dimostrativi, aggettivi e pronomi
Si chiamano dimostrativi tutti quegli elementi ➔ deittici la cui interpretazione presuppone necessariamente il riferimento a componenti della situazione comunicativa (➔ contesto). Della categoria dei dimostrativi fanno parte aggettivi e pronomi (questo, quello, ecc.: vedi sotto), ma vi si collocano anche gli avverbi deittici di luogo (qui, qua, lì, là). I dimostrativi possono identificare oggetti o persone, punti dello spazio circostante, momenti nel tempo. Per interpretarli, in particolare, è necessario rifarsi alle coordinate spaziali dell’enunciazione: essi identificano infatti oggetti o persone sulla base della vicinanza o lontananza rispetto a chi parla.
Alla definizione della categoria dei dimostrativi concorrono criteri formali e criteri semantico-funzionali (Diessel 1999). I dimostrativi infatti:
(a) sono espressioni deittiche usate in particolari contesti sintattici:
(i) possono essere usati come pronomi indipendenti: passami quello;
(ii) possono co-occorrere con un nome in un sintagma nominale, nel qual caso sono aggettivi: passami quel libro;
(b) generalmente svolgono specifiche funzioni pragmatiche; spesso utilizzati per indirizzare l’attenzione dell’ascoltatore, possono servire anche per altre funzioni: per es., in un testo, possono svolgere funzione anaforica, cioè fare riferimento a elementi già introdotti nel discorso (➔ anafora);
(c) sono caratterizzati da specifici tratti semantici.
In italiano gli aggettivi e pronomi dimostrativi sono i seguenti:
maschile femminile
singolare questo, quello questa, quella
plurale questi, quelli queste, quelle
Pronomi e aggettivi dimostrativi hanno la stessa forma: per es., questo può essere sia pronome (ho portato anche questo) sia aggettivo (ho letto anche questo libro). Non tutte le lingue si comportano in questo modo: molte hanno basi o caratteristiche flessive diverse per pronomi e aggettivi. In francese, ad es., pronomi e aggettivi dimostrativi hanno radici diverse: celui «questo» e celle «questa» sono pronomi, mentre ce «questo» e cette «questa» sono aggettivi.
La forma sto (sti, sta, ste; queste forme sono talvolta scritte con apostrofo iniziale, a marcare la caduta di una sillaba: ’sto, ’sta, ecc.) è la forma abbreviata dell’aggettivo questo: estremamente diffusa nella lingua parlata, è evitata nei testi scritti e nelle varietà formali (da notare però la sua presenza nelle forme univerbate stasera, stamattina, stanotte, stavolta).
Nel loro uso aggettivale i dimostrativi sono determinanti, al pari di articoli e quantificatori (non a caso, l’articolo definito italiano il è l’esito di un processo di ➔ grammaticalizzazione che ha come punto di partenza un dimostrativo latino: vedi sotto).
La loro presenza, che indica definitezza, esclude quella dell’articolo definito (➔ articolo), ma è sufficiente a trasformare un nome in un sintagma nominale:
(1) questo quaderno
(2) * il questo quaderno
L’italiano standard ha un sistema di dimostrativi bipartito, in cui cioè esiste un’opposizione simmetrica di distanza: elementi prossimali (indicanti referenti vicini al parlante) si oppongono a elementi distali (indicanti referenti lontani dal parlante: i due termini si devono a Fillmore 1975: 40), con il parlante considerato come l’origo (Bühler 1934), cioè il centro deittico, il punto a partire dal quale si considera la distanza. Questo è allora il dimostrativo prossimale; quello, invece, è il dimostrativo distale.
In italiano antico, in toscano e in sardo si trova un terzo elemento dimostrativo (che opera sia come aggettivo che come pronome), che designa un oggetto vicino all’interlocutore ma non al parlante:
toscano questo codesto quello
sardo custu cussu cuddu
In toscano, alla forma codesto è associato l’avverbio costì. Più in generale, i sistemi dei dimostrativi dell’Italia centro-meridionale sono considerati tradizionalmente tripartiti (Meyer-Lübke 1899; Vanelli 1997), in contrasto con la maggior parte dei dialetti settentrionali, bipartiti. Secondo gli studiosi, i sistemi tripartiti avrebbero continuato il sistema del latino (hic, iste, ille): cfr. siciliano chistu, chissu, chiddu, calabrese, campano e abruzzese quisto, quisso, quillo, umbro quisto, tisto / quisso, quillo. Tuttavia, Ledgeway (2004) ha negato l’applicabilità di tale analisi agli odierni dialetti centro-meridionali, sostenendo invece la centralità nell’analisi della diade conversazionale (Jungbluth 2005), rappresentata da parlante e ascoltatore.
Come si vedrà sotto, il sistema dei dimostrativi, caratterizzato da un’elevata frequenza d’uso, è sottoposto a continua ristrutturazione: già in latino classico il dimostrativo hic comincia a sostituire la forma is, molto labile a livello fonetico, nella sua funzione determinativa, innescando una serie di spostamenti interni al sistema. Si spiegano in questo modo le diverse strutturazioni dei sistemi dei dimostrativi in italiano e, più in generale, in area romanza: iste, dimostrativo legato alla seconda persona, prende il posto lasciato vuoto da hic, lasciando a sua volta una casella vuota. Francese e rumeno non riempiono il vuoto, mentre spagnolo, sardo e alcune varietà italiane centro-meridionali utilizzano, in questo ruolo, i continuatori del pronome di identità latino ipse: spagnolo antico aquese, sardo cussu, ecc. Anche il toscano, come s’è visto, presenta tuttora un sistema a tre termini: tuttavia, la forma ‘media’ codesto è l’esito di una forma composta con il pronome personale di seconda persona, rafforzata con eccum: codesto < eccum tibi istum.
Dal punto di vista pragmatico, i dimostrativi che codificano il tratto della prossimità (vicinanza o lontananza spaziale dall’origo) possono indicare anche vicinanza o lontananza in termini emotivi o simbolici: si parla allora di deissi emotiva (Lakoff 1974) o empatica (Lyons 1977). Il dimostrativo (sia distale che prossimale) rafforzato ha ad es. un chiaro valore spregiativo nei casi seguenti:
(3) a. lo ha detto quello là
b. questo qua pretende di avere ragione
I dimostrativi svolgono un ruolo essenziale dal punto di vista pragmatico: essi, come già accennato, contribuiscono alla costituzione di un centro di attenzione condiviso tra i partecipanti all’atto comunicativo, una delle funzioni centrali della comunicazione: tale importanza è evidente dal fatto che i bambini imparano ad usare i dimostrativi molto presto. Inoltre, la presenza dei dimostrativi nelle lingue del mondo è un tratto universale: come i nomi ed i verbi, sono parte del vocabolario basico di ogni lingua.
Anche il discorso, parlato o scritto, può essere considerato come avente luogo in uno spazio: i dimostrativi possono quindi essere utilizzati per designare un referente presente nello spazio del discorso, un oggetto appena nominato o che sarà nominato tra poco (➔ contesto). Si parla di ➔ anafora quando si richiama un referente già presente nel testo, mentre se il referente verrà introdotto nel testo in seguito, si parla di ➔ catafora:
(4) Il principe la prese allora in isposa, finalmente persuaso che era una vera principessa, e il pisello andò a finire al museo, dove si può vederlo ancora oggi, se nessuno lo ha portato via. E questa, sai, è una storia vera! (da H.C. Andersen, La principessa sul pisello, citato in Conte 1996: 137)
Il dimostrativo questa non rinvia ad un referente già introdotto nel testo, ma al testo stesso, nel suo svolgimento.
Come nel caso della deissi, anche per l’anafora si può parlare di anafora empatica (vedi sopra):
(5) Alcide si scontrò con Mussolini quando quello era ancora socialista (da un’intervista alla vedova di Alcide De Gasperi, citata in Conte 1996, p. 136)
Il pronome quello si riferisce a Mussolini, anche se il nome proprio è sintagmaticamente vicino e ci saremmo aspettati il dimostrativo prossimale questo: la scelta del dimostrativo rappresenta un caso di anafora empatica.
Raggruppando le varietà romanze secondo la natura dei sistemi di dimostrativi, si possono individuare due grandi blocchi: uno meridionale, comprendente l’Italia meridionale e la penisola iberica, caratterizzato da sistemi ternari; uno settentrionale, comprendente l’Italia settentrionale, l’area franco-provenzale e quella rumena, caratterizzato da sistemi binari. Tali gruppi sono omogenei non solo per il numero delle distinzioni, ma anche per l’etimologia degli elementi: i termini prossimali e distali sono derivati dal latino (eccu) + iste, (eccu) + ille, mentre il terzo termine dei sistemi tripartiti è generalmente derivato da (eccu) + ipse o, nelle varietà italiane centrali, da (eccu) + tibi + iste.
I dimostrativi sembrano essere particolarmente esposti a logorìo: dovuto anche alla loro ampia frequenza d’uso, esso si manifesta nell’utilizzo di ripetuti rafforzamenti, tipicamente costituiti da avverbi di luogo: questo ... qui, quello ... lì/là, ecc. Forme rafforzate di questo tipo sono diventate la norma in francese: ce livre-ci, lett. «questo libro qui», celui-ci, celui-là (lett. «questo qui, quello là»).
È comune tra le lingue (Himmelmann 1997) che i dimostrativi costituiscano la base di processi di grammaticalizzazione: ad es., dai dimostrativi spesso si formano gli articoli definiti, come nelle lingue romanze e in particolare in italiano (ital. il, fr. le, ecc. dal dimostrativo latino ille). Ma non è questo l’unico caso di grammaticalizzazione legato ai dimostrativi: in italiano anche il pronome di terza persona egli si è sviluppato a partire dal dimostrativo latino ille. In questo caso, lo sviluppo ha avuto origine da un uso anaforico del dimostrativo. All’inverso, in italiano parlato questo opera spesso come articolo generico: hai visto questo film di cui parlano tutti?
Bühler, Karl (1934), Sprachtheorie. Die Darstellungsfunktion der Sprache, Jena, Fischer (trad. it. Teoria del linguaggio. La funzione rappresentativa del linguaggio, Roma, Armando Editore, 1983).
Conte, Maria E. (1996), Dimostrativi nel testo: tra continuità e discontinuità referenziale, «Lingua e stile» 31, pp. 135-145.
Da Milano, Federica (2005), La deissi spaziale nelle lingue d’Europa, Milano, Franco Angeli.
Diessel, Holger (1999), Demonstratives. Form, function, and grammat-icalization, Amsterdam - Philadelphia, Benjamins.
Fillmore, Charles J. (1975), Santa Cruz lectures on deixis 1971, Bloomington, Indiana University Linguistics Club.
Himmelmann, Nikolaus (1997), Deiktikon, Artikel, Nominalphrase. Zur Emergenz syntaktischer Struktur, Tübingen, Niemeyer.
Jungbluth, Konstanze (2005), Pragmatik der Demonstrativpronomina in den iberoromanischen Sprachen, Tübingen, Niemeyer.
Lakoff, Robin (1974), Remarks on ‘this’ and ‘that’, in Papers from the Tenth regional meeting of the Chicago linguistic society (April 19-21 1974), edited by M.W. La Galy, R.A. Fox & A. Bruck, Chicago (Ill.), University of Chicago. Department of Linguistics, pp. 345-356.
Ledgeway, Adam (2004), Lo sviluppo dei dimostrativi nei dialetti centromeridionali, «Lingua e stile» 39, pp. 65-112.
Lyons, John (1977), Semantics, Cambridge, Cambridge University Press, 2 voll.
Meyer-Lübke, Wilhelm (1899), Grammatik der romanischen Sprachen, Leipzig, Reisland, 4 voll., vol. 3° (Romanische Syntax).
Vanelli, Laura (1997), Personal pronouns and demonstratives, in The dialects of Italy, edited by M. Maiden & M. Parry, London - New York, Routledge, pp. 106-115.