dire che una gran parte dei movimenti ideali degli ultimi decennî, qui esaminati, hanno trovato una loro consacrazione nello spirito, anche al di là della lettera, della Carta di S. Francisco del 1945.
Sarebbe, tuttavia, vano dissimularsi le notevoli difficoltà, attraverso le quali l'istituto dell'amministrazione fiduciaria sta trovando in Africa la sua applicazione. Da un lato si è avuta la dichiarazione del governo del Sudafrica, ripetuta più di una volta nel 1946 e 1947 alle Nazioni Unite, perchè l'Africa del Sud-Ovest (ex tedesca, già mandato) sia ormai in tutto riconosciuta come territorio dell'Unione Sudafricana, senza vincoli di trusteeship. D'altra parte la situazione generale, con le sue innegabili conseguenze anche nel continente africano, ha indotto il governo britannico alla dichiarazione contenuta nel Libro Bianco presentato al parlamento nel giugno 1946 (Trusteeship Territories in Africa under United Kingdom Mandate), nella quale si enunciavano due principî fondamentali: 1. Poiché uno degli scopi dell'amministrazione fiduciaria, secondo la Carta di S. Francisco, è quello di far progredire la pace e la sicurezza internazionale, è da ritenere che la potenza amministratrice possa "stabilire basi navali, terrestri ed aeree, costruire fortificazioni, dislocare ed impiegare le sue proprie forze (nel territorio affidatole in trusteeship) e prendere ogni altra misura considerata necessaria per la difesa del territorio e per assicurare che il territorio stesso possa partecipare al mantenimento della pace e sicurezza internazionale". 2. Nella Carta di S. Francisco gli interessi del territorio affidato in trusteeship sono dichiarati prevalenti rispetto agli interessi della potenza amministratrice e delle altre Nazioni Unite, ed è ammesso che per promuovere tali interessi delle popolazioni locali, al regime di porta aperta per tutti dei mandati ginevrini (e del Bacino Internazionale del Congo) va sostituito quello di accordi bilaterali tra il territorio d'amministrazione fiduciaria ed i singoli paesi, con la clausola reciproca della "nazione più favorita"; e che è nei poteri della potenza amministratrice "per assicurare una migliore amministrazione, col consenso dell'assemblea rappresentativa del territorio, di unire il territorio stesso in una federazione od unione doganale, fiscale od amministrativa con i territorî adiacenti sotto la sovranità od amministrazione della potenza stessa (titolare del trusteeship) ed istituire servizî pubblici comuni tra quei territorî e quello in amministrazione fiduciaria". Questi principî sono poi stati inclusi nelle varie "Carte" dei trusteeships africani (approvati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 1946 a New York. Vedi anche amministrazione fiduciaria, in questa App.).
Francia e Belgio in Africa durante e dopo la guerra. - Accanto a questa maggiore e profonda novità (nello spirito ancor più che non nella lettera) nei rapporti tra Europa ed Africa, una novità istituzionale che certo dovrà in avvenire ancor più svilupparsi nel più libero senso come una effettiva garanzia di indipendenza ai popoli africani civilmente evoluti, altre modificazioni seguirono alla seconda Guerra mondiale nel continente africano. Anzi tutto la Conferenza di Brazzaville (30 gennaio-8 febbraio 1944) cercava, in una formula per altro ancora vaga, di soddisfare le aspirazioni dei territorî africani francesi tenendo conto particolarmente dell'esperienza fatta durante la guerra, che, con l'adesione di alcune colonie al movimento di De Gaulle e l'adesione di altre al regime di Pétain, aveva compromesso l'unità dei dominî francesi fuori di Europa. La conferenza concludeva che "l'espressione ''la Francia e le sue Colonie'' che implicava un rapporto giuridico di appartenenza, sparirà e sarà sostituita dalla formula di un nuovo diritto fondato sullo spirito di associazione o, se si vuole, di fraternità". La Costituzione francese del 1947 disciplinava quindi il nuovo organismo che assumeva il nome ufficiale di Unione Francese (v., in questa App.), con diritti dei territorî extra-europei a partecipare alle assemblee legislative di Parigi, sia pure mantenendo ancora nell'insieme il tradizionale accentramento di poteri caratteristico dello stato francese moderno.
La situazione del Belgio, che dal 1940 al 1944 mantenne la sua individualità statale sulla base territoriale dei suoi territorî africani e che deve la possibilità della magnifica sua ripresa economica in grandissima parte all'attività svolta nel Congo durante gli anni di guerra, non ha ancora subito grandi mutamenti nei suoi rapporti costituzionali col Congo. E questo è, del resto, spiegabile, dato lo stato culturale di quelle popolazioni africane. Ma si intensifica anche nella politica belga la tendenza a considerare con lo spirito più liberale i problemi africani; e nuovo impulso ne hanno avuto nel dopoguerra gli studî scientifici.
Per la questione della Libia, Eritrea e Somalia nelle trattative di pace con l'Italia e nella procedura di esecuzione del Trattato di Parigi, v. italia (in questa App.).
Bibl.: Oltre ai libri citati nel corso dell'articolo: Reale Accademia d'Italia, Atti del Convegno Volta 1938 sul tema ''L'Africa'', Roma 1939; G. Ducci, Eurafrica, in Rivista delle Colonie, 1941; R. Astuto, Il problema fondamentale della collaborazione europea in Africa, in Annali dell'Africa Italiana, 1940; R. Cantalupo, La pace euro-africana, in Annali dell'Africa Italiana, 1941; H. M. Dubois, Assimilation ou adaptation?, in Africa, Journal of the International African Institute, 1929; G. A. de Hamilton, The Anglo-Egyptian Sudan from within, Londra 1935; R. Delavignette e Ch. André Julien, Les constructeurs de la France d'Outremer, Parigi 1946.
L'Africa settentrionale nella seconda Guerra mondiale.
La guerra in Africa nel secondo conflitto mondiale mise in evidenza l'importanza di questo continente nel quadro strategico intercontinentale. Essa fu un aspetto della cosiddetta "battaglia per il Mediterraneo" con la quale l'Italia, sola in primo tempo e poi con la Germania, tentò di colpire l'Inghilterra nella zona nevralgica del suo impero, quella di Suez e del Medio Oriente. L'Africa divenne il ridotto centrale della difesa dell'Impero britannico in generale e, particolarmente, della via delle Indie, dei giacimenti petroliferi del Medio Oriente e di una delle linee di rifornimento della Russia, quella del Golfo Persico. Da duello italo-inglese, la guerra in Africa finì necessariamente, data l'importanza della lotta, con l'implicare gran parte dei belligeranti, e l'Africa, da ridotto della difesa britannica, passò successivamente ad esplicare la funzione di grande base militare a fine controffensivo nei riguardi dell'Europa, a servizio degli Anglo-americani, detentori del predominio aeronavale nel mondo. La guerra in Africa rappresentò un problema di strategia intercontinentale, che pose in luce la unitarietà strategica euro-africana e del Medio Oriente e, nella guerra tridimensionale odierna, l'influenza determinante venutavi ad assumere dal fattore aeronavale.
Caratteristiche generali della guerra in Africa. - Il complessivo teatro di guerra africano era diviso in due scacchieri principali, operativamente più attivi: quello dell'Africa settentrionale e quello dell'Africa orientale (per questo v. africa orientale, in questa App.). La situazione italiana nel secondo scacchiere era caratterizzata dall'isolamento strategico, nel primo dalla presenza di un doppio fronte (tunisino ed egiziano) e dalla necessità di collegarsi con la metropoli attraverso una comunicazione marittima, della quale il potere aeronavale italiano non era in grado di esercitare il controllo. Questi caratteri influenzarono in modo determinante fin dall'origine la lotta e, in concomitanza con l'inferiorità economico-industriale italiana, ne contenevano, in potenza, lo sviluppo e dall'esito. I quali potevano esser modificati solo da una condotta della guerra, da parte dell'Asse, diversa da quella praticata e da una esatta valutazione dell'importanza dello scacchiere africano, rispetto ad altri fronti di guerra, nel quadro generale delle operazioni: valutazione che invece - soprattutto da parte tedesca - fu del tutto inadeguata. Quanto ai rapporti strategici fra i due principali scacchieri africani è da sottolineare che essi per gl'Inglesi erano adiacenti, per gl'Italiani isolati l'uno dall'altro. Codesta situazione strategica trovò il suo equivalente organico, presso gl'Inglesi, nella costituzione di un comando superiore, inesistente presso gl'Italiani, che comprendeva tutti e due gli scacchieri, insieme con altri (comando del Medio Oriente). Ciò rese possibile agl'Inglesi di attuare una manovra per linee interne fra le due separate frazioni di forze italiane.
Oltre i due scacchieri principali, è da tener presente quello sud-libico e dell'Africa sud-occidentale e centrale. Vi operarono forze della "Francia libera" e forze italiane del Sahara libico. Attraverso i porti di Dakar, Duala e Punta Negra, che si collegavano per via aerea o terrestre con la valle del Nilo, questo scacchiere svolse anche funzione di collegamento logistico con gli Stati Uniti.
La situazione strategica inglese presentava come una delle essenziali caratteristiche la possibilità, pur con la minaccia nemica nel Mediterraneo, di far affluire forze e mezzi dall'impero e dagli S. U. anche attraverso le vie di comunicazione terrestre ed aeree appositamente predisposte attraverso il continente africano, dalla costa atlantica a quella del Mar Rosso, cosicché l'Egitto finì col divenire il sicuro e incessantemente alimentato serbatoio della forza militare britannica e poi anche statunitense. La lotta in Africa subì un processo evolutivo di ampliamento nell'impiego delle forze; non escluse quelle dell'Asse. Ne derivò che assunse alternativamente atteggiamento offensivo la parte momentaneamente più forte.
Da qui, il moto pendolare delle alterne offensive, fatto peculiare allo scacchiere dell'Africa settentrionale (sei complessivi movimenti di avanzata e di retrocessione, per ognuna delle parti). Il valore strategico di codesto moto alterno va ricercato non nell'aspetto spaziale, ma in quello, ben più determinante anche se meno appariscente, delle conseguenti variazioni comparative del potenziale bellico delle parti avverse, variazioni a conclusivo svantaggio dell'Asse che disponeva di minori risorse (analogia con quanto avvenne, nel campo tattico, nella battaglia di el-'Alamein). Le cosiddette "passeggiate" cirenaiche costituiscono una lunga fase di logoramento, presente, come si vede, anche nella seconda Guerra mondiale: nella prima, si ebbe in forma statica; nella seconda, dinamica.
Sotto l'aspetto tecnico-tattico-organico, la guerra in Africa assunse ben presto il carattere di guerra europea, motomeccanizzata. La battaglia di Sīdī el-Barran̄ del dicembre 1940 segnò il tramonto della concezione tradizionale della guerra coloniale, anche se parzialmente ammodernata mediante la motorizzazione logistica. L'Inghilterra applicò per prima in Africa il concetto della motomeccanizzazione: anche in questo campo venne così a manifestarsi la unitarietà euro-africana. Pertanto la guerra in Africa seguì l'evoluzione tecnica della guerra europea: progressivo aumento di potenza semovente, motorizzata, impiego sempre più vasto di proietti perforanti e a carica, di proietti fumogeni, di nebbie artificiali, di campi minati e di apparecchi rivelatori di mine, progressive modificazioni delle unità corazzate per la necessità d'inserirvi elementi di fanteria, costituzione di raggruppamenti tattici misti, comprendenti un nucleo corazzato, un nucleo di fuoco (artiglieria) e un nucleo di fanteria, estensione strategica e perfezionamento tattico dell'azione dell'aeronautica. L'ambiente fisico speciale impose alcune varianti ai mezzi (raffreddamento intenso dei motori, aerazione interna nei carri, organi di traslazione dei mezzi motorizzati che impedissero l'affondamento nella sabbia, ecc). Mediante codesta evoluzione gl'Inglesi, partiti in condizioni d'inferiorità, giunsero infine a concretare una nuova formula tecnico-tattica, inserendo in quell'organismo tattico che costituì l'iniziale sorpresa di questa guerra, espresso dal binomio carro-aeroplano, e che fu sfruttato all'inizio soprattutto dai Tedeschi, l'azione del binomio fanteria-artiglieria.
I caratteri morfologici del terreno agevolarono lo sviluppo della manovra, che assunse quella scioltezza, agilità e rapidità proprie della manovra navale. La conformazione a saliente della Cirenaica favorì la manovra di recisione del saliente stesso, tanto più che le linee di difesa naturale divengono sempre meno consistenti, fino ad annullarsi, verso sud. Donde il ripetersi d'uno schema nella manovra, che quasi sempre tese all'aggiramento del fianco meridionale avversario. Per gli Anglosassoni l'Africa fu il banco di prova del perfezionamento evolutivo dei loro mezzi e del metodo d'impiego di essi. Al progressivo logoramento dell'Asse, venne a contrapporsi il perfezionamento qualitativo e l'incremento quantitativo delle forze e dei mezzi anglosassoni: quando i due termini del rapporto finirono con l'assumere valori nettamente distanziati, l'equilibrio si ruppe.
La guerra in Africa rivelò due capi eminenti, il tedesco E. Rommel, l'inglese B. Montgomery. Rappresentazione vivente dei caratteri essenziali della guerra motomeccanizzata: mobilità, sorpresa, irruenza, il primo; sempre presente, per rara capacità intuitiva, precisamente là, dove era il nodo critico della battaglia. Il secondo seppe validamente ergersi a fronte dell'avversario, opponendo alla mobilità e all'audacia il procedimento inesorabile di chi avanza per rimanere; alla sorpresa, la calma del forte. Fra gl'italiani, il gen. G. Messe seppe individuare questi caratteri del metodo tattico del Montgomery opponendo misure che diedero risultati apprezzabili, riconosciuti anche dagli avversarî.
Forze inizialmente contrapposte. - Italiani: forze destinate all'offensiva: gruppo divisioni (tutte binarie) libiche (1ª e 2ª), XXIII corpo d'armata (divisioni "Cirene" e "Marmarica"), 1ª divisione camicie nere "23 marzo", raggruppamento Maletti (7 battagl. libici); carri armati: 72 carri medi (40 regg. fanteria carristi), alcuni battaglioni di carri leggeri, assolutamente inefficienti; aviazione: 130 apparecchi di vario tipo, di cui buon numero andò poi logorandosi e fu sostituito tardivamente. Britannici: una divisione corazzata e un complesso di unità pari a circa sette divisioni, prevalentemente motorizzate. Carri armati: circa 300. L'aviazione era poco meno forte di quella italiana. Le artiglierie della flotta dislocata ad Alessandria, potevano intervenire nelle azioni lungo la costa. Le divisioni inglesi erano ternarie e, di massima, con un battaglione di carri, un gruppo esplorante motomeccanizzato e ricca disponibilità di artiglieria; rappresentavano un'unità molto più potente della similare italiana.
Passando, poi, all'aspetto comparativo delle forze contrapposte, occorre tener presente che le unità italiane erano organizzate sul tipo ormai superato dell'esercito, il quale sfrutta soprattutto la massa degli uomini; modesto era l'armamento, sia quantitativamente sia qualitativamente; deficienti i mezzi meccanizzati e motorizzati (che, fra l'altro, non erano idonei alla marcia sulla sabbia), le artiglierie controcarro, le autoblindate, i mezzi di collegamento, gli aeroplani. La massa degli uomini, oltre un certo limite, era più un peso logistico che un fattore di potenza tattica. In conseguenza di ciò, il secondo comandante superiore in Libia, R. Graziani, ebbe a mostrare qualche riluttanza a passare all'offensiva. In sintesi, l'organizzazione militare italiana era scarsamente efficiente sia dal lato tattico (deficienza di mezzi di lotta moderni), sia dal lato logistico (deficienza, in particolare, di mezzi di trasporto automobilistici). L'organizzazione militare britannica rispecchiava invece, fin dall'inizio, il nuovo concetto dell'esercito motomeccanizzato, La superiorità di potenza tattica (ivi compresa la mentalità già allenata al nuovo tipo di guerra) era da parte britannica, nonostante il minor numero di effettivi. Anche sotto l'aspetto logistico, compreso quello dei mezzi automobilistici, i Britannici si trovavano in netta superiorità.
Teatro di operazioni. - Era costituito prevalentemente dal deserto marmarico. L'estrema inospitalità, la mancanza assoluta di acqua da es-Sollūm a Marsā Maṭrūh, la temperatura estiva elevatissima (giungeva anche a 50 gradi all'ombra), sono condizioni che lo avevano sempre fatto evitare alle grandi masse armate. Una sola strada, la Litoranea, collegava Tripoli al confine egiziano attraverso 1700 chilometri di percorso (grandi possibilità per l'offesa aerea). Oltre il confine, fino a Marsā Maṭrūh, una cattiva pista. Una ferrovia a scartamento ridotto da Alessandria a Marsā Maṭrūh, poi prolungata dagl'Inglesi fino a Tobruch. Unico appiglio tattico: il ciglione di es-Sollūm, che strapiomba verso l'Egitto, e il colle di Halfaya, porta d'entrata alla Cirenaica. A poco meno di 100 chilometri ad ovest di Alessandria sorge Marsā Maṭrūh che, oltre ad essere capolinea (fino ad un certo tempo) della ferrovia suddetta ed anche buon approdo, era stata ed era ancora fortificata dagl'Inglesi, in modo da costituire un campo trincerato. In territorio italiano, presentavano opere di difesa permanente di qualche rilievo Tobruch e Bardia.
Piani di campagna e di operazioni. - Italiani: lo stato maggiore italiano prevedeva la difensiva in Libia. Senonché nel 1938 il maresciallo Italo Balbo, governatore della colonia, ebbe ad enunciare in un suo piano il concetto dell'offensiva verso est; ma all'inizio delle ostilità il comando supremo sancì di nuovo il concetto della difensiva. In seguito all'armistizio con la Francia, fu decisa l'offensiva con obiettivo strategico finale Suez, per quanto l'armistizio non avesse determinato l'occupazione dei porti della Tunisia, che avrebbe migliorato di molto la situazione italiana nei riguardi del fondamentale problema dei trasporti marittimi. In relazione alle deficienze di mezzi e alle difficoltà del teatro di operazioni si procurò di risolvere il problema mediante successivi sbalzi strategici verso oriente: questi avrebbero consentito la costituzione di successive basi logistiche, che, avvicinando alle truppe i rifornimenti e soprattutto quello idrico, avrebbero permesso di risolvere, coi mezzi di trasporto disponibili, il problema logistico, fondamentale in quelle zone. Si progettò dapprima uno sbalzo su es-Sollūm, ma poi si decise l'avanzata fino a Sīdī el-Barranī, premessa per una successiva su Marsā Maṭrūh, fortificata dagl'Inglesi: l'obiettivo di Sīdī el-Barranī, in sé stesso, era privo di alcun valore militare. Il disegno di manovra consisteva nel far avanzare, in prima schiera, il gruppo di divisioni libiche, seguito dal XXIII corpo d'armata in seconda schiera, mentre il raggruppamento Maletti avanzava a protezione del fianco meridionale dello schieramento in marcia, e la 1ª div. camicie nere "23 marzo", autotrasportata, costituiva la riserva.
Franco-britannici (fino al 24 giugno 1940): le direttive strategiche di orientamento, formulate nel 1939, secondo fonte attendibile, erano: offensiva su doppio fronte: dall'Egitto, con obiettivi Tobruch e Bengasi (comandante gen. Wavell) e dalla Tunisia (linea di Mareth) con obiettivo Tripoli (comandante: gen. Noguès).
Britannici (successivamente al 24 giugno 1940): difensiva strategica (in attesa di rinforzi) e offensiva tattica locale, ad opera di piccole unità motomeccanizzate mobilissime, a largo raggio d'azione. L'atteggiamento strategico difensivo era anche in connessione col piano generale del comando britannico, che prevedeva di procedere prima alla eliminazione degl'Italiani in Africa Orientale, per avere, poi, le spalle al sicuro nell'offensiva in Africa settentrionale.
Schieramento iniziale. - Italiani: a nord della ridotta Capuzzo: div. "Cirene"; nella zona della ridotta: div. "Marmarica", 1ª div. libica, unità carri armati; a sud-est di Sīdī Azeiz: 1ª div. camicie nere; a sud-ovest della ridotta Capuzzo: 2ª div. libica; a Sīdī ‛Omar: raggruppamento Maletti.
Britannici (dati non ufficiali, ma attendibili): a Sīdī el-Barranī: una divisione corazzata con elementi distaccati nella zona settentrionale del confine cirenaico; in località varie del deserto egiziano, verso la zona di confine con la Cirenaica, il Camel Corps; nella zona di Marsā Maṭrūh: una divisione indiana; in progressiva affluenza dalla zona del delta del Nilo e dalla Palestina, verso la zona di Marsā Maṭrūh e del confine cirenaico, le rimanenti forze. Operava nel deserto, dislocandosi rapidamente su vaste zone, il Long Range Desert Group.
Sviluppo delle operazioni. - Fase iniziale (10 giugno - 12 settembre 1942). - L'offensiva tattica britannica, effettuata soprattutto con gli elementi motomeccanizzati, che piombavano di sorpresa sui posti italiani, penetrando per centinaia di chilometri in territorio libico, provocò depressione morale. Alcuni posti italiani di confine dovettero essere sgombrati. Combattimenti di qualche rilievo si ebbero alla ridotta di Amsē‛at, o Capuzzo, e alla ridotta Maddalena. Gli Italiani opposero agli elementi motomeccanizzati nemici piccole colonne comprendenti fanteria autotrasportata e forti aliquote di artiglieria (ripiego dovuto alla mancanza di autoblindate moderne, quali quelle di cui disponevano gl'Inglesi. In Africa Orientale gl'Italiani attuarono in questo periodo azioni offensive sulla fronte del Sudan, del Kenya e occuparono (agosto) la Somalia britannica.
Offensiva italiana di Sīdī el-Barranī (13-15 settembre 1940). - Intanto, dopo il crollo della Francia, gli Italiani passarono alla preparazione per l'attuazione del piano operativo, preparazione che consistette sostanzialmente nell'invio di alcune centinaia di autocarri e del 4° reggimento fanteria carrista con 72 carri medî. Dopo ripetute pressioni sul comandante superiore in Libia, anche perché si sarebbe desiderata la contemporaneità dell'offensiva in Africa settentrionale con quella contro la Somalia Britannica, il 13 settembre fu iniziata l'avanzata su Sīdī el-Barranī, occupata il 15.
Prima offensiva britannica (9 dicembre 1940-7 febbraio 1941). - La minaccia ad Alessandria e Suez acuiva in modo singolare la sensibilità strategica dell'Inghilterra, inducendola a non procrastinare l'offensiva in Egitto, anche se quasi contemporaneamente (in gennaio) essa inizierà l'offensiva in Africa Orientale.
La preparazione italiana, per l'ulteriore sbalzo su Marsā Maṭrūh, attese alla trasformazione in camionabile della pista costiera, dal confine a Sīdī el-Barranī, e alla costruzione di un acquedotto dalla zona di confine a Sīdī el-Barranī stessa. Le richieste fatte per colmare la grave inferiorità in mezzi motorizzati e meccanizzati ebbero esito solo parzialmente positivo, anche perché alla loro fondamentale scarsezza in Italia si aggiunse la circostanza che in quel periodo lo sforzo militare italiano era prevalentemente assorbito dalla guerra contro la Grecia. Gli Italiani, continuarono a marciare a piedi, mentre i Britannici marciavano su ruote, secondo l'espressione di uno scrittore inglese. L'Italia aumentava la dispersione del suo sforzo militare su tre teatri di guerra, mentre l'Inghilterra andava progressivamente concentrando nell'Africa e nel Mediterraneo il suo sforzo maggiore.
I Britannici prevenirono gl'Italiani sorprendendoli in flagrante preparazione offensiva. L'azione ebbe inizio la notte sul 9 dicembre. Il suo sviluppo operativo può essere sintetizzato come segue: gl'Inglesi sorpresero le divisioni italiane di prima schiera e le sconfissero nella regione di Sīdī el-Barranī, ove trovavansi sistemate a difesa. Cadde qui in combattimento il generale Pietro Maletti. Seguirono le operazioni svoltesi fra la regione di Sīdī el-Barranī e quelle del confine cirenaico (10-15 dicembre): le divisioni italiane di seconda schiera, in ripiegamento, tentarono di arginare, specie nella zona di confine, l'avanzata britannica, ma infine dovettero ripiegare in Bardia, dove vennero assediate dai Britannici (15 dicembre) e furono costrette ad arrendersi il 5 gennaio 1941; gl'Inglesi passarono indi ad assediare Tobruch, che si arrese il 21 gennaio. Successivamente, essi avanzarono lungo la direttrice gebelica su Derna, lungo la pregebelica per el-Mechíli su Bengasi, lungo la desertica per el-Mechíli-Msus verso la zona sud-bengasina e Agedābia, aggirando da sud la linea italiana Derna-Berta-Mechíli. Le forze italiane sgomberarono la Cirenaica, non senza prima aver sostenuto combattimenti a el-Mechíli (19-27 gennaio 1941), a nord di Agedābia (5 febbraio) e tra Solúch e Ghemínes, dove il 6 e 7 febbraio 1941, forze italiane tentarono di aprirsi la strada su Agedābia. Cadde qui il gen. italiano Tellera. A metà febbraio Italiani e Britannici si fronteggiavano nella zona di Agedābia. Dovettero successivamente arrendersi alcuni presidî isolati dell'interno (Giofra, Giálo, Hon, Marada). Giarabúb capitolò più tardi, dopo quattro mesi. Quanto alla profonda penetrazione dell'avanzata, non prevista dagli stessi Inglesi, è da tener presente che la conformazione geografica della Cirenaica ne facilita la occupazione, come confermò il seguito delle operazioni. Comunque, le successive resistenze italiane logorarono notevolmente lo slancio offensivo britannico, che si arenò sulle soglie della Tripolitania anche perché gl'Inglesi inviarono rinforzi in Grecia e, non avendo modo di farla adeguatamente rifornire durante l'inseguimento degl'Italiani, inviarono la 4ª div. indiana in Africa orientale.
Prima offensiva dell'Asse (marzo-aprile 1941). - In conseguenza dell'offensiva inglese e degli importanti risultati da essa raggiunti, tali da minacciare gravemente il possesso italiano della Libia, l'Italia s'indusse, mancando di adeguati mezzi corazzati, a concordare definitivamente quell'invio di truppe corazzate tedesche in Libia, che già era in discussione fin dal principio della guerra.
Giunsero così in Libia rinforzi di truppe corazzate tedesche, al comando del gen. E. Rommel, nonché rinforzi italiani. I trasporti marittimi furono facilitati dall'azione protettiva della 2ª Luftflotte (maresc. Kesselring) inviata dalla Germania in Sicilia (l'Italia aveva subìto una notevole diminuzione di forze navali in conseguenza dell'attacco di Taranto e della battaglia di Capo Matapan).
L'apparizione dei carri armati tedeschi sulle sponde del Mediterraneo significava che l'attacco all'Impero britannico cessava di esser compito esclusivo dell'Italia: ne diveniva partecipe la Germania, con suoi fini particolari, da connettersi anche alle sue mire sul Medio Oriente, dove in questo e in successivi periodi si verificarono manifestazioni contrarie all'Inghilterra. Formalmente, il comando superiore delle forze venne a spettare agl'Italiani (il gen. I. Gariboldi aveva, dopo la ritirata italiana, sostituito il maresc. R. Graziani), ma nella realtà, chi esercitava il comando operativo era il gen. E. Rommel. La incerta situazione in un settore di fondamentale importanza qual'è quello della organizzazione del comando si trascinò insoluta quasi sino alla fine della lotta in Africa e costituì un altro fattore della sconfitta.
Un fortunato assaggio offensivo dell'Asse, che portò alla rioccupazione di el-Aghéila (25 marzo) e che rivelò la intrinseca debolezza dello schieramento inglese, indusse il comando italo-tedesco ad iniziare l'offensiva generale per la riconquista della Cirenaica col concetto operativo di minacciare le comunicazioni dell'avversario puntando con le maggiori forze su Msus ed el-Mechíli. Il 31 marzo gl'Italo-tedeschi attaccarono nella zona di el-Aghéila la 2ª div. corazzata inglese, che si ritirò. La 9ª div. australiana, minacciata nelle comunicazioni, ripiegò a sua volta da Bengasi. Il combattimento più notevole si svolse a el-Mechíli. I Britannici non riuscirono ad arrestare l'avanzata italo-tedesca e notevoli aliquote delle loro truppe si videro pertanto tagliata la ritirata verso est, specialmente nella zona di Derna. La resistenza britannica venne definitivamente travolta. L'11 aprile le truppe dell'Asse erano a Bardia: la Cirenaica era rioccupata, tranne Tobruch. L'avanzata si arrestò essenzialmente per quel fenomeno di esaurimento della capacità offensiva (tattica e logistica), che misura l'ampiezza degli sbalzi strategici. Le opposte linee difensive sorsero nella zona di es-Sollūm Sīdī ‛Omar.
Sotto l'aspetto strategico, l'offensiva fu, di massima, la ripetizione, in senso inverso, del tipo di manovra già attuato dai Britannici nella loro avanzata verso ovest: recisione, lungo la corda dell'arco, del saliente cirenaico. Il ripiegamento britannico attuale fu uno dei più celeri: 1200 km. circa in 12 giorni; né fu privo di gravi rovesci (fra l'altro, gl'Italiani catturarono alcuni generali britannici). Il generale Wavell ebbe poi a dichiarare che senza superiorità di forze corazzate non si può arrestare il nemico nel deserto: i Britannici avevano fatto, ora, l'esperienza subíta dagl'Italiani nella sconfitta di Sīdī el-Barranī. Sotto l'aspetto organico-tattico, furono fattori di successo per gl'Italo-tedeschi: la similarità attuale dei due eserciti contrapposti (prima, gl'Italiani avevano contrapposto sostanzialmente un esercito di fanti a uno motomeccanizzato); la potenza dei carri armati tedeschi (segnatamente del Mark IV, armato di cannone da 75 mm., mentre i carri inglesi erano armati da pezzi da 37 mm.); la grande efficacia del cannone tedesco da 88 mm., specie contro i carri inglesi "Valentine", debolmente corazzati; la singolare capacità di manovratore di truppe corazzate del gen. Rommel. Altro fattore fu la sorpresa, che, abbinata alla superiorità tecnica dei mezzi e alla capacità del comando e delle truppe, spiega essenzialmente il successo dell'Asse, il quale fu, d'altra parte, favorito dagli errori del comando britannico, fra cui principale l'aver ritenuto, senza sicuri dati, per lungo periodo prostrata la resistenza del nemico, che era stato sottovalutato.
Seconda offensiva britannica (11 novembre 1941-11 gennaio 1942). - Nel maggio e nel giugno il nuovo comandante inglese, gen. C. Auchinleck (nel campo dell'Asse il gen. E. Bastico aveva sostituito il gen. I. Gariboldi), si propose di sbloccare Tobruch dall'assedio postovi dalle truppe dell'Asse. Intanto, l'opportunità d'impegnare a fondo in Africa la Germania, che, all'incirca in quel periodo, era profondamente penetrata in territorio russo fino alla zona di Mosca (l'URSS insisteva per la creazione di un "secondo fronte"), il concentramento in Egitto delle forze dell'Africa orientale non più impegnatevi dalla resistenza italiana, o mai quasi completamente piegata (Gondar capitolerà il 30 novembre), indussero nuovamente all'offensiva l'Inghilterra che, nel frattempo, aveva fatto convergere verso la difesa dell'Egitto non solo le forze e i mezzi del suo impero, ma anche l'aiuto americano. Da luglio ad ottobre erano giunti: 34.000 autocarri, molte centinaia di veicoli blindati varî, 600 cannoni da campagna, 200 anticarro ed altro materiale minore. In dicembre, si tenne a Washington la prima conferenza di guerra, in cui Inghilterra e S. U. convennero di unire le loro risorse contro il Tripartito.
Le forze contrapposte in questo periodo erano le seguenti. Italo-Tedeschi: divisioni corazzate: italiana "Ariete", 15ª e 21ª tedesche; divisioni motorizzate italiane "Trieste" e "Trento", 90ª tedesca; divisioni di fanteria: italiane "Pavia", "Bologna", "Brescia", "Savona", "Sabrata". Britannici: XIII corpo d'armata (2ª div. neozelandese, 4ª div. indiana, una brigata motomeccanizzata); XXX corpo d'armata (7ª div. corazzata, 1ª div. sudafricana, una brigata motomeccanizzata); guarnigione di Tobruch (70ª div., brigata polacca, brigata corazzata).
Il piano operativo britannico prevedeva: attacco principale (XXX corpo d'armata) da svilupparsi dalla zona della ridotta Maddalena in direzione generale di Tobruch, attirando su di sé le forze corazzate avversarie; attacco concomitante, dalla zona Sīdī ‛Omar-Halfaya verso Tobruch; sortita della guarnigione di Tobruch verso sud-est. Le tre direzioni di attacco dovevano convergere nella zona di Sīdī Rezegh, serrando da tre parti il nemico ed eliminandolo dalla lotta. L'offensiva ebbe inizio il 18 novembre. In effetti, la progettata convergenza degli attacchi non si ebbe, perché le truppe dell'Asse (e, prima fra tutte, la divisione italiana "Ariete" tennero testa al nemico distruggendo una grande quantità di carri; alla fine però dovettero ripiegare (forse anche per mancanza di carburante), in primo tempo sulla linea di Ain el-Gazala, difesa dagl'Italiani (11-16 dicembre), e poi, sulla zona di el-Aghéila (17-25 dicembre); gl'Inglesi, dopo aver rioccupato la Cirenaica, investirono Bardia, che ancora resisteva e che capitolò il 2 gennaio 1942. Resistevano pure i caposaldi di confine, presidiati dagl'Italiani, costretti infine ad arrendersi (19 gennaio).
Nella zona di Marsa el Brega - Maráda si ricostituì la linea difensiva dell'Asse. Sotto l'aspetto territoriale, l'offensiva ebbe successo, con la rioccupazione britannica della Cirenaica, ma, sotto quello strategico-tattico la manovra convergente fallì al suo scopo di serrare le forze mobili dell'Asse fra i tre attacchi e distruggerle. Le forze mobili italo-tedesche poterono invece sganciarsi: le truppe dimostrarono un'alta capacità combattiva, il carro tedesco Mark IV riaffermava la sua superiorità e il gen. Rommel dimostrava rapidissima sicurezza di decisione anche nella manovra di sganciamento, compiuta come atto di volontà propria, per riacquistare (è da ritenere) libertà d'azione, in vista della propria ripresa controffensiva.
Controffensiva dell'Asse (21 gennaio-4 febbraio 1942). - Entrato in guerra il Giappone (7 dicembre 1941), il conflitto era diventato mondiale. Un unico legame strategico univa ormai le operazioni dei varî continenti e quindi la battaglia del Mediterraneo con quella dell'Estremo Oriente.
Il 21 gennaio le forze dell'Asse, che avevano ricevuto notevoli rinforzi, ripresero l'offensiva, puntando per la direttrice gebelica su Bengasi e per la pregebelica su Msus e tentando, su questa seconda direttrice, di aggirare i Britannici. Questi, colti di sorpresa, dopo qualche resistenza a el-Mechíli, riuscirono a ripiegare, e sistemarsi a difesa e resistere sulla linea Ain el-Gazala - Bir Hachéim, che consentiva loro di continuare a tenere il porto di Tobruch, importante pei rifornimenti e come base aero-navale, specie dopo la caduta di Creta in mano tedesca.
Ripresa dell'offensiva dell'Asse (26 maggio-30 giugno 1942). - Alla strategia dell'Asse si va schiudendo ormai un orizzonte di linee eccezionalmente vaste. Le forze giapponesi sembrano potersi proiettare verso occidente. La minaccia tedesca al Caucaso si profila ormai sempre più decisamente (il 19 agosto i Tedeschi saranno sull'Elbrus). Nel lontano sfondo si delinea la possibilità di una gigantesca azione a tenaglia che, dalla Cirenaica e dal Caucaso, allunga la sue branche rispettivamente su Suez e il Medio Oriente. Il comando dell'Asse in Africa progettò d'impegnare frontalmente la difesa avversaria, mentre le truppe motocorazzate italo-tedesche, parte attaccando a fondo e parte aggirando da sud il forte caposaldo di Bir Hachéim avrebbero indi puntato su Tobruch e preso alle spalle la linea britannica. L'attuazione del piano trovò resistenza soprattutto a Bir Hachéim, tenuto da unità francesi, al comando del gen. Koenig. Ma infine la resistenza fu vinta (16 giugno) e dopo un accanito combattimento di carri nel luogo detto Knightsbridge i Britannici, subìte gravi perdite in mezzi meccanizzati, ripiegarono, inseguiti dagli Italo-tedeschi; questi il 20 giugno interruppero l'inseguimento per volgersi contro Tobruch, che capitolò il giorno successivo. Ripresa l'avanzata verso est, e superate resistenze nella zona di es-Sollūm-Halfaya e di Marsā Maṭrūh, gl'Italo-tedeschi il 30 giugno raggiunsero la zona di el-'Alamein, ai margini del delta nilotico.
L'offensiva dell'Asse fu caratterizzata: dalla capacità del Rommel che seppe volgere in vittoria una situazione che, verso l'inizio della battaglia, poteva portare alla sconfitta; dall'impiego, sempre più efficace, del cannone da 88 mm. tedesco, reso più mobile facendolo autotrasportare o rimorchiare da un veicolo semicingolato che gli consentiva una presa di posizione assai rapida; dalla condizione di inferiorità tecnica in cui ancora si trovavano gl'Inglesi (il loro carro Grant, avuto di recente, era netiamente battuto dal Mark IV tedesco; il loro cannone anticarro da 37 mm. era di scarsa potenza). Sotto il riguardo strategico, l'offensiva, portando l'Asse a circa 100 km. dalla base navale d'Alessandria, segnava uno dei suoi massimi successi. Indice della gravità estrema della situazione per gl'Inglesi, che avevano perduto molto materiale: la flotta venne rapidamente dislocata da Alessandria verso altre basi del Medio Oriente.
Ultima offensiva britannica in Libia (23 ottobre-23 gennaio 1943) - Nel periodo dal 30 giugno al 22 ottobre, nella zona delle contrapposte linee di el-Alamein si svolsero, senza modificare la situazione generale, alcune operazioni offensive, sia italo-tedesche sia britanniche. Dal 24 ottobre al 3 novembre fu combattuta la decisiva battaglia di el-'Alamein (v. in questa App.). I Britannici vittoriosi si lanciarono indi all'inseguimento degli elementi corazzati e motorizzati dell'Asse in ripiegamento, i quali, dopo accenni di arresto sulla linea di el-Aghéila (abbandonata il 26 novembre) e su quella di Buerát (abbandonata il 28 dicembre), dove erano accorsi rinforzi italiani per tentare di vietare la penetrazione britannica in Tripolitania, continuarono la loro ritirata verso la Tunisia. Qui si ritirarono infine anche le unità dell'Asse schierate sulla linea Homs-Tarhuna-Garián, sulla quale erano già ripiegati i reparti italiani del Sahara libico dopo aver assolto, al comando del gen. Mannerini, la loro funzione di copertura strategica del fianco sinistro delle colonne italo-tedesche in ripiegamento, contro la minaccia di colonne motorizzate al comando del gen. francese I.-Ph. Leclerc, provenienti dalla regione del lago Ciad. Il 23 gennaio Tripoli era occupata dai Britannici.
Sbarchi alleati in Africa settentrionale e campagna di Tunisia (4 novembre 1942-13 maggio 1943). - Intanto, l'8 novembre 1942, erano effettuati vari sbarchi di forze anglo-americane, al comando del gen. D. Eisenhower, nelle zone di Casablanca, di Orano e di Algeri (sbarchi già progettati dal gennaio 1942, durante il viaggio di Churchill negli S. U. A.), senza incontrare, in grazia di precedenti accordi segreti, che un'apparente resistenza francese. Le forze sbarcate tendevano verso la Tunisia, verso cui avanzava dalla Libia anche l'8ª armata britannica (gen. Montgomery), che inseguiva le truppe dell'Asse; le quali, pertanto, vennero a trovarsi serrate strategicamente su due opposti fronti. A tentare di modificare tale situazione singolarmente pericolosa per le forze italo-tedesche e per non abbandonare la Tunisia (uno dei piloni della strozzatura mediterranea rappresentata dal canale di Sicilia), fu deciso di creare immediatamente, con l'invio di forze sia per via marittima che aerea, un nuovo fronte, quello che fu detto la "testa di ponte" tunisina. Il concetto strategico era: da una posizione centrale idonea sia alla rapida affluenza dei rinforzi sia ad una buona sistemazione difensiva ed alla manovra per linee interne, opporsi, a forze riunite, al congiungimento delle due frazioni di forze avversarie (quelle sbarcate e quelle provenienti dalla Libia), tentando di batterle separatamente.
Tentativo offensivo alleato ed organizzazione generale operativa (novembre 1942-febbraio 1943). - Forze di sbarco alleate tentarono di sorpresa di occupare Biserta e Tunisi (novembre) per togliere al nemico le basi di collegamento col continente e batterlo dopo averlo isolato. Ma gli effettivi impiegati erano scarsi perché gli Alleati avevano lasciato gran parte delle proprie forze nel Marocco per parare un'eventuale minaccia tedesca attraverso la Spagna. Il tentativo non riuscì: l'avanzata su Jefna venne respinta, Teburba fu ripresa; tuttavia le importanti posizioni di Mediez el Bab rimasero in mano alleata. La "testa di ponte" tunisina restò delimitata da una linea (essa si conservò sostanzialmente tale, salvo varianti temporanee), che da Capo Serrat andava, proteggendo Biserta e Tunisi, verso Medjez el - Bab, spingendosi poi verso lo Chott el-Djerid. In febbraio le unità italo-tedesche in ritirata dalla Libia, al comando del maresc. Rommel, giunsero sulla linea di Mareth, inseguite debolmente dall'8ª armata britannica.
Effettuato il riordinamento generale e l'invio dei rinforzi, specie da parte dell'Asse, le forze contrapposte vennero a risultare le seguenti: Alleati: 1ª armata britannica (settore nord); II corpo d'armata americano (settore centrale); 8ª armata britannica (settore meridionale, fronte della linea di Mareth). Asse: 5ª armata corazzata tedesca (settore settentrionale); 1ª armata italiana (settore meridionale, sulla linea di Mareth). Il rapporto delle forze era nettamente superiore per gli Alleati, sotto tutti i punti di vista, sia degli effettivi sia dei mezzi. Fece ora la sua comparsa il carro armato tedesco Mark VI, detto "Tigre" (da 58 a 65 t., con cannone da 88 mm. in torretta), che si oppose vantaggiosamente ai carri alleati Sherman e Tank destroyer M. 10. Questo vantaggio però era neutralizzato dalla scarsa quantità di tale mezzo, dal predominio aereo alleato (non solo strategico, che fa mancare il carburante, ma anche tattico, che sottopone ad attacchi distruttivi), dalla contemporanea apparizione in campo alleato della temibile bomba anticarro da fanteria lanciata dal "bazooka", e dal nuovo cannone anticarro inglese da 76,2 mm., assai efficace. Alla ricchezza di mezzi alleata fa riscontro la scarsità da parte dell'Asse e, segnatamente, degli Italiani.
Offensiva dell'Asse (febbraio-marzo 1943). - Il 15 febbraio, circa tre divisioni corazzate dell'Asse, su due colonne, iniziarono, con un giorno di distacco l'una dall'altra, l'offensiva contro il settore centrale, tenuto dagli Americani, conquistando fra l'altro il passo di Kasserine e giunmndo il 22 a Tala, verso Tebessa, alle spalle dello schieramento avversario. La minaccia per gli Alleati era grave. Se l'offensiva si fosse sviluppata, non solo avrebbe ottenuta la definitiva divisione delle unità sbarcate da quelle dell'8ª armata, ma avrebbe potuto aggirare, penetrando in Algeria e puntando verso nord, lo schieramento settentrionale alleato. Ma a Tala un controttacco alleato arrestò l'avanzata dell'Asse che poté, comunque, registrare un notevole successo (gli Alleati fra l'altro perdettero circa 250 carri). Il maresc. Rommel ripiegò, anche perché l'8ª armata britannica, a sud, accennò a passare all'offensiva, per alleggerire il vittorioso attacco dell'Asse contro il II corpo americauo. Voltosi con celere manovra per linee interne contro l'8ª armata, il 6 marzo Rommel l'attaccò, minacciando il fianco occidentale di essa, attraverso la catena di Matmata; ma il gen. Montgomery non si lasciò sorprendere, avendo in precedenza provveduto a prolungare la propria sinistra, con l'accortezza di formare un rientrante, entro cui venisse a cadere il nemico: raggiunse così lo scopo di metter in scacco l'avversario con una manovra difensiva, che ottenne la sorpresa: una delle più delicate. L'azione del 6 marzo 1943 fu il canto del cigno del maresciallo Rommel in Africa: il 10 marzo, ammalato di malaria, lasciava, definitivamente, quella terra.
Battaglie di Mareth e dell'Akarit (marzo-aprile 1943). - Con la battaglia di Mareth, gli Alleati ottennero di far arretrare la 1ª armata, malgrado la sua salda resistenza, sulla linea dell'uadi Akarit (28 marzo), dove si svolse una breve battaglia. Mentre attacchi alleati si svolgevano nel settore centrale in direzione di Sfax, il gen. Montgomery, il 5 aprile, in una notte illune ed esercitando il massimo sforzo al centro (due cose che egli poi disse di non aver mai fatto prima), riprese l'attacco contro la 1ª armata italiana che, a un certo momento, non ebbe altro da contrapporre al potente attacco avversario che 40 carri: la disparità delle forze era tale che non poteva essere compensata dal valore dei combattenti e dalla capacità dei comandanti. La notte sul 6, in relazione anche agli avvenimenti sfavorevoli per l'Asse nel settore centrale (el Guettar-Maknassy), attaccato dagli americani (gen. G. Patton), il comandante tedesco, generale D. I. von Arnim, diede alla 1ª armata italiana l'ordine di ripiegamento sulla linea di Enfidaville. La separazione in due parti delle armate dell'Asse era ancora una volta evitata, ma la congiunzione delle due masse alleate (del nord-centro e del sud) diveniva ormai un fatto compiuto. Non solo, ma le due masse italo-tedesche erano ridotte a serrare il loro schieramento a difesa diretta della zona Biserta-Tunisi. Un tentativo di intercettare la ritirata degli Italo-tedeschi verso nord venne compiuto dagli Alleati il 7 aprile, da Fonduk in direzione di Kairouan e di Susa, ma non raggiunge il suo scopo.
Offensiva generale alleata (17 aprile-23 maggio 1943). - Contro la nuova linea di difesa si sferrò, vittoriosamente, l'ultima offensiva alleata.
La difesa italo-tedesca si era ristretta verso la zona del vertice nordorientale della Tunisia, coprendo, a circa cinquanta chilometri ad ovest e sud-ovest di essi, questi obiettivi: Biserta, Tunisi e la penisola di Capo Bon. Nel settore settentrionale, il pilastro difensivo più importante era costituito dalle posizioni di Mateur, in quello meridionale da quelle di Zaghouan, Takrouna e Garci. Ne conseguiva questo schieramento generale: Italo-tedeschi: 5ª armata tedesca a nord; 1ª armata italiana e corpo tedesco d'Africa a sud; Alleati: 2° corpo d'armata statunitense a nord (in seguito a spostamento dal settore centrale, ove prima era schierato); 1ª armata britannica al centro; 8ª armata britannica a sud. Gli Alleati erano ormai decisi ad eliminare dall'Africa le truppe dell'Asse. Il piano del generale H. Alexander, comandante alleato del 18° gruppo d'armate, si fondava sul concetto di gravitare con le forze al centro. A tale scopo la 1ª armata britannica, che doveva sviluppare lo sforzo principale, dalla zona di Medjez el Bab verso Tunisi, venne adeguatamente rinforzata, niediante una complessa manovra logistica, con unità sottratte alla 8ª armata. Attacchi concomitanti furono attuati, a nord e a sud, rispettivamente dal 2° corpo statunitense, verso Biserta, e dall'8ª armata britannica, verso la penisola di Capo Bon. In previsione dell'offensiva generale, gli Alleati fin dal 5 aprile sferrarono una violenta offensiva aerea sugli aeroporti del nemico in Tunisia e in Sicilia, nonché contro i suoi trasporti navali ed aerei. Dal 17 aprile al 13 maggio si svolsero le operazioni, non sempre contemporanee nei varî settori, ma che nel loro insieme collegate dal concetto operativo prima illustrato, costituiscono quella che può essere definita la "battaglia dellaTunisia settentrionale." Lo sviluppo di essa può essere inquadrato nei varî settori in cui i combattimenti si svolsero.
Nel settore settentrionale (obiettivo finale: Biserta) gli Americani iniziarono l'attacco il 17 aprile, puntando su Mateur e su Biserta; quella venne occupata il 4 maggio, questa il 7. Le unità tedesche di questa zona furono accerchiate. Una parte delle forze alleate si diresse verso la zona di Tunisi.
Nel settore centrale (obiettivo finale: Tunisi) il comandante del gruppo di armate dell'Asse, gen. von Arnim, tentò, nella notte sul 21 aprile, di sconvolgere la preparazione offensiva nemica in questo settore, il più delicato del fronte, con una puntata preventiva nella zona di Medjez el Bab. Ma la div. corazzata "Goering", cui era affidato tale compito, dopo un successo iniziale, subì un grave scacco. Più a sud, il 4 maggio, l'importante posizione di Pont du Fahs cadeva in mano alleata. Il 6 si sferrò l'attacco decisivo alleato: la 1ª armata britannica, che aveva ormai i fianchi assicurati dalla occupazione di Mateur, a nord, e di Pont du Fahs, a sud, avanzò con circa 800 carri armati e 500 cannoni e col concorso di un concentramento aereo di proporzioni fin'allora mai attuate. Direttrice d'avazata: Medjez el Bab-Tunisi. Il gen. von Arnim tentò di parare, prima sottraendo forze alla 1ª armata italiana a favore della 5ª tedesca, poi ordinando un ripiegamento parziale in corrispondenza della direttrice principale dell'attacco nemico; ciò finì col facilitare la penetrazione nemica e la conseguente separazione della 5ª armata tedesca dalla 1ª armata italiana e dal corpo tedesco d'Africa. Il generale von Arnim cercò di riunire le varie masse sul massiccio di Zaghouan, ma non vi riuscì. Ormai, un senso di sfiducia nelle sorti finali della lotta sembrava pervadere il comando tedesco e diffondersi nelle unità germaniche, la cui resistenza crollò, alla fine, improvvisamente. Alla sera del 7 i Britannici (78ª div.) entravano a Tunisi abbandonata dai Tedeschi. Una divisione corazzata britannica venne lanciata, da questo settore, verso quello meridionale, allo scopo di farla giungere alle spalle della 1ª armata italiana, che continuava a combattere.
Nel settore meridionale gli Alleati iniziarono l'attacco il 19 aprile e, dopo vivace lotta, giunsero a occupare le posizioni di Takrouna, validamente difese dagl'Italiani; ma l'8ª armata britannica non riuscì ad ottenere, contro la resistenza italiana, altri sostanziali vantaggi, cosicché il comando del gruppo d'armate alleate decise di valersi di qualche sua unità per impiegarla nel settore centrale, dove l'attacco procedeva fruttuosamente. Successivamente, gli Alleati separarono, accerchiandolo sul massiccio di Zaghouan, il corpo tedesco d'Africa dalla 1ª armata italiana; accerchiarono questa ultima, alla base della penisola del Capo Bon, a nord di Enfidaville e Takrouna, mediante il concorso dell'accennata divisione corazzata che, superata la resistenza tedesca alla stretta di Hamman Lif, s'era spinta verso Grombalia e Hammamet; penetrarono nella penisola di Capo Bon e vi accerchiarono le unità dei servizî della 1ª armata. Dopodiché tutte le forze dell'Asse erano o stavano per esser accerchiate in varie "sacche": la 5ª armata tedesca a nord, il corpo tedesco d'Africa a sud, la 1ª armata italiana anche a sud, i suoi servizî nella penisola di Capo Bon. La resistenza tedesca cessò: il giorno 11 il comandante tedesco firmò la resa delle sue forze. La resistenza italiana invece non era ancora piegata del tutto: solo il 13, dopo aver opposto rifiuto a precedente proposta, il comandante italiano decise la resa dei proprî combattenti.
I motivi essenziali della sconfitta sono da ricercarsi nel rapporto delle forze e dei mezzi, accennato da principio, e nella conseguente situazione morale che, ormai, si era andata determinando negli opposti campi. L'inferiorità italo-tedesca in terra, in cielo e sul mare era troppo grave per esser sanata da una eventuale superiorità tecnica e manovriera.
Bibl.: Audouin-Dubreil, La guerre de Tunisie, Parigi 1946; H. Butcher: Three years with Eisenhower (The invasion of North Africa), Londra 1945; E. Canevari, Le operazioni nell'Africa settentrionale, in Nazione Militare, 1942; M. Caracciolo di Feroleto, La campagna 1940-42 in Libia, in Rivista Militare, ottobre 1947; A. Clifford, Three against Rommel. The campaigns of Wavell, Auchinleck and Alexander, Londra 1944; F. De Guingand, Operation Victory, Londra 1947; O. Di Giamberardino, Operazioni navali relative alla campagna 1940-42 in Libia, in Rivista Militare, febbraio 1948; G. Esquer, 8 novembre 1942 jour de la libération. La resistance en Afrique du Nord, Parigi 1946; R. Graziani, Africa settentrionale (1940-41), Roma 1948; O. Gregorio, L'estate di El Alamein, Milano 1943; Hill Russell, Desert conquest, Londra s. a.; D. Keith, Alamein to Zem Zem, Londra 1947; G. Messe, Come finì la guerra in Africa. La Prima Armata italiana in Tunisia, Milano 1946; A. Moorehead, The End in Africa, Londra 1944; A. Moorehead, African Trilogy comprising Mediterranean Front, Londra 1946; D. Rame, Road to Tunis, 1944; A. Tarasca, Ai margini del grande conflitto: Con i Tedeschi in Tunisia, in Rivista Militare, maggio 1947; G. Talbot, Speaking from the desert, Londra s. a.; U. S., Il traffico di rifornimento delle armate italiane e tedesche operanti in Libia nella campagna 1940-42, in Riv. marittima, gennaio-febbraio 1948.