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AGATOCLE

di G. D. S., G. Cor., E. Br. - Enciclopedia Italiana (1929)
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AGATOCLE (Αγαϑοκλῆς, Agathŏcles)

G. D. S.
G. Cor.
E. Br.

1. Figlio di Carcino, un fuoruscito di Regio, che si era stabilito in Sicilia, a Terme, dove diresse una fabbrica di ceramiche, A., nato circa il 360 a. C., ebbe come il fratello Antandro un'educazione liberale. La famiglia di Carcino si stabilì in Siracusa circa il 342, quando Timoleone offerse la cittadinanza siracusana a quanti volevano prendervi dimora. A. vi sposò una ricca vedova, e acquistò presto il favore del popolo come esperto ufficiale e come valente oratore di parte democratica. Venuto in discordia con la oligarchia dominante, servì negli eserciti di alcune città greche in Italia. Restaurata la democrazia in Siracusa, dopo la morte di Alessandro Magno (323), A. venne richiamato, e fu tra i più valorosi difensori della democrazia nella guerra combattuta contro i fuorusciti oligarchici. Nominato poi stratego con pieni poteri Acestoride di Corinto per farsi mediatore nella lotta civile, questi costrinse A. a prendere la fuga e richiamò gli oligarchici, che tosto ripresero il potere. Ma A., postosi ora a capo dei fuorusciti democratici, diede nuovo impulso alla guerra civile, finché il generale cartaginese Amilcare indusse i contendenti ad accettare la sua mediazione e a far rientrare A. in città (318). Di ciò A. profittò per impadronirsi del potere supremo con un sanguinosissimo colpo di stato (316), e poi, per dare una parvenza di legalità alla sua usurpazione, si fece nominare dalla assemblea popolare stratego con pieni poteri.

Divenuto così quel che i Greci dicevano un tiranno (più tardi, forse nel 305-04 assunse, sull'esempio dei generali di Alessandro Magno, il titolo di re), A. dedicò tutta l'operosità sua a due fini fondamentali: la riduzione ad unità della Sicilia greca, e la difesa della nazione ellenica nell'Occidente contro i pericoli che le incombevano per parte dei Cartaginesi e degl'Italici. L'espansione di Siracusa per opera di A. atterrì le maggiori città greche dell'isola sempre gelose della propria autonomia. Messina, Gela e Agrigento si strinsero in lega contro di lui, e chiamarono per mettersi alla loro testa contro A. un principe spartano, Acrotato figlio di Cleomene II. Ma Acrotato, guastatosi coi propri alleati, dovette prendere la fuga. Messina e Gela vennero in mano di A. ed Agrigento, minacciata, ricorse all'aiuto cartaginese. I Cartaginesi, intervenendo vigorosamente, sconfissero il tiranno (310) nella grande battaglia dell'Ecnomo presso il fiume Imera Meridionale (Fiume Salso), e posero l'assedio a Siracusa. A. riuscì peraltro a rompere il blocco di Siracusa e a sbarcare in Africa, dove tentò di rovesciare l'impero cartaginese con una offensiva vigorosa, precursore di Attilio Regolo e di Scipione Africano. Qui, dopo una prima vittoria sul generale cartaginese Bomilcare, chiamò al soccorso Ofella, che governava la Cirenaica, sotto l'alta signoria del satrapo greco d'Egitto Tolomeo di Lago; e, appena Ofella ebbe raggiunto i Siciliani, lo fece assassinare e ne unì l'esercito al suo. Così, assicuratasi la superiorità militare sui Cartaginesi, mentre i sudditi e gli alleati di Cartagine defezionavano a gara, tornò in Sicilia, lasciando il comando dell'esercito africano al figlio Arcagato. In Sicilia l'esercito cartaginese che assediava Siracusa, privato dei suoi migliori contingenti inviati d'urgenza in Africa, era stato terribilmente sconfitto in un tentativo di sorpresa notturna contro il Colle Eurialo, e il comandante Amilcare, caduto prigioniero, era stato messo a morte dagli assedianti. Questo fu il segnale di una sollevazione generale dei Greci di Sicilia contro i Cartaginesi, della quale si misero a capo gli Agrigentini. Non per questo si placarono i dissensi tra i Greci stessi: anzi Siracusani e Agrigentini vennero a battaglia, e questi ultimi rimasero sconfitti, mentre non poche città e non pochi malcontenti riunirono le loro forze sotto il fuoruscito siracusano Dinocrate, avverso anch'esso ad Agatocle. Questi, tornato in Siracusa, inviò contro gli Agrigentini Leptine, che riportò sopra di essi una seconda vittoria; ma non molto poté fare né contro i Cartaginesi, che bloccavano per mare la città, né contro le bande degli oligarchici fuorusciti, perché fu richiamato tosto in Africa, dove le cose volgevano al peggio. Quivi i Cartaginesi, profittando dell'assenza di A., sconfissero e assediarono in Tunisi le soldatesche greche, mentre gli alleati, che i Greci si erano acquistati, si sottomettevano l'un dopo l'altro a Cartagine. La condizione delle cose era talmente disperata, che A., appena se ne fu reso conto, prese il partito di tornare in Sicilia, forse per ristabilirvi la propria fortuna e prepararsi a tornare in Africa con nuove forze. Ma le soldatesche da lui abbandonate non vollero attendere altro, e, messi a morte i loro generali, vennero a patti coi Cartaginesi. Pareva che il tentativo di A. dovesse terminare con un disastro. Tornato in Sicilia, dopo aver messo a sacco Segesta, chiese agli oligarchici la pace, cedendo Siracusa e riservandosi le due sole fortezze di Terme e di Cefaledio. Respinte queste condizioni dagli oligarchici, egli fece pace coi Cartaginesi. Liberò così Siracusa dal blocco, e, in cambio delle fortezze dell'antica provincia cartaginese nell'occidente dell'isola che egli evacuò, ebbe una forte indennità, che gli servì per riprendere la guerra contro gli oligarchici. E allora, parte con le armi (battaglia di Torgio, 305-04), parte con le trattative, profittando dell'esaurimento generale, riuscì a ristabilire il suo predominio su tutta la Sicilia greca, salvo Agrigento.

A questo punto, posto fine alla guerra civile, chiuse le liste di proscrizione, A. inaugurò un regime temperato e clemente, sforzandosi di sanare le piaghe lasciate dalla guerra e di prepararsi finanziariamente e militarmente alle nuove prove che attendevano i Greci di Sicilia. Poco ci è noto degli anni successivi del regno di A. per la perdita della terza dècade della storia di Diodoro, i cui libri XIX e XX sono la fonte principale del racconto che precede. Sappiamo che in Italia, riprendendo le tradizioni di Dionisio il vecchio, fece guerra ai Bruzî, e s'impadronì di Crotone e di Ipponio. In Corcira intervenne, distruggendo l'esercito di Cassandro, re dei MaLedoni, che assediava la città, e impadronendosi di questa; ma non volle conservarla e la cedette come dote alla figlia Lanassa, che ando sposa al re d'Epiro, Pirro. Ma poco dopo Lanassa, separatasi da Pirro, si ritrasse a Corcira, che rimise al nuovo re di Macedonia, Demetrio Poliorcete, unendosi con lui in matrimonio (290). Frattanto A. aveva terminato i suoi preparativi per la nuova guerra con Cartagine. A capo dell'esercito era Arcagato, nipote del re, figlio di quell'Arcagato che era perito in Africa. A., ormai vecchio, volendo regolare la successione, prescelse come erede non lui, ma il proprio figlio terzogenito superstite, Agatocle il giovine. Arcagato, irritato e deluso, assassinò in un banchetto l'erede del trono. Allora A. diseredò l'omicida e dichiarò suo erede lo stesso popolo siracusano, poco prima che una violenta malattia lo conducesse a morte (289-88), disfacendo così quella che era stata l'opera della sua vita; l'effetto di questa sua ultima deliberazione fu l'anarchia, il dissolvimento dell'impero siracusano, l'impotenza della Sicilia greca di fronte ai nemici nazionali.

In complesso può dirsi che l'opera di A. fu mirabile, ma non durevole. I felici successi furono dovuti alla singolarissima genialità di lui come politico e come soldato. La caducità si deve alla violenza delle discordie tra i partiti e all'egoismo autonomistico delle singole città greche, come pure alla mancanza di un uomo che fosse capace di assumere la gravosa eredità, e soprattutto al continuo incremento della potenza cartaginese e della romana, alle quali pochi decennî più tardi la Sicilia doveva servire da campo di battaglia.

Bibl.: A. Holm, Storia della Sicilia (trad. italiana), Torino 1896-1906, II, p. 42 segg., e III, p. 185 segg.; E. A. Freeman, The History of Sicily, Oxford 1891-94, IV, p. 214 segg., 487 segg.; Schubert, Geschichte des Agathokles, Breslavia 1887; E. M. W. Tillyard, Agathokles, Cambridge 1918; De Sanctis, Agatocle in Per la scienza dell'antichità, Torino 1908, p. 14 segg.; O. Meltzer, Geschichte der Karthager, I, Berlino 1879, p. 352 segg.; Beloch, Griechische Geschichte, 2ª ediz., IV, i, p. 180 segg.; IV, ii, p. 24 segg.; S. Gsell, Histoire de l'Afrique du Nord, III, Parigi 1918, p. 18 segg.; N. Giesecke, Sicilia numismatica, Lipsia 1923, p. 83 segg.

2. Agatocle, primogenito di Lisimaco re di Tracia e di Nicea, sposò Lisandra figlia di Tolomeo I e d'Euridice, circa il 290 a. C. La sua partecipazione ad una spedizione contro i Geti, in cui egli sarebbe caduto prigioniero (301 a. C.?), è dubbia; sappiamo invece della guerra contro i Geti, nella quale Lisimaco fu costretto ad arrendersi col suo esercito (291 a. C.). Poco dopo Agatocle ebbe il comando della guerra nell'Asia Minore contro Demetrio Poliorcete, il quale fu costretto a ritirarsi prima nella Frigia, poi nella Cappadocia e nella Cilicia (286 a. C.). Agatocle era stato destinato da Lisimaco a succedergli sul trono; ma la matrigna Arsinoe intrigò a corte contro di lui, insinuando a Lisimaco il sospetto che il figlio volesse togliergli il potere; così Agatocle per ordine del padre fu incarcerato e ucciso (283 a. C.). È da escludere che Tolomeo Cerauno sia stato autore dell'assassinio. La vedova di Agatocle e i suoi figli trovarono rifugio alla corte di Seleuco I di Siria.

Fonti: Memnon., in Müller, Fragm. Histor. Graec., III, p. 532, c. 8; Diod., XXI, 11 e 12; Strab., VII, p. 302 e 305; Plut., Demetr., 4; Iustin., XVI, 1 e 2.

Bibl.: Droysen, Hist. de l'Hellén. (trad. fr.), II, p. 561 e 590 segg.; Beloch, Griech. Gesch., 2ª ed., IV, i, pp. 223, 225, 235, 242; IV, II, p. 179; Possenti, Il re Lisimaco di Tracia, pp. 97 seg., 132 segg., 173 segg.; Corradi, Sulla uccisione di Agatocle, in Boll. di Filol. Class., XVII (1911), pp. 257 segg.

3. I natali di questo Agatocle sono oscuri, e ignoti i primordî della carriera; ma già durante gli ultimi anni di Tolomeo III Evergete (morto nel 222 a. C.) egli era salito ad altissimo grado, accanto al suo intimo amico, protettore e collega Sosibio.

La potenza dei duc s'accrebbe enormemente sotto Tolomeo IV, avendo essi contribuito ad assicurargli il trono, mediante l'assassinio della madre Berenice, che tentava di assumere la direzione degli affari e preferiva l'altro figliuolo Magas, anch'egli tolto di mezzo. I racconti a noi pervenuti intorno alla sfrenatezza di questo re, devotissimo di nionisio, non sono privi di malevola esagerazione, ma egli fu senza dubbio esteta indolente, fastoso fino alla mania e troppo dedito ai piaceri sensuali. Agatocle seppe secondarne i gusti letterarî e adularli anche, scrivendo un commento alla tragedia Adonis composta dal re. Ma in maggior misura, divenutone il favorito, ne sfruttò le viziose passioni, ricorrendo all'infame complicità della propria sorella Agatocleia, onnipotente favorita.

L'esito vittorioso della guerra siriaca, per quanto nella decisiva battaglia di Rafia (217) Agatocle non brillasse per coraggio, rese ancora più predominante la posizione sua e della camarilla che l'attorniava.

Negli avvenimenti seguìti alla morte di Tolomeo IV, Agatocle passò in primissima fila, dirigendo le manovre per tenere celato quanto più a lungo fosse possibile l'evento, al fine di arraffare ricchezze e di trovare il modo per continuare a tenere in mano le redini del governo. Invero riuscì a fronteggiare per qualche tempo l'indignazione popolare e ad imporsi come tutore del fanciullo Tolomeo V, ma la condotta scandalosa, l'allontanamento di uomini di valore, l'elevazione di fidate indegne creature, imprudenti soppressioni, gli alienarono sempre più l'animo della folla e gli moltiplicarono i nemici.

Il suo tentativo di disperdere la guardia reale in piccole guarnigioni per sostituirla con truppe mercenarie, provocò una rivolta dell'esercito, sotto la guida di Tolomeo, comandante di Pelusio. All'esercito si unì la popolazione alessandrina, e Agatocle, dopo essere stato costretto a liberare il giovinetto re, fu massacrato nello Stadio, insieme con la sorella, i familiari e gli accoliti.

Bibl.: Oltre le opere generali di storia greca, e quelle dell'età ellenistica del Droysen, del Kaerst, del Niese, la Storia dell'Egitto di S. Sharpe, ecc., si possono vedere soprattutto le storie speciali della dinastia tolemaica, come ad es.: Bouché-Leclercq, Histoire des Lagides, I, Parigi 1903, p. 212; 333 seg.; 343 seg.; Bevan, History of Egypt under the Ptolemaic Dynasty, Londra 1928, p. 222, 233, 252 segg.

Vedi anche
Lanassa Figlia (sec. 3º a. C.) di Agatocle di Siracusa; andò sposa (295) a Pirro, cui portò in dote l'isola di Corcira. Separatasi dal marito (292 circa), si ritirò a Corcira, e chiese aiuto a Demetrio Poliorcete, che poi sposò. Suo figlio Alessandro successe a Pirro sul trono di Epiro. Segesta (gr. ῎Εγεστα, Αἴγεστα; lat. Segesta) Antica città della Sicilia nord-occidentale, posta tra la sommità e le pendici del Monte Barbaro, nel territorio degli Elimi. Lottò a lungo contro la vicina Selinunte, poi si alleò alle città di origine ionica, come Leontini, nell’avversione alla dorica Siracusa. ... Bruzi (lat. Bruttii) Popolazione italica che durante il 4° sec. a.C. si stabilì nel territorio dell’attuale Calabria, cui diede il nome ( Bruzio). Combatterono contro Alessandro d’Epiro e contro Agatocle di Siracusa. Formarono una confederazione di città (Consentia, Aufugum, Bergae, Besidiae, Ocriculum e altre ... Timèo Storico greco siciliano (n. 356 a. C. circa - m. 260 a. C. circa). Autore di un'opera storiografica sui Siciliani e gli Italioti, godette di una grandissima popolarità fino al sec. III d. C., e in particolare nei secoli prima di Cristo; sebbene l'opera trattasse dei Greci che avevano colonizzato l'Italia, ...
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