AGGEO (ebraico Haggay; i Settanta 'Αγγαῖος; la Vulgata Aggaeus)
È il profeta i cui scritti occupano il decimo posto nella collezione biblica dei cosiddetti Profeti minori.
Storia. - Pochissimo si sa circa la persona di A. Fuori del libro, che porta il suo nome, egli è ricordato nella Bibbia anche in Esdra, V,1; VI, 14, ove è designato col titolo di profeta. Da un passo dei suoi scritti (II, 11) sembra potersi concludere che egli non appartenesse a stirpe sacerdotale.
Il suo ministero profetico avvenne nell'anno 2° del regno di Dario d'Istaspe, cioè nel 520 a. C., in cui il popolo giudaico attraversava un periodo particolarmente difficile. I Giudei deportati in Babilonia da Nabucodonosor, ottenuto da Ciro il Grande il permesso di ritornare in Palestina e ricostituirsi in nazione (538), avevano già cominciato a rimpatriare; gli esuli tornati si erano messi con fervore a riordinare la società palestinese e a riedificarne la distrutta capitale Gerusalemme; ma le enormi difficoltà che incontravano nella loro opera fecero raffreddare dopo qualche tempo il loro ardore. Le rovine che più dolorosamente rattristavano la vista dei rimpatriati erano senza dubbio quelle del Tempio di Salomone, centro del culto giudaico e base della società teocratica; ma, anche in questa principalissima impresa, le difficoltà, sollevate specialmente dagli ostili popoli circonvicini, furono tante, che la restaurazione del tempio, intrapresa fin dall'anno seguente al rimpatrio, fu tralasciata, e la comunità risorgente si contentò di seguitare a compiere i sacrifici e le cerimonie religiose sul nudo altare che era stato rialzato nell'antico posto pochi mesi dopo l'arrivo a Gerusalemme (Esdra, III-IV). A confermare questo stato di cose, si aggiunsero torbidi politici e sociali, quali la guerra di Cambise contro l'Egitto (525 a. C.), verso la quale regione la Palestina era il necessario ponte di passaggio, una sequela di cattive annate con scarsi raci. olti (Aggeo, I, 6, 9-11; II, 17-18), e anche uno spirito molle ed egoistico che si era infiltrato nel seno stesso della nuova comunità palestinese in luogo del primitivo zelo religioso (Ag., I, 4, 9). Frattanto l'autorità centrale persiana attraversava anch'essa un difficilissimo periodo: il re Dario fin dai primi anni del suo regno era impegnato in una continua ed accanita lotta contro le varie rivolte che scoppiavano in ogni parte del vasto impero, cosicché l'efficacia del potere centrale era quasi totalmente scomparsa in lontane e secondarie regioni quali la Palestina.
Sennonchè questo stato di cose fu ritenuto propizio per un'azione energica da uomini animosi che sorsero a questo punto in mezzo alla comunità di Gerusalemme: fra questi furono A. e il suo coetaneo Zaccaria, che iniziò il ministero profetico due mesi dopo di lui. Costoro s'avvidero che la debolezza del potere centrale, più che un ostacolo, era una circostanza favorevole, giacché scongiurava interventi in contrario da parte degli ombrosi re di Persia; alle ostilità dei popoli circonvicini si poteva far argine preparando un'autonoma difesa. Ciò invece che più urgeva, era che il popolo, e soprattutto i capi, si scotessero da quell'inerzia in cui erano caduti, ravvivando l'antico zelo con cui erano rimpatriati, e proseguendo la ricostruzione materiale del Tempio di Gerusalemme, che doveva essere come il fondamento della ricostruzione morale di tutta la nazione giudaica. E il ravvivamento generale degli spiriti in vista di tale impresa è precisamente lo scopo degli scritti di A.
È probabile che egli fosse uno degli esiliati tornati dopo il 538, piuttosto che uno di quei Giudei rimasti in patria perché sfuggiti alla deportazione in massa del 586; da II, 3 sembra si possa concludere che egli era del numero di coloro che avevano visto ancora in piedi l'antico Tempio e potevano testimoniarne la magnificenza scomparsa: il che porterebbe ad attribuirgli una età avanzata all'epoca del suo ministero (520). Si sa infine, dal suo stesso libro, che l'intervento di A. sortì buoni effetti. Dopo la prima esortazione che egli fece a tale scopo, il popolo riprese con lena i lavori di ricostruzione (Ag., I, 12-15); cosicché, quattro anni più tardi, cioè nell'anno sesto di Dario (516 a. C.; cfr. Esdra, VI, 15), il Tempio fu compiuto e solennemente dedicato.
Tradizioni tardive aggiungono alcuni particolari sulla persona di A. Così Epifanio di Salamina (sec. IV d. C.) riferisce che A. sarebbe uno dei rimpatriati da Babilonia, e in età giovanile: che inoltre avrebbe visto il Tempio totalmente restaurato e dedicato, che sarehbe morto in Gerusalemme e ivi sarebbe stato sepolto con onore (De vitis prophet., 20, in Patrol. gr., XLIII, 412); le quali notizie, evidentemente, non hanno in sé nulla d'inverosimile. Con la leggenda invece della Grande Sinagoga si riconnette la tradizione rabbinica che fa di A. un membro di quel collegio: Talmud Ier., Beraḥoth, 2, 4; Hagiga, 3, 8.
Libro. - Il breve libro di A. consta di quattro sue profezie o allocuzioni, oltre ad una piccola parte narrativa intramezzata fra la prima e la seconda allocuzione. La prima (I,1-11) è datata al primo giorno del sesto mese del secondo anno di Dario, cioè circa al settembre del 520 a. C.; essa rimprovera al governatore Zorobabele e al sommo sacerdote Giosua la trascuranza nella ricostruzione del Tempio, mentre ciascuno era zelante per la costruzione delle proprie case. La piccola parte narrativa ivi aggiunta (I, 12-15) riferisce che le due suddette persone e tutto il popolo ascoltarono l'invito del profeta: i lavori furono ripresi il giorno 24 dello stesso mese. La seconda allocuzione (II,1-9) è datata al giorno 21 del mese settimo. Essa vuole salvaguardare i costruttori da un senso di scoraggiamento che li aveva presi al confrontare il nuovo Tempio col ricordo di quello molto più sontuoso distrutto settant'anni prima; il profeta fa appello alla fede messianica, della quale il nuovo Tempio a preferenza del primo vedrà il compimento. La terza allocuzione (II, 11-19) è datata al giorno 24 del mese nono. Essa, dopo aver ricordato che per il passato Iddio ha punito il popolo per i suoi peccati e la sua negligenza nel servizio religioso, promette oramai ampie benedizioni temporali da parte di Dio in ricompensa dello zelo spiegato dai ricostruttori del Tempio. La quarta allocuzione (II, 21-24) ha la stessa data della terza; essa ripiglia l'accenno messianico della seconda, applicandolo a Zorobabele, come a rappresentante della discendenza di David, che sarà oggetto di particolare predilezione divina.
È possibile che questi quattro scritti, di ampiezza molto limitata, siano giunti a noi in una specie di sommaria ricapitolazione, e non nella loro primitiva forma.
Il nome di A. appare anche nei titoli delle seguenti versioni dei Salmi; secondo i Settanta, Salmi CXLV a CXLVIII e (codice Vatic.) CXXXVII; secondo la siriaca Pescitta, CXXV seg., CXLV a CXLVII; secondo la Vulgata, LXI, CXLV. La lettera Agli Ebrei, XII, 26 cita Aggeo II, 7.
Il Manzoni, nella Resurrezione:
Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria...,
allude al suaccennato passo messianico della seconda allocuzione. Per la versione latina (Vulgata) di questo passo, in cui S. Girolamo si distacca dalla lettera del testo ebraico per far risaltare il senso messianico, sono da consultare i varî commenti.
Bibl.: Per i commenti all'intera serie dei Profeti minori, fra cui A., vedi abacuc. Inoltre: A. Köhler, Die Weissagungen Haggai's erklärt, Erlangen 1860; L. Reinke, Der Prophet Haggai, Münster 1868; T. T. Perowne, Haggai and Zecharjah, Cambridge 1893; A. Tony, Le prophète Aggée, Parigi 1895; H. Mitchell, A critical and exegetical Commentary on Haggai and Zecharjah, in Intern. Critic. Commentary, Edimburgo 1912; Barnes, Haggai and Zecharjah, with notes and introduction, Cambridge 1917; Crafer, The Books of Haggai and Zecharjah, Cambridge 1920.