Agatone
. Poeta tragico greco, noto a noi soprattutto perché interlocutore del Simposio platonico, dialogo che si immagina tenuto in occasione della prima sua vittoria negli agoni tragici (416 a.C.); per la parte che ha nelle Tesmoforiazuse di Aristofane; per alcuni cenni che di lui fa Aristotele nella Poetica (principalmente 9, 1451b e 18, 1456a). Nessuno di tali testi era noto a D., che di A. parla in Mn III VI 7 e in Pg XXII 107.
La prima citazione si inserisce nella confutazione di chi dall'esempio di Saul, elevato al trono e deposto da Samuele, vuol dedurre che il vicario di Dio abbia facoltà di trasferire o togliere il potere temporale. Obbietta D. che Samuele agì non come vicario ma come nuntius, sicché la deposizione di Saul fu voluta da Dio, di cui Samuele non era se non l'‛ agente strumentale '. Quello dei suoi oppositori sarebbe dunque un argomento a toto ad partem; e argomenti di tal fatta sono validi solo distructive, cioè negativamente. Da ciò che Dio può fare per nuntium non si argomenta ciò che può fare il vicario; mentre da ciò che Dio per nuntium non può fare si argomenta ciò che non può fare il vicario: Deus per nuntium facere non potest genita non esse genita, iuxta sententiam Agathonis: ergo nec vicarius eius facere potest. La fonte è qui Aristotele, eth. nicom. VI 2, 1139 b 8-11 τὸ δὲ γεγονὸς οὐϰ ἐνδέχεται μὴ γενέσϑαι διὸ ὀρϑῶς Ἀγάϑων· μόνου γὰρ αὐτοῦ ϰαὶ ϑεὸς στερίσϰεται / ἀγένητα ποιεῖν ἅσσ᾽ ἄν ῄ πεπραγμένα; e nella trad. latina: " Factum autem non contingit non fieri. Propter quod recte Agathon: solo enim ipso deus privatur ingenita facere, quae sunt facta ". Cfr. s. Tommaso (In decem libros Ethicorum, VI 2): " et ad hoc inducit verbum Agathonis qui recte dixit quod solo isto posse privatur Deus, ut scilicet faciat ingenita, idest non facta, quae sunt facta ".
La sentenza di A. serve dunque a fornire un esempio legittimo di argomento a toto ad partem. Le fonti da cui D. la trae non lo aiutavano a riconoscere in A. un poeta; eppure D. sa che A. è un poeta e come tale lo ricorda in Pg XXII 107. Siamo là dove Virgilio informa Stazio sulle persone che stanno con lui nel Limbo: un passo importante per chi voglia valutare le acquisizioni culturali del poeta, giacché costituisce come un ripensamento e un completamento dell'episodio del Limbo. Dice Virgilio: Euripide v'è nosco e Antifonte, / Simonide, Agatone e altri piùe / Greci che già di lauro ornar la fronte.
Il lauro designa A. come poeta; la compagnia di Euripide e Antifonte, meno sicuramente, come poeta tragico. Donde trasse D. questa precisazione? A. è ricordato due volte in Macrobio (Saturn. II I 2 e 6; VII I 13), ma sempre a proposito dell'Agathonis convivium, in un contesto che indurrebbe piuttosto a considerarlo come un filosofo (e filosofo lo dice, tra i commentatori antichi, Pietro: " item Agathonem philosophum graecum ").
Credo che la fonte remota sia ancora il passo citato di Aristotele, attraverso un altro commento, quello di Alberto Magno, che indica A. proprio come poeta tragico (Alberto Magno Eth. nicom. VI, tr. 1, c. 7: ed. Borgnet, VII, p. 405b): " quod si factum est, non factum esse non potest: quod recte dixit Agatho, qui tragicus fuit poeta ". La menzione del Purgatorio appare dunque strettamente legata a quella della Monarchia; e si deve soltanto ad Aristotele, e ai suoi commentatori, se nel rarefatto Parnaso greco di D. è entrato un poeta come A., pressoché ignorato dalla tradizione classica latina.