AGAVE (dal gr. ἀγαυός "illustre", "nobile")
Nome di parecchie specie di piante costituenti un genere della famiglia delle Amarillidacee, della sottofamiglia delle Agavoidee. Sono caratterizzate dalle foglie generalmente grandi, carnose, disposte a rosetta: hanno gli orli generalmente spinoso-dentati, sono pungenti alle sommità. Le piante sono perenni, monocarpiche con scapo che nasce dal centro della rosetta fogliare, assai sviluppato, semplice o ramificato. I fiori sono regolari, disposti in grappoli o pannocchie molto ricche; il perianzio ha tepali liberi quasi dalla base, più brevi dei filamenti staminali.
È un genere molto ricco di specie (circa 350) appartenenti tutte ai territorî più caldi del Nuovo Mondo e aventi il loro centro di diffusione nel Messico. Le prime agavi note ai botanici furon da essi denominate Aloe americana per la grande somiglianza della pianta sterile e specialmente delle foglie con gli aloe. La prima specie (A. indagatorum Trel.) fu scoperta dal Colombo nell'Isola Guanaham (Bahama), e Pietro Martire descrisse per primo fra le piante di S. Domingo un maguey, l'A. Antillarum Descourt, paragonandolo alle palme. Oviedo ricorda questo maguey delle Antille ed un secondo della terraferma, l'A. Cocui Trel. del Venezuela. Al viaggiatore inglese John Gilton che percorse l'America centrale (1568-72) si devono i primi particolari esatti sulla coltivazione del maguey del Messico, dal quale si traevano vino, aceto, miele e zucchero e dalle sue foglie canapa, funi, calzature, tegole per i tetti e punteruoli. Per queste utilizzazioni il maguey fu dall'Acosta entusiasticamente definito el árbol de las meravillas.
L'introduzione in Europa della prima agave avvenne dopo la conquista del Messico (1521-25) e Charles de l'Ècluse, che viaggiò per la Spagna circa la metà del sec. XVI, vide in un monastero presso Valencia l'Agave americana L. (fig.1) coltivata, e ne inviò alcuni polloni al farmacista Coudebecq ad Anversa. Nel 1561 Giacomo Antonio Cortuso coltivava in un suo giardino in Padova la stessa pianta che di là si diffuse rapidamente nei giardini italiani e ben presto divenne spontanea. Sul lago di Garda cresceva spontanea già intorno al 1730. Riguardo all'utilizzazione delle agavi, abbiamo in primo luogo la somministrazione del pulque che è la bevanda nazionale del Messico, la quale viene estratta dalle grandi specie della regione e specialmente dalla A. salmiana Otto, che a questo scopo è largamente coltivata al Messico. Questa coltivazione si sviluppò largamente fra il sec. VIII e il XVI, ed è tuttora in grande vigore.
Per l'estrazione del pulque sono adibite le piante dell'agave, nel momento in cui si apprestano a dare l'asta fiorale: allora si osserva una brusca diminuzione nelle dimensioni delle foglie centrali delle rosette, le quali invece di espandersi restano erette, parallele tra loro. Queste foglie formano con la loro attaccatura più avvicinata delle altre un cono terminale costituente il cuore (el corazón o cogollo). Per lunghissima esperienza è noto ai contadini messicani che questa modificazione rappresenta il momento nel quale la pianta accumula gli alimenti necessarî per sviluppare la gigantesca infiorescenza, ed è perciò questo il momento opportuno per spillarla. L'operazione dell'estrazione del succo (capar las plantas del maguey) costituisce naturalmente la perdita della pianta: l'operatore per eseguire questa operazione taglia dapprima alcune delle foglie della periferia, per poter stare comodamente nella parte superiore; quindi, con un lungo coltello curvo in alto, apre con taglio verticale dall'alto al basso il germoglio centrale mettendo a nudo la parte più interna corrispondente alla regione dello scapo fiorale, ne estrae il germoglio e forma così una cavità (cajete) lunga nelle piante più grandi 40-50 cm. e larga 20-25 cm., che si allarga rinnovando la superficie di taglio con un lungo cucchiaio di ferro (raspador). Il succo sgorga da questa ampia ferita e le foglie più giovani vengono incurvate e legate insieme per mantenere fresca la cajete e diminuirL l'evaporazione del succo sgorgante. Il germoglio estratto dalla cajete viene infilzato su una delle foglie rimaste per indicare che la pianta è stata spillata. La cajete così formata è "una vera sorgente vegetale" (come l'ebbe a definire l'Humboldt) che per qualche mese scorre e alla quale gli indigeni attingono tre volte al giorno. Il succo zuccherino (agua miel) che ne esce varia a seconda delle condizioni; ma d'ordinario nelle 24 ore se ne ottengono 4 litri; ed una pianta assai vigorosa può dare sin 7 litri e mezzo al giorno e ciò per 4-5 mesi, per cui in questo periodo di tempo può dare oltre 1100 litri di succo. Il succo viene estratto dalla cajete mercé una calabassa (acojote) dal collo assai lungo e da essa vien versato con una canna in altra calabassa rotonda. Di qui vien travasato in otri di pelli di capra che con carri o muli vengono trasportati nelle cantine, ove il liquido è vuotato in tini rotondi aperti e ivi lasciato fermentare. L'agua miel ha un sapore dolce leggermente acidulo e fermenta facilmente. La fermentazione si compie in 4-10 giorni e dà una bevanda con aspetto simile al siero di latte e dal sapore simile al sidro; è la bevanda preferita dai Messicani, è assai rinfrescante ed ha proprietà stomachiche per cui è molto usata nella cura delle persone deboli specialmente soggette a digestioni cattive.
Oltre alle agavi coltivate si estrae da quelle selvatiche un'altra bevanda detta tlachique. Nel 1897 nel Messico furon consumati oltre 2.640.000 ettolitri di pulque e oltre 2.420.000 ettolitri di tlachique, complessivamente cioè più di 5.060.000 ettolitri di vino di agave. Inoltre si estrae acquavite da altre specie di agave della sezione Rigidae (specialmente A. tequilana Web., A. Kirchneriana Berger), che dànno il mescal o tequila, detto così dalla città omonima che ne dà la maggior quantità (nel 1897, 400.000 ettolitri). Anche le agavi producenti il mescal vengono coltivate e vengono incise, in maniera simile a quelle dalle quali si ottiene il pulque. La produzione di queste due bevande, il vino e l'acquavite di agave, ha un'importanza puramente locale; assai maggiore è l'importanza delle agavi per la produzione di fibre. Di essa tratteremo più sotto; ricordiamo intanto che le agavi da fibra venivano sfruttate dai Messicani già da tempi immemorabili, in maniera primitiva. Così si avevano le fibre di lechuguilla e di tampico negli stati di Tamaulipas e di S. Luis Potosí.
Nella costiera di Vera Cruz si coltivano e crescono spontanee le agavi zapupe, le quali tutte dànno buone fibre. Nel Yucatan si coltivano l'henequen (A. fourcroydes Lem.) e il sisal (A. sisalana Perrine). Sulle coste del golfo messicano e nelle Antille oltre a molte specie di agave si coltivano a questo scopo anche specie di Fourcroya, Bromeliacee, specie di Yucca, ecc.
Tra le numerose specie di agavi che dànno fibre, senza dubbio la più importante è l'A. sisalana, la quale si coltiva ovunque nei paesi tropicali e subtropicali, specialmente nelle colonie europee di Africa e di Asia (fig. 2). Essa dà una fibra eccellente per lunghezza, durata e candore quasi niveo, ed è poi specialmente indicata la sua coltivazione, perché avendo i margini delle foglie cartilaginei permette una lavorazione più facile e rapida. La sua coltivazione è delle più semplici, essendo la pianta assai poco esigente (fig. 3).
In tutta l'Italia è da gran tempo largamente coltivata l'A. americana L. per fare siepi, specie nel mezzogiorno e nelle isole, ed è divenuta spontanea. Le fibre di essa, sottili e tenaci, sono largamente utilizzate in Sicilia; in Toscana venivano usate per cucire i cappelli da donna. I naturalisti poi si servivano del midollo dello scapo fiorale per fissare gli spilli sui quali infilzavano gli insetti.
Un'ultima utilizzazione delle agavi si deve ricordare, e cioè come piante apifere. La secrezione del nettare è in tutte le agavi assai abbondante, il tubo del perianzio ne resta generalmente pieno fino a traboccare. Un ramo dell'A. salmiana con circa 100 fiori può dare un mezzo bicchiere di liquido dolce vischioso, limpido, il quale provoca l'abbondante visita delle api. Le infiorescenze delle agavi presentano presso di noi sempre un fenomeno entomofilo assai vistoso, che per la elaborazione del miele ha una grandissima importanza. Oltre a ciò questo fenomeno si presta a facilitare la impollinazione incrociata, per cui nei giardini ricchi di queste specie si formano con facilità forme ibride.
È per altro notevole il fatto che le agavi e più spesso le Fourcroya presentano i fiori sostituiti da speciali tuberi o bulbilli, i quali possono riprodurre direttamente la pianta. Si ritiene che la formazione di questi bulbilli avvenga quando non sia possibile la fecondazione incrociata, mentre in parecchie specie operandosi questa artificialmente si ottennero capsule normali. Le specie che portano questi bulbilli, in luogo dei frutti, diconsi vivipare.
In altre specie, p. es. A. miradorensis, A. franceschiana, ecc., i bulbilli si producono in gran numero dopo la fioritura fra i peduncolì fiorali.
Il genere Agave si divide in tre sottogeneri:
Sottogenere Manfreda: infiorescenza spiciforme con fiori solitarî nelle ascelle delle brattee lungo l'asse principale; rizoma tuberoso; foglie coriacee inermi spesso maculate; perianzio con segmenti conservantisi freschi fino alla maturità delle antere. Comprende le specie minori del genere.
Sottogenere Littaea: rizoma trunciforme, con foglie carnose più o meno spesse inermi o spinose nei margini; infiorescenza spiciforme con fiori, riuniti in fascetti di 2-8 nelle ascelle delle brattee lungo l'asse principale; perianzio con segmenti freschi nella maturità della antera. Comprende specie di varia dimensione, distinte in 7 sezioni.
Sottogenere Euagave: rizoma truciforme, con foglie grandi assai spesse, generalmente spinose nei margini; infiorescenza in pannocchia ampia più o meno ramificata, raramente densa e cilindrica; perianzio con segmenti appassenti alla sommità nell'antesi. Comprende specie generalmente di imponenti dimensioni, distinte in 18 serie.
Tutte le specie sono coltivate nei nostri giardini per ornare specialmente scogliere o per farne bordure. Per l'effetto decorativo si possono raggruppare a seconda delle dimensioni, nelle tre categorie seguenti.
Specie piccole con foglie lunghe 10-50 cm.; vi appartengono principalmente le specie dei due sottogeneri Manfreda e Littaea. Di esse le più eleganti sono: A. chiapensis Jacobi, Muilmanni Jacobi, mtitis Salm., Celsii Hook., albicans Jacobi, micracantha Salm., geminiflora K. S., filifera Salm., schidigera Lem., parviflora Torr., falcata Engelm., striata Zucc., stricta Salm., echinoides Jacobi, dealbata Lem., Victoriae-Reginae E. Moore, Ferdinandi-Regis Berger, pumila De Smet, funkiana C. Koch et Bouché, glomeruliflora Berger, rigidissima Jacobi, univittata Haw., ensifera Jacobi, heteracantha Berger, horrida Lem., Gilbeyi Haage et Schmidt, utahensis Engelm., regeliana Bak., purpusorum Berger, xylonacantha Salm., Kochii Jacobi, Ghiesbreghtii C. Koch, bracteosa S. Wats., ShasLii Engelm., parrasana Berger, Parryi Haage et Schmidt, potatorum Zucc., angustifolia Haw., decipiens Bak., macroacantha Zucc., deserti Engelm., consociata Trel., ecc.
Specie di media grandezza con foglie lunghe 0,55-i m. appartenenti ai sottogeneri Littaea e Elagave; tra queste le più frequentemente coltivate sono: A. Bakeri Hook. f., warelliana Bak., polyacantha Jacobi, xalapensis Rözl., uncinata Jacobi. densiflora Hook. f., goeppertiana Jacobi, Bouchei Jacobi, Sartorii C. Koch, ousselghemiana Jacobi, dasylirioides Jacobi et Bouché, Haynaldi Fod., attenuata Salm., cernua Berger, Ellemeetiana Jacohi, applanata C. Koch, scabra Salm., multiflora Tod., Engelmanni Trelease, grandibracteata Ross, Bergeri Trelease, decipiens Bak., laxifolia Bak., Karwinskii Zucc., marmorata Roezl., ecc.
Specie grandi o grandissime con foglie lunghe oltre 1 metro raggiungenti fino m. 2,30 (A. Franzosini): A. latissima Jacobi, ferox C. Koch, salmiana Otto, cochlearis Jacobi, coarctata Jacobi, Lehmanni Jacobi, atrovirens Karw., coccinea Roezl., americana L., in gens Berger, Franzosini Nissen, winteriana Berger, Friderici Berger, crenata Jacobi, sobolifera Salm., Legrelliana Jacobi, sisaliana Perrine, miradorensis Jacobi, Cantala Roxb., Zapupe Trel., fourcroydes Lem., lurida Ait., Vernae Berger.
Applicazioni industriali della fibra. - Le foglie di agave, polpose, lunghe da 50 cm. a 2 m., contengono dei filamenti costituiti essenzialmente da fasci vascolari, che, separati dalla massa, dànno delle fibre, usate da tempo antichissimo come materia tessile nei paesi d'origine (Messico) ed ora nei principali centri industriali ed agricoli, essendosi la coltivazioni estesa a moltissimi paesi tropicali ed avendo il suo commercio assunto una notevole importanza internazionale.
Di queste fibre, le più importanti sono quelle comunemente chiamate Sisal (dal porto omonimo del Yucatan) e col nome di Tampico (dal porto omonimo del Messico). Le fibre di Sisal, di agave rigida, di agave sisalana, provengono da una pianta vivace a foglie lanceolate, riunite alla loro base attorno ad una corona centrale sul tronco cortissimo, lunghe, a seconda della loro età, da metri 0,70 a 2, larghe alla base da 10 a 20 centimetri, del peso di gr. 400 fino ad un kg. ed anche più, di color verde chiaro a verde biancastro a seconda delle varietà, terminate in punta da aculei fortissimi. Le foglie piu vecchie, giunte a maturità, vengono tagliate in basso e riunite in fasci che si portano là dove con mezzi primitivi o con macchine si estraggono le fibre.
Le fibre di Sisal si presentano come lunghi filamenti (fino a 150 centimetri) bianchi o leggermente giallognoli, rigidi, assai resistenti. Osservate al microscopio, risultano costituite da fasci di fibre, lunghe fino a 5 mm., larghe 20 a 30 micromillimetri, con sezione poligonale, e le cui pareti, fortemente lignificate, si colorano in giallo con iodio ed acido solforico. Il calore specifico è di 0,317.
Si usano estesamente nella fabbricazione di tessuti grossolani per sacchi, tappeti, amache, cappelli uso Panama, spazzole, ecc., ma principalmente per la fabbricazione di spaghi, gomene e cordami per moltissimi usi industriali ed agricoli. I filati, i trefoli, le corderie in genere di Sisal, confrontate coi prodotti simili di canapa italiana, sono, a parità di volume, più leggeri e meno resistenti alla rottura per trazione ossia meno tenaci; mentre a parità di peso (ossia di titolo) sono egualmente o talvolta più resistenti della canapa.
La coltivazione del Sisal va estendendosi sempre più in tutti i paesi caldi compresi fra i tropici, così anche in Africa e nella nostra colonia Eritrea: ad Asmara per opera di un appassionato colonizzatore italiano prospera uno stabilimento per la filatura e la tessitura del Sisal e del Sansevieria al quale verrà dato nuovo impulso coll'introduzione di un moderno macchinario. Questa coltura potrà essere particolarmente interessante anche per la Somalia italiana, poiché la pianta si accontenta di terreni aridi e solo richiede acqua nella prima fase della sua formazione, purché ci sia una normale umidità atmosferica.
La rugiada che si deposita abbondantemente sulle foglie, grazie alla loro forma spesso concava a canale, si raccoglie in gocce che colano tutte verso il fusto apportandogli quell'acqua che per lunghi mesi le pioggie non danno.
Per avere un'idea dell'importanza assurta da questa fibra, basterà ricordare che attualmente il solo porto di New-York scarica ogni anno quasi due milioni di balle di fibra di Sisal da 2 quintali ciascuna, e poco meno ne importano Chicago, Boston, Filadelfia, Baltimora, Amburgo, Rotterdam, e l'Inghilterra.
Le varietà di agave ed i nomi delle fibre che ne derivano sono numerosi: così troviamo le fibre di Tampico, di Istle, di Pita, di Aloe, ecc. Le foglie dell'agave americano si usano nell'Italia meridionale come mangime per le capre e per estrarre la fibra, denominata zabbara, che viene adoperata per legare legna, fieno, covoni, per fare corde, spaghi, per impagliare sedie e per altri lavori. I filamenti si separano facilmente dalle foglie nel senso della lunghezza e non richiedono macerazione: questo lavoro è fatto a mano con sistemi primitivi, mentre, curato meglio, potrebbe riuscire di utilità nazionale, specialmente per l'agricoltura.
Estrazione della fibra. - In molte località, come si è detto l'estrazione si fa a mano, dopo avere essiccate le foglie al sole sottoponendole a successive azioni di scavezzatura (della polpa e della parte legnosa), di battitura (per allontanare queste materie in forte preponderanza rispetto alla fibra), di raspatura lungo i filamenti (per staccarli ed isolarli) e di spazzolatura. Dove è possibile, poi, i fasci di fibre vengono lavati (non macerati), asciugati e sbiancati al prato all'azione dell'aria e del sole, quindi raccolti e pressati in balle chiuse da cerchiature di reggie di ferro quando debbano essere esportate. Le case inglesi, tedesche ed americane hanno composto per le colonie dei rispettivi paesi o per il Messico delle macchine più o meno complesse per aumentare la produzione ed il rendimento, che col lavoro a mano è assai basso.
Nel Messico e nelle colonie inglesi, la rottum e scavezzatura delle foglie è fatta col Sisal Breaker o Leaf Crusher (fig. 4), costituito specialmente da due o tre coppie di cilindri a profonde scanalature del diametro di circa 20 centimetri e lunghezza 65, i superiori premuti contro gli inferiori (come nelle nostre macchine ammorbidatrici della filaccia di iuta e di canape) affinché le foglie costrette ad insinuarsi fra ciascuna coppia ne escano con regolari piegature o scavezzature non della fibra, ma di tutto il materiale da eliminare. La figura mostra la semplice incastellatura che regge il gruppo dei cilindri, la tavola quasi orizzontale di alimentazione e quella inclinata di scarico nonché il cavalletto per l'albero di comando a puleggia o a motorino con ruota dentata che fa girare l'ingranaggio grande montato sullo stesso asse di uno dei cilindri rigati.
La sfibratura o battitura segue poi nel raspadore, macchina semplice che conservò il termine spagnolo applicatole nel Messico. È costituita (fig. 5) da uno da due tamburi cilindrici A portanti quattro ferri B con sezione ad L e superiormente protetti da un coperchio semi cilindrico F, il tutto montato su due spalle D e comandato da una puleggia a cinghia calettata sull'asse C del cilindro. Questo gira velocemente e le foglie rotte, presentate dall'appoggio H contro la sua superficie, vengono battute e raspate dai coltelli B che sbattono in basso la parte legnosa e polposa lasciando fasci di fibre.
La casa Krupp nel suo stabilimento di Magdeburgo costruisce per le colonie già tedesche dell'Africa orientale una interessante e voluminosu macchina che provvede con un solo passaggio all'estrazione della fibra caricandovi su una tela alimentatrice continua le foglie trasversalmente una dietro l'altra. Il cascame è assai abbondante, poiché ogni foglia fornisce solo dal 4 al 6 1/2% di fibra (fig. 6).
Filatura, corderia e tessitura. - La più semplice formazione di un grossolano filato o di una cordicella di Sisal, si può avere dal lavoro a mano di un operaio e di un garzone muniti solo di un gancio o un morsetto girevoli nel proprio asse. L'operaio, tenendo intorno alla vita un fascio di fibre grossolanamente pettinate inizia la corda dal gancio e camminando indietro sul prolungamento dell'asse di rotazione di questo (che mediante una manovella è fatto girare dal garzone) alimenta con una mano la funicella che si va formando e coll'altra, munita di un panno umido o d'altro, impugna la medesima, obbligando le fibre ribelli ad assumere quell'andamento elicoidale cui la torsione trasmessa dal gancio le costringe. La lunghezza della corda sarà eguale alla tratta fatta a ritroso dall'operaio. Se, invece del garzone, un comando a cinghia fa girare il gancio (o il capo iniziale della fune) e se due pulegge (fissa e folle) permettono la fermata e la messa in moto del medesimo mediante sposta-cinghia comandato da una funicella stabilmente tesa lungo la via percorsa dall'operaio, si ha quasi riprodotto il sistema col quale da noi alcuni spaghifici fanno le corde elementari o i filati per le medesime. La figura 8 rappresenta funi e corde di Sisal.
Un fuso con un rocchetto e un'aletta verticali, alimentati a mano da un operaio che da un fascio di fibre ne cavi continuamente, abbozzandone uno stoppino, rappresenta il più semplice filatoio.
La figura 7 è la disposizione schematica di una macchina filatrice ad un solo fuso orizzontale con aletta chiusa, macihina che si adopera anche per i filati di cocco, di crine vegetale, di lana di legno, ed anche per sottili stoppini da corderia di Manilla.
La fibra viene distesa per il lungo su un tavolo con tela alimentatrice continua Z e passa fra due cilindri alimentatori c per esser presa da una catena di pettini K che stirando e parallelizzando le fibre, le porta ad un'altra coppia di cilindri d dopo i quali il nastro di fibre converge entro il foro di un'aletta chiusa montata sul fuso F e girevole attorno al medesimo. La torsione che si genera fra i cilindri e l'aletta trasforma lo stoppino in filato o funicella che, rinviata con due rullini montati su di un braccio dell'aletta, va ad avvolgersi sulla spola S. Poiché, coll'aumentare del diametro di avvolgimento sulla spola, bisogna che il numero di giri di questa varî rispetto a quelli dell'aletta (che sono invece costanti) vediamo nella figura due lunghe pulegge a profilo conico (iperbolico). Esse provvedono anche alla variazione di velocità di spostamento orizzontale della spola, affinché le spire si avvolgano sempre in forma regolare e a contatto fra loro.
Per il continuo viaggio di andata-ritorno della spola, si vede all'estremità destra della figura una vite a filetto incrociato nella quale s'impegna un indice collegato all'albero cavo sul quale sta la spola.
Ma un impianto industriale razionale di filatura delle fibre di Sisal deve comprendere più macchine: esse non saranno tante come quelle volute dalla canapa o dalla iuta (per citare le fibre fino ad un certo punto paragonabili ad essa) ma nemmeno possono ridursi a una sola, come la precedente indicata.
Volendo filati di Sisal da 450 metri a 900 per chilogrammo, occorre una macchina apritrice-rompitrice essenzialmente costituita da due catene di pettini, simile a quella che si vede nella fig. 7 poste una di seguito all'altra, ma dotate di velocità molto diverse, dovendo la seconda correre da 7 a 15 volte più della precedente. Su questo unico piano di pettini, che deve esser lungo circa 4 metri, si traslano le fibre per comporre alla loro uscita un grossolano nastro. Occorrono poi due macchine stiratrici, la prima per 5 nastri, l'altra per 6, che stirino da 8 a 16 volte, quindi un filatoio a pettini per esempio con 64 fusi che facciano 900 giri al minuto, macchina questa molto simile ad un filatoio a secco per canape-iuta. Potranno completare l'impianto 2-3 macchinette aggomitolatrici, quando il filato non passi alla corderia o alla tessitura.
La tessitura del Sisal richiede telai alquanto robusti, come quelli per tappeti di cocco, per sansevieria e simili. I licci saranno preferibilmente sostenuti da catene (simili a quelle da bicicletta, ma più robuste) anziché da corde. La cassa potrà o no battere la trama 2 o 3 volte anziché una sola. Il subbio della pezza converrà che si arrotoli alla distanza di un metro e più dal telaio, su due cavalletti, passando sotto ai piedi del tessitore che appoggeranno su tavolone a 10-15 cm. dal pavimento. Il subbio di ordito converrà che scompaia e che i singoli fili di ordito o di catena scendano direttamente dai grossi spoloni o rocchetti. Potranno lavorare con due, tre o quattro licci e con tre subbî, dei quali uno per la catena di fondo, quando per es. si vogliano tappeti a spazzola, uno per la legatura delle trame (che può essere anche di iuta) ed uno per il pelo. Questa lavorazione, come si è detto, è bene avviata nella nostra colonia Eritrea, mediante telai meccanici ed a mano, ma dovrà svilupparsi sicuramente di più.
Bibl.: A. Berger, Die Agaven, Jena 1915.