Abstract
Le agenzie di rating del credito esercitano un’incisiva forza di orientamento delle scelte finanziarie. Dal punto di vista giuridico, le questioni cruciali riguardano l’indipendenza di queste imprese, i loro potenziali conflitti d’interesse, la responsabilità per danni cagionati da rating inaccurati e i fattori di deterrenza utili a prevenire, o limitare l’insorgere di tali danni.
Le ‘agenzie’ di rating del credito (Credit Rating Agencies – CRAs) sono imprese la cui attività principale consiste nel fornire valutazioni indipendenti circa il merito di credito complessivo di un debitore, oppure sul merito di credito di un debitore con riferimento a una particolare obbligazione finanziaria. Ancorché negli ultimi anni il numero delle agenzie in circolazione si sia moltiplicato, il mercato è in sostanza monopolizzato da tre agenzie: Fitch, Moody’s and Standard & Poor’s. Queste ultime, in effetti, coprono il 93,18% del mercato UE (ESMA, Report on CRA Market Share Calculation, dicembre 2017, 6) e il 96,4% di quello statunitense (U.S. Securities and Exchange Commission, Annual Report on Nationally Recognized Statistical Rating Organizations, dicembre 2017, 9). Si tratta di un oligopolio alimentato anche da fattori endogeni al mercato finanziario. Basti considerare come la stessa Banca Centrale Europea, nel determinare l’affidabilità di un emittente i cui titoli siano impiegati come garanzie (i cd. collateral) per una determinata operazione finanziaria, si appoggi esclusivamente sui rating rilasciati da parte delle ‘tre sorelle’ e da DBRS (Dominion Bond Rating Service), la principale agenzia di rating canadese (ecb.europa.eu/paym/coll/risk/ecaf/html/index.en.html). Ma vale pure la pena di ricordare che, a livello globale, autorità regolamentari e di supervisione fanno costante affidamento sulle cc.dd tre sorelle per valutare i rischi attinenti alle esposizioni degli operatori bancari e finanziari (Bindseil, U. - Corsi, M. - Sahel, B. - Visser, A., The Eurosystem collateral framework explained, ECB Occasional Paper, No. 189, 2017) nonché il merito creditizio di tali attività ai fini del computo dei requisiti prudenziali dei soggetti vigilati (Gordy, M.B. - Heitfield, E. - Wu, J., Risk-Based Regulatory Capital and the Basel Accords, in Berger, A. - Molyneux, P. - Wilson, J.O.S., edts., Oxford Handbook of Banking, II ed., Oxford, 2015, 550 s.) – senza dire del sempre più frequente ricorso al rating del credito nello strutturare le transazioni finanziarie fra privati (Schroeter, U.G., Credit Ratings and Credit Rating Agencies, in Caprio, G., a cura di, Handbook of Key Global Financial Markets, Institutions, and Infrastructure, London, 2013, 379 s.).
Le agenzie di rating del credito hanno così finito per esercitare («by selling ‘regulatory licenses’»: Partnoy, F., Law and the Theory of Fields, in 39 Seattle U. Law Rev., 2016, 579, 587) un’incisiva forza di orientamento delle scelte finanziarie, pubbliche e private. Ciò spiega perché, non da oggi, il problema del regime giuridico appropriato per la disciplina di questi soggetti rivesta un’importanza primaria, anche in vista della credibilità e affidabilità delle informazioni confezionate dalle stesse agenzie. Nel corso del tempo, la letteratura si è concentrata soprattutto sulla loro indipendenza e sull’adeguata gestione dei possibili conflitti di interesse – questioni acuite dal dato per cui la maggior parte dei ricavi delle stesse agenzie proviene storicamente dai compensi degli emittenti cui esse assegnano il rating, mentre introiti assai minori derivano dall’esecuzione di analisi commissionate dagli investitori (The Financial Crisis Inquiry Commission, The Financial Crisis Inquiry Report, Washington, D.C., 2011; Mullard, M., The Credit Rating Agencies and Their Contribution to the Financial Crisis, in 83 Pol. Q., 2012, 77 s.; Chiu, I.H-Y., Regulatory Governance of Credit Rating Agencies in the EU: The Perils of Pursuing the Holy Grail of Rating Accuracy, in 2 Eur. J. Risk Reg., 2013, 209 s.; Payne, J., The Role of Gatekeepers, in Moloney, N. - Ferran, E. - Payne, J. edts., Oxford Handbook of Financial Regulation, Oxford, 2015, 254, 257 s.; Pacces, A.M. - Troisi, A. - Romano, A., Agenzie di rating e responsabilità civile: una soluzione “contrattuale”, in Merc. concor. regole, 2014, 571 s.; Darcy, D., Credit Rating Agencies and the Credit Crisis: How the "Issuer Pays" Conflict Contributed and What Regulators Might Do About It, in Colum. Bus. L. Rev., 2009, 605, 622 s.; Richter, M., Die Verwendung von Ratings zur Regulierung des Kapitalmarktes, Frankfurt a.M., 2008, 72).
È sostanzialmente solo da un decennio, allo scatenarsi dell’ultima crisi finanziaria, che le agenzie hanno cominciato a essere bersaglio di critiche incisive e diffuse. Il dibattito ha allora rivitalizzato l’attenzione per le questioni summenzionate, affiancandovi gli strali diretti, non solo ai ritardi nell’adattare i rating alle concrete prospettive del mercato e delle singole entità valutate, ma anche al rischio, cui troppo spesso le agenzie si esporrebbero, di compromettere la qualità delle loro prestazioni in vista della conquista, o della difesa di quote di mercato («In 2006, 869 billion U.S. dollars worth of mortgage-related securities were rated triple-A by Moody’s and 83 percent went on to be downgraded within six months. Standard & Poor’s had ratings coverage of a similar magnitude and similar ratings»: Darbellay, A. - Partnoy, F., Credit Rating Agencies and Regulatory Reform, in Hill, C.A. - McDonnell, B.H., edts., Research Handbook on the Economics of Corporate Law, Cheltenham, 2012, 273).
Oggi è chiaro ai più come le radici dei fenomeni criticati si ritrovino nell’inadeguatezza e nelle lacune del regime giuridico che ha fin qui disciplinato le attività delle agenzie. Si tratta di inadeguatezze e lacune, peraltro, che hanno saputo essere ben custodite.
Negli Stati Uniti, regole specificamente dedicate all’attività delle agenzie di rating esistevano fin dal 1975, rinforzate dal ‘Credit Rating Agency Reform Act of 2006’, e poi, più recentemente, dalle disposizioni del ‘Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act’ del 2010 (Pub. L. No. 111-203) e l’Unione Europea ne ha seguito l’esempio. Nel 2009 il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno adottato un regolamento (emendato nel 2011 e poi nel 2013 reg. n. 462/2013/Ue), il quale, alla stessa stregua del suo modello statunitense, mira essenzialmente a: i) indurre le CRAs a evitare, o gestire ‘adeguatamente’, l’emersione di conflitti di interesse; ii) promuovere il miglioramento delle metodologie dei processi di rating; iii) incrementare gli obblighi di informazione posti in capo alle CRAs; iv) istituire procedure di registrazione e sorveglianza delle agenzie amministrate da parte dell’autorità di controllo europea (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati – Aesfem/Esma) (Hemraj, M., Credit Rating Agencies: Self-Regulation, Statutory Regulation and Case Law Regulation in the United States and European Union, Heidelberg, 2015, 93 s., 151 s.).
In altri termini, entrambi gli approcci regolatori – quello statunitense e quello europeo –, così come quello adottato dall’International Organization of Securities Commissions - Iosco, nel suo Code of Conduct (Hemraj, M., Credit Rating Agencies, cit., 73 s.), si accontentano di porre l’attenzione soprattutto sulla concorrenzialità del mercato del rating, sulla trasparenza dei processi di rating, sui conflitti di interesse e sulla possibilità di imporre sanzioni ‘amministrative’ o di esercitare altrimenti poteri coercitivi sulle agenzie di rating (poteri destinati a estrinsecarsi, in qualche caso, con un significativo grado di discrezionalità). L’assunto implicito è che il valore economico di un’agenzia di rating derivi dalla sua reputazione e che il rischio di perdere quest’ultima, in una coll’operare di controlli amministrativi sulle agenzie, rappresenti la giusta combinazione di incentivi all’emissione di rating di ‘qualità’ (Hunt, J.P., Credit Rating Agencies and the Worldwide Credit Crisis: The Limits of Reputation, the Insufficiency of Reform, and a Proposal for Improvement, in Colum. Business L. Rev., 2009, 109, 128-129).
Secondo la scuola di pensiero in questione – cui, senza sorpresa, le agenzie aderiscono pienamente –, il fattore reputazione offre un incentivo sufficiente al perseguimento della qualità del rating. Gli investitori che giudichino bassa la qualità di una valutazione cesseranno di commissionarne la produzione all’agenzia che l’ha emessa, o di adottarne le indicazioni come determinanti per le loro scelte, e l’incombere di un tale pericolo basterebbe da sé a scoraggiare comportamenti impropri da parte delle agenzie. In una simile prospettiva, i law-makers potrebbero (rectius: dovrebbero) limitarsi a fornire un quadro normativo adeguato a correggere eventuali distorsioni del mercato, lasciando per converso il meccanismo della reputazione libero di fluttuare autonomamente. Assumendo che la (perdita di) reputazione funga da deterrente ottimale contro prestazioni inadeguate, i legislatori transoceanici hanno fino a oggi mostrato (scarso o) nessun interesse a un cambiamento radicale della struttura di incentivi che guidano l’industria del rating (Brummer, C., Why Soft Law Dominates International Finance – And Not Trade, in 13 J. Int'l Ec. L., 2011, 623, 624, 636-641; Id., How International Financial Law Works (and How it Doesn’t), in 99 Geo. L. J., 2011, 257, 284-286; Partnoy, F., The Siskel and Ebert of Financial Markets?: Two Thumbs Down for the Credit Rating Agencies, in 77 Wash. U. L.Q., 1999, 619; e, assai criticamente, Chiu, I.H-Y., Regulatory Governance of Credit Rating Agencies in the EU: The Perils of Pursuing the Holy Grail of Rating Accuracy, in 2 Eur. J. Risk Reg., 2013, 209, 213 s.).
Ancora una volta, il credo ultimo è che il mercato saprebbe sempre governarsi da sé (Bussani, M., Il diritto dell’Occidente. Geopolitica delle regole globali, Torino, 2010, 75 s.). Sfortunatamente la realtà viaggia distante da questa rotta. Distanza che può essere colta attraverso le seguenti unità di misura.
In primo luogo, in un mercato fortemente asimmetrico, quale quello del rating, «la mera esistenza di molti competitori non garantisce la qualità fintantoché non esista uno strumento giuridico grazie al quale i produttori di rating di alta qualità siano beneficiati e quelli di scarsa qualità abbiano a soffrirne» (Hunt, J.P., Credit Rating Agencies, cit., 138, T.d.A.). Secondariamente, enfatizzare la deterrenza assegnata alla perdita di reputazione implica pianamente: i) disinteressarsi delle sorti di chi ha già sofferto un danno a causa della condotta delle agenzie; ii) impedire di valorizzare adeguatamente l’attivazione di strumenti di controllo decentrato deputato a rimediare a quei danni. Così si finisce inevitabilmente per scaricare sullo Stato (e quindi sui contribuenti tutti) il ruolo di salvatore di ultima istanza dalle crisi sistemiche che quegli stessi danni possono innescare; il che implica, ulteriormente, avallare una diretta e sproporzionata correlazione fra profitti privati e costi pubblici.
Ma non è tutto. Come è stato sottolineato, seppur le agenzie di rating “si considerino destinate a restare sul mercato per un lungo periodo (condizione necessaria perché la reputazione agisca da freno contro comportamenti opportunistici e impropri), funzionari e manager delle agenzie di rating possono esserci oggi e sparire domani” (Buiter, W.H., Lessons from the 2007 Financial Crisis, CEPR Policy Insight No. 18, dicembre 2007, 6, T.d.A.). Oltre a ciò, vi è sempre il rischio che ogni smagliatura alla reputazione delle agenzie finisca per essere contrastata e appianata, nel discorso pubblico così come nei circuiti professionali, dalle forze interessate a sostenere comunque il ‘buon nome’ delle CRAs. Si potrà trattare di soggetti mal valutati (perché il rating era troppo generoso), o di altri soggetti sottoposti a valutazione e timorosi che l’adeguatezza del proprio rating possa essere messa in discussione dalla caduta di prestigio del valutante; oppure si potrà trattare delle schiere di professionisti che lavorano (o aspirano a lavorare) per l’industria del rating e il suo indotto. Insomma, in questo settore, i fattori reputazionali non possono essere considerati, in sé e per sé, come uno scudo effettivo, o pure significativo, né nei riguardi dei potenziali conflitti di interesse, né – e soprattutto – nei confronti delle vittime dei danni economici causati dalle agenzie (Manns, J., Rating Risk After the Subprime Mortgage Crisis: A User Fee Approach for Rating Agency Accountability, in 87 N. C. L. Rev., 2009, 1011, 1048 s.; Oh, P.B., Gatekeeping, in 29 J. Corp. L., 2004, 735, 752: «in the longrun, reputational intermediaries will commit fraud if the risk is acceptable either for the firm or its agents»; Payne, J., The Role of Gatekeepers, cit., 260 s.; Lehmann, M., Civil Liability of Rating Agencies: An Insipid Sprout from Brussels, in 11 Capital Markets L. J., 2016, 60, 64 s.; Bai, L., On Regulating Conflicts of Interests in the Credit Rating Industry, in 13 NYU J. Legis. & Pub. Pol’y, 2010, 253 s.).
Se quelli appena visti sono i motivi per cui i modelli attuali di regolamentazione non paiono adatti ad affrontare il problema della qualità e dell’affidabilità del rating, la critica più puntuta da volgere alle normative statunitense ed europea è però ancora un’altra. Le riforme in parola abbondano di obiettivi pretenziosi, che risultano privi di qualsiasi realistico supporto coercitivo, inteso come strumentario di rimedi, facilmente ed effettivamente disponibile agli utenti del mercato.
In effetti, le agenzie di rating sono state dappertutto – e fino a oggi – sostanzialmente immuni da ogni tipo di responsabilità.
(a) Europa. Sul nostro lato dell’Atlantico, non esiste alcun filone giurisprudenziale di ampia portata volto ad affermare la (o almeno a tipizzare figure di) responsabilità a carico delle CRAs (Hemraj, M., Credit Rating Agencies, cit., 181 s.). Il che può spiegarsi con la presenza ricorrente di ostacoli tecnici alle azioni di responsabilità (dalle regole sostanziali e procedurali di diritto internazionale privato, alle difficoltà probatorie, alla scarsa diffusione di contingency fees e class actions, quali strumenti in grado di ovviare all’alto costo di procedimenti del genere); o con le strette relazioni intercorrenti fra la rete delle agenzie, i soggetti valutati, le élites forensi (dove per élites si intendono quegli avvocati e studi legali che dispongono delle competenze e delle risorse necessarie ad affrontare le sofisticate tecnicalità chiamate in gioco dalle controversie in oggetto). Tutte ragioni che, in solitudine o in combinazione fra loro, permettono di capire come mai il vuoto giudiziale intorno alla responsabilità delle agenzie persista anche dopo il tentativo della UE di dare voce normativa alle istanze avanzate da qualche operatore e qualche (più raro) autore.
L’art. 35 bis, co. 1, del reg. n. 1060/2009/Ce, come modificato nel 2013, prevede infatti che «[s]e un'agenzia di rating del credito ha commesso intenzionalmente o per colpa grave una delle violazioni di cui all'allegato III che ha inciso sul rating del credito, l'investitore o l'emittente possono chiedere all'agenzia di rating il risarcimento dei danni subiti a causa della violazione». Ma la stessa disposizione aggiunge: «[u]n investitore può chiedere il risarcimento dei danni ai sensi del presente articolo qualora provi di aver ragionevolmente riposto affidamento […] su un rating del credito per assumere la decisione di investire, detenere o cedere uno strumento finanziario oggetto del rating del credito» (art. 35 bis, co. 2). Inoltre, lo stesso articolo precisa che «[u]n emittente può chiedere il risarcimento dei danni ai sensi del presente articolo qualora provi che esso stesso o i propri strumenti finanziari sono oggetto del rating del credito e che la violazione non è stata causata da informazioni inesatte o fuorvianti fornite dall'emittente all'agenzia di rating del credito, direttamente o tramite informazioni pubblicamente accessibili» (art. 35 bis, co. 3). Ancora, «[s]petta all’investitore o all’emittente fornire elementi informativi precisi e dettagliati che indichino che l’agenzia di rating del credito ha violato il presente regolamento e che la violazione ha avuto un impatto sul rating emesso» (art. 35 bis, co. 4). Il regolamento omette, tuttavia, di offrire una definizione dei termini menzionati in queste previsioni, limitandosi a specificare che «[i] termini quali ‘danno’, ‘intenzione’, ‘colpa grave’, ‘affidamento ragionevole’, ‘dovuta attenzione’, ‘incidenza’, ‘ragionevolezza’ e ‘proporzionalità’, utilizzati nel presente articolo ma non definiti, sono da interpretare e applicare conformemente al diritto nazionale applicabile determinato in base alle pertinenti norme di diritto internazionale privato. I casi concernenti la responsabilità civile di un'agenzia di rating del credito che non rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento sono disciplinati dal diritto nazionale applicabile determinato in base alle rilevanti norme di diritto internazionale privato» (art. 35 bis, co. 5 bis).
A fronte di un simile quadro – e in attesa di smentite da parte dei tribunali – la valutazione di sintesi porta i toni della perplessità. Il Regolamento scarica sugli attori la prova della ragionevolezza dell’affidamento al rating e della relazione causale fra quell’affidamento e il danno. Il Regolamento non si occupa dell’ipotesi del concorso di plurimi rating nella produzione del pregiudizio. Ma soprattutto il Regolamento alza la soglia della responsabilità al livello della colpa grave, sovrapponendo le proprie regole ai sistemi generali di responsabilità presenti nei vari regimi nazionali. Sistemi, questi ultimi, che – sul continente – i) sono basati su clausole generali di responsabilità per colpa semplice, e che, malgrado ciò, ii) non hanno finora mai saputo condurre a significative sentenze di condanna nei confronti delle agenzie di rating (Lehmann, M., Civil Liability, cit., 72 s.; Picciau, C., Diffusione di giudizi inesatti nel mercato finanziario e responsabilità delle agenzie di rating, Milano, 2018, 33 s.).
(b) Stati Uniti d’America. Le corti USA, a loro volta, grazie all’ombrello aperto dal Primo Emendamento (che protegge la libertà di espressione) o da altre, più specifiche normative (Freeman, L., Who’s Guarding the Gate? Credit Rating Agency Liability as “Control Person” in the Subprime Credit Crisis, in 33 Vt L. Rev., 2009, 585, 598 s.), sono state storicamente incapaci di riconoscere il potere regolatorio esercitato dalle agenzie sul mercato, parificando i rating all’espressione di ‘opinioni’ (come tali coperti dalla garanzia costituzionale circa la libertà di espressione) e finendo, conseguentemente, per sanzionare le CRAs solo a fronte del riscontro che queste avevano causato il danno intenzionalmente. In altri termini, negli Stati Uniti, il soggetto danneggiato dalla pubblicazione di un rating erroneo o fuorviante ha l’onere, per risultare vittorioso in giudizio, di allegare fatti che provino lo specifico intento dell’agenzia di ingannarlo: prova ardua sotto ogni cielo giuridico, e ancor più impervia nel nostro settore, dove l’attore estraneo all’industria del rating assai difficilmente può entrare in possesso della mole di informazioni necessarie a sostenere l’affermazione della responsabilità delle agenzie a titolo di dolo.
Poco o nulla è cambiato sotto il profilo operativo – è bene sottolinearlo – con il ‘Dodd-Frank Act’. Le affermazioni di principio contenute nella legge di riforma sono beneauguranti. La Sec. 931 recita: «[c]redit rating agencies … play a critical ‘gatekeeper’ role in the debt market …Such role justifies a similar level of public oversight and accountability»; e la Sec. 933, là dove emenda la Sec. 15(m)(1) del Security Exchange Act, per l’essenza dispone che «[t]he enforcement and penalty provisions of this title shall apply to statements made by a credit rating agency in the same manner and to the same extent as such provisions apply to statements made by a registered public accounting firm or a securities analyst» – soggetti questi ultimi che sono in principio soggetti a una responsabilità (bensì normativamente tipizzata, ma pur sempre) a titolo di colpa (si v. la rule 10b (15 U.S.C.A. §78j(b)) e la sec. 11 (15 U.S.C.A. §77k) del Securities Exchange Act). Il punto è però che la stessa Sec. 933, alla lettera (b) (che modifica la Sec. 21D(b)(2) del Security Exchange Act (15 U.S.C. 78u–4(b)(2)(A)), chiede all’attore di dimostrare «with particularity facts giving rise to a strong inference» che le agenzie sono consapevolmente («knowingly»), o («recklessly», ossia:) in modo grossolanamente negligente, venute meno ai doveri su di loro gravanti.
Certo non può dirsi quindi che, col Dodd-Frank Act, l’inclinazione della salita verso la vittoria in giudizio sia stata sostanzialmente alterata a favore degli attori.
Eppure nessuno può seriamente contestare che un adeguato regime di responsabilità civile offre d’abitudine incentivi efficaci a impedire o prevenire condotte professionalmente negligenti e/o costituenti scorretto esercizio dei poteri attribuiti. Conclusione che si rafforza specialmente quando, come nel nostro caso: a) i soggetti in questione operano sul mercato in regime di oligopolio; b) sulle loro condotte e giudizi non esiste la possibilità di effettivo controllo ex ante da parte dei potenziali danneggiati; c) i costi sociali prodotti da quelle stesse condotte, e da quei giudizi, possono di gran lunga superare i benefici aggregati da esse/i generati (sui danni meramente patrimoniali come costi sociali, Bussani, M., - Palmer, V.V. - Parisi, F., Liability for Pure Financial Loss in Europe: An Economic Restatement, in 51 Am. J. Comp. L., 2003, 113).
Intendiamoci: finché i costi delle analisi indipendenti del credito rimarranno molto elevati, nessuno può seriamente attendersi che gli investitori cessino del tutto di fare affidamento sulle agenzie di rating. È anche per questa ragione, è anche su questa base che nasce l’implicita visione delle agenzie come fornitrici di un servizio pubblico. Visione che sottende la scelta statunitense ed europea di affidarsi sostanzialmente a una sorveglianza di natura amministrativa. D’altro canto, per lo meno in astratto, non è possibile escludere che la disponibilità di un rimedio riparatorio incisivo possa incoraggiare un suo utilizzo avventuroso, inducendo una pletora di poco accorti investitori a tentare di trasferire i costi delle proprie sciagurate decisioni sulle agenzie. E’ altrettanto vero, però, che, nel mondo reale, alle agenzie non mancano mezzi e strumenti atti a contrastare ogni asserzione infondata di responsabilità. Onde sfuggire all’eventualità di una condanna immeritata, alle agenzie sarebbe sufficiente per esempio dimostrare che: gli attori hanno subito il danno perché essi, o per loro ignoranza, o a causa di un inadeguato sistema di management interno del rischio, hanno posto una fiducia sconsiderata sui rating, con scarsa attenzione per i rischi che inerivano ai titoli oggetto dell’investimento (De Pascalis, F., Credit Ratings and Market Over-reliance: An International Legal Analysis, Leiden, 2017); o che sono stati proprio i soggetti valutati a fornire loro dati inaccurati al fine della predisposizione del rating (facendo valere tale circostanza come un’esimente, oppure elevandola a fondamento di una successiva azione di regresso o di inadempimento nei confronti dei clienti). Tutte ipotesi, si badi, in cui l’onere della prova gravante sulle agenzie resta comunque assai più agevole di quello incombente sull’attore che – senza rivestire natura pubblica – debba provare l’intenzione di nuocere in capo alla/e agenzia/e convenuta/e. (Picciau, C., Diffusione di giudizi inesatti, cit., 178 s., 273 s.)
Non inventa nulla nemmeno chi rileva come la minaccia di azioni risarcitorie potrebbe porre sotto pressione le agenzie di rating, inducendole a privilegiare valutazioni conservative e burocratiche, ossia solo formalmente impeccabili. Ma si tratta di un esito di cui il mercato e le agenzie dovrebbero lamentarsi? O si tratta invece di una delle ordinarie sfide che qualsiasi impresa deve raccogliere, al fine di guadagnare quote di credibilità, e di mercato? (Libertini, M. - Fabbio, P., Concorrenza e rating finanziario, in Principe, A., a cura di, Le agenzie di rating, Milano, 2014, 151, 161)
Il punto, piuttosto, è che svincolare le agenzie di rating da ogni responsabilità, al di qua delle elevatissime soglie di riprovevolezza individuate dalle regole in vigore, consente a un enorme ammontare di denaro di trovarsi indebitamente nelle tasche di agenzie che hanno operato in maniera scorretta, anziché nei portafogli dei soggetti che, da quelle agenzie, sono stati danneggiati. Il che, ovviamente, riduce la funzione di deterrenza che dovrebbe essere propria alle normative di controllo e permette alle agenzie di non internalizzare i costi sociali prodotti dalla loro adozione di standard di attività molto al di sotto della soglia del tollerabile (Wagner, G., Die Haftung von Ratingagenturen gegenueber dem Anlegerpublikum, in Jung, P. - Lamprecht, P. - Blasek, K. - Schmidt-Kessel, M., etds. Einheit und Vielheit im Unternehmensrecht: Festschrift für von Uwe Blaurock zum 70. Geburstag, Tübingen, 2013, 467; Chiu, I.H-Y., Regulatory Governance of Credit Rating Agencies in the EU, cit., 225).
Quanto ricordato fin qui, e in particolare la volontà politica euro-statunitense di sottoporre le agenzie a controlli di tipo essenzialmente amministrativo, spiega perché il dibattito abbia iniziato a interrogarsi sull’opportunità di mantenere le agenzie come enti privati e for-profit, o piuttosto di assorbirle in (o assegnare le loro funzioni a) soggetti di natura pubblica (possibilità prospettata dalla Commissione europea nella sua « Public consultation on Credit Rating Agencies», del 5.11.2010, al link ec.europa.eu/internal_market/consultations/docs/2010/cra/cpaper_en.pdf, 19, 21, 28 s.; con esclusivo riferimento al contesto americano, Coffee, J.C. Jr., Ratings Reform: The Good, The Bad, and The Ugly, in Harvard Bus. L. Rev., 2011, 231, 257 s.; Gudzowski, M., Mortgage Credit Ratings and the Financial Crisis: The Need for a State-Run Mortgage Security Credit Rating Agency, in Colum. Bus. L. Rev., 2010, 245; Grundfest, J.A. - Petrova, E., Investor-Owned and Controlled Rating Agencies: A Summary Introduction, in 25 J. Int’l Bank. L. & Reg., 2010, 181, 183 s., i quali manterrebbero la natura privatistica delle agenzie, obbligandole però a svolgere la loro attività senza scopo di lucro). Gli argomenti spesi in entrambe le direzioni hanno tutti un solido fondamento, ma a meritare la sottolineatura è come la risposta a un simile quesito possa darsi solo assumendo una prospettiva regolatoria che trascenda la dimensione meramente locale, nazionale o regionale che sia.
Non si scopre qui che le interconnessioni fra economie e mercati finanziari possono operare come potenti moltiplicatori sia per una crescita intensiva che per collassi devastanti. Né è una novità l’evidenza che attività come quelle svolte dalle agenzie di rating esercitano un considerevole impatto globale sulle economie di tutti gli Stati e abitanti del pianeta. Senza che sia necessario ricorrere alla metafora della farfalla che batte le ali a Beijing causando una tempesta in Africa, è chiaro che neppure la più severa regolamentazione statunitense o europea (neanche se strettamente applicata e rispettata) può, da sé sola, valere a evitare la messa in opera di condotte scorrette da parte delle CRAs al di fuori delle aree geografiche ‘severamente’ regolate. Condotte capaci di produrre reazioni a catena su scala mondiale, e di incidere su ogni realtà, inclusa quella degli investitori e dei cittadini statunitensi ed europei.
La sfida da sostenere non è perciò data dalla costruzione di un recinto normativo locale (sia esso regionale o nazionale), ma piuttosto dal perseguimento di una strategia globale, volta a fissare una soglia di responsabilità appropriata per le attività dannose poste in essere dalle CRAs.
Fonti normative
Reg. n. 462/2013/Ue del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il reg. n. 1060/2009/Ce relativo alle agenzie di rating del credito; Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act (2010), Pub. L. No. 11-203.
Bibliografia essenziale
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