AFRODITE (᾿Αϕροδίτη, Aphrodita)
Dea greca dell'amore, simbolo dell'istinto e della forza vitale della fecondazione e della generazione. In questo aspetto si ricollega all'Ishtar babilonese e all'Astarte fenicia, pur non potendosi dedurre una derivazione da questa divinità semitica. Come dea della generazione A. appare, nella tradizione raccolta nella Teogonia (v. 190 ss.) di Esiodo, nata nelle acque di Citera dalla schiuma del mare fecondata dai genitali di Urano, tagliati e gettati da Crono. A questa genesi miracolosa i Greci riconnettevano il nome stesso della dea intendendolo come "colei che è nata dalla spuma (ἀϕρός) del mare", e ad essa si riferisce l'epiteto di Anadiomene (᾿Αναδυομένη), sorgente dal mare, motivo che ispirò largamente gli artisti.
La dea era considerata però, fin dalla più remota antichità anche sotto un aspetto celeste, e già in Omero essa è la più bella delle divinità olimpiche, figlia di Zeus e di Dione; assume gli epiteti di aurea (χρυσῆ), di urania (οὐρανία). Nell'etica posteriore a Platone, si venne distinguendo l'A. Urania, simbolo dell'amore ideale e puro, e l'A. Pandemia (Πάνδημος) dell'amore sensuale. Un particolare aspetto della dea era quello che la ricollegava al valore guerriero come Areia (᾿Αρεία), venerata perciò a lato di Ares, che, nella tradizione tebana, in Esiodo e poi in Pindaro, è suo sposo, e dall'unione con il quale nascono Phobos, Deimos e Harmonia; in Omero Ares le è fratello e nell'Odissea è suo amante, mentre Efesto è lo sposo legittimo.
Il centro più antico di culto era Cipro, e la dea è detta perciò Cipria (Κύπρις, Κυπρογένεια), già in Omero, e anche Pafia (Πάϕια) dal santuario più importante dell'isola. In Occidente il centro maggiore di culto fu sul monte Erice in Sicilia, donde ebbe l'epiteto di Ericina. L'aspetto più diffuso è quello di dea dell'amore, della fecondità, della natura fiorente, perciò le sono sacri i giardini, la primavera, il mirto e le rose; è detta Antheia (῎Ανϑεια) ed è ricollegata al mito di Adone, simbolo del fiorire e dell'appassire della vegetazione, della vita e della morte.
Come dea nata dal mare è invece protettrice dei navigatori, con l'epiteto di Pontia (Ποντία), Pelagia (Πελαγία). Come dea della bellezza è circondata dalle Grazie e dalle Ore che l'adornano, la assistono al bagno, e sarà giudicata da Paride che ella proteggerà contro Menelao; come dea dell'amore è accompagnata da Eros, che ai suoi comandi trafigge i cuori che si accendono di passione amorosa, rapisce presso di sé il bel Fetonte, rende irresistibile Faone, protegge le etere, è invocata nelle nozze. Sono suoi attributi, oltre al mirto e alla mela, gli animali più inclini all'amore come la colomba, la lepre, il caprone. Questi vari aspetti si riflettono ampiamente nelle figurazioni artistiche. Il tipo di origine orientale della dea nuda, talvolta in atto di spremersi i seni, talaltra nell'atto della pudica, è larghissimamente diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo (v. Astarte), e già nell'arte cicladica (v.) idoli femminili schematici si riallacciano a questa concezione di una dea della fecondità, grande madre della natura. Nell'arte cretese-micenea troviamo una dea nuda con colomba, come nelle laminette auree della III tomba a fossa, del XVI sec., di Micene, che ha analogia con la posteriore concezione greca di Afrodite.
Nulla sappiamo dell'aspetto sia dei primitivi xòana della dea attribuiti a Dedalo (Paus., ix, 40, 4) e ad Epeios figlio di Panopeo - l'artefice mitico del cavallo di Troia (Paus., ii, 19, 6) - sia delle statue arcaiche di Gitiadas ad Amicle (Paus., iii, 18, 7), di Kanachos a Sicione - quest'ultima crisoelefantina e seduta in trono, con polos in testa, reggente nelle mani un pomo e un papavero (Paus., ii, 10, 5). Con l'attributo della colomba nella mano portata al petto ci appare invece A. nella nota statua di Lione, integrata da H. Payne con il frammento della parte inferiore conservato nel Museo dell'Acropoli, opera di un ignoto scultore del 555 circa a. C., dalla salda struttura e dal delicato colorismo. A un arcaico simulacro acrolito della dea con capelli spioventi è stata riportata la testa colossale della Collezione Ludovisi di un artista della Magna Grecia del 490-480 a. C.
Accanto a questi simulacri di culto, l'immagine della dea compare ben presto nelle rappresentazioni di episodi mitici ai quali partecipa; uno dei più antichi, dei più popolari e dei più aderenti al concetto di A., è quello del giudizio di Paride, che affonda le radici nel mondo omerico e nel quale A. trionfava come dea della bellezza. La più antica raffigurazione l'abbiamo nell'olpe Chigi, protocorinzia, al Museo di Villa Giulia (poco dopo la metà del VII sec. a. C.) nella quale A. reca una corona nella mano destra. Sappiamo che il tema era stato raffigurato sui monumenti arcaici, come la nota arca di Cipselo (Paus., v, 19, 5) e sul trono di Amicle (Paus., iii, 18, 12), e ai primi del VI sec. a. C. appartiene un pettine di avorio scolpito, da Sparta, di arte laconica, dove A. vicina ad Atena e a Hera alza la mano verso il pomo tenuto da Paride. Ma una delle più spiritose e gustose immagini di questo mito è quella dell'anfora cosiddetta pontica del museo di Monaco (poco dopo la metà del VI sec. a. C.) nella quale l'arte ionica del raffinato ed estroso ceramografo ci dà una A. con l'alta acconciatura e i capelli sciolti, vestita di chitone e di un mantelletto gettato sulle spalle, tenente la sinistra abbassata, un fiore e la destra alzata con l'aria di gesticolare vivacemente. Il mito è spesso raffigurato anche sui vasi calcidesi, beoti e attici dipinti a figure nere, con una iconografia piuttosto costante, nella quale la dea appare sempre l'ultima del terzetto, dietro Atena e Hera che si avviano alla presenza di Paride, e tiene ora una corona, ora un fiore, ora un ramo, ora uno scettro.
Si distacca invece da questa monotona tradizione iconografica vascolare e pittorica, il fregio O del Tesoro dei Sifni a Delfi, del 525 circa a. C., nel quale il carro da cui scende A. sembra dovesse occupare il centro della composizione dinanzi a Paride, che compariva presso una palma, mentre Atena e Hera, sui due lati, stanno per partire sui loro carri; il momento sembra quindi diverso, cioè dopo il giudizio, quando le due dee già vinte si accingono ad allontanarsi ed A. sosta compiaciuta dinanzi al giudice, forse in atto di mettersi la collana. Nel fregio N dello stesso Tesoro dei Sifni la dea partecipava invece alla lotta contro i Giganti insieme con le altre divinità dell'Olimpo.
Anche la tradizione di ricollegare A. ad Ares come sorella o sposa od amante è seguita fin dall'arcaismo nell'arte, dove i due dei compaiono uniti in una coppia a piedi o sul carro o seduti a fianco nelle cerimonie e nelle assemblee olimpiche. Sui vasi ionici e attici del VI sec. a. C. troviamo infatti questa coppia divina; ad esempio A. appare sul cocchio di cavalli alati a fianco di Ares auriga alle cui spalle si appoggia, con il capo coperto dal mantello come una sposa, nel frammento di un'anfora da Nasso della prima metà del VII sec. a. c.; alla metà del VI, nel vaso François di Klitias ed Ergotimos la troviamo ugualmente vicina e rivolta verso Ares nella scena del ritorno di Efesto all'Olimpo.
Nel periodo dello stile severo la figura della dea appare sempre ammantata in olimpica maestosità, sia nella ceramica dipinta, sia nella statuaria, sia nei bronzetti. Non conosciamo la statua, opera di Dionysios di Argo, che faceva parte di un gruppo da lui eseguito ad Olimpia insieme a Glaukos (Paus., v, 26, 2), ma abbiamo più copie della famosa A. Sosandra dedicata da Kallias sull'Acropoli di Atene, opera in bronzo di Kalamis, che bene simboleggia questa concezione severa ed austera della dea, tutta avvolta nell'ampio himàtion di lana pesante che nasconde il corpo lasciando emergere soltanto il fermo e purissimo ovale del volto incorniciato dall'orlo del mantello tirato sulla testa; non sappiamo che cosa tenesse nella mano sinistra protesa, con la palma aperta e le dita un po' piegate, conservata nella copia di Baia.
Il tipo femminile ammantato, con fiore o frutto in una mano protesa mentre l'altra regge un lembo del panneggio, che compare spesso, come sosteguo di specchi bronzei, a partire dal 480, con Eroti volanti ai lati dell'esergo, è stato interpretato come A., ma questa identificazione non è sicura.
La ceramica attica a figure rosse rappresenta A. in varie scene mitologiche: seduta nel consesso olimpico, come nella bella kylix di Oltos al museo di Tarquinia, dove A. appare accanto ad Ares, con la chioma avvolta graziosamente nel kekröphalos, un fiore nella destra alzata e la colomba nella sinistra protesa; nel giudizio di Paride secondo lo schema tradizionale, dove si arricchiscono però sia i particolari del costume con il mantello tirato sul capo, o con un krèdemnon, sia gli attributi: corona, scettro, fiori, ramo, e compare talvolta Eros, come ad esempio nella pyxis a fondo bianco del Pittore di Pentesilea a New York; nell'episodio della seduzione di Elena da parte di Paride, nel quale A. protegge, orna e vela la sposa, come sullo skyphos di Hieron e Makron a Boston, dei primi del V sec. a. C., con A. solennemente ammantata nel chitone e nello himàtion, con un krèdemnon ben pieghettato sul capo; oppure in quello del successivo incontro di Menelao con Elena, dove la dea dell'amore si interpone fra i due proteggendo l'amante di Paride come nell'oinochòe del Vaticano, della seconda metà del V sec. a. C.; nelle scene di gigantomachia, sia in particolari aspetti, come la raffinata e delicata immagine della dea giovanile con lungo racemo fiorito nella mano destra che siede sul cigno volante nella kylix a fondo bianco, del 475 circa a. C., al British Museum, sia nella scena della sua stessa genesi. A questo tema si è riferito il noto rilievo del lato principale del cosiddetto Trono Ludovisi (460-450 a. C.) con la giovane dea che sorge a mezzo busto, vestita del trasparente chitone, sorretta da due ancelle che la coprono in parte con un mantello disteso. La ghiaia raffigurata ai lati ha fatto pensare alla spiaggia marina, quindi alla nascita di A. dalla spuma del mare, vedendo una conferma nelle due figure sui lati minori del trono, l'etera e la donna ammantata, quasi come simboliche interpretazioni dei due opposti aspetti di A., dell'amore spirituale e sensuale, "sacro e profano". L'opera, di arte ionica, è da attribuire a un artista della Magna Grecia e il culto ivi diffuso di Persefone ha indotto altri a vedervi piuttosto l'ànodos di Kore o qualche altro mito italiota.
Comunque la nascita di A. compare già illustrata in una pyxis a fondo bianco al museo di Ancona (da Numana), circa il 460 a. C., dove la dea sta sorgendo dal mare, piegando il ginocchio, vestita del chitone leggero, con tenia nei capelli ed è accolta da Eros giovanetto che si china verso di lei, porgendole una lunga benda frangiata; dietro accorre Charis recandole il mantello, mentre Peitho segue portando la patera; Zeus assiste sul trono presso un'ara accanto a Hera. E lo stesso schema invertito e riassunto nelle tre figure principali di Eros, con la tenia, di A., qui emergente solo con il busto e ornata con ricco diadema, di Charis con il mantello, con l'ara e l'aggiunta di due palme, ritorna, circa un decennio più tardi, in una hydrìa attica a figure rosse del museo di Pegli, facendo pensare alla derivazione comune da un originale pittorico di qualche grande maestro di stile severo. Alcuni elementi nella posa, nel costume della dea, nel manto recato dalla Charis possono avvicinarsi all'iconografia del Trono Ludovisi. In un disco argenteo da Galaxidi - al Louvre - Eros si china a sostenere per le ascelle la dea emergente dal mare con il torso nudo. Questo tema della genesi dal mare sarà ripreso anche da Fidia nel grande rilievo sulla base dello Zeus di Olimpia descritto da Pausania (v, 11, 1-10), da cui sappiamo che Eros era in atto di accogliere la dea sorgente dal mare e Peitho di incoronarla alla presenza delle divinità dell'Olimpo, nel cosmico inquadramento fra Elio e Selene.
Con Eros A. formerà un intimo sereno gruppo sul fregio O del Partenone, opera dello stesso Fidia, in una originale formulazione: nel solenne consesso olimpico la dea assume un tono di leggero abbandono, raffigurata nell'atto episodico di accennare all'arrivo della processione panatenaica con il braccio sinistro teso sulla spalla dell'Eros fanciullo, che si appoggia a lei infilando la mano destra sotto il lembo del mantello sul grembo. Questa nota umana e materna del fregio si trasforma nella grandiosa fulgente immagine plastica del frontone E del Partenone, dove fra le altre divinità A. appare veramente come personificazione della più fiorente bellezza del corpo mollemente sdraiato in grembo alla madre Dione, le forme esaltate dal trasparente panneggio velificato, in una delle più mature espressioni dell'arte fidiaca.
Come Urania, invece, Fidia la raffigurò in un simulacro crisoelefantino ad Elide e in uno in marmo pario a Melite; il tipo fidiaco si è visto nella statua berlinese acefala dal panneggio trasparente di tipo "partenonico" con il piede poggiato su una tartaruga, attributo di questo aspetto particolare della dea; motivo rielaborato poi in alcuni tipi ellenistici dell'Urania. Celebratissima, secondo Plinio (Nat. hist., xxxvi, 15), era anche un'altra A. marmorea di Fidia eximiae pulchritudinis, esistente a Roma nel Portico di Ottavia, di cui si è ricercato il ricordo iconografico in un tipo statuario di stile partenonico, di dama seduta su seggiola, usato per statue iconiche di matrone romane, integrandolo con una testa con bende nota in copie. Questo tipo, di ascendenza fidiaca, parrebbe peraltro bene intonarsi con l'A. dei Giardini, celeberrima opera dello scolaro di Fidia, Alkamenes, riflessa sulla ceramica attica a figure rosse negli ultimi decenni del V sec. a. C., e gli stretti legami tra maestro e allievo potrebbero spiegare gli accenti "partenonici" della creazione. Di stile alkamenico è anche una testa, nota da un'erma di Leptis, dal volto fermo e pieno. Alkamenes e Agorakritos gareggiarono fra loro per una statua di A. e il soccombente Agorakritos trasformò la sua nel simulacro di Nemesi per Ramnunte.
La concezione fidiaca di A. trovò molte rielaborazioni e interpretazioni nei maestri della cerchia, e uno degli esempi più originali è il tipo - detto del Fréjus, dal luogo di provenienza della copia migliore, ora al Louvre - attribuito a Kallimachos dove le conquiste fidiache del panneggio "bagnato" sono portate alle ultime conseguenze, costituendo la nota fondamentale di questa creazione della dea, con lungo chitone scivolato sulla spalla sinistra a scoprire il seno e modellante il corpo in cui si concreta la fiorente bellezza di cui essa è simbolo. Abbiamo rielaborazioni di questo tipo in un altro che ha invece ambedue i seni coperti, e in un terzo che inverte il ritmo del primo.
Altro esempio giocante sul ricco panneggio postfidiaco e sul ritmo di appoggio laterale ad un pilastro, che accentua le flessuose linee del corpo dalle gambe incrociate, è quello noto in varie copie, fra cui due al Louvre, altre a Napoli, Delo, Smirne, attribuito da alcuni, senza sicuro fondamento, ad Alkamenes e che è rielaborato in un rilievo di Dafni. La posa e il ritmo riecheggiano anche nella fine creazione di una paragnatide di elmo a rilievo di cui si ha una forma fittile nel museo di Bonn, dove A. è intimamente aggruppata con Eros che si stringe a lei.
Accanto a queste solenni immagini olimpiche della dea, opere dei grandi maestri della cerchia fidiaca e post-fidiaca, la ceramica attica a figure rosse della 2a metà del V sec. fa conoscere interpretazioni di tono diverso, nelle quali A. appare soprattutto come dea dell'amore, e mentre nelle scene del giudizio di Paride si moltiplicano gli attributi, compare spesso Eros, che accompagna la dea anche in altre scene, come quella che il Pittore di Meidias ci dà su tre hydrìai, ora nel languido abbraccio di Adone seduto mollemente in grembo alla dea con una nota di patetica sensualità, ora nell'aereo carro della dea tirato da due efebici Eroti aggiogati (hydrìa di Faone), ora nella raffigurazione della dea, seduta presso l'ara, che assiste compiaciuta al ratto delle Leucippidi (hydrìa di Londra); tre immagini in cui il panneggio post-fidiaco assume manieristiche trasparenze. Ed Eros precede la dea in atto di salire nella barca del bel Faone nel cratere a calice di Bologna 288 bis, della maniera del ceramografo Polygnotos.
Questo tono languido e sensuale si andrà progressivamente accentuando e umanizzando nella concezione dell'A. del IV sec. nella ceramica detta di Kerč, in scene come quella del giudizio di Paride con A. accompagnata da Eros o sul carro tirato da Eroti, o sul cigno o come Pàndemos. A. è uno dei temi più frequenti nella decorazione a rilievo delle teche di specchi bronzei negli ultimi decenni del V sec. e durante tutto il IV sec. a. C., bene aderendo il soggetto a questo elemento legato alla toilette femminile. Su questi coperchi di specchi A. appare infatti sia sul cigno o sull'oca, sia sull'ariete come Pàndemos, talvolta accompagnata da Eros e da Pan, sia sul cavallo, sia con Eros in grembo o in atto di baciarlo, o in atto di insegnargli a scoccare le frecce, sia con Eros ed Hermes o con Eros e Adone.
Questa umanizzazione della dea è avvertibile anche nella statuaria: A. diviene uno dei soggetti più cari e congeniali all'arte di Prassitele, il maestro della chàris. Alla giovinezza del maestro si riporta il tipo di Arles, al Louvre, in cui quel denudamento della dea, limitato, nel V sec., a parte del seno e alle velificate trasparenze del panneggio postfidiaco, si estende ora a tutto il torso, aderendo al tema molto più terreno ed episodico in cui è concepita la dea raffigurata in atto di specchiarsi mentre si acconcia; denudamento che diventa totale nel capolavoro del maestro, la Cnidia, che segna un momento particolare nello sviluppo iconografico della dea e inizia la numerosa serie delle Afroditi nude, care all'arte ellenistica. Nella Cnidia la nudità è riportata al concetto del bagno sacro, materializzata dall'anfora e dal panneggio che la dea vi sta deponendo sopra con la sinistra, mentre la mano destra copre il seno, iniziando quel motivo della "pudica" che avrà anch'esso una ricca elaborazione nell'ellenismo. La statua, collocata a Cnido entro un'edicola aperta d'ogni parte che ne permetteva la completa visione, aveva un carattere sacro nonostante il tema, ma questa serena e astratta calma della Cnidia si trasformerà presto nel tono sensuale e terreno delle A. nude dell'ellenismo. Tutta panneggiata invece e appoggiata a un pilastrino anche Prassitele raffigura A. nel consesso delle divinità olimpiche in un dodekàtheon, a lui attribuito per lo stile, su un'ara trovata a Ostia, e forse riflesso di quello da lui creato per Megara.
L'antico aspetto della dea Areia, compagna di Ares, rivive agli inizi del IV sec. a. C. in un tipo, noto soprattutto da una statua da Epidauro al Museo Naz. di Atene, dove la grazia del panneggio dal chitone trasparente, nella scia callimachea, e dal ricco himàtion decorativo, si unisce al motivo del balteo traversante il torso delicato e seminudo. La creazione è stata attribuita, senza sicuro fondamento a Policleto il Giovane e si conoscono varie rielaborazioni, fra le quali una, nota anche da una statuetta ostiense, e un tipo, in cui la dea poggia il piede sulla roccia e regge con la mano, sorretta dal ginocchio, la spada, noto in varie copie fra cui è la cosiddetta Melpomene Vaticana. Accanto a Ares stava anche un'A. nuda di Skopas nel tempio di Marte eretto da D. Giunio Bruto Callaico in Roma (Plin., Nat. hist., xxxvi, 26). L'aspetto di A. Pàndemos fu invece nel IV sec. ripreso dallo stesso Skopas in un simulacro bronzeo per l'Elide esposto m un tèmenos all'aperto (Paus., vi, 25, 1). Raffigurava la dea seduta sul dorso di un ariete, e ne rimangono echi in rilievi, specchi e gemme; accanto a Pothos, la personificazione del desiderio amoroso, era stata posta la dea in Samotracia, e ambedue le statue di culto erano opera di Skopas (Plin., Nat. hist., xxxvi, 25).
Il soggetto di A. fu estraneo al temperamento del terzo grande scultore del IV sec., Lisippo, mentre ispirò un celebre quadro di Apelle: la A. Anadiomene, già nel santuario di Asklepios a Coo e poi nel tempio del Foro di Cesare a Roma, per la quale avrebbe servito da modello, come per la Cnidia prassitelica, l'etera Frine, o secondo un'altra versione (Plin., Nat. hist., xxxv, 86) l'amante del pittore, Pancaspe. Apelle aveva ripreso il tema della genesi dal mare raffigurando la dea nuda, sorta dalle onde, in atto di stringersi le chiome con ambedue le mani sollevate. Creazione del primo ellenismo è la celebre A. di Milo al Louvre, il cui torso fiorente emerge nudo in dinamica torsione dal panneggio, e il cui tipo è riprodotto in gemme e messo in relazione con un Eros arciere su un pilastro.
Vicino, per il motivo del panneggio e del torso nudo, è il tipo detto di Capua, con una torsione naturale per l'atto di mirarsi nello specchio tenuto nella mano sinistra. Alla Cnidia si ricollegano alcune celebri creazioni ellenistiche per la completa nudità e per il ritmo generale, come l'A. Medici, e l'A. Capitolina, di viva carnosità la prima, di naturalistica e accademica monumentalità la seconda, forse creata in qualche centro microasiatico del II sec. a. C., ambedue accentuando, con il braccio che copre il seno, il motivo della pudicizia con più terrena intonazione. Quando si aggiunge il panneggio, esso serve solo a far risaltare ancor più il nudo corpo a cui fa da sfondo, come nel virtuosistico e sensuale tipo dell'A. Landolina di Siracusa, dove lo himàtion si gonfia intorno alle gambe, forse la Callipige venerata in quella città. Il motivo del bagno, che nella Cnidia era accennato dall'anfora e riportato a un'atmosfera sacra, è ripreso e trasferito in quello realistico e sensuale nel tipo di bagnante accovacciata che Doidalsas, scultore bitinio, sfrutta per la sua A. commessagli dal re Nicomede e trasportata poi a Roma, dove fu spesso copiata per decorare terme e giardini. Il ritmo mette in risalto la viva e florida carnosità di questo nudo secondo il gusto tardo-ellenistico con senso molle e corporeo, e il tipo darà luogo a varie rielaborazioni. In atto di strizzarsi i capelli, come l'Anadiomene, sarà invece raffigurata in un tipo creato a Rodi, riprendendo il ritmo accovacciato. Il tipo dell'Anadiomene stante, risalente ad Apelle, sarà rielaborato nella statua di Cirene al Museo Naz. Romano, nel gusto già neo-classico della fine del II sec. a. C. Esempio della tendenza arcaizzante del II-I sec. a. C. è l'A. nuda dell'Esquilino - ai Musei Capitolini - che si ispira allo stile severo contaminandolo con accenti vivacemente naturalistici nel ritmo e nell'intonazione di un conturbante risultato. E al I sec. a. C. scende la cosiddetta A. Callipige del Museo Naz. di Napoli, forse di ambiente rodio, per l'accademico artificio ritmico che la distende sul piano in un ricercato atteggiamento, forse di danza, in atto di sollevare il panneggio dal dorso e dal fianco, girandosi indietro e svelando le carnose nudità. Al I sec. a. C. si può riportare anche il gruppo di Delo, al Museo Naz. di Atene, di tono epigrammatico, di A. nuda e pudica, che, aiutata dal piccolo Eros, respinge a colpi di sandalo il protervo Pan, e il motivo del sandalo dà vita anche a un altro tipo ellenistico, in cui la dea è raffigurata in equilibrio instabile in atto di allacciare la calzatura con la mano destra.
L'ellenismo rielabora anche il tipo dell'Urania fidiaca con piede sulla tartaruga, appoggiandola a un'erma laterale e denudandone il torso, come in una statuetta da Cirene, mentre l'antico tema della gigantomachia sarà ripreso nell'Altare di Pergamo, dove anche A. compare nell'interpretazione di esuberante dinamismo plastico e coloristico proprio dell'arte pergamena.
L'ellenismo traduce i motivi della nascita dal mare nella raffigurazione della dea entro la conchiglia bivalve aperta, che troviamo già in un vaso plastico dell'Ermitage dei primi del IV sec. a. C. e che viene sviluppata in terracotte ellenistiche da Corinto al Louvre e a Napoli, in gemme, lucerne, pitture, mosaici, nella tensa del Museo dei Conservatori, in sarcofagi. In pitture pompeiane appare navigante nella conchiglia sul mare, scortata dagli Eroti, stendendo il mantello come una vela.
Invece che sul carro di cavalli alati, usato già nelle raffigurazioni arcaiche, e insieme a quello tirato da Eroti del periodo classico, A. compare, nell'ellenismo, sul carro tirato da cigni, come ad es. in un'oinochòe italiota del museo di Trieste. Alla pittura ellenistica si può riportare la creazione delle molte versioni di quadretti pompeiani con gli amori di Ares e A. in gruppi abbracciati fra Eroti che scherzano con le armi di Ares e dove la dea è seminuda in posa di molle abbandono. Gruppi di A. ed Ares saranno molto diffusi anche in scultura, generalmente rielaborando i tipi di Milo e di Capua e adoperandoli spesso per ritratti di coniugi romani.
Nella produzione dei sarcofagi romani troveremo raffigurati varî miti risalenti a prototipi greci, dove compare A. senza dar luogo a particolari formulazioni, e il tipo della Venere (v.) romana svilupperà i concetti e le forme dell'A. greca, a cominciare dalla Venus Genetrix di Arkesilaos per il tempio eretto da Cesare.
Monumenti considerati. - Per le opere di determinati artisti, che hanno voci a parte, si rimanda a queste e alla relativa bibliografia.
Brattee auree da Micene: G. Karo, Schachtgräber von Mykenai, Monaco 1930, tomba III, flfl. 27, 28, p. 48; tav. xxvii e p. 305. Statua di Lione-Atene: H. Payne, Archaic Marble Sculpture from the Acropolis, Londra, s. d., p. 14 ss., tavv. 22-26. Testa Ludovisi: E. Paribeni, Museo Naz. Romano, Sculture greche del V secolo, Roma 1953, p. 11, n. 1. Olpe Chigi: Antike Denkmäler, ii, tavv. 44-45; C. Clairmont, Das Parisurteil in der antiken Kunst, Zurigo 1951, k. 1. Pettine d'avorio da Sparta: C. Clairmont, op. cit., k. 3; R. M. Dawkins, The Sanctuary of Artemis Orthia at Sparta, Londra 1929, p. 223, tav. cxxvii. Anfora pontica di Monaco: P. Ducati, Pontische Vasen, Berlino 1932, p. 8 ss., tav. 1; C. Clairìnont, op. cit., k. 9. Vasi calcidesi, beoti, attici a fig. n. e a fig. r. con il giudizio di Paride: C. Clairmont, op. cit., p. 20 ss. Fregio del Tesoro dei Sifni: P. de la Coste Messelière, Au Musée de Dèlphes, Parigi 1936, p. 389 ss.; C. Clairmont, op. cit., p. 44, k. 127. Anfora di Nasso: C. Karusos, in Jahrbuch, lii, 1937, pp. 166-197. Sostegni di specchio bronzei: E. Franck, Griechische Standspiegel mit menschlicher Stützfigur, Monaco 1923; E. Langlotz, Frühgriechische Bildhauerschulen, Norimberga 1927, tavv. 15-17, 23, 25, 54. Oinochòe a fig. r. dei Musei Vaticani: Furtwängler-Reichhold, tavv. 170-171. Kylix a fondo bianco del British Museum: E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, fig. 498. Trono Ludovisi: E. Paribeni, op. cit., pp. 12-13, fig. 3. Pisside a fondo bianco da Numana: R. U. Inglieri, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, viii, 1940, pp. 45-61. Idria attica a fig. r. del m. di Pegli: E. Petersen, Die Geburt der Aphrodite, in Röm. Mitt., xiv, 1899, pp. 154-162, tav. vii; L. Bernabò-Brea, C. V. A., iii, 1 c., tav. 6. Disco di Galaxidi: J. de Witte, La naissance d'Aphrodite, in Gazette Arch., v, 1879, pp. 171-174, tav. xix, 2; R. U. Inglieri, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, viii, 1940, p. 52, fig. 8. Tipo di A. appoggiata al pilastro e rilievo di Dafni: H. Schrader, Phidias, Francoforte s. M. 1924, p. 204 ss., figg. 185-191. Paragnatide di Bonn: H. Schrader, op. cit., p. 208, fig. 191. Vasi di Kerč: K. Schefold, Untersuchungen zu den kertscher Vasen, Berlino-Lipsia 1934, nn. 97, 142, 143, 188, 217, 300, 336, ecc. C. Clairmont, op. cit., pp. 58-59. Teche di specchi bronzei: W. Züchner, Griechische Klappspiegel, Berlino 1942, pp. 5-13. Statua di Epidauro: F. Hauser, Die Aphrodite von Epidauros, in Röm. Mitt., xvii, 1902, pp. 232-254; Brunn-Bruckmann, Denkm., 14. Tipo di A. armata: G. Calza, in Ausonia, ix, 1919, p. 176. Tipo di A. armata con piede rialzato: D. Mustilli, Il museo Mussolini, Roma 1938, p. 76, n. 9. Statua di Milo: Brunn-Bruckmann, Denkm., 298; L. Laurenzi, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, viii, 1940, p. 23 ss.; I. Charbonneaux, in Revue des Arts, 1951, pp. 8-16. Statua di Capua: Brunn-Bruckmann, Denkm., 297; A. Furtwängler, Meisterwerke, p. 628 ss. Tipo di A. pudica: B. M. Felletti Maj, Afrodite pudica, saggio d'arte ellenistica, in Arch. Class., iii, 1951, p. 48 ss.; A. Della Seta, Il nudo nell'arte, Milano-Roma 1930, p. 447 ss. Tipo di A. Callipige: A. Giuliano, L'Afrodite Callipige di Siracusa, in Arch. Class., v, 1953, p. 213 ss.; L. Laurenzi, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, n. s. iii, 1954, p. 74. Tipo "maliziosa" di Cirene: C. Anti, in Dedalo, vi, 1925-26, pp. 683-701. Statua di Rodi: S. Reinach, in Mon. Piot, xxviii, 1924, p. 119 ss., tav. xii. Statua dell'Esquilino: A. Della Seta, Il nudo nell'arte, Milano-Roma 1930, p. 603 ss., figg. 197-198; F. von Dulin, La Venere dell'Esquilino, in Bull. Com., xviii, 1890, pp. 48-56, tavv. iii-iv. Statua di Cirene: L. Mariani, in Boll. d'Arte, viii, 1914, pp. 177-184; L. Curtius, in Die Antihe, i, 1925, pp. 36-60, tavv. i-iv. Gruppo di Delo: M. Bulard, in Bull. Corr. Hell., xxx, 1906, pp. 610-631, tavv. 13-16; A. Della Seta, op. cit., p. 490, fig. 163. Tipo di A. che si allaccia o slaccia il sandalo: E. Loewy, Sandalenlösende Venus, in Arch. Epigraph. Mitt. aus Oesterreich, vii, 1883, pp. 225-227, tav. iii; A. Minto, Di un gruppetto in bronzo rappresentante Afrodite che si slaccia il sandalo, in Boll. d'Arte, vi, 1912, pp. 209-216; Einzelaufnamen, 1060-61 (Augsburg), 2749 (Museo Borghese), 4009 (Vicenza); Boll. d'Arte, ix, 1930, p. 274, fig. 6, opus sectile da Pompei. Tipo ellenistico di A. Urania: F. Cumont, L'Aphrodite à la tortue de Doura Europos, in Mon. Piot, xxvii, 1921, pp. 31-43, tav. iii. Fregio di Pergamo: Altertümer von Pergamon, iii, 2, Berlino 1910. Tipo di A. sulla conchiglia: P. Jannot, Venus à la coquille, in Mon. Piot, ii, 1895, pp. 171-184, figg. 1-3 terrecotte del Louvre; M. Brickoff, Afrodite nella conchiglia, in Boll. d'Arte, ix, 1930, pp. 563-569, fig. 1 vaso plastico dell'Ermitage, fig. 2 terracotta da Corinto a Berlino, fig. 3 fontana a mosaico di Pompei, fig. 4, tensa Capitolina. Pitture pompeiane con A. e Ares: W. Helbig, in Rhein. Museum, xxiv, 1869, pp. 521-523; Hermann-Bruckmann, Denkm., tav. 4, p. 9 (Casa di Marte e Venere), tav. 2, p. 7 (Casa dell'Amore punito), tavv. 109-110, pp. 144-146 (Casa del Citarista), tav. 157, pp. 218-219 (Casa di Frontone); C. Dilthey, Marte e Venere, dipinto pompeiano, in Ann. Inst., xlvii, 1875, pp. 15-26, tavv. agg. B; H. Hinck, Due pitture pompeiane riferibili al mito di Marte e Venere, in Ann. Inst., xxxviii, 1866, pp. 82-107, tavv. agg. E-F. Pittura con A. e Adone: Hermann-Bruckmann, Denkm., tav. 52, pp. 65-67.
Bibl: J. J. Bernoulli, Aphrodite. Ein Baustein zur griechischen Kunstmythologie, Lipsia 1873; A. Furtwängler, Aphrodite Diadumene und Anadyomene, Monaco 1901; id., in Roscher, I, cc. 406-419, s. v.; F. Dümmler, in Pauly-Wissowa, I, cc. 2729-2787 s. v.; L. A. Stella, Mitologia greca, Torino 1956, p. 236 ss.