AGAMENNONE ('Αγαμεμνων, Agamemnon)
Figlio di Atreo; secondo l'Iliade, capo supremo degli Achei contro Troia. Sulla sua contesa con Achille e poi sulla riconciliazione v. achille e omero.
Agamennone è dipinto diversamente nelle diverse parti dell'Iliade. Nel libro I, e così in quei canti che sono ora congiunti con esso indissolubilmente, poco importa se composti originariamente da poeti diversi, A. è un orgoglioso, consapevole dell'altezza del suo ufficio, sensibile a qualunque azione o parola sembri porre un limite alla sua sovranità, incline a superare anche i confini posti al suo potere dai diritti dei sovrani, tra i quali egli è solo, pare, un re feudale, un primus inter pares. E anche nella riconciliazione con Achille egli, pur confessando di essere stato accecato dalla passione, non si mortifica in alcun modo. Omero ama evidentemente quest'orgoglio; e attribuisce al suo eroe dignità veramente regale di aspetto e di contegno. Ma altrove ci appare un altro A., facile a scoraggiarsi, a considerare perduta l'impresa, a proporre egli stesso la rinunzia il ritorno in patria, la fuga: ed è ritenuto a fatica da altri re più solleciti dell'onor militare: così nel principio dei libri IX e XIV, non tuttavia nel libro II, dove la proposta di fuggire sembra rappresentasse nient'altro che un'astuzia già in un periodo più antico dell'epopea, quando il libro II non era congiunto con il I. Se si riflette che A. fa la miglior figura di guerriero veramente valoroso nella prima parte del libro XI, che, secondo giudici competenti, appartiene alle parti più antiche dell'Iliade, e che il IX e il XIV paiono invece imitare il II, che non è tuttavia antichissimo, si potrà forse concludere che l'immagine di Agamennone prende colori sempre più cupi nelle parti più recenti dell'epos; che gli aedi più recenti, quanto più amano Achille e s'identificano con lui, tanto più ostili sono agli Atridi. Si annunzia già qui quella valutazione della loro stirpe che culmina e domina nella tragedia.
Altrettanto poco chiari sono i limiti costituzionali del potere di A., certo perché una confederazione di re capitanata da un re maggiore non aveva esempio nella vita. Non chiara e non sempre definita a un modo l'estensione territoriale del suo regno: si potrà in genere dire che per l'Iliade la sua dimora è Argo: Argo tuttavia piuttosto come regione che come città; ma riman dubbio se la regione, e quindi il regno di A., comprenda solo l'Argolide dei tempi più tardi, o si estenda ad altre parti del Peloponneso: i due passi secondo i quali A. domina su Argo e su molte isole (II, 108) e può donare ad Achille città costiere della Messenia (IX, 291 segg.) sono a ogni modo recenti, e il secondo tradisce, a quel che pare, certa inesperienza geografica di chi lo compose. Qua e là in passi, certo, per quanto si sia detto il contrario, non tutti recenti, A. risiede in Micene, il che non contraddice ancora alla concezione che ne fa un re di Argo, poiché Micene appartiene all'Argolide.
Se una parte della leggenda contenuta nelle Ciprie sia anteriore alla nostra Iliade, è difficile dire, perché le Ciprie (v.) non formavano, a quel che sembra, un'unità (v. achille). Gli episodî di Achille a Sciro e di Telefo (v.) sono certamente posteriori. E anche la contraddizione tra l'Iliade, che nomina tra le figlie di A. una Ifianassa ('Ιϕιάνασσα) e le Ciprie che parlano d'Ifigenia (v.), fa pensare che la storia del sacrificio di questa, che certamente figurava nelle Ciprie, sia ancora ignota all'Iliade. Con questo resultato si accorda bene l'osservazione che la parte sostenuta in quell'episodio da A. è un passo innanzi sulla via già iniziata in luoghi recenti dell'Iliade, la quale porta alla caratteristica di A. quale un ambizioso senza scrupoli, anzi senza alcun ritegno morale. Quanta parte A. avesse secondo le Ciprie negli episodî dell'abbandono di Filottete (v.) e dell'uccisione di Palamede (v.), è difficile dire. Ma odiosamente egli si comporta anche secondo la recente Piccola Iliade nella contesa tra Aiace e Ulisse per le armi di Achille, e dopo la morte del Telamonio persino verso il cadavere di lui.
La parte dell'Odissea, che sogliamo chiamare Telemachia, sa che A. scampò per volontà di Hera dalla famosa tempesta presso il capo Malea, giunse sì a casa, ma fu subito ucciso da Egisto, che aveva durante l'assenza decennale del marito sedotto Clitennestra: questa nella Telemachia, tranne in versi che mancavano nei manoscritti antichi, non è che complice; Cassandra non appare. Un'altra versione è messa in bocca all'ombra di A. nel libro XI (discesa agl'Inferi). Colà Egisto invita a sé A. d'accordo sempre con Clitennestra, e lo uccide "come un bue sulla mangiatoia". Contemporaneamente sono uccisi gli uomini del seguito. A., morendo, sente la voce ultima della propria concubina Cassandra, che Clitennestra ammazza per cagione sua. I due motivi dell'uccisione, l'adulterio di Egisto, che vuole rimanere impunito, tener la donna per sé, usurpare il regno, e la gelosia di Clitennestra, sono qui già combinati tra loro: la gelosia della moglie è nel mondo omerico ingiustificata, se il marito non prediliga la concubina. L'uccisione di A. compariva anche nei Nosti, la cui versione si ricostruisce dalla tradizione figurativa.
Per Pindaro (Pyth., XI, 19 segg.), Clitennestra ha tutta la responsabilità di questa uccisione, ma il poeta si chiede qual sentimento spinse la donna all'atto terribile, se il rancore per il sacrificio di Ifigenia, o il timore che l'adulterio fosse scoperto. Dal passo sembra doversi arguire che Pindaro non abbia ancora dinanzi a sé una narrazione particolareggiata, sebbene sia testimoniato che Stesicoro trattò dell'argomento nell'Orestea. Lo avrà fatto brevemente, e la sua lirica non era certo ancora arte psicologistica.
Eschilo nella sua più bella tragedia, l'Agamennone, tratteggia l'eroe quale debole ma buono, quasi vergognoso del suo concubinato con Cassandra, che al poeta appare già peccato. La terribile moglie opera anche per gelosia. Essa induce il marito, invano repugnante, a scendere dal carro non sulla nuda terra, ma su preziosi tappeti, il che è sentito quale peccato d'orgoglio contro gli dei. Essa lo porta poi nel bagno, e, mentre egli è ancora nella vasca, gli butta sopra un vestito immenso, quasi una rete, sicché egli non possa più muoversi, e lo colpisce a morte (v. clitennestra e cassandra).
Per Eschilo la morte avviene in Argo. A. risiede invece a Sparta, o almeno nella Laconia, per Stesicoro, Simonide e Pindaro. Ed è stato notato di recente che anche il poeta della Telemachia localizza colà la leggenda, se canta che A., per tornare a casa da Troia, deve doppiare il capo Malea; il che per chi viaggi dall'Ellesponto verso l'Argolide, è assurdo (in Od., III, 260 la menzione di Argo par lezione inferiore). Dunque Sparta, quando divenne la città più potente del Peloponneso (principio del VI secolo), fece suo anche Agamennone.
L'osservazione ha importanti conseguenze. Si è ritenuto A. antico dio peloponnesiaco scaduto a eroe. Ma il suo culto più importante e apparentemente più originario è appunto quello di Sparta, dov'egli era venerato quale "Zeus Agamemnon"; ora proprio questo si rivela quale secondario, appunto perché spartano. Altri culti di ricordi e reliquie di A. appaiono ora sorti per influsso dell'epopea omerica.
Bibl.: Orientano su Agamennone: A. Furtwängler, in Roscher, Lexicon der griechischen u. röm. Myth., I, 90 in un art. non del tutto pari al gran nome, e molto meglio K. Wernicke, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. der class. Altertumswiss., col. 721 segg. Molto più materiale offre Robert, Griechische Heldensage, pp. 1018, 1090 segg., 1111, 1198, 1292 segg. Per il carattere di Agamennone nell'Iliade un'analisi per vero troppo unitaria e troppo moralistica in G. Finsler, Homer, I, Lipsia 1914, p. 153 segg. Il materiale sulla questione se in Omero egli risieda in Argo o in Micene è raccolto da E. Bethe, Homer, III, 53, che però giudica male dell'età delle varie testimonianze omeriche (cfr. U. v. Wilamowitz, Ilias und Homer, Berlino 1916, p. 182 segg.).
Per la morte di Agamennone nell'Odissea, U. v. Wilamowitz, Homerische Untersuchungen, Berlino 1884, p. 154 segg.; il lavoro di A. Olivieri, in Riv. di fil., 1895, p. 145 segg., non par molto convincente. Le ricerche precedenti sono superate ora dalle osservazioni di E. Schwartz, Odyssee, Monaco 1924, p. 77, sfruttate storicamente (contro l'antico dio Agamennone) da U. v. Wilamowitz, Heimkehr des Odysseus, Berlino 1927, p. 99 segg. La tradizione dei Nostoi ricostruita da Robert, in Arch. Jahrb., 1919, 65 segg. e tav. VI.
Sulle fonti di Pindaro e di Eschilo (certo non Stesicoro) U. v. Wilamowitz, Aischylos Orestie, Berlino 1896, p. 246 segg., e Aischylos-Interpretationen, Berlino 1914, p. 191, che suppone senza necessità un epos delfico. Un'analisi sufficiente delle concezioni morali dell'Agamennone eschileo manca forse ancora.