AGESANDRO ('Αγήσανδρος, Hagesander)
Il nome ricorre tre volte in una stessa famiglia di scultori che fiorì a Rodi nei secoli II (fine) e I a. C. Documenti epigrafici trovati a Lindo permettono di stabilire la genealogia: il primo, figlio d'un Atanadoro, visse intorno al 100, e fu padre del secondo, ch'ebbe per figli un altro Atanadoro (nato verso l'80, poi adottato da Dionisio), e un terzo Agesandro, adottato da un Damaineto e ricordato come sacerdote di Athena Lindia nel sec. I a. C.; carica, questa, rivestita del resto anche dal fratello Atanasio. A questa famiglia si riferisce certamente la notizia di Plinio il vecchio sopra il celebre gruppo statuario del Laocoonte, ch'egli ricorda come esistente nel palazzo di Tito, e che, trovato nel 1488 dove furono le terme di Tito stesso, è oggi tra i maggiori ornamenti del Vaticano. Plinio, che per un vezzo da cicerone vuole tratta la scoltura da un sol blocco, dice che fu eseguita "per decisione del consiglio", riferendosi probabilmente alla iscrizione della base perduta, ricordante la collocazione originaria, che possiamo ritenere avvenuta in un luogo sacro dell'isola. Secondo lo scrittore, gli esecutori furono tre: A., Atanadoro e un Polidoro, di cui non abbiamo altro ricordo. L'ordine dei nomi nel testo ha fatto credere ai più che il primo fosse padre degli altri due, e avesse avuto nell'opera la parte preponderante, tanto che alcuno gli attribuì la figura di mezzo, ritenendo le minori eseguite dai figli. Per la datazione della scultura, il secondo A. della serie epigrafica è quello che oggi vien comunemente identificato con l'artista ricordato da Plinio: unico argomento è l'esser padre di un Atanadoro. Secondo questo criterio, oggi prevalente, la data sarebbe intorno al 50 a. C., mentre qualcuno aveva sostenuto che il gruppo fosse contemporaneo a Tito, senza poter dare tuttavia confronti databili che sostenessero tale opinione. Da ultimo s'è voluto attribuire l'opera al più recente tra gli omonimi e al fratello. Ma l'incertezza cronologica non è eliminata; poiché nella famiglia si ripetevano gli stessi nomi, salvo quello di Polidoro, che non trova concordanza epigrafica, non possiamo escludere, p. es., che l'A. in questione sia stato padre, o fratello, di quel primo Atanadoro che risulta il più antico nelle iscrizioni, e di cui non conosciamo né ascendenti né collaterali. L'opera si daterebbe così nel sec. II, come sembrano indicare le affinità artistiche con il fregio della grande ara di Pergamo. La composizione fu popolare nell'Italia antica: se ne vede il riflesso in pitture murali di Pompei e in una miniatura d'un manoscritto di Virgilio al Vaticano, di tarda epoca romana; ma non si può escludere che preesistesse alla scultura.
Bibl.: W. Amelung, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XV, Lipsia 1922. Ch. Blinkenberg, in Röm. Mitteil., 1927, p. 177 segg., ha riconosciuto nell'altare di Laocoonte un pezzo di pietra di cava rodiese.