aggiustamento
Correzione del livello di una variabile in seguito a un cambiamento nelle condizioni economiche. Normalmente, si parla di a. del prezzo di beni e servizi o di a. del livello dei fattori produttivi impiegati (lavoro e capitale), al variare della domanda finale. L’a. riguarda il margine intensivo di una variabile, quando muta l’intensità con cui essa è utilizzata (per es., le ore lavorate per occupato o il grado di utilizzo del capitale), oppure il margine estensivo, quando si modifica la quantità della variabile stessa (per es., il numero degli occupati o lo stock di capitale).
Concetto largamente usato nella teoria economica perché le variabili macroeconomiche, quali prezzi, occupazione, quantità di capitale e scorte, si aggiustano gradualmente e con ritardo verso il livello considerato ottimale nel corso del ciclo economico. Inoltre, si definisce a. di un indicatore economico per l’inflazione il processo di trasformazione di una variabile nominale, espressa a prezzi correnti, in una variabile reale, espressa a prezzi di un dato anno base, ottenuta dividendo il valore nominale della variabile stessa per un numero indice del livello dei prezzi rispetto all’anno base.
Nella teoria dell’impresa, la presenza di costi di a. motiva l’esistenza di una curva di offerta di breve periodo, sotto l’ipotesi che uno o entrambi i fattori di produzione (lavoro e capitale) siano fissi, e l’esistenza di una curva di offerta di lungo periodo, che assume fattori di produzione perfettamente flessibili. Sotto la definizione di costi di a. rientrano numerosi esempi di frizioni che impediscono all’impresa di aggiustare liberamente i fattori di produzione in risposta a uno shock dal lato della domanda o dell’offerta. Una lista non esaustiva comprende i costi convessi, i costi non convessi e i costi lineari a tratti (piecewise-linear). I costi di a. si dicono convessi se sono una funzione crescente e convessa, spesso quadratica, della variazione del livello di un fattore di produzione. Sono stati introdotti nei modelli di investimento, per es. da R. Lucas jr. verso la fine degli anni 1960, e poi applicati ai modelli dinamici con aspettative razionali da T. Sargent verso la fine degli anni 1970. I costi di a. convessi hanno trovato un’ulteriore applicazione di successo al fine di unificare la teoria di investimento neoclassica con la teoria della q di Tobin (➔). A partire dal lavoro di Lucas ed E.C. Prescott (1971) fino agli anni 2010, differenti versioni di costi di a. convessi compaiono nei modelli di equilibrio generale in quasi tutti i campi della macroeconomia, grazie alla loro capacità di generare la persistenza osservata nelle serie storiche delle variabili aggregate. Tuttavia, i costi di a. convessi si dimostrano inadeguati a descrivere empiricamente altri fenomeni, come, per es., la variazione degli investimenti e delle scorte. In generale, i costi di a. non convessi sembrano più adatti a descrivere le frizioni affrontate dalle imprese nell’adeguare il livello di capitale e lavoro. Studi empirici a livello microeconomico mostrano che le aziende aggiustano lo stock dei fattori a intervalli di tempo lunghi e in modo quantitativamente significativo. Questo processo è compatibile con la presenza di costi di a. non convessi, introdotti inizialmente come un semplice costo fisso da H. Scarf, che dimostra come, in questo caso, le imprese riportano lo stock al livello ottimale solo quando esso è sufficientemente distante dal valore desiderato, ed esce quindi da un determinato intervallo. A livello aggregato, le due tipologie di costi di a. hanno implicazioni molto simili, ma solo i modelli con costi non convessi hanno la potenzialità di generare non linearità (➔ linearità) nelle variabili macroeconomiche. I costi di a. lineari a tratti, infine, sono un tipo di costi convessi, solitamente associati a irreversibilità dell’investimento e dell’occupazione, che condividono alcuni risultati di entrambi i precedenti modelli: le imprese mantengono lo stock dentro un intervallo (modello s-S), ma effettuano a. di piccola entità.