Africa
Se si prescinde dalla costituzione del Sud Sudan (v.), formalmente avvenuta nel 2011 per distacco dal Sudan delle regioni dell’alto Nilo (abitate in prevalenza da popolazioni scarsamente arabizzate, da molto tempo in contrasto con il governo sudanese), l’assetto politico dell’A. non ha conosciuto mutazioni formali nell’ultimo decennio. La nascita del Sud Sudan, tuttavia, come già quella dell’Eritrea, nello smentire la fissità del ritaglio territoriale emerso dalla decolonizzazione, offre un ulteriore precedente per altre rivendicazioni autonomistiche o indipendentistiche in molte parti del continente, che nel prossimo futuro potrebbero arrivare a maturazione. Al momento, comunque, né la situazione informale e fluida della Somalia, né quella ancora incerta delle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo (Kinshasa), né quella del Sahara occidentale – per non citare che i casi più evidenti – hanno trovato una soluzione. Ciò non toglie che elementi di seria effervescenza territoriale si manifestino in diverse ulteriori regioni: la cuspide occidentale del Golfo di Guinea, l’area a occidente del lago Ciad, la Nigeria settentrionale, la Cirenaica e l’entroterra libico e altre.
Per altro verso, accanto a un certo raffreddamento delle dinamiche demografiche (che sono pur sempre le più vivaci a livello mondiale, specialmente nell’A. a sud del Sahara) e a un costante lieve miglioramento delle condizioni sociosanitarie nell’intero continente, si vanno intensificando i segnali di crescita economica e di sviluppo organizzativo e sociale. Questi processi appaiono ovviamente più saldi soprattutto nei Paesi dell’A. mediterranea, dove sono in atto da più lungo tempo e dove (malgrado le turbolenze politiche degli ultimi anni) sembrano destinati a consolidarsi, sia pure con gradualità.
Anche la Nigeria e soprattutto il Sudafrica, pur scontando contraddizioni e difficoltà di vario genere, ormai emergono come poli politico-economici di rilievo più che regionale, mentre si propongono come Paesi in rapida crescita Angola, Costa d’Avorio, Tanzania, Mozambico e altri. La dipendenza dalle materie prime rimane alta, tuttavia, in quasi tutti questi Paesi, circostanza che li espone alle fluttuazioni dei prezzi e che distorce la lettura dei potenziali economici; anche nei Paesi potenzialmente ricchi di risorse, il sostegno internazionale rimane spesso indispensabile a conservare livelli accettabili di vita. In molti Paesi, ancora, l’intervento estero (è ben noto quello cinese, benché sia stato enfatizzato oltre il lecito) sostiene le economie locali in forme non indolori, come, per es., nel caso delland grabbing (v. agricoltura). Inoltre, con ben poche eccezioni, la concentrazione della ricchezza rimane molto forte, tanto da rendere davvero soltanto indicativo il ricorso ai valori medi, per es. per quanto riguarda il reddito disponibile o i consumi. Se, grazie al petrolio, la Guinea Equatoriale presenta un PIL medio pro capite prossimo a quello di un Paese ad alto reddito, e il Gabon uno prossimo a quello di un Paese a medio reddito, entrambi mostrano anche indicatori sociali assai bassi. Quasi tutti i 30 Paesi più poveri del mondo sono africani, compresi alcuni di quelli che manifestano una recente e vivace tendenza alla crescita. La distribuzione della ricchezza in A. è squilibrata, al punto che sono tutti africani i Paesi per i quali l’indice di Gini (misura globale della diseguaglianza di una distribuzione) supera il valore 0,6 (a fronte di un valore medio mondiale di 0,39), così come africani sono 32 dei 35 Paesi con il più basso indice di sviluppo umano.
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