Africa
Geografia umana ed economica
di Pasquale Coppola
L'A. muove i primi passi nel nuovo millennio con un pesante fardello d'instabilità politica, che in molte zone intralcia lo sviluppo e la crescita civile. Sia tra gli Stati sia all'interno di questi si manifestano con frequenza forme di scontro che, benché percepite dall'opinione pubblica internazionale come 'conflitti a bassa intensità', disseminano il territorio di lutti, profughi e danni alle già modeste infrastrutture.
Le vertenze più direttamente legate alla fase coloniale hanno ormai scarsa rilevanza, essendo ristrette alla cuspide nord-occidentale del continente. Qui restano forti le pressioni del Marocco sui presidi spagnoli di Ceuta e Melilla, reclamati con un'azione ufficiale presso l'ONU nel 2002 e oggetto nel settembre del 2005 di un sanguinoso tentativo di invasione da parte di schiere di africani desiderosi di trasferirsi su un lembo di 'suolo europeo'. Il Marocco ha dovuto a sua volta concordare con una missione dell'ONU l'impegno a far svolgere un referendum nel Sahara Occidentale, che occupa da oltre trent'anni, consentendo così l'autodeterminazione al popolo saharawi. Eredità della fase coloniale possono essere considerate anche le difficoltà nel fissare i confini tra la giovane entità statale eritrea e l'Etiopia da cui essa si è staccata: alla fase armata è seguito nel 2000 un accordo di pace; ma, mentre una commissione internazionale opera per un arbitraggio, gli eserciti restano tuttora schierati a definire una frontiera di fatto. Nel 2002-03 è stato invece risolto, con sentenze della Corte internazionale di giustizia dell'Aia, il contrasto confinario tra Nigeria e Camerun: è prevista l'attribuzione al Camerun della penisola di Bakassi e di un migliaio di km2 lungo le rive del lago Ciad, e alla Nigeria del territorio del Damboré. In parecchi casi, comunque, gli accordi conseguiti in sede internazionale restano di precaria attuazione, come testimoniano i persistenti scontri tra libici e ciadiani lungo la fascia di Aozou.
Molti dei conflitti che si trascinano da anni, con ripetute fasi di virulenza, traggono le loro origini da spinte regionaliste. In altri casi sono fattori religiosi ad alimentare le guerriglie interne, come avviene in Algeria, dove i tentativi di pacificazione e l'erogazione di amnistie sono stati respinti a più riprese dal movimento fondamentalista islamico, o nel Sudan, dove stenta a reggere la tregua stabilita tra i ribelli cristiani delle regioni meridionali e il governo musulmano di Khartum. Sempre in territorio sudanese, l'inizio del millennio si è tinto di emergenza umanitaria per la carestia generata nella regione del Dārfūr dalla siccità e dall'abbandono delle campagne in seguito alle incursioni di miliziani filogovernativi. Più prettamente etnica è invece la base del conflitto sviluppatosi tra Sudan meridionale, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo e Uganda, costellato di massacri ed episodi di destabilizzazione degli Stati coinvolti.
In molteplici circostanze le tensioni si accumulano intorno a governi troppo a lungo privi di ricambio democratico: come nello Zimbabwe, dove il presidente R.G. Mugabe, al potere per circa un quarto di secolo, ha represso le voci dell'opposizione anche con il diversivo di una pericolosa campagna xenofoba, che ha causato la sospensione del Paese dal Commonwealth. Al polo opposto si collocano situazioni come quelle della Somalia, connotate da un totale vuoto di potere, nel quale si fanno localmente spazio bande di 'signori della guerra' o pulsioni di secessione, come quelle del Somaliland. Ancora più intricate sono le lotte al vertice di alcuni Paesi dell'A. occidentale, dove si sono succedute, e talora interconnesse, guerriglie e prese di potere tra regioni e fazioni rivali nello spazio compreso tra Sierra Leone, Liberia e Costa d'Avorio. Su questo scacchiere, come in altri del continente, per ripristinare condizioni di vivibilità e indurre ad accordi politici si sono dovute schierare truppe d'interposizione, francesi (sul suolo ivoriano) o dell'ONU (negli altri due Paesi). Oltre che all'invio di contingenti militari, l'atrocità, la durata e la pervasività degli scontri in questi Paesi hanno indotto ad applicare sanzioni internazionali sul commercio di alcune materie prime controllate dalle fazioni in lotta e sul rifornimento di armamenti; per la Sierra Leone, in particolare, è stato insediato un Tribunale internazionale sui crimini di guerra.
Il solo Paese che appare approdato a un quadro democratico stabile è la Repubblica Sudafricana, il cui sistema politico è uscito rafforzato dalla conclusione dei lavori della commissione di riconciliazione post-apartheid. La sua credibilità internazionale ha consentito di accogliere a Johannesburg nel 2002 la Conferenza dell'ONU per lo sviluppo sostenibile e di avanzare la prima candidatura di una sede africana per i mondiali di calcio del 2010 e le Olimpiadi del 2012.
Un fronte inconsueto di destabilizzazione si è aperto in A. con la comparsa sul suo territorio del terrorismo internazionale di matrice islamica, che ha provocato l'attenzione delle potenze mondiali e perturbato i flussi del turismo. Emerso con gli attentati compiuti (in particolare contro obiettivi occidentali) in Kenya, Tanzania, Marocco ed Egitto, il fenomeno assume ormai contorni non episodici per la presenza di reti clandestine (attive in Nordafrica) e di campi di addestramento (organizzati tra il Sudan e il Corno d'Africa).
Assetti demografici e sociali
La popolazione africana era stimata al 2003 in 850 milioni di ab., con un incremento di circa 100 milioni nel corso di un quinquennio. Le previsioni indicano la persistenza, almeno fino al 2010, di un ritmo di crescita prossimo al 2% annuo, confermando il primato dell'A. nel campo della vitalità demografica. Per effetto di questa rapida espansione la pressione sulle terre disponibili comincia a farsi eccessiva in più di un distretto, compromettendo ulteriormente il soddisfacimento dei bisogni primari in cibo, acqua ed energia, e aprendo una serie di conflitti ambientali. La densità media si è spinta a 44 ab./km2: tolte le isole e i presidi spagnoli, i valori estremi oscillano tra i 3 di Stati in larga parte desertici, come Libia, Namibia e Botswana, e gli oltre 250 delle colline del Burundi e del Ruanda, ricche di terreni fertili.
Benché la natalità media resti prossima al 35‰, emerge una lenta ma diffusa tendenza al suo contenimento. Ormai in alcuni Paesi, come Tunisia, Algeria e Repubblica Sudafricana, il livello delle nascite è sceso sotto il 20‰, il che equivale a 2-2,5 figli per donna. Poco sopra questi valori si colloca il Marocco, nel quale le recenti modifiche al diritto di famiglia hanno posto le condizioni per una svolta nella condizione femminile. Persistono, comunque, situazioni di natalità molto elevata su vaste regioni del continente, con valori spesso oltre il 40‰ e con punte prossime al 50 in Mauritania, Niger, Burkina Faso a occidente, e Somalia, Uganda e Malawi a oriente. In queste sezioni dell'A. le gravidanze sono tuttora in media oltre 6 per donna, con punte superiori a 7 per Somalia e Niger. I valori di mortalità sono scesi sotto il 10-11‰ là dove migliori sono i contesti igienico-sanitari (coste mediterranee) e più marcata è l'incidenza della popolazione giovane, ma vi sono ancora casi in cui essi restano altissimi o attraversano addirittura una fase di risalita. Queste circostanze ricorrono in particolare nei Paesi toccati dagli eventi bellici di maggiore intensità, come in certi tratti dell'A. occidentale o in Etiopia, oppure nei territori dell'A. australe tormentati dal flagello dell'AIDS, che in Angola ha portato la mortalità oltre la soglia del 25‰ e in Botswana oltre il 26, mentre persino la relativamente florida Repubblica Sudafricana fa segnare un valore medio prossimo al 17 (con intensità ben più alte nella componente nera). Un contrasto analogo si disegna ormai con chiarezza anche sul fronte della mortalità infantile, che risulta abbondantemente inferiore al 40‰ nell'area maghrebina e in Egitto, mentre altrove è per lo più tra l'80 e il 120, con picchi intorno al 150 in Sierra Leone e in Angola; anche in questo caso ampi distretti dell'A. subsahariana presentano una tendenza al peggioramento per via dei neonati che hanno contratto l'AIDS nel seno materno. La combinazione di queste tendenze fa sì che le speranze di vita alla nascita prospettino andamenti contraddittori: da un canto, in molti Paesi della fronte settentrionale si è prossimi ai livelli del mondo industrializzato; da un altro, per un'ampia schiera di regioni le prospettive si spingono via via in avanti, tra i 50 e i 60 anni; ma, da un altro ancora, si registrano anche casi in cui le aspettative regrediscono, scendendo persino sotto i 40 anni per gli uomini in Angola e Mozambico, e in cui la falcidia selettiva dell'AIDS si traduce in prospettive peggiori per le donne.
Appare chiaro, dunque, come per la demografia dell'A. si disegnino tre distinte direttrici. La prima è data dall'evoluzione 'virtuosa' della fascia mediterranea, con crescita annua della popolazione ormai sotto il 2% (minimo della Tunisia: 1,2) e con natalità meno galoppante, mortalità bassa e consistenti speranze di vita. Un secondo insieme, più discontinuo, è composto di quadri regionali che, per conflitti o permanenza di una miseria estrema e di forti rigidità sociali, registrano contenuti cali nei valori di natalità e mortalità, speranza di vita che a fatica si approssima a 50-60 anni e saldo annuo intorno al 3% (al netto delle ondate temporanee di profughi). La terza direttrice - che spazia soprattutto sulle terre australi - si colloca sotto il segno devastante dell'AIDS, che sostiene i valori della mortalità e ha ormai la forza di deprimere la speranza di vita. La diffusione dell'AIDS si riflette in modo negativo anche sulla disponibilità di braccia adulte e sull'ampliarsi delle schiere di orfani senza sostentamento, e tocca direttamente i bilanci degli Stati, stremati dall'elevato costo dei farmaci necessari a contenere l'infezione. Su quest'ultimo fronte, i governi africani, a cominciare da quello di Pretoria, hanno avviato un duro confronto con le case farmaceutiche per aggirare gli alti oneri dovuti al regime dei brevetti internazionali.
Un connotato demografico condiviso è il peso delle leve giovanili: si calcola che il 60% degli africani abbia meno di 20 anni, con casi-limite come l'Uganda, dove metà della popolazione si collocherebbe sotto i 16 anni. Questa situazione, che contribuisce a precipitare l'A. in una massiccia dipendenza strutturale, per via della moltitudine di bocche da sfamare che gravano sui pochi attivi, dovrebbe pure far riflettere sul potenziale di energie giovanili che - con un minimo di dotazioni - potrebbe essere incanalato sulle vie dello sviluppo. Accade, invece, che di queste forze venga fatto talora l'uso più distorto e disumano: si sono moltiplicate le razzie di ragazzi e persino di fanciulli da adibire al ruolo di combattenti o, al contrario, le mutilazioni di massa degli arti per inibire loro l'uso delle armi. Le decine di migliaia di bambini-soldato, impiegati in combattimento nella Sierra Leone o nella fascia tra Uganda, Sudan e Repubblica Democratica del Congo, sono da considerare a buon diritto una delle maggiori vergogne che offuscano l'equilibrio politico mondiale.
Un ulteriore impoverimento delle risorse umane deriva dagli alti tassi di analfabetismo, tuttora molto diffusi. I maggiori progressi in questo campo riguardano gli spazi compresi tra la regione del Capo e gli altipiani orientali, dove i valori oscillano tra il 14-15% della Repubblica Sudafricana e del Kenya e i 23 della Tanzania; ma in questo stesso scacchiere l'A. di colonizzazione lusitana annovera più del 50% di analfabeti. La fascia centrale del continente prospetta quote quasi ovunque superiori al 40%, e spesso al 60%; gli estremi sono rappresentati dal Camerun, dove solo un abitante su quattro è privo di ogni istruzione, e da Niger e Somalia, dove al contrario solo uno su cinque risulta alfabetizzato. Lungo le coste mediterranee le situazioni migliori interessano Libia e Tunisia (intorno al 20%).
La mobilità della popolazione africana è in espansione lungo una pluralità di direttrici. La prima riguarda gli spostamenti dalle campagne verso le grandi città, dove si incontrano precarie occasioni di lavoro e ancor più precarie condizioni di alloggio: sono all'incirca 25 ormai le aree dove si aggruma più di un milione di abitanti, e tra queste la più popolosa è Lagos.
Il livello di urbanizzazione, pur tendendo quasi ovunque ad aumentare, resta ancora prossimo al 10% in Ruanda e Burundi e di poco superiore in Uganda ed Etiopia, mentre il limite opposto è fatto segnare da Gabon e Libia, dove oltre l'80% degli abitanti si concentra in città. Un altro consistente flusso di uomini si sposta oltre le proprie frontiere alla ricerca di lavoro, specie nelle terre confinanti con il magnete economico sudafricano. Masse cospicue vengono poi costrette a esodi improvvisi dalle loro regioni devastate per episodi conflittuali, aggregandosi in estese tendopoli condotte sotto l'egida delle organizzazioni caritative internazionali. Fuori del continente cercano, infine, rimedio alle ristrettezze economiche e alle persecuzioni schiere numerose che muovono lungo rotte segnate da abusi, rischi e disagi: le compongono per lo più abitanti dell'A. saheliana, che attraversano il deserto e si uniscono a elementi maghrebini negli scali marocchini, libici e tunisini per imbarcarsi verso Spagna e Italia, destinazioni ultime o terre di passaggio verso il miraggio lavorativo dell'Europa centro-occidentale.
Attività economiche
Le economie africane continuano a esibire una marcata debolezza di fondo. Anche se nei primi anni del Duemila le medie d'incremento del PIL si sono collocate intorno al 2-4% annuo, in molti casi hanno a malapena coperto la parallela crescita del contingente umano. E non mancano nemmeno Paesi, come la Repubblica Democratica del Congo o la Sierra Leone, dove gli effetti delle guerre civili si sono tradotti in anni di calo del reddito pro capite nell'ordine del 5-6%. Del resto, i migliori ritmi di espansione (prossimi o superiori al 10%), segnati da Angola e Mozambico, indicano più una ripresa dalla crisi degli anni di lotte intestine che l'emergere di economie rampanti. La crescita registratasi nell'insieme dell'A. nel decennio 1995-2005 è, comunque, ben lontana da quel 7% annuo che sarebbe occorso, secondo il World Summit on Social Development del 1995, per dimezzare i livelli di povertà nel continente: sicché ancor oggi oltre il 45% della popolazione vive sotto la soglia della miseria estrema. In una maggioranza di Paesi, infatti, il reddito pro capite è poco lontano da un dollaro al giorno, e in alcuni, come Ruanda, Malawi o Sierra Leone, è di appena mezzo dollaro, mentre in altri, come Burundi, Repubblica Democratica del Congo e l'intero Corno d'Africa, non si raggiungono nemmeno i 100 dollari l'anno. Condizione del tutto singolare è quella di cui gode il minuscolo arcipelago delle Seicelle, cui gli intensi flussi turistici consentono un reddito pro capite di 9000 dollari, mentre la disponibilità di petrolio ne attribuisce circa 3000-3500 alle non numerose popolazioni di Libia, Guinea Equatoriale e Gabon, e quella di diamanti ne assegna altrettanti agli abitanti del Botswana; ma nemmeno la collocazione tra i primi dieci produttori di petrolio aiuta i ben più numerosi nigeriani a salire oltre il dollaro giornaliero pro capite. Nonostante gli sforzi profusi fino a oggi, tranne la Repubblica Sudafricana e alcuni Paesi dell'area mediterranea ben pochi sono gli spazi dotati di un'economia articolata e dinamica.
Le disponibilità di prodotti agricoli crescono in modo modesto e con scarsa continuità, anche per processi di valorizzazione delle terre arabili e delle coperture forestali che non tengono adeguato conto dei delicati tratti ambientali. Progredisce maggiormente lo sfruttamento delle materie prime di cui il continente è ricco, ma questo è spesso occasione di forti contese locali, alimentate da una vaste rete di interessi internazionali. Sempre più spesso compaiono sul suolo africano attività di trattamento intermedio delle risorse, specie in comparti che desterebbero forti preoccupazioni d'inquinamento nei territori a economia avanzata. Esempio ne può essere la gigantesca fonderia di alluminio aperta presso Maputo per lavorare la bauxite australiana sfruttando l'energia elettrica attinta alla diga di Cabora Bassa, sullo Zambesi. È sconfortante l'andamento degli scambi internazionali che vedono protagoniste le merci africane: vi sono certamente beni (come i minerali di ferro o di rame, o le arachidi) le cui esportazioni registrano periodi di pesanti flessioni, e altri (come il cacao, il tè o il tabacco) per i quali la domanda ha segnato significative fasi di espansione, ma nell'insieme i termini di scambio si sono rivelati quasi sempre sfavorevoli. Solo i flussi di petrolio in uscita si mostrano confortanti, anche in virtù dell'impennata dei prezzi dei primi anni Duemila; ma questa risorsa riguarda pochi Paesi, che presentano per lo più economie poco differenziate. Infine, un numero esiguo di Stati - in particolare il Marocco - può contare su un apporto determinante di rimesse dei lavoratori emigrati. Nel complesso, le bilance dei rapporti con l'esterno sono fortemente deficitarie, e riversano tali scompensi su debiti esteri di proporzioni colossali; il solo pagamento degli interessi assorbe quote imponenti dei prodotti interni annui. Soltanto l'afflusso continuo di aiuti internazionali, calcolato nel 2004 a oltre 400 miliardi di dollari per l'A. a sud del Sahara, consente a molta parte del continente di restare in vita, nonostante l'elementarità delle strutture economiche e l'incapacità dei governanti; e sempre più spesso tali aiuti vengono subordinati a impieghi virtuosi e alla fine della corruzione degli apparati.
Il generale stato di dissesto ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica dei Paesi avanzati, suscitando anche campagne (di movimenti di massa e di schiere di artisti) favorevoli alla cancellazione del debito. Un'iniziativa di grande spessore politico per le sorti delle economie africane è stata lanciata nel 2001 dai capi di Stato di Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal e Repubblica Sudafricana, raccolti sotto la sigla NEPAD (New Partnership for Africa's Development). Essi hanno sollecitato un approccio globale e integrato allo sviluppo del continente, ponendo al primo posto - tra l'altro - la pace e la stabilità, la formazione delle risorse umane, la diffusione delle tecnologie informatiche e l'accesso alla società della comunicazione. Parte di questi obiettivi è stata ripresa l'anno successivo da un vertice delle maggiori potenze economiche (il G8) svoltosi in Canada, in un Piano d'azione per l'Africa; e un passo concreto è venuto nel 2005, ancora da una sessione del G8 tenutasi in Scozia, con la cancellazione totale del debito di 18 Paesi africani.
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