Aggiornamenti di diritto penitenziario
L’art. 36 del testo unificato del d.d.l. S 2067 rappresenta un punto di osservazione privilegiato per esaminare i “futuribili” del diritto penitenziario e la loro attitudine a realizzare il finalismo rieducativo della pena (art. 27 Cost.).
Analizziamo il primo criterio di delega: a) semplificazione delle procedure, anche con la previsione del contraddittorio differito ed eventuale, per le decisioni di competenza del magistrato e del tribunale di sorveglianza, fatta eccezione per quelle relative alla revoca delle misure alternative alla detenzione.
Fermo l’ultimo divieto, gli unici procedimenti suscettibili di contrazione procedimentale sembrerebbero essere quelli di concessione delle misure alternative alla detenzione, nonché di rinvio dell’esecuzione. Trattasi, però, di àmbiti in cui il contraddittorio preventivo costituisce una garanzia ineliminabile, in considerazione dell’apporto dei cd. esperti, il ruolo dei quali svilirebbe, se svincolato dal contatto diretto con l’interessato.
Con riferimento, invece, alla competenza del magistrato di sorveglianza, se sembra da escludere, in ragione della complessità dell’accertamento, l’operatività del procedimento de plano in riferimento ai procedimenti di riesame della pericolosità, di applicazione, esecuzione, trasformazione o revoca di misure di sicurezza e di ricoveri ex art. 148 c.p., lo stesso non è a dirsi con riguardo alle dichiarazioni di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, relativamente alle quali la discrezionalità del giudice potrebbe prescindere dal previo contraddittorio.
Al contrario, dovrebbe essere potenziata, nell’ottica di un rilancio delle misure alternative, l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova da parte del magistrato di sorveglianza (artt. 47 co. 4, 47 ter, co. 1-quater e 50, co. 6, o.p.). Altro settore in cui potrebbe rivelarsi efficace ed opportuno un intervento di semplificazione è quello della liberazione anticipata. Nello specifico, oltre a prevedersi espressamente un’iniziativa ex officio, potrebbe essere soppressa la previsione dell’obbligatoria richiesta del parere al p.m., al quale residuerebbe comunque il potere di reclamo.
Con riferimento alle misure alternative alla detenzione, l’art. 36, lett. b), d.d.l. di delega legislativa impone la «revisione delle modalità e dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità e in particolare per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale».
Non è certamente questa la sede per ripercorrere la storia delle alternative alla detenzione: premesso, però, che ogni intervento sul loro assetto impone una previa rivisitazione del catalogo sanzionatorio “primario”, pare comunque necessario disincagliare l’attuale sistema dalle secche di una consolidata prassi caratterizzata da un’eccessiva amministrativizzazione trattamentale, non disgiunta da una pilatesca ipocrisia nella decodificazione degli elementi del trattamento stesso.
Quanto al primo profilo, è necessario che si pervenga all’affermazione del diritto alla rieducazione. In altri termini, il passaggio alla misura alternativa non dovrà più essere considerato un evento eccezionale, bensì il naturale sviluppo dell’esecuzione penale, ispirato al principio di progressività trattamentale.
In tale prospettiva è da condividere sia la proposta avanzata in seno agli Stati generali dell’esecuzione penale, secondo cui dovrebbe essere eliminato l’obbligo della collegialità nell’osservazione della personalità, sia l’art. 36, lett. d), d.d.l. S 2067, che impone la «previsione di una necessaria osservazione scientifica della personalità da condurre in libertà, stabilendone tempi, modalità e soggetti chiamati a intervenire ...».
Con riferimento al secondo profilo, i tre capisaldi del trattamento penitenziario (religione, istruzione e lavoro) chiedono di essere attualizzati: il primo, soprattutto in ragione del multiculturalismo penitenziario; il secondo, alla luce dell’effettività del relativo diritto, talora vanificata dai trasferimenti disposti dall’amministrazione penitenziaria.
La lett. e) della bozza di delega impone l’«eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo, salvo i casi di eccezionale gravità e pericolosità specificatamente individuati e comunque per le condanne per i delitti di mafia e terrorismo anche internazionale».
Il sostantivo (eliminazione), al netto dell’ultimo inciso inserito nel corso della navetta parlamentare, non lascia dubbi di sorta: il criterio di delega impone sia di proseguire nell’opera di “riabilitazione” dei recidivi reiterati, parzialmente realizzata dal d.l. 1.7.2013, n. 78, sia nel ripudio del “doppio binario”, introdotto anche in àmbito penitenziario attraverso il d.l. 8.6.1992, n. 306 e progressivamente implementato, dapprima per effetto della l. 23.12.2002, n. 279 e, successivamente, tramite la l. 23.4.2009, n. 38.
Quanto al primo aspetto, è d’uopo rammentare che il d.l. n. 78/2013, chiaramente volto alla risoluzione delle ostatività introdotte dalla l. 5.12.2005, n. 251, aveva abrogato tutte le disposizioni (art. 656, co. 9, lett. c), c.p.p.; artt. 30 quater, 47 ter, co. 1.1 e 1°bis, 50 bis, 58 quater, co. 7-bis, o.p.) che introducevano preclusioni ovvero stabilivano soglie espiative “maggiorate” a carico dei recidivi reiterati. A seguito di un’aspra dialettica tra i due rami del Parlamento, solo alcune delle innovazioni sono state metabolizzate dalla legge di conversione, mentre le altre non sono state recepite (cfr. artt. 30 quater e 58 quater, co. 7-bis, o.p.).
Con riferimento, invece, alla differenziazione per titolo di reato, il riferimento corre all’art. 4 bis o.p., che continua a precludere le potenzialità trattamentali della legge penitenziaria attraverso il “patteggiamento” tra rieducazione e collaborazione. Se, nel primo decennio applicativo, il combinato disposto degli artt. 4 bis e 58 ter o.p. aveva forse contribuito a fronteggiare la criminalità organizzata in executivis, le successive interpolazioni della prima norma, volte ad utilizzare il “contenitore” penitenziario come espressione di emergenze contingenti, da reprimere “buttando via la chiave”, hanno evidenziato un assetto che suscita svariate perplessità sul piano costituzionale (artt. 3, 25, co. 1 e 27, co. 3, Cost.).
Anche la prassi applicativa da tempo registra solo richieste di collaborazione cd. impossibile o inesigibile con il rischio di appesantire ancor più i ranghi della magistratura di sorveglianza.
Con riferimento, infine, all’ergastolo ostativo, è plausibile ritenere che la “normalizzazione” dell’art. 4 bis o.p. sortirebbe effetti positivi anche in ordine alle posizioni penitenziarie degli ergastolani. In ogni caso, ben si potrebbe “affrancare” la liberazione condizionale dalle preclusioni contenute nell’art. 4 bis o.p.
Un’organica riforma penitenziaria non può prescindere dalla rivisitazione del catalogo sanzionatorio. Solamente attraverso il superamento della logica “carcerocentrica”, sarà, infatti, possibile concepire l’istituzione carceraria come luogo della rieducazione e non più meramente contenitivo.
In ogni caso, con riferimento al rilancio delle alternative alla detenzione, pare imprescindibile: a) proseguire nell’opera di “bonifica” della l. n. 251/2005, attraverso l’abrogazione degli artt. 30 quater e 58 quater, co. 7-bis, o.p.; b) coordinare l’art. 656 c.p.p. con il testo novellato dell’art. 47 o.p., al fine di consentire anche al condannato libero di proporre istanza di affidamento in prova “allargato”; c) stimolare le iniziative del consiglio di disciplina (art. 57 o.p.) e l’attivazione ex officio per tutti i benefici; d) adottare le azioni necessarie ad assicurare l’accessibilità per tutti i detenuti di una modulistica unica su base nazionale per la formulazione delle istanze; e) sviluppare modalità di trasmissione telematica delle istanze e della documentazione a corredo delle medesime, ivi comprese le relazioni comportamentali presenti nella cartella del detenuto, al fine di evitare, per quanto possibile, richieste istruttorie ad hoc; f) ridurre i tempi dell’istruttoria giurisdizionale, attraverso la previsione che il DAP disponga l’invio delle sentenze di condanna e di tutta la documentazione utile per la decisione; g) prevedere uscite dallo Stato temporanee durante l’esecuzione dell’affidamento in prova, quando ciò sia indispensabile per esigenze di lavoro, di studio, di salute o di famiglia; h) introdurre l’affidamento in prova in casi di disagio psichico o sociale; i) potenziare l’àmbito di operatività degli artt. 146 e 147 c.p. e degli artt. 47 quater e 47 quinquies o.p.
Con riferimento al “doppio binario” penitenziario, qualora non si realizzassero le condizioni per l’abrogazione dell’art. 4 bis o.p., se ne renderebbe comunque opportuna una limitazione dell’àmbito di operatività, eliminando il presupposto della collaborazione di giustizia e introducendo il criterio della prova positiva della permanenza dei rapporti tra il detenuto e l’organizzazione criminale.