GUIDI, Aghinolfo
Fu uno dei cinque figli maschi che il conte Guido (VII), detto anche Guido Guerra (III), aveva avuto dalla seconda moglie Gualdrada di Bellincione di Uberto dei Ravegnani, potente esponente dell'aristocrazia di Firenze. Il G. e il fratello Marcovaldo sembrerebbero nati dopo Guido, Tegrimo, Sofia, Imilia, Ruggero, Gualdrada e Guisiana. La nascita del G. potrebbe quindi essere collocata fra 1182 e 1188, anche perché nel 1203 doveva essere troppo giovane per essere testimone, con il padre e i fratelli maggiori, nel castello di Poggibonsi alla sistemazione dei confini stipulata fra Firenze e Siena.
In quel periodo, comunque, anche il G. iniziò a prendere parte alle attività politiche e militari tipiche della famiglia e dello status di nobile signore feudale: fra 1203 e 1208 partecipò con i fratelli alle lotte contro Pistoia per il castello di Montemurlo e poi sempre con loro fu militarmente impegnato con i Fiorentini contro Siena.
Nel 1211 venne chiamato come podestà ad Arezzo. Nel 1219 condusse i propri uomini in aiuto alle truppe faentine che assediavano Imola. Nello stesso periodo, presumibilmente, prese anche parte con i fratelli agli scontri contro i Traversari e soprattutto contro il Comune di Pistoia.
La città, infatti, ambiva a espandere il proprio territorio liberandolo dal controllo dei castelli dei conti e proprio in questi anni doveva esser riuscita a espropriare ai figli di Guido Guerra quasi tutti i castelli della Montagna pistoiese. Le ambizioni di Pistoia sull'importante punto strategico di Montemurlo che i fratelli non erano più in grado di contrastare, dopo una difesa durata anni con l'appoggio dei Fiorentini, li spinsero ad accogliere infine la richiesta di acquisto loro presentata dal podestà di Pistoia Orlandino Porcari nel marzo 1219. Ma quando i Fiorentini seppero di tale intenzione si opposero e, attraverso pressioni e minacce, ottennero che i fratelli cedessero al Comune fiorentino per 5000 lire il castello con un atto firmato a Firenze alla fine di aprile in cui venivano dati altri castelli in Valdarno a garanzia dell'impegno preso; a questo atto non aderì Marcovaldo che già allora aveva adottato un atteggiamento autonomo.
Nel 1220 il G. si presentò con i fratelli a Federico II che era giunto in Italia, ma probabilmente furono solo lui e Marcovaldo a recarsi in rappresentanza di tutta la casata in Lombardia, seguendo poi la corte in Romagna e in Toscana, poiché nel contenzioso sorto anni dopo i due richiederanno ai fratelli Guido e Tegrimo l'indennizzo per i cavalli persi nel recarsi ad accogliere e nel seguire Federico nell'interesse di tutti. In seguito, però, tutti e cinque i fratelli scesero a Roma; assistettero all'incoronazione e ottennero alla fine di novembre un diploma che confermava loro tutti i possessi concessi al padre, anche quelli su cui ormai non potevano esercitare alcun dominio effettivo come Empoli e i centri del Valdarno inferiore passati sotto il controllo fiorentino o i castelli della Montagna pistoiese.
In questo periodo il G. aveva già sposato una Agnese di cui non conosciamo la famiglia, che in sua assenza aveva concesso licenze di alienazione di beni ai vassalli casentinesi che vennero ratificate dal G. nel 1223. Lo stesso documento mostra, quindi, che per un periodo egli dovette essere rimasto presso la corte itinerante dell'imperatore anche dopo la sua incoronazione.
Dalla morte del padre i fratelli, che agissero insieme o separati, sembravano comunque essere riusciti fino ad allora a mantenere unito il comitatus. Nel maggio 1225, invece, riunitisi a Firenze nel loro palazzo presso S. Pier Maggiore, decisero di venire a una divisione su iniziativa - per ragioni presumibilmente più patrimoniali che politiche - di Marcovaldo che ambiva a muoversi in autonomia spinto forse anche dalla moglie Beatrice degli Alberti di Capraia e dalla sua famiglia. Pochi mesi dopo, tuttavia, quando l'accordo non era stato ancora applicato, la morte di Ruggero a Palermo - dove era sceso per recarsi nuovamente presso la corte dell'imperatore - rimise tutto in discussione, poiché probabilmente egli testando lasciò la sua parte ai soli due fratelli maggiori Guido e Tegrimo. Sorse, così, una lite per la partecipazione all'eredità di Ruggero e per la conseguente revisione degli accordi di divisione patrimoniale fra Guido e Tegrimo da una parte e il G. e Marcovaldo dall'altra. Forse vi fu un primo accomodamento fra 1227 e 1228 - come parrebbe mostrare il documento con le richieste di indennizzo cui abbiamo accennato e che ci è giunto senza data - ma la questione fu nuovamente riaperta, dopo la morte di Marcovaldo nel 1229 dal conte Rodolfo degli Alberti, padre della vedova e tutore dei figli di Marcovaldo. Così si arrivò al lodo arbitrale pronunciato nel marzo 1230 da Guelfo dei Bostoli di Arezzo, giudice del podestà di Firenze, dove era stata riaperta la causa.
Nonostante tutte queste divisioni la situazione patrimoniale rimase ingarbugliata, ponendo le basi per i futuri conflitti fra i vari rami familiari, anche perché di molti fra i più importanti castelli era stata fatta una divisione in quote parti assegnate a ognuno dei fratelli, e altri erano rimasti divisi a metà fra le due coppie Guido e Tegrimo e Aghinolfo e Marcovaldo. Inoltre le divisioni prevedevano, per ogni nucleo patrimoniale spettante a un conte, dei beni in Romagna, in Casentino, nel Valdarno superiore, in Val di Sieve.
Al G. era stato assegnato sostanzialmente integro il nucleo che aveva costituito l'antica contea di Romena in Casentino, pervenuta una ottantina d'anni prima al conte Guido (VI), detto Guido Guerra (II) per via matrimoniale. Si trattava di una serie di dieci "popoli" dipendenti dalla pieve di S. Piero a Romena su cui signoreggiava il potente castello di Romena con addirittura quattordici torri e tre cerchia di mura, l'ultima delle quali difendeva un borgo popoloso. Facevano inoltre parte dei suoi beni indivisi i castelli di Loro, Gropina, Lanciolina nel Valdarno superiore, quelli di Montegranelli e Monsacco in Romagna, quelli di Ragginopoli e Lierna in Casentino. È molto probabile che, per distinguersi dai fratelli, già da allora il G. abbia preso a farsi chiamare conte di Romena sia per l'importanza di tale castello sia per il fatto che era già esistita una tale intitolazione comitale. Sembrerebbe che negli anni successivi alla divisione e alla morte di Ruggero e di Marcovaldo il G. avesse ripreso buoni rapporti con Guido e Tegrimo e che insieme avessero partecipato alle lotte tra Firenze e Siena che si svolsero fino al 1235; i tre conti furono, infatti, fra coloro che giurarono la pace a Poggibonsi il 30 giugno di quell'anno.
Nel 1232 il G. aveva per proprio conto occupato il castello romagnolo di Montebovaro, che dipendeva dalla diocesi di Ravenna e per il quale già il fratello Ruggero era stato in contesa con l'arcivescovo nel 1224. Per tale azione fu perciò convocato in giudizio dal legato imperiale in Romagna, Alberto arcivescovo di Magdeburgo, ma pur non presentandosi trovò il modo di mantenere il castello.
Nel 1237 fu per la seconda volta podestà di Arezzo e in tale veste nel giugno dello stesso anno dette in appalto i frutti dei boschi comunali di Agutolo e Frassineto. Dal momento che nel 1239 Faenza si era alleata con i Bolognesi in lotta con l'imperatore, il G., che era stato scelto da Federico II come conte imperiale per la Romagna, mosse con le fanterie di Forlì, con i propri uomini e con numerosi nobili all'assedio della città. Ma i Bolognesi, accorsi con le proprie truppe, presero il suo esercito alle spalle, lo sconfissero e condussero lui stesso prigioniero a Bologna. Per la sua liberazione si mosse papa Gregorio IX, promettendo in cambio ostaggi ai Bolognesi, forse con l'intenzione di trovare nel G. e nei fratelli un appoggio politico. Sicuramente egli era comunque già libero nel 1242, quando lo troviamo in Casentino come testimone insieme con il figlio Guido a un contratto fra il priore di Camaldoli e un uomo del castello di Soci.
La moglie Agnese, da cui il G. oltre a Guido aveva avuto la figlia Sofia - un terzo figlio, Merlo, era invece nato da una relazione extramatrimoniale - doveva in quegli anni essere già morta. Nel 1244, probabilmente per qualche interesse politico, il G. prese quindi una seconda moglie (del cui nome conosciamo solo la lettera iniziale "B"), sorella di Ottobuono Fieschi e nipote di papa Innocenzo IV; fu proprio grazie a quest'ultimo che il G. ottenne la dispensa, richiesta dal fatto che era parente di quarto grado della futura moglie.
Tale matrimonio fu di breve durata dato che il G. morì sicuramente prima del 1247, anno in cui il figlio Guido, che era l'unico erede, nei documenti si riferiva al padre come già defunto.
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